Читать книгу È L'Amore Che Ti Trova - Isabelle B. Tremblay - Страница 7
CAPITOLO 2 – NOTTE INDIMENTICABILE
ОглавлениеCharlotte spinse la porta del bar, precedendo Emma, che era rimasta indietro. Il posto era accogliente, ma non così affollato come lo immaginava. Si trattava di un piccolo stabilimento con vista sulla spiaggia, situato a pochi passi dal loro hotel. Sul fondo della sala c’era un bancone. Davanti, sedevano alcune persone e, piazzato dietro, un cameriere preparava bevande e cocktail di tutti i tipi. Emma riconobbe Ian, in piedi e con la birra in mano, che chiacchierava con un gruppo di persone. Appoggiò la mano sul braccio di Charlotte per mostrarle dov’era il giovane. La sua amica riconobbe alcune facce che erano presenti nel pomeriggio alla partita di pallavolo.
La musica, molto alta, era suonata da un trio maschile: cantante, chitarrista e tastierista. C’era anche una batteria, ma il posto era vuoto. Charlotte si diresse verso il bar per ordinare due cosmopolitan, mentre Emma scelse un tavolo nascosto. Ne approfittò per osservare Ian.
Indossava dei jeans in denim blu scuro strappati in punti strategici e una maglietta bianca con la scritta Born To Be Wild, che la fece sorridere. Immaginava che fosse sicuramente il tipo di uomo nato per essere libero e indipendente. Una specie di intuizione. Lo trovava particolarmente carino e attraente. Aveva un berretto grigio sulla testa che gli dava uno stile un po’ bohémien e l’aspetto di un poeta. Sembrava assorbito dalla storia che stava raccontando ai suoi amici. Gesticolava molto e le braccia facevano grandi movimenti circolari.
“Vagli a parlare”, disse Charlotte, posando sul tavolo i due bicchieri che aveva in mano.
“No. Forse non si ricorda più di me.”
“Digli che i suoi jeans gli fanno un culo da paura!”
Emma scoppiò a ridere per il commento della sua amica.
“È così che faresti tu?”
“No, per niente. Gli direi: da me o da te? Non perdo tempo con queste cose. Quando mi piace un uomo vado dritto al sodo.”
“Non riesco a immaginare che tu faccia così.”
“Vuoi vedermi all’opera?”
“No, va bene. Adesso ti credo. Non è necessario che ti esibisca…”
“Esibirsi in cosa?” chiese una voce profonda alle loro spalle.
Emma balbettò nel rendersi conto che Ian era vicino a loro. Il giovane le rivolse un grande sorriso e salutò Charlotte con la testa. Aveva una lattina di birra in mano.
“Capisci il francese?” chiese Charlotte senza mezzi termini.
“Mia zia vive a Westmount da circa vent’anni. Mia madre ebbe la meravigliosa idea di mandarmi là durante l’estate, quando ero bambino, per imparare il francese ed espandere la mia cultura. Lo capisco meglio di quanto lo parli. Mancanza di pratica”, rispose Ian.
I suoi occhi non mollavano Emma. Era completamente ipnotizzato dalla donna. Vedeva soltanto lei. Decise di sedersi alla destra di Charlotte, di fronte a Emma. Non riusciva a spiegarsi perché fosse così attratto da lei. Era più forte di lui. Charlotte ruppe il silenzio che si era instaurato.
“Torni ancora nel Quebec, a volte?”
“Non ho molti motivi per tornarci, a dire il vero”, disse, immergendo lo sguardo in quello di Emma, che ascoltava senza dire una parola.
“Posso trovartene un sacco per venirci più spesso. Vivi nel New Jersey?”
“No. La mia città è New York. Ce l’ho tatuata sul cuore. Comunque mi sono divertito a Montreal. Una città ben viva nella mia memoria.”
“Capitano delle coincidenze veramente strane nella vita. Prima abbiamo incontrato un uomo di Montreal nell’ascensore dell’hotel”, disse Emma, accarezzando il bicchiere con la punta delle dita.
Ian continuava a divorarla con lo sguardo. Charlotte non era stupida e sentiva che la tensione era palpabile tra lui e la sua amica. Era ora di lasciare la coppia da sola. Bevve in un solo sorso ciò che rimaneva nel suo bicchiere e si alzò.
La band iniziò a suonare un brano che le ricordò brevemente un ex amante. L’ascoltavano spesso nel periodo in cui dormivano insieme. Sorrise pensando a come il tipo ballava credendo di impressionarla. Si erano lasciati qualche settimana dopo. Lui desiderava una relazione seria, mentre Charlotte non voleva arrivare a tanto.
“Vado a prendermi un altro drink e a guardare in giro per fare amicizia con qualcuno”, disse congedandosi.
Emma la guardò, implorandola di non abbandonarla da sola con Ian, ma lei la ignorò completamente e si diresse verso il bar. Ian suggerì a Emma di andare a fare una passeggiata sulla spiaggia e lei accettò. La luna era piena e il suo riflesso si allungava sull’oceano, blu come la notte. Era una serata molto mite. Calda, nonostante il tramonto e l’oscurità, ma non soffocante come ne ricordava tante nelle ultime estati. C’era una leggera umidità che riscaldava l’aria. Ian le prese istintivamente la mano. Non si sottrasse. Le sembrava quasi naturale sentire la sua mano nella sua, anche se erano due completi estranei.
“Cosa fai nella vita? Parlami di te”, disse Emma improvvisamente per rompere il silenzio, continuando a camminare sulla sabbia.
Ian le era vicino. Ne respirò il profumo. Era una fragranza speziata e dolce al tempo stesso, una delizia per le sue narici. Si sentiva impulsivamente attratta da lui. Il suo corpo andava verso di lui in maniera incontrollata, mentre la testa glielo impediva. Nel suo intimo era in corso una violenta lotta.
Charlotte le aveva spesso detto che pensava troppo e non si godeva abbastanza il momento presente. Infatti, le ripeteva sovente questa frase significativa: «Abbiamo solo una vita da vivere! Carpe diem!» Emma sapeva che aveva ragione, ma era qualcosa di radicato in lei. Non aveva l’impulsività della sua amica. Avrebbe dovuto comportarsi come lei aveva fatto quella sera e vivere senza pensare alle conseguenze del giorno dopo. Forse era il posto che le faceva venire voglia di fare delle pazzie, chissà. Ad ogni modo era sempre stata troppo seria, su quello non c’era dubbio.
“La mia vita non è per niente interessante. Dipingo. Voglio dire, espongo dipinti in una piccola galleria di Brooklyn, ma non sono conosciuto. Sono persona non grata. Vivo a New York, in un grande loft vicino a Times Square. Faccio pittura astratta, ma mi guadagno da vivere dipingendo case. È ironico, a pensarci. Sono un artista mancato. Parlami di te, Emma. Mi incuriosisci.”
“Non sono un’artista. Il mio è un percorso tradizionale e convenzionale. Ho studiato lingue e mi guadagno da vivere traducendo libri dall’inglese al francese o viceversa. Niente di molto creativo. Niente di particolarmente appassionante nemmeno. Vivo in un piccolo appartamento sul Plateau, che pago il doppio di quanto dovrei per le sue dimensioni. Ho un inquilino con cui condivido lo spazio, Barney, il mio gatto siamese. A grandi linee, questa è la mia vita.”
Rise, ricordando il suo fedele amico a quattro zampe. Anche Ian sorrise. Ascoltava le sue parole incantato. Si lasciava facilmente sedurre dalle donne. Le amava tutte, senza eccezioni. Bionde, rosse, brune, more, basse, alte, magre, tonde. Tuttavia, quella di fronte a lui possedeva qualcosa che aveva sempre cercato. Non riusciva a capire cosa lei riuscisse ad accendere in lui. Era lucido e sapeva che era più di un’attrazione fisica. Non aveva intenzione di andare a letto con lei una notte e poi dimenticarla. Voleva conoscerla. Farla sua, tanto nel corpo quanto nell’anima.
“Hai un ragazzo?”
Emma arrossì e distolse lo sguardo.
“No. Nessuno.”
La sua risposta lo sollevò. Smise di camminare e propose a Emma di sedersi un po’ di fronte al mare per ammirare le stelle e godersi quel momento. Emma si sedette per prima. La sabbia le entrò nelle scarpe décolleté e sotto il vestito, rendendo la posizione scomoda.
Quella sensazione le ricordò il periodo in cui suo padre lavorava in una cava nel suo villaggio natale. L’aveva portata con sé, insieme al fratello Tommy e alla sorella Lizzie, e si erano divertiti sulle montagne di sabbia. A un certo punto era sprofondata un po’ troppo nella sabbia e suo padre aveva dovuto interrompere il lavoro per farla uscire di là, sotto le urla di Lizzie, completamente spaventata, mentre Tommy faceva il valoroso nel cercare di aiutare suo padre. Billy Tyler l’aveva rimproverata per aver disobbedito, quando aveva proibito loro di andare a giocare là qualche minuto prima. Era l’ultima volta che Emma aveva osato fare la ribelle. Suo padre era la dolcezza in persona, ma quando alzava la voce si faceva ascoltare.
Poi pensò a Charlotte, che aveva lasciato sola al bar e si sentì in colpa. Quella sensazione scomparve rapidamente quando ricordò tutte le volte in cui la sua migliore amica le aveva fatto lo stesso. Stava bene con Ian. Era dolce. “Potrebbe non essere un serial killer dopotutto”, pensò sorridendo.
“Sono felice di sapere che non c’è nessuno”, disse lui dopo un po’.
“Ah sì?” rispose Emma, guardando il profilo dell’uomo.
“Mi è sembrato di conoscerti da sempre quando ti ho colpita con quello stupido pallone e sono venuto a scusarmi.”
Smise di parlare e girò il viso verso la giovane donna prima di continuare:
“Non voglio che tu pensi che sono uno psicopatico. Ci siamo appena conosciuti. Eppure, con te, mi sento come una barca che ha ritrovato il suo porto d’origine. Non riesco a spiegarlo. Non capisco quello che provo quando sto con te. Quando ti sei girata verso di me questo pomeriggio, quando ti ho guardata… ero… avevo bisogno di rivederti. Di parlarti. Di conoscerti.”
Emma aveva trattenuto il respiro e stava cercando di assimilare ciò che Ian le aveva appena detto. Avrebbe voluto dirgli la stessa cosa, ma non le vennero le parole. Rimasero bloccate in gola. Stava succedendo troppo rapidamente. Non aveva mai incontrato un uomo che parlasse così liberamente delle sue emozioni e riconosceva di trovare la cosa particolarmente eccitante, ma anche un po’ preoccupante. La sua leggendaria timidezza le impediva di esprimersi.
“Sto bene con te. Anch’io.”
Fu l’unica cosa che seppe dire. Ian chinò la testa verso la sua compagna di serata e avvicinò il viso al suo. Esitò un secondo, non di più, e la sua bocca coprì la sua. Quando le sue labbra toccarono quelle di Emma, lei fremette di piacere. La sua lingua si fece timidamente strada per accarezzare l’altra. Sapeva di birra e menta. Era piacevole e dolce. La mano di Ian le sfiorava ora la guancia. Trovò il suo gesto tenero.
Condivideva la stessa sensazione del giovane. Anche lei aveva l’impressione di averlo ritrovato e che si conoscessero da molto tempo. Osò domandarsi se fossero quelle che chiamano anime gemelle. Anime che erano state separate durante la loro incarnazione e la cui missione era quella di ritrovarsi. Poi mise un freno alla sua immaginazione: le loro anime si erano riconosciute, d’accordo, ma trovava tutto ciò troppo rapido. Era solo un bacio, eppure non veniva baciata così da un bel po’ di tempo. Tutti i suoi sensi erano all’erta. Ian la stringeva con più desiderio e le sue carezze si erano fatte sempre più intraprendenti. Lei lo incoraggiò. Poi le sue mani si posarono sulla vita. Emma finì per respingerlo delicatamente.
“Non verrò a letto con te stanotte”, disse delicatamente, ma con fermezza.
Ian era deluso, ma non lo lasciò trapelare. Vedeva che era una decisione irremovibile. Accarezzò i capelli della ragazza. La trovava stupenda e aveva una voglia irresistibile di perdersi nei suoi occhi verdi. L’effetto che quella donna gli faceva era molto più che fisico. Emma si avvicinò di nuovo e prese l’iniziativa di baciarlo. Avrebbe potuto avere un’avventura con lui. Era facile. Ma non era da lei e sapeva che se ne sarebbe pentita. Charlotte era l’esperta in avventure di una notte, non lei. Ciononostante, era tentata di contravvenire ai suoi valori. Solo per una volta.
“Voglio sapere tutto di te, Emma. Tutto.”
“Bene. Da dove comincio?”
***
Charlotte scelse uno degli sgabelli al bancone per sedersi. Prese il telefono e scrisse un breve messaggio alla sua amica dicendole che stava tornando in hotel e invitandola a godersi la passeggiata con il suo bel principe americano. Per una volta, era lei ad avere conseguito un appuntamento con un uomo.
“Madame Riopel, giusto?” chiese un individuo dietro di lei, in francese.
Charlotte alzò la testa e riconobbe Gabriel, l’uomo dell’ascensore. Era un po’ troppo ben vestito rispetto alle altre persone presenti nel posto, ma non sembrava preoccuparsene troppo. Sorrise e girò leggermente la testa verso di lui.
“Gabriel Jones! Il mondo è veramente piccolo!” rispose Charlotte ridendo.
“Molto piccolo. E guardi che non l’ho seguita!” scherzò lui alzando le mani in difesa.
“Per mia fortuna! Non mi sarebbe piaciuto sentirmi pedinata”, ribatté lei ridendo di nuovo.
Emma aveva ragione. Era un uomo molto attraente. Soprattutto quando sorrideva possedeva un carisma impressionante di cui probabilmente non era consapevole. Le chiese se poteva sedersi sullo sgabello vuoto accanto al suo e lei accettò volentieri. Un po’ di compagnia le avrebbe fatto bene e, soprattutto, era qualcuno che parlava la sua stessa lingua.
“La sua amica se n’è andata?”
“No. È con l’uomo che le ha dato appuntamento stasera. Penso che stiano camminando sulla spiaggia o facendo qualcos’altro”, rispose lei strizzando l’occhio a Gabriel.
Lui sorrise, comprendendo l’allusione della giovane donna. Trovava Charlotte molto divertente ed era particolarmente rinfrescante dopo aver trascorso due giorni in compagnia di colleghi medici che parlavano solo di argomenti difficili legati alla loro professione. Charlotte vide da lontano il cantante della band che avanzava nella loro direzione.
“È qui per affari o per piacere?” chiese Gabriel dopo aver ordinato una birra.
“Affari. Sono una redattrice di Style Magazine. E lei? Piacere?”
Lui rise. Lei gli lanciò uno sguardo divertito.
“No. Lavoro. Se fossi qui per divertirmi, non sembrerei un manichino come ora, nel mio abito da impresario delle pompe funebri.”
Charlotte fece la bocca a forma di O, sorpresa da quello che aveva appena udito. Non riusciva a nascondere le sue emozioni, era troppo espressiva.
“Lei è un imbalsamatore?”
Non avrebbe mai immaginato che lui potesse esercitare un mestiere così macabro.
“No. Medico. Preferisco aiutare i vivi. È sempre più rasserenante per l’anima salvare una vita. Pensava davvero che fossi un becchino?”
Charlotte si mise un pugno sul mento e lo osservò per qualche secondo, con aria pensosa.
“Solo che ha un aspetto troppo serio, direi.”
Una mano si posò sulla spalla di Charlotte. Si voltò e vide il cantante della band, che si era esibito sul palco dall’inizio della serata.
“Ciao, io sono Ryan.”
I suoi occhi marroni, quasi neri, cercavano quelli di Charlotte, che li evitavano.
“E a me non interessa”, rispose subito, voltandosi di nuovo verso Gabriel, con cui stava conversando.
Il giovane rise nervosamente. Non era abituato a essere trattato in quel modo. Punto sul vivo, trovò improvvisamente la situazione eccitante.
“Sono l’amico di Ian. Tu sei Charlotte?”
“Sì, sono io. Ascolta, Bryan…”
“Ryan. Non Bryan…”
“Non ha importanza, sto parlando con questo signore. Un gentiluomo del mio paesino. È davvero scortese da parte tua interrompere la nostra conversazione”, spiegò lei in un inglese approssimativo che Ryan trovò delizioso.
Gabriel assisteva alla scena, cercando di nascondere un sorriso che apparve ugualmente sul suo viso. Tuttavia rimase in silenzio. Non voleva intromettersi. Charlotte era molto interessante e aveva trovato spiacevole che l’individuo interrompesse la loro conversazione.
“Adesso me ne vado”, disse Gabriel, vedendo che il musicista insisteva.
“La sua birra è appena iniziata”, gli fece notare Charlotte, indicando la bottiglia dell’uomo con il dito.
“Non voglio essere causa di litigi…”
Charlotte scoppiò a ridere. Non conosceva Ryan e non aveva alcuna voglia di conoscerlo. Era convinta che Ian avesse chiesto al suo amico di tenerle compagnia mentre lui cercava, probabilmente, di sedurre la sua migliore amica. E Charlotte non aveva nessun bisogno di compagnia. Era lei a scegliere gli uomini con cui usciva. Non erano certo loro a scegliere lei. O almeno le piaceva crederlo. Era una donna orgogliosa, lo sapeva. Era un suo diritto.
Aveva deciso, dopo la prima rottura amorosa all’età di quattordici anni, che nessun altro uomo le avrebbe fatto del male come quella volta. Si sarebbe comportata come loro, anche se la maggior parte delle donne condannava quel tipo di atteggiamento e di comportamento. Sentiva che, al di là di quella promessa, era bloccata e si proteggeva dall’amore.
“Non devo niente a questo tipo perché non lo conosco”, disse Charlotte dopo che Ryan ebbe fatto dietrofront.
“Una donna con carattere e che sa esattamente quello che vuole! Brava!” esclamò Gabriel.
Charlotte posò il gomito sul bancone del bar e appoggiò il mento contro il palmo della mano mentre fissava Gabriel senza dire nulla. Dopo un po’, lui si mise a ridere imbarazzato.
“È la prima volta che incontro un medico che non è vecchio o noioso. Questo mi fa ricordare che è possibile trovare giovani medici come in Grey’s Anatomy, sparò Charlotte per poi scoppiare a ridere.
Era più forte di lei, le piaceva sedurre. A prescindere da chi fosse la vittima.
“Lo prendo come un complimento. Dovrebbe venire più spesso in ospedale, con me lavorano solo elementi prossimi alla pensione”, rispose lui giocando con la sua bottiglia.
“No! Non mi piace molto l’idea… Evito gli ospedali quando non sono malata, sono pieni di germi.”
“Il tipo con cui è uscita la sua amica a questo appuntamento, lo conosceva già?” chiese Gabriel incuriosito, deviando la conversazione.
Charlotte alzò lo sguardo verso il suo interlocutore di fortuna, colta da un’intuizione. La sua attenzione per Emma l’aveva colpita. Si chiese se la sua domanda fosse davvero disinteressata, dato che, di tutti gli argomenti che avrebbe potuto scegliere, proprio la sua migliore amica aveva tirato fuori.
“No, l’abbiamo incontrato oggi pomeriggio, sulla spiaggia…”
“È prudente lasciarla andare da sola con uno sconosciuto?”
Charlotte fece l’occhiolino a Gabriel, roteando il bicchiere e il ghiaccio sul fondo. Poi affondò lo sguardo in quello del medico.
“Ho la netta impressione che voi due siate fatti l’uno per l’altra… Non ha fatto che assillarmi con la sua paura che potesse essere un serial killer…”
“E ci è andata lo stesso?”
“Forse l’ho spinta un po’… e poi bisogna vivere il presente. Carpe diem! Tutto qui.”
Gabriel bevve d’un sorso il resto della bottiglia e si alzò. Aveva deciso di tornare in albergo. Doveva svegliarsi presto la mattina dopo. Anche se era abituato a dormire per brevi periodi di tempo, era più ragionevole approfittarne per riposare.
“L’accompagno in albergo?” le chiese educatamente.
“Perché no?” rispose Charlotte.