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XIV
ОглавлениеPartita la Drubezkoi per andar col figlio a casa del conte ammalato, la contessa Rostow restò sola a lungo, premendosi il fazzoletto agli occhi lagrimosi. Finalmente suonò un campanello.
— O che? non sentite? – disse irritata alla cameriera che s’era fatta aspettare qualche minuto. – Se il servizio vi è venuto a noia, cercatevi pure un altro posto.
Un po’ le proprie afflizioni, un po’ l’umiliante povertà dell’amica l’aveano messa di cattivo umore.
— Perdonate, – si scusò la cameriera.
— Pregate il conte di venir da me.
Il conte, dondolandosi come al solito e in aspetto contrito, si avvicinò alla moglie.
— Eh, eh, cara la mia contessina! Avremo un sauté di pernici al madera da leccarsene le dita! L’ho assaggiato, sai. Parola d’onore, quel Taras vale i mille rubli all’anno che mi costa.
Sedette accanto alla moglie, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si passò le mani nei capelli brizzolati.
— Sentiamo, che comanda la mia contessina?
— Ecco di che si tratta, amico mio... Ma che hai costì sul panciotto?... una macchia di grasso, del tuo sauté, probabilmente... Ecco dunque di che si tratta.... Ho bisogno di danari.
— Ah, se non è che questo...
E il conte cavò subito di tasca il portafogli.
— Di molti danari... Mi servono non meno di cinquecento rubli.
Così dicendo, cercava pulire col fazzoletto di batista il panciotto del marito.
— Subito, subito... Ehi, chi è di là? – gridò questi come chi è sicuro di una pronta e servile obbedienza. – Venga qui Demetrio!
Demetrio, quel nobile scaduto che sbrigava tutti gli affari del conte, entrò di lì a poco a passi lenti e con aria rispettosa.
— Senti, caro... Portami... sì, ora che ci penso, portami 700 rubli... Ma che non siano sudici e laceri, come l’altra volta... Servono per la principessa.
— Sì, che siano puliti, nuovi, mi raccomando, – disse costei.
— Per quando, eccellenza? – domandò Demetrio. – Deve sapere vostra eccellenza, che... Ma no, no, – si corresse subito, vedendo che il conte cominciava a tirare il fiato grosso, indizio sicuro di tempesta imminente, – mi scordavo... Vuole vostra eccellenza che li porti subito?
— Ma sì, subito. E li consegnerai alla contessa... Un uomo d’oro, questo Demetrio, – soggiunse il conte, quando quegli fu andato via. – Niente d’impossibile per lui. Ed io i dubbiosi, gl’irresoluti, non li posso soffrire. Tutto è possibile, quando si vuole.
— Ah, il danaro, conte, il danaro! quanti malanni al mondo per questo benedetto danaro! – sospirò la contessa. – Non ti figuri tu quanto ne avevo bisogno.
— Voi, contessina mia, siete una famosa scialacquatrice, – disse il conte; e, baciatale la mano, tornò nel suo studio.
Quando la Drubezkoi fu di ritorno, i danari erano già presso la contessa, tutti biglietti nuovi fiammanti, coperti da un fazzoletto sul tavolino. La Drubezkoi si accorse che l’amica era turbata.
— Ebbene, che c’è, amica mia? – domandò la contessa.
— Ah, che cosa terribile! Non lo si riconosce più. Sta così male, così male! Solo un minuto mi son fermata, e non ho detto nemmeno due parole.
— Annetta, per amor di Dio, non mi dir di no, – pregò ad un tratto la contessa arrossendo e prendendo i danari di sotto al fazzoletto.
La Drubezkoi capì a volo, e già si chinava per abbracciare a tempo debito l’amica.
— A Boris, da parte mia, perchè si faccia l’uniforme...
La Drubezkoi l’abbracciò e si mise a piangere. Anche la contessa si scioglieva in lagrime. Piangevano di tenerezza, perchè si sentivano così buone, così affezionate, perchè una cosa così vile come il danaro le occupava, perchè la gioventù loro era passata... Ma erano lagrime soavi, senza ombra di amarezza.