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Dopo aver osservato intorno a sè, Erode s'avanzò sino al tripode dirimpetto al venerabile Hillele che incontrò il suo freddo sguardo abbassando la testa ed alzando le mani.

— «La risposta» — disse il Re, con aria altera, rivolgendosi a Hillele, e, piantandoglisi davanti col suo bastone, ripetè: — «La risposta!» —

Gli occhi del patriarca, splendevano dolcemente: egli rispose alzando la testa e fissando l'inquisitore, mentre i suoi colleghi gli prestavano una speciale attenzione:

— «La pace del Signore, d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe sia teco, o Re!» —

Dal tono della voce sembrava che invocasse qualcheduno, poi, avendo cambiato tono, continuò:

— «Tu ci hai chiesto dove si suppone sia per nascere Cristo.» —

Il Re fece un segno d'approvazione, sebbene i suoi occhi malvagi restassero fissi sul saggio: — «Questa è la domanda» — disse.

— «Allora, o Re, io parlo per me e pei miei fratelli qui presenti, e dico: — «in Betlemme, nella Giudea.» — Hillele diede un'occhiata alla pergamena sul tripode, e facendo cenno col suo dito tremulo, continuò. — «In Betlemme nella Giudea, com'è scritto dal profeta: «E tu, Betlemme nella terra di Giudea, non sei affatto l'ultima fra le terre di Giuda perchè da te uscirà un governatore che saprà dominar il mio popolo Israele.» —

Il viso d'Erode si rannuvolò, e mentre pensava i suoi occhi si posarono sulla pergamena. I presenti non respiravano nemmeno, ed erano silenziosi come lui. Finalmente egli si volse e lasciò la camera.

— «Fratelli» — Hillele disse — «abbiamo terminato.» —

La compagnia si alzò e partì in gruppi.

— «Simeone» — chiamò Hillele.

Un uomo, sulla cinquantina, ma ancora nel fior della vitalità, gli rispose e si diresse verso di lui che soggiunse: — «Prendi la sacra pergamena, figlio mio, ed arrotolala accuratamente.» —

L'ordine fu eseguito.

— «Offrimi il tuo braccio; monterò in lettiga.» —

L'uomo robusto s'inchinò; il vecchio accettò l'aiuto offertogli, e si diresse con fatica alla porta.

Così se ne andarono il famoso Rabbino e Simeone, suo figlio, il quale doveva essere il suo successore in saggezza e sapienza.

················

I re magi si trovavano ancora svegli a sera avanzata sotto un'arcata del Khan. Le pietre che servivano loro da giacigli erano alte in modo ch'essi potevano guardare, attraverso l'arco della finestra, l'immensità del cielo. Mentre ammiravano le stelle scintillanti, pensavano alla prossima Rivelazione.

Cosa accadrebbe? Si trovavano alfine in Gerusalemme; alla porta avevano chiesto di Colui che cercavano; avevano annunziata la sua nascita; ora non restava loro che di trovarlo. Colla speranza di riuscire s'affidarono allo Spirito, ed in attesa d'udire la voce di Dio od un segno dal cielo, non potevano prender sonno.

Mentre si trovavano così agitati e commossi, un uomo s'avanzò:

— «Svegliatevi» — disse loro, — «vi porto un messaggio che non può essere protratto.» —

I tre si alzarono.

— «Per parte di chi?» — domandò l'Egiziano.

— «Di Erode, il Re.» —

Ognuno si sentì correre un fremito nelle ossa.

— «Siete forse il custode del Khan?» — chiese Balthasar.

— «Sì.» —

— «Cosa desidera il Re?» —

— «Il messaggero aspetta; egli vi risponderà.» —

— «Allora ditegli d'attenderci.» —

— «Voi avevate detto il giusto, buoni fratelli!» — soggiunse il Greco dopo che il custode se ne fu andato. — «La domanda che fu diretta ai viandanti ed alle guardie alla porta, ci ha resi oggetto di curiosità. Io sono impaziente; facciamo presto.» —

Si alzarono; calzarono i loro sandali, si misero i mantelli e s'avviarono.

— «Vi saluto; la pace sia con voi, e scusatemi; il mio padrone, il Re, mi ha mandato ad invitarvi al palazzo, dove egli desidera parlarvi segretamente.» —

Così il messaggero adempì il suo dovere.

Essi si guardarono a vicenda, alla luce d'una lampada appesa nell'entrata, e s'accorsero che lo Spirito era con loro.

L'Egiziano si diresse verso il custode, e disse piano, in modo da non essere udito dagli altri: — «Voi sapete in che posto si trova la nostra roba nella corte, e dove riposano i nostri cammelli. Preparate, durante la nostra assenza, tutto l'occorrente per la nostra partenza se essa sarà necessaria.» —

— «Potete andarvene sicuri; fidate in me,» — rispose il custode.

— «La volontà del Re è la nostra» — disse Balthasar al messaggero. — «Noi vi seguiremo.» —

Le strade della città santa erano strette come lo sono ora, ma non così neglette e sudicie; perchè Erode non soddisfatto dalla sola bellezza, voleva pulizia e comodità.

Guidati dalla luce pallida delle stelle essi ascesero lentamente la collina. Giunsero, finalmente, ad una porta innalzata nel mezzo della strada. Alla luce dei fuochi che ardevano in due gran bracieri, intravvidero la struttura dell'edificio, e le guardie che s'appoggiavano ai lati della porta.

Entrarono nell'edificio senza che la sentinella li fermasse; attraversarono passaggi, porte e cortili, alcuni in piena oscurità; salirono molte scale, passarono per innumerevoli corridoi e per infinite camere, e furono condotti ad una torre d'una immensa altezza. Ad un tratto la guida si fermò, ed additando una porta aperta, disse loro:

— «Entrate. Il Re è là.» —

L'aria della camera era impregnata dal profumo del legno di sandalo, e tutto all'intorno era ordinato e disposto riccamente.

Un tappeto era disteso nel bel mezzo del pavimento, e, sopra al tappeto, era collocato un trono. I visitatori ebbero solo il tempo di ricevere una confusa idea del luogo, di un'insieme di ottomane e di letti intarsiati e dorati, di ventagli, di vasi, di strumenti musicali, di candele d'oro brillanti di luce intensa; di mura dipinte nello stile della voluttuosa scuola Greca, un solo sguardo alle quali avrebbe fatto nascondere con sacro orrore la testa ad un Fariseo. Erode ch'era seduto sul trono per riceverli, vestito come alla conferenza coi dottori e coi sacerdoti, richiamò tutta la loro attenzione.

Essi s'avanzarono e s'inginocchiarono, senza essere invitati, sull'orlo del tappeto. Il Re toccò un campanello.

Un servitore entrò e posò tre sgabelli davanti al trono.

— «Sedetevi» — disse il monarca, benignamente.

— «Dalla porta del Nord» — egli continuò quando essi si furono accomodati — «ho avuto in questo pomeriggio l'avviso dell'arrivo di tre stranieri, curiosamente vestiti come se fossero provenienti da lontani paesi. Siete voi?» —

L'Egiziano, dopo di aver rivolto un'occhiata al Greco ed all'Indiano, rispose facendo una profonda riverenza:

— «Di certo se noi non fossimo quegli stranieri, il potente Erode, la cui fama corre pel mondo intero, non ci avrebbe fatti chiamare.» —

Erode approvò con un cenno della mano.

— «Chi siete, donde venite?» — domandò, ed aggiunse in tono espressivo: — «Lasciate che ognuno parli di se stesso.» —

Essi si spiegarono, alludendo brevemente alle città, ai loro paesi nativi ed alla strada percorsa sino a Gerusalemme. Non soddisfatto, Erode aggiunse:

— «Cosa domandaste all'ufficiale che si trovava alla porta?» —

— «Gli domandammo dov'è colui ch'è nato Re degli Ebrei.» —

— «Comprendo ora perchè il popolo era così curioso. Voi mi meravigliate. C'è un'altro Re degli Ebrei?» —

L'Egiziano non impallidì:

— «Ce n'è uno appena nato.» —

Il viso scuro del monarca assunse un'espressione di dolore come s'egli si rammentasse d'un episodio straziante.

— «Non a me, non a me» — esclamò.

Forse gli passavano davanti le immagini accusatrici dei figli uccisi; riavendosi dall'emozione chiese con voce ferma: — «Dov'è il nuovo Re?» —

— «Questo, o Re, è ciò che desideriamo sapere.» —

— «Voi mi dite di un miracolo — un enigma di molto superiore a quello di Salomone» — disse poi: — «Come vedete, sono in quel periodo di vita in cui la curiosità è sfrenata come lo è nell'infanzia, allorchè lo scherzare con essa è crudeltà. Proseguite, ed io vi rispetterò come i Re si rispettano l'un l'altro. Ditemi tutto ciò che sapete del nuovo Re, ed io mi unirò a voi nel cercarlo; e quando l'avremo trovato, farò ciò che vorrete; lo porterò a Gerusalemme e l'alleverò nella reggia; adoprerò la mia grazia con Cesare per la sua promozione e la sua gloria. La gelosia non albergherà fra noi, ve lo giuro. Ma prima ditemi come, separati sì ampiamente da mari e deserti, sieti arrivati ad udire parlare di lui.» —

— «Ve lo diremo sinceramente, o Re.» —

— «Parlate,» — disse Erode.

Balthasar si alzò in piedi, e disse dolcemente:

— «V'è un Dio Onnipotente.» —

Erode si scosse in modo impercettibile.

— «Egli ci disse di venire in qua, assicurandoci che avremmo trovato il Redentore del mondo; che l'avremmo veduto ed adorato, di prestar fede ch'Egli era venuto; e, come segnale, ognuno di noi doveva vedere una stella. Il suo Spirito rimase con noi, o Re, il suo Spirito è con noi anche adesso!» —

Una commozione irresistibile, opprimente, s'impossessò dei tre. Il Greco a stento represse un grido. L'occhio di Erode si fissò rapidamente dall'uno all'altro; egli era più sospettoso e scontento di prima.

— «Credo che voi mi canzoniate» — egli disse — «ma, se non è, continuate. Che cosa produrrà la venuta del nuovo Re?» —

— «La salvezza degli uomini.» —

— «Da che cosa?» —

— «Dalla loro malvagità.» —

— «Come?» —

— «Per mezzo delle azioni divine — l'Amore, la Fede, e le opere Buone.» —

— «Allora» — Erode si fermò, e nel suo sguardo nessun uomo avrebbe potuto leggere quale sentimento spirasse — «voi siete gli araldi di Cristo. È questo tutto?» —

Balthasar s'inchinò lentamente:

— «Noi siamo i vostri servi, o Re.» —

Il monarca toccò un campanello, e l'inserviente apparve. — «Portate i regali» — gli disse.

L'inserviente uscì, ma ritornò poco dopo, ed inginocchiandosi innanzi agli ospiti, diede a ciascheduno un manto azzurro e rosso scarlatto, e una cintura d'oro. Essi espressero la loro gratitudine con inchini all'orientale.

— «Ancora una parola» — disse Erode allorchè la cerimonia finì. — «All'ufficiale della porta, e poc'anzi innanzi a me, voi parlaste d'aver veduto uno stella nell'Oriente.» —

— «Sì» — disse Balthasar — «la sua stella, la stella del neonato.» —

— «Quando vi apparve?» —

— «Quando fummo comandati di venire qua.» —

Erode si alzò, significando che l'udienza era finita. Scendendo dal trono verso di loro, disse con grande amabilità:

— «Se, come credo, o uomini illustri, voi siete gli araldi di Cristo appena nato, sappiate che ho consultato coloro che sono i più sapienti riguardo alle cose ebraiche, ed essi dissero concordi che dovrebbe essere nato nella Betlemme di Giudea. Io vi dico: — «Andate oltre, andate e cercate diligentemente il giovane bimbo: e quando l'avrete trovato, avvisatemi, affinchè io possa venire ad adorarlo. Che il vostro tragitto non venga disturbato da alcun ostacolo. Pace sia con voi!» — E avvoltosi nel suo manto lasciò la stanza.

La guida li diresse verso la strada, e poscia al Khan, alla porta del quale il Greco disse:

— «Andiamo a Betlemme, o fratelli, come ci consigliò il Re.» —

— «Sì» — gridò l'Indiano — «lo Spirito ci protegge.» —

— «Così sia» — disse Balthasar, con egual ardore. — «I cammelli sono pronti.» —

Essi diedero dei regali al castaldo, montarono in sella, richiesero le indicazioni per andare alla Porta di Joppa, e partirono. Al loro arrivo le grandi porte erano socchiuse ed essi entrarono in aperta campagna, prendendo la via ultimamente fatta da Giuseppe e Maria. Mentre si avanzavano sulla pianura di Rephaim, apparve una luce dapprima debole e lontana. I loro cuori battevano forte. La luce si faceva rapidamente più intensa; essi chiusero gli occhi allo splendore ardente; quando si azzardarono a guardare nuovamente, ecco che la stella, bella come nessun'altra nel cielo, si abbassò, e, lentamente, si avvicinò a loro. Essi giunsero le loro mani, e gridarono, godendo di una gioia immensa:

— «Iddio è con noi! Iddio è con noi!» — e così ripeterono per tutta la via, finchè la stella, innalzatasi sulla valle, al di là del Mar Elias, ristette ancora al di sopra d'una casa, sulla cima della collina, vicino alla città.

Ben Hur: Una storia di Cristo

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