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PARTE SECONDA
I
ОглавлениеIn uno de’ più bei palazzi della via di Toledo abitava la principessa Enrica Gorreso di Caprenne.
La figlia del duca di Mondrone avea sposato da circa undici anni il principe, che le facea la corte nel periodo di tempo in cui ella accusava Roberto e compariva dinanzi a’ giudici per deporre contro di lui.
Il duca era morto da alcuni mesi, e la principessa non avea ancora dismesso il più stretto lutto.
Nominata fra le elegantissime e bellissime dame di Napoli, essa era desiderata indarno ne’ ricevimenti più signorili, agli spettacoli, cui era assidua per lo innanzi, e ne’ quali la sua bellezza riceveva tante e sì ardenti ammirazioni, che a lei piacevano.
Quella mattina, benchè appena fosser suonate le sette, la principessa era nel suo salotto e il principe con lei.
Sedevano a un tavolino, coperto da uno sfarzoso tappeto della Cina, e sul quale erano, un po’ in disordine, i varii pezzi di un servizio da tè, in argento.
Le fiammelle azzurre si alzavano sotto il gran vaso, nel quale il tè bolliva, gorgogliando.
– Siete molto gentile, – disse la principessa al marito. – Non posso dirvi quanto vi sono riconoscente d’esser venuto così di buon’ora, a farmi una visita nel mio appartamento.... Mi sono levata stamani, prestissimo: e mi annoiavo.... Avevo leggiucchiato qualche libro (sulla tavola erano sparsi varii volumi): ma sapete che la lettura mi stanca presto....
– Mi sembra che tutto vi stanchi, cara Enrica: tutto ciò che è veramente bello, che inalza l’animo e consola, o rallegra agli altri la vita.... Siete una donna molto originale.... Noi stiamo insieme da undici anni, o per dir meglio da undici anni siamo marito e moglie, perchè siamo stati ben poco insieme.... Ma ci fu in voi molto, che io non son riuscito mai ancora ad intendere: c’è una parte del vostro carattere, che per me rimane misteriosa.... In un punto voi siete infaticabile, nel soddisfar a’ vostri capricci....
Il principe diceva ciò in tuono leggero, sorridente, e anche la principessa, guardandolo, sorrideva e gli mostrava i suoi denti nitidissimi.
Il principe era un uomo gaio, simpatico, dissipatissimo, ma che avea, tra le dissipazioni, serbato fortissimo il coraggio, il sentimento dell’onore, la dirittura de’ criteri.
Era egli stesso il primo a condannare in sè il genere di vita nel quale s’ingolfava: ma, pur troppo, ogni giorno, vi si sentiva più attirato.
Nel suo matrimonio non avea trovato la felicità che egli cercava. Studioso, appassionato della letteratura, coltissimo nelle arti, non avea trovato nella moglie alcuna rispondenza a questi sentimenti. Enrica capiva ben poco di tutto: appena quanto si richiedeva a non parer grossolana: la tediava ogni conversazione, in cui si toccasse d’argomento artistico o letterario. Per quella donna bella e robusta non avea attrattive se non la vita prettamente sensuale.
La bellezza di Enrica era ormai nel suo massimo vigore, senza ch’ella avesse perduto della sua freschezza. I giovani di Napoli, e anche i vecchi, accorrevano a uno spettacolo, a una festa sol per vedere le sue spalle, le sue braccia, il suo seno meraviglioso. Ella non era punto avara di mostrarsi: avea inventato, di concerto con il suo sarto parigino, una scollatura, che facea inorridire, tutte le donne: in ispecie le brutte. Alcune di quelle che più la biasimavano, aveano cercato imitarla, ma scopriva troppo i difetti: a usarla, senza eccitar il riso o la compassione, ci volevano le perfezioni scultorie della principessa.
Il principe, al contrario, era snello, delicato.
La principessa, come sa il lettore, era collerica, impetuosa, poichè in nulla tralignava dalla sua prima giovinezza; il principe, fine, ponderato anche ne’ suoi risentimenti.
Come si fossero amati, poichè offrivano fra loro sì spiccato contrasto, non si sapeva: o troppo si sapeva dall’alta società napoletana, nella quale si buccinava che Enrica avesse sposato il Caprenne per vanità: e il principe, Enrica per rimpinguare il suo patrimonio, nel quale aveva fatto grandi breccie.
Ma il principe, nell’ammogliarsi, era, ripetiamo, di buona fede. Le gioie della famiglia aveano per lui una vera attrattiva: vagheggiava, dopo tante dissolutezze, dopo tante rischiose avventure, tutte cause d’inquietudini, una vita tranquilla, volta a nobile scopo: per esempio all’affetto, all’educazione dei figli. Ma la principessa non gli avea dato figli: era stata sempre fredda con lui, salvo i suoi impeti di sensualità selvaggia: non gli avea reso possibile la vita intima: aveva empito la sua casa di rumore, di distrazioni, di frivolezze, sino allo stordimento. Intorno a Enrica, o nel palazzo in città, o nella villa nel parco di Mondrone, ove si recavano qualche volta, v’era sempre un che di vertiginoso. Il principe viveva assai più quieto, e lo pensava, allorchè era scapolo.
Bisognava ch’egli trattasse Enrica com’una sovrana; il carattere impetuoso di lei non piegava: essa non concedeva nulla di sè, benevolenza, favori, se non domandati a ginocchio, con umiltà, quasi con umiliazione di schiavo.
Il principe non comportava molto di buon animo il vivere in tal soggezione: ma avea una cortesia raffinata: amava Enrica: e ad irritarlo sarebbe occorso qualche serio oltraggio, la convinzione profonda che Enrica non rispettasse il nome di lui.
Allora egli, sì elegante, indolente, affabilissimo, motteggiatore, sarebbe stato capace di tutto.
Suo padre gli avea fatto fare studii per la diplomazia: e il principe era stato, per due anni, nella Ambasciata di Parigi, come segretario. Poi era tornato a Napoli: e l’Europa avea avuto un diplomatico di meno.
A questo proposito, dobbiamo raccontar al lettore.... Ci si stia bene a udire.
Enrica e il principe erano stati una notte ad una festa da ballo, alla Corte; sul far del mattino si trovavano insieme nel loro palazzo. Il principe avea accompagnato Enrica fin nella sua camera. Dalle finestre, le cui imposte eran socchiuse, entravano i primi albori: le candele ardevano sui candelabri d’argento. Un bel fuoco crepitava nel caminetto.
La principessa, dinanzi al principe, si tolse il diadema di brillanti, la collana di perle, tutti i gioielli: poi l’abito da ballo, aiutata da due cameriere. Rimasta in semplice guarnelletto di trine, il petto, le braccia a dirittura scoperti, si gettò addosso una pelliccia, e quindi prese a braccetto il marito, dicendogli con tuono indescrivibile:
– Stamani vi concedo ospitalità nelle mie stanze.... Passiamo nel salotto!…
Lì pure scoppiettava un buon fuoco.
Le cameriere erano state licenziate.
– Avete cenato al ballo?…
– No, cara, – rispose il principe. – Chi può mai accostarsi a una di quelle tavole? Si direbbe che la Corte inviti un’orda di affamati.... o di parassiti!
– Neppur io ho cenato.... – disse la principessa, – ed ho fame.... V’invito a far con me una piccola colazione qui, accanto al fuoco.... La servirò io stessa.
E la principessa andò a un armadio d’ebano, con borchiette d’argento, e ne cavò alcuni piccoli piatti dorati in porcellana della Cina....
Il principe fu subito accanto a lei e l’aiutò.
Le loro mani spesso si toccavano; urtavano insieme gli oggetti che portavano: allora sorridevano; la principessa, mezzo nuda, sotto la pelliccia, ch’ogni tanto si apriva, era seducentissima.
Il principe di Caprenne avea pensato più volte, in certi momenti, ch’ella avesse della cortigiana, e non s’ingannava.
Sedettero dinanzi al fuoco: la colazione era preparata sopra un piccolo tavolino di lacca, che appena li separava.
La principessa mangiava sempre con un vero appetito da marinaro.
Il principe soleva appena toccare le vivande.
– Ma qui non si beve? – esclamò a un tratto la principessa, ilare come una giovinetta che un giorno di vacanze va a fare un picnic con le sue piccole compagne.
E anche il principe era dell’umore più giocondo, e, diremo quasi, più infantile.
La principessa si alzò: egli la seguiva: scambiarono un bacio, poichè le loro teste s’incontrarono, mentre la principessa si chinava per trarre da un piccolo stipo giapponese, tutto rabeschi d’oro, con un grande ibis bianco, dal becco roseo, dipinto nel mezzo, una bottiglia di rarissimo Château-Yquem.
Il bel liquido dorato, bevanda degna dei numi e degl’innamorati, fu versato dal principe nei bicchieretti verdi di Baccarat; ma il principe vi accostò appena una o due volte le labbra: la principessa bevve, a poco a poco, tutta la bottiglia.
Gli sguardi più vivaci del solito, le guancie rosee, le labbra d’un vivo corallo, le belle braccia nude, che accostavano ogni tanto alla bocca la posata o il bicchiere, la principessa spirava la forza, il rigoglio della vita, il pieno sviluppo e il pieno godimento di tutte le facoltà sensuali.
Il tavolino fu presto rimosso: la principessa colmò il principe di carezze: sembrava frenetica, una baccante.
Egli l’adorava, senza limiti, e la stringeva fra le sue braccia come una divinità.
Poeta, metteva in quell’amplesso tutta la poesia di cui era capace.
L’altra, di tratto in tratto, con la voce un po’ rauca, che avea acquistato per gli eccessi della tavola, e forse per gli altri eccessi, frammezzava a quel delirio parole, che smorzavano ogni poesia.
Erano andati a sedere, o eran caduti su un sofà: la principessa tenea in mano la bionda e delicata testa del principe, la cui fisonomia era un po’ sparuta per la notte passata al ballo e la veglia prolungata…
– Io voglio da te.... – disse la principessa col suo solito tono imperioso.
– Di’ pure, – mormorò il principe, che le ricingeva i fianchi robusti.
Ella avea fatto cadere artificiosamente a’ suoi piedi i guarnelletti di trine: tutto ciò che le era d’impedimento al piacere.
– Voglio, – gli sospirò in un alito caldissimo di passione, che lo facea fremere, – voglio tu non viva più ozioso.... Io sono ambiziosa per te.... per me.... Non siamo abbastanza in alto: non abbiamo ancora abbastanza gli occhi di tutti su di noi.
Così parlava la donna più ammirata che avesse Napoli.
– Mi sembra, – rispose il principe drizzandosi, – che la nostra condizione sia tutt’altro che umile: sia piuttosto invidiabile.... Forse noi non conosciamo ancora dov’è propriamente la felicità, non sappiamo gustarla.... Se potessimo far un po’ di solitudine intorno a noi, vivere l’uno per l’altro.... Tu mi parli d’ambizione? – io ne avrei una sola, – continuò il principe, – quella di avere dei figli, di educarli con te: di vivere insomma per la famiglia e nella famiglia....
Enrica alzò le spalle in atto di disdegno, anzi di sprezzo.
La luce del giorno entrava ormai nel salotto assai piena e si confondeva con quella che mandavano i lucignoli delle candele. Fra quelle due luci la fisonomia del principe appariva più disfatta; la sua gracilità, per la stanchezza, sembrava maggiore.
Invece la principessa, col suo roseo incarnato, con la forza delle sue linee, resisteva agli sbattimenti di quelle luci; la sua fisonomia, anzi che scomposta, era serena, riposata, come quella di un animale potente che ha soddisfatto una parte de’ suoi appetiti.
– Non era questo l’uomo che ci voleva per me! – essa agitava in quel punto nella mente, guardando il principe.
E pensava ad un uomo, press’a poco come il guardacaccia, con cui avea un giorno sorpreso Cristina, senza vesti, nella stanza del castello sfarzosissima, ove i due si erano riparati.
Quella scena le tornava spesso alla mente.
– Ma parla pure.... ti ripeto, – bisbigliava il principe, baciandole la spalla, bianchissima, rimasta nuda, e appoggiandovi la testa.... – parla delle tue ambizioni....
– Il mio desiderio, – replicò la principessa, pronunziando spiccatamente ogni parola, – sarebbe che tu ripigliassi la tua carriera: tornassi nella diplomazia…
– Sei stanca di Napoli? – domandò il principe, sorridendo. – Vuoi viaggiare, lasciar la tua bella casa?
– Oh, no, – aggiunse freddamente la moglie. – Io rimarrò a Napoli: tu partirai solo....
Il principe fu scosso da tale proposta.
Ella, dunque, benchè fossero sì giovani, e da sì poco tempo uniti in matrimonio, voleva già una separazione!
La libertà ch’egli le lasciava, non le sembrava sufficiente: voleva sciogliere anche quel leggerissimo freno, che per una donna civetta e sensuale può esser la presenza di un marito buono, confidente, molto cortese, ma non stupido.
Le parole della moglie dettero al principe nel cuore: non si poteva esprimere, con maggior indifferenza, la più assoluta disaffezione, la bramosia di sbarazzarsi di lui.
Tutta quella scena di amore, di frenetica passione, ella l’aveva simulata per indurlo a’ suoi intenti.
E tale era stato il disegno di lei: nella ebbrezza, nello snervamento dei piaceri, strappargli una promessa.
Il principe era, come abbiamo detto, raffinatamente dissoluto. Guardò la moglie, e gli parve più bella, o più desiderabile, nella sua perfidia. Ella, con occhiate di fuoco, lo dardeggiava, accostava le labbra a quelle di lui, come se volesse dargli il premio della sua sottomissione, che già si aspettava. Nel protender le braccia, scoprì viepiù il suo seno eretto, marmoreo, e pur tutto palpitante, roseo, vivo nei suoi floridissimi turgori. Benchè sopraffatto da una certa languidezza, stanco, e benchè il consiglio impreveduto e crudele della moglie lo avesse moralmente abbattuto, ebbe un’idea da uomo dissipatissimo.
Enrica aspettava egli rispondesse alla sua proposta, e si aspettava una vittoria: a lui balenò un’idea di piacere, di vendetta. Ella voleva burlarsi di lui: egli si sarebbe burlato di lei, l’avrebbe spinta a un’altra delle sue scene di cortigiana, di finta, folle passione: l’avrebbe assaporata, goduta a tratti a tratti, poi le avrebbe riso in faccia: l’avrebbe forse schiaffeggiata, costretta a domandargli perdono in ginocchio, trascinata pe’ capelli sul tappeto della stanza, se gliene fosse venuto talento.
Malgrado la sua delicatezza, la sua cortesia di gentiluomo, egli, eccitato dalla voluttà, dallo sdegno, avea compiuto con donne, di una specie differente, per tenore di vita, dalla principessa, simili atti brutali.
Ella ne dovea esser sorpresa.
Infatti, all’invito di lui, ella ricominciò il suo folleggiare: ricominciò il delirare, il fremere del suo bel corpo. Egli la premeva a sè: ebbe la forza di darle un ultimo bacio, e con esso le lanciò una parola di amaro vilipendio.
Essa lo guardò sorridente, come se quella bruttura non l’avesse offesa: al contrario, fosse per lei un acuimento di gaudio, uno stimolo nuovo.
Egli non sapeva comprendere. La perversità, la corruzione morale della moglie, da lui qualche volta appena subodorata, non gli s’era mai svelata come agli incerti albori di quel mattino.
La principessa, quando si furono ricomposti, tornò a dirgli, col suo tuono di voce più carezzevole:
– Dunque, mi esaudirai.... Tornerai a riprendere il tuo posto nella diplomazia.... E otterrai certo, subito, un’ambasciata.... Il Re è sempre così ben disposto verso di noi....
– Sicchè, io dovrei partire… separarmi da te....
– Io non potrei allontanarmi da Napoli… almeno per ora… forse in seguito.... Ma del mio sagrifizio nulla m’importa, – aggiungeva ipocritamente. – Il dolore del distacco mi sarà mitigato dal pensiero di veder appagato il mio sentimento più caro: l’ambizione ch’io nutro per te: il desiderio mio più forte, che è quello di vederti seguire la carriera a cui tuo padre ti avea sì amorevolmente avviato.
Il principe l’ascoltava, le scrutava in volto la sua doppiezza.
Ella, poco avveduta, volle tentare, vedendo che non rispondeva, un altro colpo.
– E poi, – soggiunse, – tu ti piegherai al mio consiglio, perchè nessuno più di me cerca il tuo bene e voglio almeno, – tornava al suo fare imperioso, – tu esperimenti di uscire dalla vita d’ozio che meni.... Tu mi dirai che vivi per me; ma ti par degno d’un uomo intelligente, che ha l’attitudine ad essere operoso nello cose più serie, più utili, il viver soltanto per l’amore?… Io sono felice, ma la mia felicità sarà certo più durevole, se non più grande, quando saprò d’esser la moglie di un uomo, il cui nome sia pronunziato da tutti con stima, benemerito del suo paese, e ogni cui atto sia osservato, discusso.... L’ozio può esser tollerabile in noi donne… che abbiamo tanto spinto di frivolezza per sostenerlo, e pur ci è causa spesso di tanto abbattimento, di prostrazione nell’animo, di confusione nell’intelletto; ma – proseguì un po’ rudemente, e come se facesse la lezione a un fanciullo, a lei subordinato – non è tollerabile in un uomo d’onore.
E si ravviluppava nella pelliccia, e si appoggiava al dorso del canapè, stando quasi riversa, e guardando di sottecchi il principe, da cui attendeva ansiosa una risposta.
– Onore?… avete detto, – esclamò il principe, senza scomporsi. – Voi parlate d’onore?… Mi consigliate di partire: separarmi da voi, lasciarvi libera a’ vostri capricci; e non vi basta quelli che ho sopportato fin ora? Io mi devo sottoporre come un fanciullo… lasciare la mia casa, esiliarmi da Napoli, perchè a voi piace così: perchè avete bisogno di sfogare, più che forse non fate, i vostri appetiti?… Tu hai un amante!… – aggiunse il principe furibondo, – per questo vuoi allontanarmi.
E la percosse nel volto molto forte.
Con la proposta di separazione l’avea irritato, ferito nel suo amor proprio, lasciato in balìa di tutte le più tristi, angoscianti supposizioni.
Enrica non era avvezza a vedersi così dominata da uomo di tal qualità.
Cominciò, secondo l’indole di certe donne, ad ammirare colui che mostrava di saperla soggiogare; che la superava nella forza del carattere e della volontà. Pure, siccome l’indole di certe donne è pur sempre la provocazione, mormorò, mentre si portava una mano al volto e facendo un gesto di sprezzo verso il marito:
– Facchino!
Quasi nel medesimo istante gli gettava in una guancia due grossi anelli, che si era in fretta cavati di dito: due forti proiettili.
Egli che era già vergognoso, quasi pentito dell’atto violento, e sentiva, come gli era avvenuto in altri simili casi, senza però correggersi, che poco si addiceva ad un gentiluomo, fu di nuovo punto, irritato.
Si slanciò sulla principessa; non volea darle più pace: ella resistette: fino a che egli, gettatala a terra, la trascinò pei capelli quasi per tutta la stanza.
L’energia, la fierezza da lui dimostrata gli cattivarono l’animo della moglie. Bellissima, supremamente elegante in ogni ragguaglio de’ pochi abiti che avea ritenuto, si trascinava a’ piedi di lui, implorava perdono, gli confessava perversamente di aver un amante, e che le era stato carissimo: che avea vagheggiato una separazione, cercato mezzo per avere la sua libertà: ma d’ora innanzi non avrebbe adorato che lui: lui, suo signore, suo sovrano, suo dominatore....
– Io non voglio sapere, – disse il principe, rialzandola e spingendola lontano da sè, – se abbiate o no un amante… siete così sciagurata che me ne direste anche il nome… perchè io lo cercassi, lo sfidassi… perchè un duello, forse, potrebbe rassicurarvi meglio che una separazione.... Ma io non voglio oggi scandali.... È un momento in cui Napoli non è occupata di alcun fatto serio, o frivolo, che dia buon alimento alle ciarle… Uno scandalo nella famiglia del principe di Caprenne sarebbe un boccone troppo ghiotto.... Io prenderò la vita del vostro amante e… la vostra… quando crederò opportuno.... Voi siete di quelle donne, le peggiori di tutte, che nulla può correggere.... Ricordate quanto io vi aveva saputo perdonare nel punto del nostro matrimonio.... Vi ho amato: forse, meglio, vi ho desiderato con furore. E voi, che ve n’eravate accorta, dopo avermi stillato fiamme, a poco a poco, nel cervello, nei sensi, n’avete approfittato per farmi una confessione, già sicura che io, invasato dalla mia passione, e ingannato dalle vostre lacrime, dal vostro pentimento, che pareva sincero, vi avrei assoluta....
Ella si era appoggiata col gomito a una delle estremità della mensola, in malachita, del caminetto, e agitava una gamba, il cui movimento, quasi febbrile, si vedeva sotto l’ampia pelliccia di martora, in cui si stringeva.
– D’ora innanzi, – riprese il principe, – noi vivremo assolutamente separati.... Cesserà fra noi ogni intimo rapporto.... Lascio a voi tutto il primo piano del palazzo: io abiterò al pian terreno.... Pranzeremo insieme: riceveremo insieme, qui al primo piano, le sere in cui diamo i nostri balli: vi accompagnerò io alle feste, a’ teatri, alle passeggiate.... Vi lascerò qui tutta la massima libertà: e guai a voi, se ne abusate.... Così avrete la separazione invocata.... E questi miei ordini sono irrevocabili! – disse il principe con la più cupa risolutezza.
Enrica singhiozzava: questa volta sinceramente.
Volle accostarsi al principe: egli la respinse, e le disse: – Siete una donna molto triste e molto pericolosa.... Farete o avrete fatto molto male: ma ricordatevi che nel mondo vi sono compensazioni inevitabili: troverete chi saprà darvi il vostro castigo: non sempre s’incontrano vittime rassegnate.
Parve a Enrica, in quell’istante, veder affacciarsi dalla porta la pallida fisonomia di Roberto: e dette un grido.
Ma la porta era stata aperta e rinchiusa dal principe, ch’era uscito per andar a conferire col suo maggiordomo circa la nuova disposizione degli appartamenti, a cui cercava un pretesto.
Enrica, rimasta sola, si gettò sul sofà, la testa sprofondata in uno dei morbidi cuscini, e pianse. Non aveva mai pianto lacrime sì vere e sì abbondanti. Il cuore le diceva che quel distacco dal principe le sarebbe fatale: che lasciata padrona di sè avrebbe scivolato chi sa in quali abissi: e poi, ora che il principe l’abbandonava, essa, volubile, bizzarrissima, s’accendeva d’una folle passione per lui.
Morto il padre, abbandonata dal principe, si sentiva sola nel mondo: sola, se non co’ suoi rimorsi, co’ pensieri non lieti delle cose malvagie da lei poste in atto.
Col tempo, il ricordo di Roberto ch’ella credeva aver cancellato per sempre dal cuore, vi si ravvivava.
Provava spesso una inquietudine, una smania inesplicabili: non pigliava sonno, non trovava in nulla diletto: avea da opporre a tutto, da censurar tutto, profanava ciò ch’è più sacro, bruttava ciò ch’è più bello: la vita amarissima di chi ha trasgredito le grandi leggi morali, inviolabili della coscienza.
S’era fitta in capo un’idea sin da quella memorabil mattina: riconquistar la grazia del principe.
E, nel corso di anni, vi era riuscita. Il principe ormai la trattava con benevolenza paterna: con una affabilità indulgente e un po’ motteggiatrice.
S’era formata fra loro come una certa tregua: vivevano abbastanza in pace: la principessa, tutta intesa al riconquistare; il principe sempre attento, perchè temeva d’insidie, e per provvedere, senza por tempo in mezzo, nel caso di pericoli.
In tale condizione noi li abbiamo trovati, insieme col nostro lettore, una mattina seduti a un tavolino, prendendo il tè, nel salotto della principessa.
Qual differenza tra questa mattina e l’altra da noi dianzi descritta! Allora il principe amava, stimava a bastanza la moglie: or non avea più per lei nè affetto, nè fiducia.
Anche il salotto non era lo stesso: quello ove si era svolta la disgustosissima scena era un salotto verde, con grandi fiori rossastri, nelle pareti, tappezzate di seta: questo era un salotto, in cui le pareti, i mobili, erano coperti di seta azzurra, splendente, con fiorellini bianchi, di mughetto, a rari intervalli.
La principessa, il principe si può dire vivessero ormai in ottimi rapporti, e quasi cordiali, siccome abbiamo avuto modo di rilevare dal dialogo riferito nel principio di questo capitolo.
Il principe scherzava volentieri nelle domande che faceva alla principessa sulle sue speciali occupazioni, sull’impiego della sua giornata, sulle persone, uomini e donne, che vedea più di frequente.
Anche la principessa scherzava nelle sue risposte, e talvolta nelle sue domande.
Ma, l’uno e l’altra, sempre in tuono assai dolce.
Dopo lo screzio con la moglie, il principe si era mostrato molto assiduo in casa della duchessa Rignatelli, giovane vedova, e dama della Regina.
Nell’alta società napoletana si raccontava che il principe avea un tempo fatto molto la corte a una zia della duchessa, bellissima donna, sebbene un po’ matura, e che ora avea rivolto alla nipote i suoi omaggi.
Il carattere della giovane vedova era molto confacente a quello del principe.
Anch’essa era delicata, poetica, studiosa, musicista, innamorata d’ogni arte: e, malgrado la sua delicatezza, coraggiosa, anzi intrepida.
La relazione fra il principe e la gentildonna non era più un mistero per tutta Napoli; e naturalmente anche la principessa ne avea udito parlare, e sovente, e magari con esagerazioni, da’ suoi corteggiatori.
Ella avea ben capito fin dalle prime che fra quei due, sì affini nella bontà della indole, nella elevatezza degli ideali, vi dovea essere una corrispondenza di animi, profonda, esaltata.
Siccome era fierissima, non avea mai voluto mostrarsene gelosa.
Ricevea la duchessa, le rendea puntualmente le sue visite, l’abbracciava, la baciava al cospetto delle amiche; con ciò intendeva gratuirsi il principe.
Egli non avrebbe tollerato, con la singolar buona fede la quale è in ogni uomo, che la moglie facesse ciò che egli pur faceva senza molto ritegno: ed era pronto a punire ogni scandalo, anche col più grave rischio della sua vita.
La principessa lo sapeva: e adoperava molta prudenza.
In casa della duchessa il principe passava la miglior parte delle sue giornate, o delle sue serate. Leggevano insieme: insieme parlavano, discutevano, si eccitavano, a proposito d’un quadro, di una statua, dello spettacolo del San Carlo, della commedia nuova, udita la sera innanzi: insieme entravano nei comitati di carità: e tutti dicevano ch’era un peccato non si fossero conosciuti prima, e non si fossero sposati: perchè avrebbero formato una coppia davvero felice. Erano fatti l’uno per l’altro: questo pensavano tutti.
– Come sta Luisa? – domandò placidamente quella mattina la principessa al marito: e alludeva alla duchessa. – È un pezzo che non la vedete? – aggiunse con sguardi molto maliziosi.
– L’ho veduta iersera, – disse con molta franchezza il principe, – e la rivedrò oggi, per un affare assai importante.... Essa sta benissimo.... E anche ieri mi ha domandato di voi....