Читать книгу Incantesimo Di Mezza Estate - Kristen Strassel - Страница 7
Capitolo tre
ОглавлениеMonique
«Puoi tornare a Nashville ogni volta che vuoi.» La nonna mi stava aspettando nel corridoio. Aveva lasciato la porta aperta quando era uscita, convinta che la seguissi. Avrei voluto farlo, ma qualcosa mi aveva fatta rimanere dentro la stanza. Il mio cuore svolazzava ogni volta che parlavo con Chance, ma dovevo lasciare che quella fosse solo una fantasia divertente.
«Nessuno ti trattiene contro la tua volontà. Può aiutarmi Sophie a trovare una casa» aggiunse quando non risposi.
«Non me ne andrò prima che tu ti sia sistemata.» Per quanto mi piacesse quel posto, avevo un po’ di nostalgia. Cecily mi aveva mandato un mucchio di foto. Il suo tour era terminato, e lei era nel bel mezzo di una grande festa in un bar sul tetto di un palazzo. Una festa piena di celebrità. La prossima volta sarai tu la mia accompagnatrice, aveva scritto.
Era sempre la prossima volta e mai la volta buona. Mi ero persa un sacco di feste a causa dei turni in ospedale, o perché ero troppo esausta anche solo per pensare di mettere il naso fuori di casa. E in realtà, quando ci andavo, volevo sempre filare via. Non avevo niente in comune con le persone presenti. Quella sera avevo un appuntamento con una bottiglia di vino e un libro – una volta tanto non un articolo scientifico – e non avrei fatto a cambio con nulla al mondo.
La nonna scosse la testa, tenendosi al passo con me mentre tornavo in camera mia. «Se tu dessi una possibilità a ciò che ti circonda, potrebbe piacerti.»
«Ho un lavoro e una casa in un’altra città» le ricordai.
«E sono entrambi vuoti, in questo momento. Voglio che tu rimanga. Sophie è entusiasta di averti qui. E penso che anche a Chance farebbe piacere averti intorno.»
«Ho paura ad avere un appuntamento con uno qualsiasi degli uomini di questa città. Quanto tempo è rimasta qui, Sophie, prima di sposarsi? Una settimana?» Scherzavo, ma la costante paura di essermi persa qualcosa, che di solito provavo per i selfie di Cecily assieme alle celebrità, era partita in quarta al pensiero del marito della mia sorellina. Non eravamo abbastanza in confidenza per scambiarci i dettagli intimi, ma dal modo in cui lei e Tyson si guardavano, potevo essere certa che le loro notti fossero tutto tranne che tranquille.
«Due settimane. Hai tempo per pianificare la tua fuga.» La nonna ridacchiò. «Vado in camera mia. Ho perso uno dei miei libri di incantesimi preferiti nell’incendio, e voglio rimetterlo insieme prima della celebrazione di Mezza Estate.»
«Puoi ordinarne uno nuovo?» le chiesi. La nonna era brava con la tecnologia, ma alcuni di quei vecchi libri erano fuori stampa. «Se vuoi te ne cerco uno quando torno in città.»
Lei scosse la testa. «Un Libro delle Ombre è una cosa molto personale. Non ce ne sono due uguali, perché è scritto dall’incantatore per l’incantatore stesso. È un diario, una storia personale della mia spiritualità.»
«Mi dispiace che tu l’abbia perso.» E, per la prima volta, mi sentii triste per non aver capito quel lato della mia famiglia. Fino a quel momento non mi avevano incuriosita granché quegli uomini concentrati su antichi testi, impegnati a cercare di decifrare il codice di un alfabeto morto da tempo. Forse c’era una traccia di verità, in tutto quel parlare di magia. Ma io avevo bisogno di qualcosa di concreto, per poterci credere. «Mi dispiace ancora di più di non averne mai saputo nulla fino a ora.»
Avevamo raggiunto la porta della stanza occupata dalla nonna. «Dai una possibilità a quell’uomo, Monique Louise. Smettila di preoccuparti delle cose che ti stanno aspettando a casa. Mentre sei qui, sii qui.»
Dopo quel discorso, la mia bellissima camera per gli ospiti mi sembrò claustrofobica. Ero lì, in montagna, e non ne stavo approfittando. Era una notte bellissima e limpida. Le giornate erano ancora lunghe, e il cielo era di quel blu brillante che compariva quando il sole si rifiutava di cedere il posto alla luna. Le sfumature arancioni erano come le cicatrici della battaglia, ma le stelle avevano avuto l’ultima parola, e già punteggiavano il cielo.
Quel posto era meraviglioso. L’aria limpida, il paesino nella valle che brillava sotto di noi. Forse avrei potuto leggere all’aria aperta, quella sera.
Vagai lungo un sentiero scosceso, desiderando di aver cambiato i sandali che ancora indossavo con un paio di scarpe da ginnastica. Avevo fatto le valigie al volo, prima di arrivare lì, e non mi aspettavo di fermarmi a lungo. E siccome continuavo a ripetermi che sarei partita presto, non mi ero presa la briga di fare shopping.
Due sedie Adirondack in legno fiancheggiavano una buca per un focolare con una vista mozzafiato sulla Summerland Valley. Perfetto. Qualcuno aveva lasciato uno di quegli accendini lunghi e una piccola catasta di legna. Speravo che a nessuno importasse se ne approfittavo.
Misi un paio di pezzi di legno nella fossa e feci scattare l’accendino. Il legno assorbì il fuoco ma non si accese. Provai di nuovo, ma continuava a succedere la stessa cosa. Ma che diavolo? Sarei stata in grado di diagnosticare una malattia potenzialmente mortale osservando un campione di sangue, ma non riuscivo ad accendere un fuoco.
Così feci quello che avrebbe fatto qualsiasi donna abituata a contare solo sulle sue forze. Cercai le istruzioni su Google.
«Cosa stai facendo?» chiese una voce ricca e setosa come la notte che era calata senza che me ne accorgessi. Saltai per aria e quasi atterrai sul sedere nella buca per il falò. Non avevo sentito Chance arrivarmi alle spalle.
«Cerco di accendere un fuoco.» Mi alzai e mi pulii i jeans sporchi di terra.
I suoi occhi. Brillavano dello stesso colore del cielo appena prima del tramonto. Quell’uomo era davvero sbalorditivo, anche al buio. Forse anche di più, perché aveva tanti segreti e c’erano molte cose che non sapevo sulla sua vita.
Scosse la testa, il suo sorriso visibile anche nell’oscurità. «Non accenderai mai un fuoco con il telefono.»
Era ora di confessare. «Stavo cercando istruzioni.»
«Nessuno ti ha insegnato a farlo?»
Scossi la testa.
«Lascia che ci pensi io.» Scomparve in un crepaccio nella montagna e tornò con un cesto pieno di foglie e ramoscelli. «Ti serve un innesco. Il vento può essere piuttosto brutale, quassù, quindi teniamo al riparo tutto ciò che può volare via.»
Si accovacciò, e la maglietta si tese contro la sua schiena muscolosa. Riposizionando il legno che io avevo sconsideratamente lasciato cadere nella buca, aggiunse le foglie secche e poi si girò verso di me. «A te l’onore.»
Bastò uno schiocco dell’accendino perché le foglie prendessero fuoco. Le fiamme inghiottirono il primo pezzo di legno, e un soddisfacente bagliore arancione divorò la nostra opera.
«Vuoi compagnia?» mi chiese.
«Certo.» Avrei potuto giurare che il calore che accarezzava il mio corpo proveniva da lui e non dal fuoco. Quell’uomo aveva la capacità di cambiare l’energia intorno a sé. Io non capivo, e di solito mi rifiutavo di credere a cose del genere. «Grazie per non esserti preso gioco di me.»
«Sono sicuro che ci sono molte cose che tu sai fare e io no.» Chance si sistemò sulla sedia e alzò la testa al cielo. «Salvare vite, per esempio.»
«Molto dipende dall’istinto.» Lasciavo che le intuizioni mi guidassero quando i dati medici non sempre avevano senso. «Le persone spesso ignorano ciò che effettivamente vedono per quello che pensano dovrebbe accadere.»
Chance annuì, passandosi una mano sul mento ispido. Era un uomo selvaggio come il paesaggio montano che ci circondava. «Allora starai bene, qui. Non preoccuparti di quello che ti dice il telefono. Da queste parti, continuiamo a provare finché le cose non funzionano.»
«Non rimarrò a lungo. Una volta che la nonna si sarà sistemata, tornerò a Nashville.»
Qualcosa oltre al riflesso delle fiamme balenò nei suoi occhi. «Peccato. Ci sarebbero utili persone come te.»
«Non mi conosci nemmeno.»
«No, ma hai mollato tutto per venire ad aiutare tua nonna e tua sorella. E anche se non ti piacciono particolarmente», alzò la mano quando rimasi senza fiato, «le ami. Capisci cos’è importante.»
«Da quanto tempo vivi qui?» Avevo sempre considerato Summerland una cittadina di campagna, ma a quell’uomo non mancava la raffinatezza.
«Da sempre» disse con una risatina.
«Chi ha costruito le caverne? Sono stupende.» Avevo pagato un occhio della testa la ristrutturazione di casa mia, e combattevo costantemente contro il lavoro mal fatto. I tizi che sapevano davvero quello che stavano facendo e si preoccupavano abbastanza da farlo bene, costavano una fortuna. Ma il lavoro all’interno della montagna era una vera e propria meraviglia architettonica.
«I lavori durano da generazioni. Ma io mi sono occupato dell’ampliamento della struttura, comprese le stanze in cui alloggiate tu e Nora.»
«Le hai fatte tu?» gli chiesi
Lui annuì. «Tutti ci hanno lavorato su, ma ho progettato io la maggior parte di ciò che vedi.»
«Sono impressionata. Ho comprato da poco una vecchia casa e l’ho fatta ristrutturare. È stato molto più difficile di quanto mi aspettassi.»
«Hai fatto tutto da sola?» mi chiese.
Io scossi la testa. «Ho fatto tutto quello che potevo. Il progetto, la tinteggiatura, la disposizione delle stanze e dei mobili. Ma il resto l’ho lasciato agli esperti.»
«Anche tu hai costruito la tua caverna personale.» Il suo sorriso era pura soddisfazione. Le fiamme tremolavano contro la sua pelle ambrata, ma non erano loro a farlo risplendere. Quelle caverne erano la sua passione. «La montagna è una cosa viva, che respira. È fatta di roccia, ma è ricoperta di piante e alberi. Il tempo è migliore grazie alla catena montuosa, perché protegge la valle. È una cosa che prendo in considerazione quando scavo una nuova stanza all’interno della montagna. Voglio onorare quell’energia.»
«Perché una montagna?» gli chiesi. Quell’uomo sembrava in grado di costruire qualsiasi cosa. Immaginai un’accogliente capanna di tronchi incastonata tra le montagne, con davanti un fuoco scoppiettante, e mi vidi rannicchiata contro quei muscoli sotto una coperta soffice mentre soffiavano le raffiche di vento.
Ma non poteva che essere una fantasia, un ricordo di quel viaggio che avrei portato con me a Nashville.
«Perché siamo draghi.» Mi diede la possibilità di rispondere, ma non ci riuscii.
Non sapevo come dirgli che non credevo a ciò che stava affermando, perché in quel momento, davanti al fuoco con quell’uomo bello e forte che aveva costruito un impero dentro una montagna, riuscivo a credere che lui fosse qualcosa di più che un semplice essere umano. Anche se sapevo era impossibile.
«Il nostro lavoro è proteggere le montagne» aggiunse.
«Da cosa?»
«Cosa fai, tu, come dottore?» Si voltò verso di me, appoggiando il gomito sul bracciolo della sedia e il mento nella mano. Le sue gambe chilometriche si allungarono, i piedi puntati contro le rocce che contenevano il fuoco. Stava evitando di rispondere alla mia domanda.
Come avrei potuto riassumere tutto in due parole? Non avevo bisogno di semplificare troppo le cose per quell’uomo, ma avevo la sensazione che non mi stesse chiedendo cosa facevo come medico, ma perché avessi scelto di diventarlo. «Idealmente, mi assicuro che i bambini siano in salute. Questo quando vengono per controlli e visite mediche. Ma non è sempre così facile. La vita si mette di mezzo, o vengono da me già malati. A quel punto collaboro con loro e con i loro genitori per riuscire a farli stare meglio. A volte hanno visto molti dottori prima di venire da me, e sperano che io possa trovare una risposta che gli altri non hanno trovato.»
Chance annuì.
«A volte ci riesco. Quelle sono le belle giornate. Quando posso dare speranza a qualcuno. Ci sono ore di ricerca, lettura di giornali scientifici e incontri con compagnie di assicurazione e case farmaceutiche. Ma la mia passione sono i bambini. Garantire loro la miglior vita possibile.»
«Assomiglia molto a ciò che facciamo noi per proteggere la valle» mi disse. «Speriamo che tutti siano al sicuro. Ma a volte ci sono persone che vengono qui per fare del male, e ci dobbiamo occupare di loro.»
«Come?» Sentii il sangue ghiacciarsi nelle vene. Lui non prescriveva medicine al gusto di gomma da masticare per sbarazzarsi dei cattivi.
«Facciamo tutto il necessario.» La sua voce conteneva un rimbombo, come se ci fosse una tempesta in lontananza. Mi strinsi il maglione attorno al corpo per scongiurare un brivido improvviso.
«È quello che è successo a casa di mia nonna?» gli chiesi.
«Abbiamo lasciato che qualcuno con intenzioni malvagie sfuggisse al nostro controllo per troppo tempo.» Un altro rombo. C’era sicuramente una tempesta in arrivo. «È stato un errore. E noi non commettiamo mai lo stesso errore due volte.»