Читать книгу Posseduta Dagli Alfa - Jayce Carter - Страница 11
ОглавлениеCapitolo quattro
Dietro di lei, Tiffany si immobilizzò, la sua tensione palpabile. In quanto omega, erano in grado di riconoscere gli alfa dal loro odore, l’abilità una forma di difesa. Sapevano cos’erano gli uomini, anche se gli uomini non sapevano cos’erano loro.
Beh, sapevano cos’era Claire.
Quella consapevolezza la fece muovere. Tiffany era più importante di qualsiasi altra cosa. Claire prese un libro a caso dallo scaffale e lo rifilò alla ragazza. Le posò una mano sulla schiena e la spinse verso la porta. «Ecco il tuo ordine. Ti chiamerò quando arriveranno gli altri articoli.»
Tiffany si mosse lentamente, gli occhi puntati sul pavimento, le spalle incurvate. Quando Kaidan e Joshua si fecero da parte, quasi senza degnarla di un’occhiata, la ragazza scivolò fra di loro e si affrettò verso l’uscita.
Non appena Tiffany se ne fu andata, non appena fu al sicuro, Claire fece un respiro profondo. Era rimasta sola con i tre uomini, ma fintanto che Tiffany fosse stata in salvo, sarebbe andato tutto bene.
A volte la vita di un omega consisteva solo nel sopravvivere il più a lungo possibile. Tiravano avanti, cercavano di insegnare alle più giovani le tecniche di sopravvivenza e speravano che la generazione successiva riuscisse a sopravvivere più a lungo.
«Come avete fatto a trovarmi?» La debolezza nella sua voce le dava sui nervi. Avrebbe voluto suonare sicura e forte, non come un docile topolino.
«Non è stato difficile. Di certo sapevi che ti stavi introducendo nell’ufficio di esperti della sicurezza, no?» Bryce si addentrò nel negozio e il suo sguardo la abbandonò per osservare gli scaffali, gli espositori. «Libri? Non me lo sarei mai aspettato.»
Ovviamente no. Gli alfa credevano che le omega fossero stupide e Claire era stata nuda e fuori di sé durante tutto il tempo che avevano trascorso insieme. Ciò le ricordò che anche lei non sapeva nulla di loro. Nulla di quegli uomini che stavano in piedi nel suo negozio, con tutto il potere nelle loro mani.
«Che cosa volete?»
Joshua si avvicinò a Claire, oltrepassando Bryce, quel suo sorriso affascinante sulle labbra. «Credevi che ti avremmo lasciata andare così facilmente?»
Claire fece un passo indietro, ponendo il bancone fra loro. L’odore di alfa colpì il suo naso e le fece venire voglia di fuggire.
Joshua sollevò le mani e si fermò. «Piano, Claire. Non siamo qui per farti del male.»
No, vogliono solo possedermi, controllarmi.
«Non ti fidi di noi? Dopo che ti abbiamo fatto passare una così bella serata?» Il suo tono scherzoso non la fece rilassare. Stava tentando di costruire un ponte con il suo umorismo, una connessione fra loro, ma Claire aveva imparato la lezione.
Aveva sofferto per mano di un alfa che l’aveva attirata con sorrisi e parole dolci. Si rifiutava di commettere due volte lo stesso errore.
Kaidan spinse Joshua da parte, un sacchetto in mano. «Non puoi affascinare ogni donna» sussurrò, prima di tirare fuori dal sacchetto un contenitore bianco da asporto e posarlo sul tavolo. «Devi essere affamata.»
Quando aprì il coperchio e il cibo apparve davanti ai suoi occhi, a Claire venne l’acquolina in bocca. Strisce di carne riposavano su riso e fagioli, tutte le proteine di cui aveva bisogno, che non si era concessa. Dopo la notte passata insieme a loro aveva dormito tutto il giorno e poi, la mattina dopo, aveva riaperto regolarmente il negozio. Aveva avuto a malapena il tempo di pensare, figuriamoci di mangiare.
In ogni caso, non voleva niente da quegli uomini. Gli alfa non concedevano niente senza aspettarsi qualcosa in cambio e Claire non poteva permettersi di pagare.
«Nei hai bisogno.» Kaidan lo spinse verso di lei sul bancone, una forchetta al suo fianco. «Stai strizzando gli occhi, le tapparelle sono abbassate. Il sole ti dà fastidio agli occhi, vero? Mal di testa? Hai bisogno di proteine dopo un calore per riprenderti. Mangia.»
«Non dirmi cosa devo fare», sbottò Claire, una reazione automatica a un alfa che cercava di darle ordini.
Aveva lavorato troppo duramente per lasciare che accadesse.
Eppure, nonostante tutto, quando le parole lasciarono la sua bocca, Claire trasalì e sollevò un braccio come se si aspettasse di essere colpita per la sua impertinenza.
Un momento più tardi, non sentendo che silenzio e assenza di dolore, abbassò il braccio e si ritrovò davanti i tre uomini immobili, tutti intenti a fissarla con lo stesso sguardo negli occhi.
Compassione.
Odiava la compassione.
Invece di riconoscere la tensione nata dalla sua reazione, Claire afferrò l’angolo del cibo con un dito e lo tirò verso il bordo del bancone, il più lontano possibile da loro senza andarsene.
Si sedette sulla sedia, sollevò la forchetta e a quel punto si immobilizzò.
«Non ci abbiamo messo della droga», disse Kaidan.
«Perché dovrei credervi?»
Fu Bryce a rispondere alla domanda, il tono brusco e impaziente. «Perché non ne abbiamo alcun motivo. Potremmo portarti via da qui sulle nostre spalle e nessuno direbbe nulla. Potremmo denunciare la tua effrazione o segnalarti come omega non registrata. Perché dovremmo prenderci la briga di drogarti?»
Lo sguardo di Claire cadde sul cibo di fronte alla verità delle sue parole. Non aveva alcun potere. Non aveva nulla. Avrebbero potuto fare qualsiasi cosa e lei non aveva nulla con cui ricattarli, niente da barattare. Era di nuovo in trappola. Un decennio a fuggire e una sola notte era bastata a intrappolarla.
Claire diede il primo morso al cibo, riluttante all’idea di mostrare loro la sua reazione.
«Perché sei fuggita, tesoro?» Joshua prese lo sgabello su cui era seduta Tiffany e si accomodò di fronte a lei, tanto vicino che le loro ginocchia riuscivano a toccarsi sotto il tavolo.
«Perché non avrei dovuto farlo?» Claire parlò tra un morso e l’altro, incurante delle buone maniere dopo che il primo pezzo di cibo era entrato in contatto con la sua lingua, dopo che il suo stomaco aveva preso a brontolare, ricordandole quanta fame avesse.
«Perché siamo stati attenti, ci siamo presi cura di te.»
«Non significa che io voglia restare con voi e diventare una proprietà.»
Di nuovo, nessuno di loro parlò, e il peso dei loro sguardi le rese difficile deglutire.
«La vera domanda è: perché ti sei introdotta nel nostro ufficio?» Bryce non si sedette, ma continuò a camminare avanti indietro, i suoi passi rumorosi nel piccolo negozio.
«Stavo cercando una cosa.»
«Che cosa?»
Le sue labbra si strinsero intorno a un boccone. Anche se non credeva che fossero direttamente coinvolti, gli alfa facevano fronte comune. Non poteva fidarsi di un alfa, non con qualcosa di così importante.
«Ti ho già detto tutte le cose che potremmo fare con te. Credi davvero che non rispondere alle mie domande sia una buona idea?»
Claire sollevò il viso per guardare in faccia Bryce, attingendo al proprio coraggio. «Consegnami all’ufficio del registro, allora. Consegnami alla polizia. Non ti dirò niente.»
Bryce fece un passo avanti, ma Kaidan sollevò una mano. «Non minacciarla. Abbiamo già deciso di non consegnarla, quindi tutto questo è inutile.»
«In qualunque cosa si sia cacciata, rischia di rimanere uccisa. Sapere di cosa si tratta è l’unico modo che abbiamo per proteggerla.»
«Non vi ho chiesto di proteggermi.»
Bryce la inchiodò con uno sguardo così duro da farla avvizzire. Beh, una parte di lei. Il resto? Quella parte vergognosa imbevuta d’istinto? Divenne bagnata sotto quello sguardo grave.
«No. Ci hai chiesto di scoparti e usare il nostro nodo. Ci hai implorati e poi sei fuggita la mattina dopo. Non atteggiarti come se fossi superiore di noi.» Fece un respiro profondo, poi inarcò un sopracciglio. «E a giudicare dal tuo odore, sei a un passo dal chiedercelo di nuovo.»
Claire scosse la testa, negandolo, sebbene entrambi sapessero che si trattava di una bugia. «Non vi ho invitati qui, non vi ho chiesto di venire. Non ho bisogno di voi, non ho bisogno di un alfa – figuriamoci tre.»
«Non eri dello stesso parere ieri notte.»
«Quella era biologia. Non appena il calore è svanito, ho capito di aver commesso uno sbaglio.»
«Sbaglio? È questo che credi?» Bryce avanzò fino a trovarsi di fronte a lei, dall’altra parte del bancone. «Non mi è sembrato uno sbaglio quando ero dentro di te.»
Le guance di Claire si tinsero di rosso all’esplicito promemoria, al modo in cui la riportò indietro e le ricordò quello che aveva provato in quei momenti. Un così strano senso di appartenenza.
Maledizione, svegliarsi in mezzo a loro avrebbe potuto essere perfetto, se non fosse stato per la sua paura.
Claire accantonò certi pensieri per rispondere, la sua voce il più ferma possibile. «Non avevo bisogno di voi, avevo bisogno del vostro nodo. Quindi, se è un ringraziamento che volete, grazie. Abbiamo finito ora?»
Bryce sollevò il labbro e il bagliore dei suoi denti la rese grata di essere seduta. La sua spalla doleva al ricordo di come l’avesse morsa. Eppure, dopo il debole ringhio, Bryce si voltò e tornò a sbirciare fra le sue cose.
Claire voltò la testa per guardare Kaidan, che se ne stava ancora nella stessa posizione di quando aveva posato il cibo sul bancone. «Cosa volete da me?»
«Non ne siamo ancora sicuri. Quando te ne sei andata, ci sembrava che per capirlo avremmo dovuto prima trovarti.»
«Sono certa che ci siano molte omega che sarebbero felici di soddisfare ogni vostra strana perversione, ma io non sono tra quelle. Non stavo scherzando, non voglio, né ho bisogno, di un alfa. Non valgo la frustrazione.»
Kaidan la osservò, gli occhi fissi come se stesse cercando di leggerle dentro. Quello scrutinio fece dimenare Claire sulla sedia.
Finalmente, l’alfa parlò. «Sì, molte omega sarebbero felici di appartenere a tre alfa di successo. Ciononostante, non importa con quante siamo stati a letto, nessuna ha mai risvegliato in noi dell’interesse. Non so cosa ci sia in te, ma ci hai reso curiosi.»
«Che fortuna», mormorò, cacciandosi in bocca un altro boccone.
«Non siamo così male, una volta che impari a conoscerci.» Joshua appoggiò i gomiti sul bancone e si sporse verso di lei.
«Pensavo che gli alfa fossero tutti territoriali?»
«La maggior parte. Alcuni, come noi, creano una sorta di unità. È successo per via del lavoro, ma ci siamo resi conto che preferiamo condividere le cose. Un’impresa, le stoviglie, deliziose omega.»
Claire abbassò lo sguardo, rifiutandosi di riconoscere la sua battuta o ammettere come la promessa in essa racchiusa le facesse fremere lo stomaco.
La sua risatina le mostrò che aveva fallito. «Beh, visto che non abbiamo avuto modo di presentarci l’altra volta, perché non ci proviamo ora? Io sono Joshua, lui è Kaidan e quello con il broncio dietro di me è Bryce. E tu sei?»
«Sai già chi sono.»
«Sì, ma comportarsi da stalker con la donna che ti interessa è considerato scortese, quindi speravo che ci avresti salvato, rispondendo.»
Claire tentò di ignorarlo, ma il silenzio le fece accapponare la pelle. Alla fine, l’omega sospirò e alzò lo sguardo. «Claire.»
«Claire? Che nome grazioso! Ora, Claire, come ti senti? No, non zittirti di nuovo, è una semplice domanda. Il calore è una cosa faticosa. Voglio solo sapere se ti senti meglio.»
Ogni volta che uno di loro menzionava il calore, Claire lottava per non pensarci, per non ricordare la sensazione dei loro corpi premuti contro il suo, per non ricordare come avesse smarrito se stessa.
Joshua inspirò, poi si lasciò sfuggire un ringhio predatorio. «Sai, potremmo chiudere a chiave la porta e farti piegare sul bancone. Non sarai in calore, ma dubito che ti importerà per molto.»
Claire riusciva a vederlo nella sua mente. Joshua l’avrebbe spinta in avanti, fino a intrappolare il suo stomaco e il suo petto contro il bancone. Le avrebbe abbassato con forza le mutande lo stretto necessario per immergersi dentro di lei, lasciandole i pantaloni intorno alle cosce per tenerla ferma. Nel frattempo, Bryce si sarebbe slacciato i suoi, liberando la sua erezione davanti a lei. Avrebbe trascinato il suo uccello contro le sue labbra piene, coprendola con il suo sperma. Avrebbe forzato il suo cazzo nella sua bocca così profondamente da farla soffocare intorno alla grossa testa. Kaidan? Le avrebbe accarezzato i capelli con le dita e le avrebbe detto che era una brava ragazza, mentre avvolgeva il suo membro con una mano e si masturbava.
La fantasia la colpì così duramente da farle strizzare le cosce e gemere.
Maledizione. Sono i feromoni degli alfa a farmi questo effetto. Deve essere così.
I tre avevano risvegliato una parte di lei che aveva a lungo ignorato. Nonostante fosse stata a contatto con degli alfa, non erano mai stati così tanti, né in uno spazio tanto piccolo e certamente non ci era andata a letto insieme.
«Dimmi di sì, tesoro. Dicci di sì e ci prenderemo cura di te.»
Le parole la aiutarono a liberarsi dalla fantasia. Claire si alzò così velocemente da far cadere la sedia, poi premette la schiena contro la libreria che aveva alle spalle. «Andatevene», sussurrò con la gola stretta.
I tre si scambiarono un’occhiata piena di qualcosa che non riuscì a comprendere, una lingua che non parlava.
Fu Kaidan a rispondere. «Non ti faremo del male. Non è per questo che siamo qui.»
«Andatevene e basta. Qualunque cosa vogliate, non posso darvela.»
Kaidan scosse la testa. «Non possiamo. Abbiamo usato tutti il nostro nodo su di te durante il calore, Claire. Potresti essere incinta del figlio di uno qualsiasi tra noi. Aggiungici i guai in cui ti trovi e siamo diventati un po’ protettivi. Finché non saremo certi che sei al sicuro, temo che dovrai sopportarci.»
«Non posso. Non posso avere tre alfa che mi seguono.»
«Sarà uno solo di noi per volta. Come una guardia del corpo personale gratis. Avrai soltanto un’ombra finché non saremo certi che sarai al sicuro, specialmente finché non sapremo se hai concepito o no.»
Claire scacciò via il pensiero del concepimento. Non poteva pensarci o le sarebbe venuto un attacco di panico. «Non farò sesso con voi.»
Un ringhio simile lasciò la gola di tutti e tre, come se li avesse sfidati e la cosa fosse di loro gradimento.
Bryce rispose, la voce bassa e ruvida e sicura. «Non ti costringeremo, omega. Tuttavia, sono fottutamente certo che sarai tu a pregarci prima che te ne renda conto.»
Claire si prese il labbro inferiore fra i denti, mentre cercava di convincere se stessa che si sbagliava, che poteva farcela, che i tre alfa non sarebbero riusciti a farla vacillare.
Peccato che sapesse già che era una bugia.
L’organizzazione della libreria indicava che Claire vi passava molto tempo. Il modo in cui ogni oggetto era impregnato del suo profumo non faceva che confermare l’ipotesi.
In ogni caso, Joshua rimase seduto al bancone mentre l’omega si muoveva, cercando di occupare il minor spazio possibile.
Il modo in cui era indietreggiata era impresso a fuoco nella sua memoria, le braccia sollevate come a volersi difendere da un attacco che era certa sarebbe arrivato. Li aveva immobilizzati tutti e tre, in una situazione di stallo tra ciò che volevano e quello che lei si aspettava.
Che vita aveva vissuto per essere così spaventata? Chi aveva prosciugato molta della sua fiducia e del suo senso di sicurezza?
Un’omega non avrebbe dovuto temere gli alfa, soprattutto non lui. Si sarebbe dovuta rilassare in sua presenza, avrebbe dovuto sentire di poter abbassare la guardia, di potersi raggomitolare contro di lui e chiudere gli occhi. Invece, solo il sospetto colorava i suoi occhi, li faceva assottigliare mentre lo guardava.
Non gli aveva mai dato la schiena. Persino quando aveva avuto bisogno di qualcosa negli scaffali più in alto, si era contorta per non perderlo di vista.
Nonostante tutto ciò, l’avrebbe presa per sfinimento.
«Mi piacciono le spiagge», disse Joshua, le parole casuali e offerte come se la sua voce da sola potesse costruire un ponte fra di loro. «Bryce è un tipo da montagna e foresta, ma io? Dammi una spiaggia e il mare che si estende davanti a me e sono felice. Le foreste richiedono troppo lavoro, bisogna accendere un fuoco e camminare. No.» Scosse la testa e picchiò le nocche contro il bancone. «Le spiagge sono la soluzione migliore per le vacanze.»
Claire non disse niente, dandogli lo stesso niente che aveva ricevuto per tutto il giorno. Qualche volta le sue guance si erano contratte in un quasi-sorriso che si rifiutava di lasciar comparire, ma Joshua l’aveva presa per una vittoria. Voleva dire che stava assottigliando il ghiaccio, che lo stava intaccando una battuta dopo l’altra.
Era per quello che avevano deciso di lasciare lui per primo a farle da guardia. Era sempre stato il migliore a conquistare le persone e volevano decisamente conquistare Claire. Bryce tendeva a gettare occhiatacce e minacciare e Kaidan, sebbene non spaventasse le donne, si lasciava mettere i piedi in testa da loro.
Joshua era quello con più chance e per una volta, gli importava che funzionasse. Di solito, flirtava con praticamente ogni femmina ci fosse nei paraggi. L’eccitazione lusingava il suo ego e se finiva con loro avvinghiati nel letto? Beh, a lui andava più che bene.
Joshua evitava le omega, non volendo rischiare nulla. Le poche che aveva preso insieme a Bryce e Kaidan erano rare eccezioni, uno scorcio in un futuro che tutti e tre avevano preso in considerazione ma che nessuno voleva, non ancora.
Eppure, questa volta gli importava. Questa volta, se non fosse riuscito a sedurla, gli sarebbe importato. Non era solo un tentativo di portarla a letto. Quello lo aveva già fatto.
Beh, lo avrebbe fatto volentieri di nuovo, e infatti non gli sarebbe dispiaciuto provarci subito. Avrebbe potuto toglierle quei pantaloni, posizionare il suo piede su una mensola per aprila per bene e—
Lo sguardo di Claire si spostò di scatto, atterrando su di lui, il suo volto attraversato dalla paura.
Giusto.
Non spaventarla.
Joshua scrollò le spalle, riluttante a mentire e dirle che non stava odorando esattamente quello che credeva. Ovviamente, la desiderava e il profumo proveniente dalla sua figa lo costrinse a inspirare profondamente e rilasciare il fiato, continuando poi a parlare come se quello scambio silenzioso non fosse successo. «Kaidan preferisce andare in vacanza nel deserto. Continua a blaterare a proposito del cielo, ma non so. Cactus e marrone ovunque e il caldo? Per farla breve? Lascia sempre pianificare a me le vacanze.»
Claire non si voltò, le sue spalle rigide per la tensione. Stava decidendo se le sarebbe saltato addosso? Se l’avrebbe attaccata?
Sembrava che non ci fosse nulla di più pericoloso per lei di un alfa eccitato.
L’omega iniziò a tremare, i piedi piantati per terra, un libro in mano. Sembrava un coniglio che tentava di decidere in che genere di guai si trovasse, troppo impietrito per muoversi, troppo spaventato per restare.
Joshua si appoggiò al bancone, mostrando teatralmente che non sarebbe andato da nessuna parte. «Va tutto bene», promise, la voce bassa, non volendo dar credito a nessuna delle sue paure. «Continua con quello che stavi facendo, tesoro.»
Claire raddrizzò la schiena, una scintilla di forza, prima di girarsi, spingendo il libro al suo posto sullo scaffale come se la sua mano non tremasse ancora.
Joshua sorrise di fronte allo spettacolo, al carattere che possedeva, anche se lei non ne era consapevole. Senza staccarsi dal bancone, l’alfa continuò il suo monologo. «Non hai nemmeno sentito di quella volta in cui Bryce ci ha portati su una zipline. Spoiler? Gli ho vomitato addosso e ora non saremo più costretti a tornarci.»
Erano passate ormai due ore quando Claire si ritrovò costretta a riconoscere la presenza di Joshua. Non che ignorarlo fosse stato facile.
Aveva parlato quasi senza sosta, commentando ogni cosa che vedeva, ogni suo ricordo o qualsiasi cosa gli saltasse alla mente. Le prime volte che aveva parlato, la sua voce l’aveva fatta sobbalzare. Claire non era abituata ad avere degli uomini intorno e certamente non degli alfa. Tuttavia, con il passare del tempo, visto che era rimasto seduto al bancone del suo negozio, aveva iniziato a rilassarsi.
Non l’aveva toccata, non l’aveva afferrata, non si era approfittato di lei.
Si era persino abituata al suo costante blaterare.
L’aveva fatta sorridere, sebbene avesse tentato di combatterlo. Joshua diceva qualcosa di strano, qualcosa di casuale e Claire doveva prepararsi a lottare contro il contrarsi della sua guancia.
Quel momento fra loro, quando il profumo della sua eccitazione aveva riempito lo spazio, l’aveva scossa. Non solo il profumo, però. A quello era abituata, dato che sembrava che una leggera brezza fosse sufficiente a eccitare un alfa. No, era stata la sua reazione. Era il modo in cui il suo odore le aveva fatto riscaldare il corpo, le aveva fatto desiderare di entrare nella sua testa e sapere a che cosa stesse pensando.
A qualche altra donna? A lei? Alla notte in cui aveva scopato fino al mattino? Claire aveva allontanato quelle idee, imbarazzata dalle sue rassicurazioni, vergognosa per il modo in cui l’avevano aiutata.
Joshua non si era dilungato sulla questione, ma era tornato alle sue battute, ai suoi ricordi, alla sua conversazione, come se non fosse mai successo.
Tuttavia, quando l’orologio segnò le otto quella sera, la sua capacità di starsene seduto sembrò svanire. «Okay, ci siamo.»
Claire si raddrizzò di scatto sul pavimento sul quale era seduta per mettere in ordine alfabetico uno scaffale. «Che cosa?»
«Siamo qui dalle dieci di questa mattina e nessuno dei due ha mangiato. È tempo di andare.»
«Non ho fame.»
«Beh, io sì e tu hai comunque bisogno di mangiare.»
Claire indicò il magazzino. «Ho della carne essiccata di là. È tutta tua.»
Joshua emise un ringhio basso e giocoso. «Nessuno può vivere con quella schifezza. No, vieni. Ti porterò a fare una cena come si deve.»
Claire balzò in piedi quando Joshua si alzò, incapace di sopportare l’idea di trovarsi sul pavimento con lui così vicino. Doveva essere nella condizione di poter correre, di fuggire.
La tensione gli contornava gli occhi, ma l’alfa non perse il suo sorriso. «Sarà anche al rovescio, ma dato che abbiamo già fatto sesso, uscire a cena non è prassi?»
«Non uscirò insieme a te.»
Joshua sbuffò. «Sai, la maggior parte delle ragazze sarebbero lusingate all’idea di essere portate a cena da me.»
«Portaci loro, allora.»
Joshua fece un passo verso di lei, avvicinandosi abbastanza perché il suo profumo le raggiungesse le narici. Non il profumo diluito in cui era stata immersa per tutto il giorno, quello che aveva impregnato i muri del suo negozio mentre lo evitava. Un profumo forte, dovuto alla loro vicinanza. No, questo era un profumo forte direttamente dalla fonte e la tentava ad avvicinarsi.
Joshua allungò una mano, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, la mossa tanto affascinante e falsa quanto lo era lui. «Mi piace quando fai la difficile, tesoro. Eppure, riesco a sentire il tuo stomaco. Hai bisogno di mangiare e di dormire e io sarei un pessimo alfa se non mi assicurassi che accada.»
Claire aprì la bocca per dirgli qualcosa di sgarbato. Voleva dirgli che si era arrangiata da sola per molto tempo e non aveva bisogno di un alfa dispotico che si prendesse cura di lei. Voleva dirgli che tutti gli alfa erano pessimi, quindi sarebbe stato in buona compagnia. Maledizione, voleva dirgli un centinaio di altre cose inframmezzate da insulti.
Invece, Joshua si sporse verso di lei e la zittì con un bacio, un bacio così veloce e buono da non darle la possibilità di prendere in considerazione le ragioni per cui non avrebbe dovuto desiderarlo.
Quando si allontanò e Claire rimase senza parole, il sorriso dell’alfa si allargò. «Volevo impedirti di dire qualcosa che avrebbe potuto ferire i miei sentimenti, perché te ne saresti pentita, una volta che avrò iniziato a piacerti. Ora, se riesci a prestare attenzione e la smetti di distrarmi con i baci, stavamo per andare a cena.»
Claire rimase immobile, mentre Joshua le infilava la giacca sulle spalle e camminava fuori dal negozio. Come fa a farmi questo effetto? Se lo stava ancora domandando venti minuti più tardi, seduta di fronte a lui in un ristorante.
«Perché i libri?»
Claire alzò lo sguardo dal piatto di cibo, cercando di ignorare le candele sul tavolo coperto da una tovaglia bianca, cercando di indossare la sua migliore maschera da “questo non è un appuntamento” a beneficio di chiunque li stesse guardando. «Che cosa?»
Joshua puntò la forchetta verso di lei. «Libri. Gestisci una libreria. Perché? Non conosco molte persone che si svegliano un giorno e dicono “cavolo, mi piacerebbe passare tutto il giorno con i libri”.»
Chi l’avrebbe mai detto che un alfa non fosse in grado di comprendere l’attrattiva di un libro? «Non capiresti.»
«No di certo se non me lo spieghi. Dai, provaci. Che tu ci creda o meno, c’è effettivamente un cervello sotto questo aspetto fantastico.»
Claire posò la forchetta, abbassando lo sguardo sul suo piatto per raccogliere i pensieri. «Mi piace la fantasia che vi è dentro. Quando ero una ragazzina, quando sapevo come sarebbe stato il mio futuro, mi piaceva leggere perché mi permetteva di essere chiunque, di fare qualsiasi cosa.» Fece un respiro profondo, mentre le parole sgorgavano da lei nel loro piccolo separé privato. «Quando ero piccola non aumentavo di peso e, mentre mi facevano degli esami, hanno scoperto che sono un’omega. Sono cresciuta sapendo che sarei stata data o venduta a qualcuno, che non avrei avuto alcun futuro tutto mio. Gli altri bambini crescevano pianificando un futuro. Volevano diventare soldati o dottori o insegnanti. Io, invece, non avevo quella scelta. Non avevo nulla da attendere con impazienza.»
«È così terribile essere una compagna?»
«Il fatto che tu me lo chieda mostra che non capisci. Tu puoi fare ciò che vuoi. Puoi decidere del tuo futuro. Io? Ho dovuto cambiare nome e lasciarmi tutto alle spalle per avere un qualche tipo di vita. Voglio dire, sono qui a cenare con te dopo aver detto di no. Chiaramente, quello che voglio non ha importanza.»
Joshua strinse le labbra e una linea comparve fra le sue sopracciglia. Non disse niente all’inizio, si limitò a sollevare il bicchiere e prendere un sorso, per riempire il silenzio. «Immagino di non averci mai pensato in questi termini.»
«Certo che no. Non ne hai mai avuto bisogno, perché avresti dovuto? Non è parte della tua vita.»
«Avrei dovuto lasciarti morire di fame?»
«Non sarei morta. Era solo un giorno.»
«Ma, come io non riesco a capire come ti senti tu, devi renderti conto che tu non capisci come si sente un alfa.»
«Quanto può essere difficile comprendere il vostro bisogno di controllare ogni cosa?»
L’alfa scosse la testa, spingendo il cestino di grissini verso di lei, lo stesso invito silenzioso a mangiare di più che le faceva da tutta la sera. «Tu lo vedi come controllo, ma per un alfa significa prendersi cura. Quando vedo un’omega, qualcosa di prezioso, si accende in me il bisogno di proteggerla. Quando sei in calore, il mio istinto mi dice di soddisfarti. Quando sei affamata, quando il tuo stomaco brontola e ti massaggi le tempie, il mio istinto esige che io ti sfami. Se non lo faccio, se lascio che tu ti senta a disagio o dolorante, sento come un grido nella mia testa. È un dolore fisico, un bisogno costante.»
Era così che si sentivano? Suonava così piacevole, come un mondo perfetto dove omega e alfa erano due facce della stessa medaglia, dove avevano bisogno gli uni degli altri e si fondevano alla perfezione.
Claire scosse la testa. «È una bella idea, ma ci sono moltissimi alfa che non si prendono cura delle omega.» Mentre parlava, fu attraversata dal ricordo di James, dell’alfa che l’aveva rivendicata a diciotto anni.
Claire ebbe un fremito e gli occhi di Joshua si assottigliarono, ma l’alfa fece quella cosa che aveva già fatto diverse volte e piazzò un sorriso piatto sulle proprie labbra, come per mascherare la sua prima reazione. «Vuoi dirmi chi è stato a insegnartelo?»
«È universalmente noto.»
«Uno non sussulta come hai fatto tu per qualcosa di universalmente noto. A uno non compare neanche quello sguardo tormentato negli occhi. No, tesoro, di qualunque cosa si tratti, è dannatamente personale.» Scrollò le spalle, mentre la tensione scivolava via da lui. «Tuttavia, dato che chiaramente non ne vuoi parlare, che ne diresti di cambiare argomento?» Picchiettò le dita sul tavolo e l’azione attirò lo sguardo di Claire su di esse, costringendola a nascondere il rossore, quando ricordò quanto fosse talentuoso con quelle dita.
Come faceva a riportarla indietro al tempo passato insieme con tanta facilità? Dopo anni passati a evitare e a non volere l’attenzione di alcun alfa, il solo picchiettio delle sue dita la stuzzicava e tentava.
«Stai ascoltando?»
Claire alzò lo sguardo di scatto, le guance calde. Non stava ascoltando, ovviamente, totalmente persa nei propri pensieri.
Il suo sorrisetto indicava che ne era consapevole. «Ci sono cose migliori di cui possiamo parlare.»
«Non ricordo di aver mai voluto parlare con te di nulla.»
L’alfa le si avvicinò per far sì che le sue parole non fossero udite e l’azione fece sembrare piccolo il tavolo, che non era in grado di procurarle alcuna delle difese che si era immaginata. «I tuoi occhi continuano a cadere sulle mie dita. Sono certo che ti ricordi la sensazione che hanno procurato su di te, tesoro. Io di certo mi ricordo i suoni che producevi mentre le usavo su di te.»
Claire deglutì, il suono rumoroso persino nel chiasso del ristorante. O forse sembrava rumoroso alle sue orecchie, sopra il martellare nel suo petto. Joshua le faceva notare ogni cosa, rendeva ogni battito del suo cuore e ogni respiro forte ed evidente, come se li stesse studiando tutti, dissezionandola pezzo dopo pezzo.
Ma, era proprio quello il suo gioco. Il modo in cui la guardava le permetteva di intravedere il predatore sotto la maschera gioviale che indossava.
«Vuoi il bis?»
Claire scosse la testa.
L’alfa inclinò la testa e allungò il braccio per far scivolare un dito sul dorso della sua mano, appoggiata sul tavolo. «Ti rendi conto che stai mentendo? Perché stai mentendo, in tutto e per tutto. Le tue pupille si sono dilatate, il tuo respiro ha accelerato e ti stai sporgendo verso di me. Posso persino sentire il tuo profumo. Normalmente non sarei in grado di sentire la tua eccitazione così chiaramente, ma dato che ne sono stato immerso durante il calore, ci sono entrato in sintonia. Mi vuoi, anche se non te ne rendi conto.»
Questa volta Claire mosse la testa di scatto, una singola negazione. «Quello che è successo prima—»
«Quando abbiamo scopato?»
Il calore si diffuse sulle sue guance, giù per la sua gola e sul suo petto. «Quella era biologia. Non potevo evitarlo. Non voglio più niente del genere.»
Joshua sbuffò piano. «Sì che lo vuoi. Non vorresti, ma ciò non cambia il fatto che lo vuoi. Hai avuto un assaggio di qualcosa che ti mancava e ora ti stai chiedendo che cos’altro potresti avere. Lascia che te lo mostri.»
«Mostrarmi cosa?» La voce di Claire suonò così roca che fece fatica a riconoscerla.
Non aveva mai parlato in quel modo, non ne aveva mai avuto il coraggio. Stuzzicare qualcuno, suggerire qualcosa per cui non aveva alcun interesse, era un gioco pericoloso e lei non aveva mai voluto farlo. Ma, non era quello il punto? Aveva forse ragione Joshua?
Sono davvero interessata?
L’alfa si avvicinò ancora di più, finché il suo respiro le scaldò le labbra, finché il tavolo smise di esistere fra loro. «Tutto, tesoro. Ti farò gemere e ansimare fino a che non ti sarai scordata tutte le ragioni per cui credevi di non desiderarlo. Hai una voce fatta per gemere, per ansimare, per tutti quei suoni che ti ho già sentita emettere. Voglio sentirli mentre sei lucida, o tanto lucida quanto puoi esserlo con la mia lingua infilata profondamente nella tua figa.»
Le parole volgari la scioccarono più di qualsiasi altra cosa, come cera calda sulla pelle, un dolore che non faceva che alimentare la sua passione. Joshua non incespicò, non mostrò alcun segnale di nervosismo, come se dirle che voleva – Claire non riusciva nemmeno a pensarlo – fosse la cosa più naturale del mondo.
Anche se non riusciva a pensare le parole, l’immagine non la abbandonava. Ricordava lampi di cose del genere dal suo calore, la pressione di una lingua contro di lei, il modo in cui delle mani forti l’avessero afferrata per i fianchi e costretta ad accogliere ogni colpo.
«Non lo so», sussurrò, la tensione nel petto.
«Beh, è meglio di un no. Dai, fidati di me, solo per pochi minuti. Qui nel retro. Conosco il proprietario e ti prometto che, se mi concederai cinque minuti, non te ne pentirai.» Joshua si alzò, poi le porse la mano.
Non la afferrò, non la strattonò verso ovunque volesse portarla. Se lo avesse fatto, Claire avrebbe opposto resistenza. Si sarebbe tirata indietro, sopraffatta dal nervosismo. Invece, l’alfa rimase in attesa. Immobile, lasciando a lei la scelta. Se avesse detto di no, si sarebbe seduto. Avrebbero finito di mangiare. E poi?
Furono proprio quell’attesa, quell’immobilità, quella domanda che le stava ponendo senza chiederlo a parole a convincerla.
Che cosa voleva?
Claire rispose riponendo la mano nella sua.