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– Signor avvocato, la prego a moderarsi…

– Non si può moderare, signor presidente, l’amore della verità, della giustizia… la convinzione profonda, che io ho della innocenza di un infelice perseguitato…

Si udirono nel pubblico mormorii ostili a Nello.

– La impopolarità non mi spaventa, – continuò il sommo avvocato, voltandosi e lanciando intorno a sè occhiate di sprezzo. – Non spaventò Socrate quando quel grandissimo, divino....

– Signor avvocato, ella deve parlare alla Rota e non al pubblico… E alla più piccola vociferazione avverto il pubblico che non sarà più ammesso ad assistere alla continuazione del processo.

I poteri del presidente della Rota erano amplissimi.

Il pubblico tornò in un attimo ad essere tranquillo.

Il focoso oratore, incoraggiato dai giovani entusiasti, che gli stavano sempre dattorno, e lo salutavano di tanto in tanto con un mal simulato fremito d’ammirazione, andò innanzi dicendo:

«Io devo insistere nell’affermare che l’inquisizione è stata in questo processo mal condotta, e senza imparzialità…»

– Ma, signor avvocato…

– Qui dunque si vuol violare la mia coscienza?

– Continui… ma l’avverto di tenersi nei limiti.

«Sì, la mia coscienza di galantuomo si ribella nel percorrere le carte, preparate nei silenzi della Cancelleria, quelle carte, su cui il Fisco fonda il suo spietato Vangelo!

«Il Fisco vuole esclusa ogni relazione fra il delitto consumato la notte del 14 gennaio, e la stanza misteriosa, segnata di N. 5, che si apre nel Vicolo della Luna. Ma noi sogniamo, o siamo desti? Assistiamo allo svolgimento di un terribile, serio dramma giudiziario, o all’intrigo di una commedia?»

Il presidente tornò() a interrompere l’oratore. Di rado gli avvocati davano allora in tali escandescenze, e lo stesso avvocato Arzellini, sebbene noto per una insolita impetuosità, non era mai andato tant’oltre.

Il presidente lo avvertiva con benevolenza perchè anch’egli si sentiva sempre più propenso in favore di Nello, e la convinzione della innocenza di lui gli si approfondiva nell’animo.

«Quasi avrei abbandonato tale argomento, – aggiunse l’avvocato Arzellini, – se nelle stesse carte processuali, preparate dagli attuarii, non avessi trovato un gravissimo indizio.

«E a comprendere che sia gravissimo non vi è bisogno davvero di avere sfogliato i ponderosi volumi de’ Bruni, de’ Bianchi, dei Casonii, de’ Farinacci sulla materia indiziaria.

«Gli agenti della polizia, allorchè fecero l’accesso nella stanza misteriosa, vi trovarono… fate bene attenzione, o signori… vi trovarono acceso un lume.

«Dunque quel lume avea servito ad illuminare le carezze, i trasporti di un convegno amoroso… aveva servito ad illuminare qualcuno, che poco innanzi era presente nella stanza, seduto alla tavola sulla quale si trovarono bicchieri sempre umidi del vino versatovi, i dolci a metà morsicchiati…

«Forse per il Fisco la lampada pendeva accesa da quel soffitto sin dalla creazione del mondo?… Chi dunque si trovava nella stanza, al momento in cui il delitto era consumato dinanzi alla porta, anche ammesso che le persone in tale stanza convenute al delitto sien rimaste estranee?

«Chi vi si trovava? Quali rumori ha udito? E che cosa ha fatto la polizia, non sapendo scuoprire, perdendo, anzi, a dirittura, le traccie di tal gente?

«E non basta!

«Attiguo al luogo del delitto è un infame raddotto.

«Perchè la polizia non ha spinto oltre quelle infette pareti le sue indagini?

«Ha forse essa avuto paura, mettendo il piede in quella soglia di sozzure, di contaminarsi, di lasciarvi il proprio candore?

«Perchè il processo inquisitorio è muto su tutti questi particolari?

«Perchè noi non sappiamo oggi – e l’elevatissimo accento dell’avvocato scuoteva tutti – chi è entrato nell’immondo raddotto della Palla tra la sera e la notte del 14 gennaio, se qualcuno vi entrò titubante, eccitando sospetti; infine perchè non si è cercato anche là, dove ben potevano trovare, o cercare asilo un delinquente, e i complici, gli ausiliarii di un delinquente?

«Altra lacuna imperdonabile e di suprema gravità è negli atti.

«Chi ci dice dove il pittore Gandi abbia passato la sera del 14 gennaio?

«È vero che egli non poteva parlare, che non si potevano ottener da lui risposte, ma se il suo labbro era muto, perchè la polizia, l’autorità inquisitoria non è eloquente e zelante nel fornirci tutti i particolari della causa, almeno quanto è eloquente e zelante il Fisco nell’accusare questo sfortunato?

«Sopra un tal punto io debbo esser molto circospetto, alti riguardi mi prescrivono una necessaria discrezione, ma di un indizio molto importante dobbiamo tener conto, che il pittore Roberto Gandi indossava panni umili, dimessi, la sera del delitto… si era insomma travestito!

«Ciò risulta dagli atti del processo.

«Ma travestito si era a quale scopo?

«Vedete quante oscurità; quanti dubbii, quante ambagi solleva questo processo!…

«Solo il Fisco è sicuro, egli non ama i complicati problemi. Non gli va a grado l’analisi, la quale separa e decompone. Egli vagheggia la sintesi, che tutto riduce ad un’asserzione compatta e unica.

«Meno a lui piacciono il dubbio, la lentezza di esame e la irresolutezza alla quale conduce. Lo incomoderebbe la titubanza di Ercole al bivio tra i due opposti inviti di Aretea e di Edonide. Valendosi della sua forza, taglia e non scioglie il nodo gordiano.

«Questa causa gronda da ogni lato di umano sangue!

«Sia pace dunque al Fisco ed a noi! Bene egli fece a perseguitare nell’inquisito le apparenze di reità, e meglio faremo noi dileguandole. Egli non dubita, come non dee dubitare, delle proprie asserzioni, essendo esse separate e disgiunte, come esser debbono gli articoli dell’accusa, a guisa di chi chiamato non a edificare, a lapidare altrui, è costretto a prendere alla rinfusa una pietra dopo l’altra. Noi raccoglieremo queste pietre per studiarne il peso, la foggia e la tempra, e vedere se, come quelle che Deucalione lanciò, possano acquistare e moto e vita di valutabile indizio.

«La fattispecie, che ci porge il Fisco nel suo libello, è compendiata, anzi storpiata; bisogna darle una maggiore estensione, che ci scorga passo passo, nel cammino diretto, alla ricerca del vero.

«Nulla prepara la catastrofe, nulla vi s’incatena, come anello per anello, come causa ed effetto, come provenienza e flusso di antecedenti e conseguenti, perchè anzi dell’effetto, che spunta improvviso, non abbiamo precedenza di causa, e ben possiamo chiamarlo: prolem sine matre creatam!

«Dove, dite in verità, o giudici, è la causa proporzionata a delinquere? Nec enim, mi è grato ripetere col sommo Farinaccio, factum quaeritur, sed causa faciendi.»

E qui l’avvocato sviluppava una delle parti più belle, più eloquenti della sua arringa.

A un certo punto ripigliava in tal modo:

«L’innocenza non salva dalla sventura, anzi la sventura suol essere dell’innocenza indivisibile compagna. Ben disse l’ingenuo La Fontaine:

Et c’est d’être innocent que d’être malheureux!

«Avete trovato alcuni oggetti appartenuti al ferito nascosti nello squallido abituro del mio cliente?

«Il minor figlio e più caro del credente Giacobbe è sorpreso, avendo presso di sè una preziosa coppa furtiva. Se Iddio nol proteggeva, egli avrebbe dovuto soccombere sotto un’accusa di furto».

L’avvocato Arzellini combattè uno a uno gli argomenti, contenuti nel libello fiscale; venne ad affermare che non l’inquisito, ma altri era stato l’assassino del pittore Roberto Gandi. Nello, uscito di notte tempo dalla sua catapecchia, si era imbattuto nel cadavere, e da pazzo com’era lo aveva spogliato di alcuni oggetti preziosi, si era tutto imbrattato di sangue, aveva preso il pugnale, tale e quale come avrebbe forse fatto un fanciullo.

Che Nello avesse come una certa mania pei metalli non era stabilito da una testimonianza così cara al Fisco, e registrata in atti, quella della donna Lazzarini?

«Essa non ci ha detto – esclamava l’avvocato – che il mio cliente ebbe un giorno diverbio con una bambina di lei per toglierle di mano un pezzo di metallo; e a che motivo, se non agli occhiali d’oro che portava il giudice Buriatti, è dovuta la sua tanto decantata ed esagerata aggressione?

«Lungi da me l’idea di dir cosa spiacevole a quell’egregio e solerte magistrato, ma l’aggressione non è mai esistita che nella sua eccitata fantasia: mancano di essa, non già le prove, ma perfino gl’indizii più lievi. Ed è chiaro che il mio cliente in un suo vaneggiamento protese la mano soltanto per il metallo prezioso degli occhiali, che a lui apparivano come un trastullo.»

Nel pubblico molti e molti scuotevano la testa quasi in segno di dileggio per l’insufficienza di tale ragionamento; un osservatore attento avrebbe potuto scorgere segni di ironia, appena visibili ad altri, nel volto degli stessi magistrati.

L’avvocato Arzellini si mise a dimostrare, con la scorta delle perizie estragiudiciali, che lo stato mentale dell’inquisito non era sano. Egli, sin dalla prima fanciullezza, aveva dato prove di demenza.

Accusarlo di simulazione negli interrogatorii, nella sua condotta, era contrario ad ogni dettame della scienza; ad ogni retto criterio.

Come, egli non si era mai smentito, non aveva mai avuto un momento di titubanza, non aveva mai vacillato?

Ormai era incarcerato da mesi, aveva subìto interrogatorii dagli ufficiali della polizia, dai ministri processanti, e alla pubblica udienza.

E sempre, a gran distanza di tempo, si erano riscontrate in lui le medesime, identiche incoerenze. Esse non potevano essere frutto di simulazione, corrispondevano bensì ad una condizione permanente, immutabile, dello stato mentale, morboso dell’individuo.

«Vi fu chi scrisse – osservò l’avvocato Arzellini – un libro intitolato: Della Ciarlataneria degli Eruditi. Dopo ciò che i periti fiscali dissero sulla potenza ragionativa e intellettiva dell’inquisito, si potrebbe a quel libro aggiungerne un altro, intitolandolo: Della Ciarlataneria della Medicina Legale!

«Leggo a pagina 180 negli atti del processo:

«Si ripose in atti una relazione dei medici fiscali signor dottor F*** M*** e dottor F*** S*** del tenore ecc.»

«E leggo più oltre:

– «Presentata la suddetta relazione dai nominati signori dottor F*** M*** e dottor F*** S*** medici fiscali, ai quali letta di parola in parola, e a loro chiara e piena intelligenza come asserirono, quella e suo contenuto con la viva voce, tanto unitamente che separatamente confermarono e ratificarono in tutte le sue parti, con giuramento per me deferitogli, e da essi rispettosamente preso tacta imagine C. J., asserendo di averla firmata di proprio pugno e carattere.» -

«Non era questo il metodo, o signori, che doveva tenersi coi periti nella loro qualità di testimoni. Essi ratificarono prima, e dopo giurarono, e il testimone deve prima giurare, e poi deporre, mentre egli giura de veritate dicenda, e non de veritate jam dicta.

«I periti udiron leggere la loro relazione dall’Attuario, e concordarono i fatti, vale a dire, produssero in atti un attestato scritto, nè come testimoni alle legittime interrogazioni deposero, lo che non ne’ giudizii civili, non ne’ criminali è permesso.

«Ma spingiamo più oltre le osservazioni della difesa.»

L’avvocato Arzellini s’ingolfò quindi in lunghe elaborate e peregrine considerazioni.

Insistè di nuovo specialmente sul fatto che altri che Nello era stato di certo l’assassino del pittore Roberto Gandi, che la poca oculatezza, la negligenza della polizia lo avevan lasciato sfuggire: che i ministri processanti, accecati subito dalle prime prevenzioni, non avevano, con grave jattura, ricercato.

Lucertolo si sarebbe gettato al collo dell’avvocato Arzellini.

Quello per lui era un grand’uomo! Come egli aveva subito indicato, e con quanta chiarezza, i metodi per scoprire il vero colpevole!… Come era fino, giusto, da artista, il suggerimento di fare indagini su chi era entrato, tra la sera e la notte del 14 gennaio, nel raddotto della Palla.

E dire che, lasciamo stare i suoi compagni, ma egli, egli Lucertolo, che si teneva così furbo, così destro, non ci aveva pensato! Da qualche tempo le sue facoltà erano ottuse!

– Ma mi rifarò, mi rifarò! – pensava l’irrequieto e ardente esecutore.

L’avvocato, giunto alla fine della sua orazione, dopo aver esaminato la causa in ogni suo lato e averla esaminata con tutto il calore della sua eloquenza, e la dirittura della sua logica, persuaso di aver luminosamente provato l’innocenza del suo cliente, così terminava:

«Altri che l’inquisito fu il feritore. Questo diverso assassino vi è certo; ma il Fisco si scusa e dice di non vederlo. Vorrà dunque egli valersi delle pene, delle ingiuste sofferenze inflitte al mio cliente come medicina a meglio vederci? E la pena, che tanto desidera pel mio cliente, sul cui capo una deplorevole fatalità accumulò apparenze delittuose, gli dirà forse chi fu il vero autore dell’assassinio?

«Il barbaro conquistatore di Roma, dopo aver convenuto il peso dell’oro, che dovea esser prezzo del suo riscatto, giunta la bilancia alla misura del peso, vi gettò sopra la propria spada per aggiungere un nuovo prezzo al già convenuto, intuonando quell’epifonema terribile: Guai ai vinti!

«Non altrimenti opera il Fisco con l’inquisito. Sostituendo al criterio la forza, getta sulla bilancia della causa per farla preponderare a suo grado un numero di congetture, che la ragione, la equità, e la giustizia rigettano.

«Ove è certa la reità e il reo non men certo, la giustizia inesorabile colpisca il reo, ma ove la reità non abbia altro appoggio che apparenze ingannevoli, sempre tenga di tutto sommo conto la giustizia per non punire, essendo questo il suggerimento della clemenza non già, di cui è vano rammentare ai giudici il nome, ma della scritta ragione, guida indeclinabile di chi accusa, di chi difende, e di chi siede per giudicare.

«Concludo che la Regia Rota debba assolvere il mio cliente.»

L’avvocato Arzellini uscì dalla sala, mentre un domestico gli gettava sulle spalle una grossa pelliccia.

Egli era in preda ad una specie di febbre, tanto aveva parlato con zelo, con convinzione, e commozione, tale era lo sforzo da lui fatto, la tensione della mente in cui aveva perdurato alcune ore.

L’Avvocato fiscale rinunziò a rispondere al difensore. Ripetè in brevissime parole che egli era profondamente convinto della reità dell’inquisito, e aspettava fidente dalla Regia Rota la severa condanna dell’assassino.

Adempite le formalità, il presidente dichiarò levata l’udienza.

L’ora era tarda: gli uscieri già avevano portato i lumi.

La sentenza doveva essere pronunziata, come vedrà il lettore, due giorni dopo.

Subito Lucertolo correva alla Palla per effettuare il piano di guerra, indicato dall’avvocato Arzellini.

Quali persone erano entrate nel raddotto la notte del 14 gennaio?

Fra queste persone ci era Bobi Carminati?

Era espediente lo scoprirlo!

Il processo Bartelloni

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