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IV

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Aveva parlato da circa tre ore, e il pubblico lo aveva sempre ascoltato con l’attenzione più concentrata.

Nella perorazione scongiurò i giudici a non lasciarsi vincere da alcuna perplessità per le incoerenze dimostrate dall’inquisito nel suo interrogatorio, pel suo rifiuto a rispondere, per gli schiamazzi con cui non aveva esitato ad offendere la stessa Rota.

Tali simulazioni non erano nuove, altri rei se n’erano valsi come espediente a sviare la meritata severità della Legge.

L’Avvocato fiscale terminò dicendo, che egli domandava per l’inquisito la stessa condanna da lui già domandata nelle sue conclusioni, che si trovavano fra gli atti del processo scritto.

«Concludo dunque – queste furono le ultime parole dell’oratore fiscale – che la Regia Rota condanni l’inquisito Nello Bartelloni nella pena di servizio ai pubblici lavori per anni venti, previa un’ora di esposizione, a indennizzare la parte lesa, e nelle spese della procedura.»

Previa un’ora di esposizione!

I mercatìni quasi non si tenevano più. Il loro desiderio era sodisfatto! Nello sarebbe messo alla gogna; lo avrebbero riveduto: avrebbero ricavato da lui i numeri del Lotto. Insomma si preparava ad essi in quel triste avvenimento una eccellente occasione di darsi bel tempo, di andar attorno con le spose, coi figliuoli, e far gazzarra.

Ma il pubblico, agitato, commosso, non ebbe tempo di lasciarsi sfuggire la più piccola espressione di sodisfazione o di meraviglia, poichè già si era alzato il celebre avvocato Arzellini.

Eravamo, dunque, al punto di quella lotta da atleti fra i due ragguardevoli oratori, che già abbiamo annunziato al lettore, e alla quale il pubblico ardeva di assistere.

L’avvocato Arzellini era quasi circondato da giovani avvocati, che, non avendo potuto trovare posto nelle sedie, gli si erano avvicinati, e, in piedi, gli stavano dappresso con la reverenza, l’affettuoso raccoglimento di discepoli, che non volevano perdere una sola parola del maestro venerato.

Tutti i cuori battevano, tutte le orecchie erano tese.

Gli stessi giudici si erano rivolti verso il difensore, e mostravano di esser disposti ad ascoltarlo con la maggior deferenza.

Lucertolo si era messo quasi accanto all’avvocato.

L’orazione non doveva avere ascoltatore più attento e più appassionato di lui.

– «Se grave e dolorosa causa – cominciò l’avvocato Arzellini – fu mai al mio patrocinio commessa, come non dirò io esser tale quella che quasi tremando mi accingo a discutere?… Nè le tristezze di questa causa, sebbene di fatti e varia e complicatissima sia, nascono dagl’intrinseci, che la presentano come problema giuridico da risolversi. Esse nascon piuttosto dagli sventurati estrinseci, che la circondano.

«Grave la fa l’inaudito e quasi inesplicabile coraggio di chi ispirò gli aliti primi dell’accusa… formando nella contradizione evidente di ogni diretto, o indiretto mezzo di prova un’ipotesi, la quale obietta un delitto della più incallita umana ferocia a giovane di tenera età, quasi demente, e peregrino nel cammin della vita.

«Grave la fanno il terrore e la perplessità in cui l’accusa ha gettato i nostri animi.

«Fa grave questa causa l’incontro fatale di circostanze, le quali, sebben nate dalla sciagura, o dalla imprudenza, assumono aspetto fallace di delittuose apparenze ad eccitare lo straordinario zelo, con cui l’encomiabile Uffizio fiscale sostiene l’accusa con tutte le forze dell’ingegno e dell’eloquenza.

«Grave fa pesar questa causa nell’afflitto mio cuore il dovere di un padre, che corre alla difesa del proprio figlio. Non mi fè certo la natura padre dell’inquisito: ma tal mi fece la Legge collocando tra le mie braccia questo sventurato innocente, questo tapino, solo nel mondo, senza guida, e senza alcun’altra tenerezza, affinchè io lo difenda e lo protegga. Di rado sentii più, ottimi giudici, quanto fosse sacro il mio ufficio.

«E qui un lamento mi sia permesso se non utile alla causa, e agli ottimi giudici, utile a me, ed al pubblico, che mi ascolta e che la Legge ammette a questo congresso solenne.»

L’avvocato lamentò quindi con parole energiche la condotta seguìta dalla polizia nelle prime indagini; la sua cieca persuasione di aver messo subito le mani sul delinquente, trascurando ogni altra ricerca, e adoperandosi anzi a propalare contro l’inquisito la più spaventevole leggenda.

Deplorò che alte influenze avessero pur regolato l’andamento del processo e che più volte in esso si fosse pronunziato, come potentissima arme contro il disgraziato, che egli doveva difendere, il nome dell’augusto Sovrano.

«Abbiamo, o giudici – proseguì l’avvocato – ben luttuoso argomento a trattare: un tentativo d’omicidio, seguíto da furto. Una vittima illustre, che, trafitta da pugnale, cade ferita, in mezzo alle più terribili angoscie, merita l’attenzione del magistrato e la società offesa reclama la severa ed esemplare punizione dell’assassino. Ma, se la società offesa nel più sacro de’ suoi diritti domanda vendetta, la legge richiede imperiosamente che sia chiaramente ed evidentemente dimostrata la reità di chi è accusato, affinchè il giudice, trascinato da una fallace apparenza, non sacrifichi la vita di un innocente.

«È egli o no dimostrato, nel concreto del nostro lacrimevole caso, chi abbia sparso il sangue dell’infelicissimo pittore Roberto Gandi?

«Esiste un tentato omicidio; ma fatalmente per la Giustizia, come io vi mostrerò, s’ignora ancora la mano feritrice, il colpevole. Possiamo classificare questo delitto fra quei tanti, che sfuggono tutto giorno alla scure delle Leggi. Se ne cruccia la società, ne ha dispetto il giudice virtuoso, ma quanti innocenti ha salvata la tollerata impunità di alcuni colpevoli! Se si freme sul delitto fortunato, non si piange sulla innocenza sacrificata!

«Mettiam fine alle considerazioni generali.

«Credo che altro ordine non voglia questa causa, se non quello di sottoporre al criterio legale, l’un dopo l’altro, gl’indizii tutti di reità, con infinito studio raccolti dall’analitica penetrazione del Fisco.

«Esamineremo la natura di ciaschedun indizio, la sua qualità, la prova che lo assiste.

«Se un lodevole zelo per il ben pubblico, se l’orrore per gli atroci delitti hanno a pregiudizio del Bartelloni fatta illusione al magistrato inquirente ed al Fisco, religiosamente da voi, sapientissimi giudici, dopo le risultanze processuali, verrà riconosciuta la loro legale insussistenza, e il vostro equo giudicato, la ragione e la giustizia porranno fine alle tante immeritate sciagure ed al carcere in cui ha dovuto gemere il mio difeso.

«Scusabile è il Fisco nell’accusare, ed io di buon grado lo scuserò: ma perchè, eziandio chiedendo una minor pena, è venuto a parlarci di patibolo e di catene: ad atterrire un debole innocente con la sanguinosa suppellettile del suo spaventevole armamentario?

«Il Fisco vi ha raccontato, prestantissimi giudici, come si svolgesse, giusta i suoi criterii, la scena nefasta, che macchiò di sangue la notte del 14 gennaio il Vicolo della Luna e la Piazza Luna.

«Di nuovo io ammiro la fervida fantasia dell’oratore, il suo immenso, sconfinato zelo per perseguitare il delitto.

«Ma, ad ordire la sua tragica favola, il Fisco non tien conto neppure dei costituti, delle giudiciali dichiarazioni, dei giurati asserti dei testimoni, che già si trovano in atti.

«Dice il Fisco che il mio cliente si appostò varie sere nell’orrendo Vicolo, deciso a commettere un latrocinio.

«Egli non aspettava il Gandi, aspettava una preda qualsiasi, aspettava un uomo che potesse derubare.

«E pure, o signori, il testimonio Cosimo Pardilli, suonatore nell’orchestra del Teatro della Pergola, non ha giurato dinanzi al giudice inquirente che la sera del 14 gennaio, dopo le 10, mentre chiuso nella stanza, che egli abita nel così detto Palazzo della Cavolaia, suonava il violino, udì il mio cliente che cantava sotto la sua finestra, rispondente in Piazza Luna?

«Ah, è nuovo l’esempio, concedetemelo, eccellentissimi giudici, di questo assassino, che aspetta, cantando, col pugnale alzato, la sua vittima.

«Il Fisco non ha sentito quanto diventava grottesca la sua accusa?»

Sebbene cercasse di frenarsi, a Lucertolo sfuggivano segni non dubbi di approvazione.

«Gran trionfo mena il Fisco pel ritrovamento del pugnale insanguinato nello squallido e misero giaciglio del mio povero cliente.

«Però, o signori, concedetemi pure che diviene sempre più singolare questo assassino, il quale, invece di gettare lontano da sè il materiale del delitto, lo raccoglie quasi con cura e se ne circonda!

«È singolare un assassino, che trascina l’uomo che si suppone da lui ferito, proprio dinanzi all’uscio della sua abitazione, e quando gli ha posato il capo quasi sulla soglia, egli stesso la varca e si chiude, e si getta nel proprio letto senza pensare ad allontanare da sè i sospetti, anzi studiandosi di accumularli, di renderli, a così dire, palpabili, cercando di insanguinarsi le mani, i piedi, il volto, le vesti!

«Fino ad ora gli assassini, commesso il loro crimine, fuggivano, loro primo pensiero era di gettare il ferro omicida, di allontanarsi dal luogo del delitto, ma l’assassino pervicace che il Fisco vuole scuoprire nel mio infelice cliente, è un fenomeno, un fenomeno, che viola tutte le leggi di natura, ma che si accomoda mirabilmente alle crudeli esigenze dell’accusa.»

Dopo una breve pausa, che l’avvocato occupò nel consultare alcuni appunti, che aveva sparpagliati dinanzi a sè, così riprese:

«Nell’accurato, sintetico documento che ci ha letto il rispettabilissimo Auditore, relatore della causa, trovo una deplorevole lacuna.

«Egli non ci ha dato descrizione della struttura fisica del ferito, della struttura fisica del supposto feritore.

«Tal punto è di somma importanza!

«Il supposto feritore voi l’avete dinanzi ai vostri occhi nella compassionevole delicatezza e gracilità delle sue membra, nella triste debolezza delle sue forze, del suo mancato sviluppo, nella sua deficiente statura. Nel gramo corpicciuolo del mio cliente la Regia Rota ha uno straziante compendio di tutti i patimenti, di tutte le privazioni, di tutte le torture, che questo derelitto deve aver subito sin dalla nascita.

«Il pittore Roberto Gandi, il ferito, è invece di alta statura, di robusta corporatura, di forza muscolare straordinaria.

«Eppure il Fisco vuole indiscusso che il mio sventurato cliente, non ostante la sua piccolezza, il suo breve e debol braccio, abbia potuto ferire alla testa, gettarsi ai piedi, di un colpo, un uomo che tanto lo superava e di statura e di forze!

«Omicidio tentato per latrocinio, grida il Fisco. E sia pure! Ma è strano l’autore di questo latrocinio, che mentre non lascia nel corpo del ferito il pugnale, anzi lo strappa a forza, gli lascia nelle tasche il portamonete contenente una somma cospicua, e che, rinvenuto dagli agenti della polizia, si trova appunto su quel tavolino fra i corpi del delitto come una fra le tante prove d’innocenza dell’inquisito.

«Ed ora, prima che io entri a trattare più alto tema, a mostrarvi cioè le condizioni morali e intellettuali del mio sciagurato cliente, lasciate che io vi accenni al modo incompleto, assurdo, inumano, con cui la preparatoria inquisizione è stata condotta, adulterata....»

Il processo Bartelloni

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