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I primi ricordi

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Non saprei quando cominciano i primi ricordi del’ essere umano.

Non lo so quali sono i primi momenti di vita che ogni persona riesce a conservare e ricordare per sempre.

Forse tutto ciò è una cosa molto personale ed in questo senso, posso dire che i miei ricordi, cominciano molto, molto presto ed è ovvio che tutto succede all'interno della casa dove viveva la mia famiglia: padre, madre e due figli.

Ero il più piccolo tra i quattro.

Una casa non grande, ma neanche piccola.

Giusta per le necessità della nostra famiglia.

C'era un ingresso, la cucina, il ripostiglio, due camere ed un piccolo disimpegno prima dell'ingresso in bagno.

Le due camere, avevano la pavimentazione in legno e questo creava un senso di calore e di intimità.

Di accoglienza famigliare.

Appena ci si alzavano gli occhi dal caldo pavimento, era impossibile non notare la grandezza delle finestre, e soprattutto la tanta luce che riusciva ad entrare attraverso i loro vetri.

Erano tutte orientate verso l'est, e di fronte c'era il massiccio montuoso più imponente tra tutti quelli che si trovavano sui quattro lati della vallata.

Grande, forte, compatto e di un verde molto intenso per lungo periodo dell'anno.

In ogni momento, guardare fuori dalle finestre era una cosa bellissima, ma al mattino, quando il sole si innalzava da dietro la montagna, lo era ancora di più. Il sole, insieme alla montagna erano così vicine, che sembrava di poter toccare il tutto con la mano.

Il calore e soprattutto la luce che entrava in casa, dava una vitalità ed una forza che ogni mattina faceva venire la voglia di gridare:

< Vita dove sei? >

< Perché ho voglia di viverti in pieno quest'oggi! >

Allo stesso modo, quando di sera da dietro la stessa montagna compariva la luna, metteva una pace ed una serenità che aiutava moltissimo a capire se in quel giorno di vita si e riusciti a fare qualcosa di buono.

Non aver fatto passare inutilmente la giornata.

Poi si andava a dormire in tranquillità, serenità e pace, ringraziando per tutti i risultati avuti.

Il primo ricordo, come forse quello di ogni bambino, è un po’ birichino ed ogni volta che ci ripenso, sorrido partendo dal mio più profondo e finendo con i muscoli facciali.

Sempre.

Ricordo seduti: me e mia madre, attorno il tavolo nella cucina.

Dopo aver mangiato, quasi sempre da me, ma anche imboccato ogni tanto da mia mamma, mi portava al letto per farmi fare il pisolino pomeridiano.

Se avessi potuto, avrei prolungato all'infinito ogni volta quei momenti attorno al tavolo, perché andare a dormire di pomeriggio, per me era la cosa più spiacevole che mi poteva capitare in quel momento di vita.

Questo è il mio primo pensiero di vita vissuta.

Il primo che ricordo.

Purtroppo per me, andava a finire sempre allo stesso modo, cioè, io sdraiato sul letto che dovevo dormire.

Non piangevo e non ricordo di aver mai protestato, ma al mio modo agivo.

Una volta al letto, dopo un po' di momenti in qui stavo tranquillo, con gli occhi chiusi e senza la minima intenzione di dormire, quando credevo che il tempo era giusto, scendevo dal letto.

Ricordo che quasi sempre, andavo in silenzio dietro alla porta, per provare a capire dov'era mia madre.

Qualche volta la vedevo da dietro, lavando per terra nell’ingresso, o facendo altro. Qualche altra volta mi toccava uscire dalla camera, prima di riuscire a vederla.

In tutti i casi, mi ricordo la stessa fine.

Io, che sfregandomi gli occhi come uno che ha dormito per ore, le dicevo che ho già dormito, mentre lei, senza dirmi niente, prendendomi per mano, mi faceva fare dietro front e mi riaccompagnava al letto.

Al letto per la seconda volta, scattavano sempre le sue misure di sorveglianza.

Non saprei dire se era perché mi dovevo arrendere per forza, oppure ad altro, ma ritornato al letto, ricordo le mie prime domande, dubbi, perplessità.

La mia domanda più grossa che e rimasta lì fresca e presente nella mia mente per tanto tempo era:

< Ma se non era con me nella cameretta, come fa a sapere se sono stato nel letto, il tempo giusto o di meno? >.

Arrivavano poi di corsa le altre domande, sorelle della prima:

< Come può se ho dormito oppure no? >

< Come può sapere se devo ancora dormire? >

Queste sono le mie prime domande di vita vissuta.

Le prime che ricordo.

Tutto capitava quando ero appena un po' più alto di uno sgabello di quelli attorno alla tavola della cucina, e tutto in casa era molto grande.

Cosi come grande mi sembrava mio padre.

Molto grande e molto forte, quasi un gigante.

Un gigante buono.

Quando mi prendeva tra le sue braccia, oppure veniva a giocare con me.

Mi piaceva moltissimo, ma ogni tanto, mi chiudevo un po', perché le sue mani forti e ruvide, mi facevano male sulla pelle.

Questo non diminuiva il mio desiderio di stare con lui.

Anzi, il desiderio era sempre più forte ogni volta, perché mi sentivo sicuro, protetto, ma soprattutto, con la certezza di avere un aiuto forte vicino a me.

Sempre pronto.

Un aiuto sempre pronto, come quando non riuscivo a salire sullo sgabello per sedermi a tavola in cucina, e per me sembrava lo sforzo più grande del mondo, ma la sua mano sul mio sederino, quando meno me lo aspettavo, mi dava una spinta così dolcemente forte che mi sembrava di volare.

Volevo stare sempre con lui.

In qualsiasi momento.

Come quando si faceva la barba e li restavo vicino nel bagno.

In piedi, sul coperchio del wc e dalla prima pennellata di schiuma che si metteva sulla faccia, e fino all'ultimo passaggio della macchinetta in qui metteva la lametta, non mi muovevo e non toglievo mai lo sguardo dal suo viso.

Osservavo con la più grande attenzione ed in silenzio assoluto, ogni movimento della sua mano.

Quasi non respiravo.

Sarei rimasto sempre con mio padre.

Non capivo perché non era possibile, non capivo perché ogni giorno ci lasciava ed andava via. Capivo ancora meno quando questo succedeva di sera e appena lui usciva di casa, noi tre, mia mamma, mio fratello ed io, andavamo a dormire.

Da soli.

Non comprendevo perché non restava a dormire con noi ed ancora meno, comprendevo quello che succedeva ogni volta, prima che lui andava via.

Eravamo tutti lì, nel’ ingresso, d'avanti alla porta di casa mentre si preparava, e prima di uscire, baciava me, poi mio fratello ed alla fine, mia mamma. Era una cosa tutta strana che non capivo.

Come un rito.

Ogni volta mi dava quattro baci.

In fronte, sulla bocca, su una guancia e poi sull'altra guancia.

In quei momenti, mi sembrava che fosse meno gigante del solito e non sapevo, non capivo il perché.

Ho capito poi, crescendo, che ogni volta usciva per andare a lavorare ed ogni volta ci baciava a tutti con il segno della croce.

Come se fosse per l'ultima volta che ci vedeva.

Infatti capitava molto spesso, troppo spesso che mariti e padri uscivano di casa per andare a lavorare e non tornavano mai più.

Era il prezzo che la miniera si faceva pagare.

Mi sono sempre sentito fortunato, privilegiato, perché il mio papà e sempre ritornato a casa, fino al giorno in qui non e più andato via.

Era arrivato il giorno della pensione.

Soltanto da quel giorno in poi, ho vissuto finalmente in totale tranquillità.

Quella tranquillità che ho sempre respirato in casa, come quando con le mie macchinine giocavo sui tappeti che coprivano il pavimento e passando indisturbato da una camera all'altra, facevo dei grandissimi viaggi conosciuti soltanto a me. Ricordo più di una volta le persone grandi della mia famiglia oppure ospiti, che per spostarsi all'interno della casa passavano con tanta attenzione sopra me, che in quel momento, mi trovavo sul loro cammino.

Nessuno mi ha mai disturbato.

Nessuno mi ha mai detto che stavo disturbando.

A viaggio finito, portavo sempre tutte le macchinine nel loro garage, al proprio posto.

Non erano tante.

Semplici, ma belle.

Il giusto di qui avevo bisogno per stare bene, e che non mi è mai mancato.

Il necessario non è mai mancato, e la convivenza nella famiglia andava avanti in modo molto naturale. Non si parlava tantissimo e sempre, ma quando si faceva, era in modo semplice ed essenziale.

Molto naturale.

Ci si capiva molto bene ed i risultati erano subito visibili.

Invece, erano molto più presenti e forse anche più importanti i gesti, gli esempi.

Da molto piccoli e semplici, ai più grandi che toccavano dal più profondo del proprio essere fino alla parte esterna. Ogni volta, subito dopo aver vissuto qualcuno di questi gesti, di questi esempi, mi sentivo più grande, più ricco ed anche più responsabile nei confronti dei miei famigliari.

Quasi tutto si faceva con i fatti, con tanti fatti.

Ogni volta, il risultato si vedeva subito, ed ognuno riusciva a trovare sempre il proprio posto, fare le sue cose e soprattutto rispettare gli altri in tutto e per tutto. Dai propri spazi nella vita vissuta in casa, alle cose materiali, facendo nascere e crescere sempre di più una convivenza molto equilibrata e pacifica.

Quei gesti mi hanno aiutato molto a non sentirmi fuori luogo, estraneo ed impacciato, nel giorno in qui ricordo la mia prima uscita, quando tenendo la mano di mia mamma, sono sceso di casa.

Uscendo dal portoncino d'ingresso del condominio ed appena varcata la soglia, ricordo che fuori c'era tantissima luce e che sul viso mi ha colpito dolcemente forte, un piacevole calore. Nelle orecchie ho sentito un boato molto forte, ma bello.

Erano le grida dei tantissimi bambini che giocavano.

In casa mi sembrava tutto molto grande, ma lì fuori era tutto gigantesco.

Sui due lati del marciapiede, subito prima dell'ingresso c'erano, una di fronte all'altra, due panchine di legno. Abbastanza lunghe, molto ampie e comode, verniciate di un bel colore verde.

Erano quasi piene tutte due di persone.

Più donne che uomini, e subito ero rimasto impressionato che tutti si avvicinavano a me. Volevano toccarmi, e quasi ognuno di loro mi stava chiedendo qualcosa. Non ho capito quasi nulla, ma mi chiedevo come facevano a conoscermi tutti.

Dietro le panchine, sui due lati e per tutta la lunghezza del condominio, c'erano dei giardini molto belli. La terra, tutta zappata era di un bel colore marrone scuro, con attorno una fascia di erba bassa, di un verde molto intenso.

Tutto era chiuso con una recinzione in ferro non alta e fatta di tante forme diverse tra di loro, colorata con dei colori vivi e molto belli.

L'interno dei giardini, era pieno di fiori ben ordinati, da molto piccoli e bassi, a più grossi ed abbastanza alti. Tutti fioriti ed i colori erano tanti e molto belli. Mi sembrava che qualcuno di quelli più alti e grossi, avevano anche un buon profumo.

L’ho sentito molto bene, quando con per mano mia mamma, abbiamo cominciato a passeggiare sul marciapiede vicino ai giardini ed in quei momenti, non sapevo a cosa fare più attenzione.

Dare più importanza.

Ai giardini da una parte, oppure a quello che vedevo da l'altra parte, perché la c'era una cosa impressionante. Una costruzione con tantissime finestre, che prendeva tutta la mia attenzione.

Un condominio gemello al nostro.

Sembrava vicino, ma era abbastanza lontano da poter lasciare lo spazio in mezzo, ad un campo che a me sembrava molto grosso. Su quel campo, in quel momento, in mezzo alla polvere sollevata da loro stessi, ed accompagnati da tantissime grida, un bel gruppo di ragazzi molto più grandi di me, correvano dietro ad un pallone.

Era il campo in terra rossa, dove poi crescendo, insieme ai miei amici del condominio, avrei giocato e vinto tante finali di "coppa del nostro mondo di calcio", contro le squadre di condomini vicini, o lontani nella città.

Mentre guardavo tutte queste cose, camminando insieme a mia mamma, con la mia mano nella sua mano, siamo arrivati alla fine del giardino. Li c'era una cosa ancora più bella di tutto quello che avevo visto prima. Un pezzo di terra, con l'erba alta, verde, piacevole, morbida e molto profumata. Lo so, perché appena arrivati, abbiamo lasciato il marciapiede e siamo entrati anche noi. La cosa ancora più bella e che nell'erba alta, c'erano non pochi bambini.

Tutti, della mia misura, della mia altezza.

Appena dentro, mia mamma, mi ha mollato la mano quasi spingendomi dolcemente verso quei bambini. Erano tutti insieme, radunati in un bel gruppetto, e sembrava che si conoscessero tra di loro.

Per me era la prima volta, oppure la prima volta che ricordo.

Molto bello, perché appena arrivato, non mi hanno respinto ed all'inizio, senza dire nulla, ma con dei gesti, mi hanno permesso di avvicinarmi e di stare con loro. Appena vicino, hanno cominciato anche a parlarmi, ma purtroppo lo facevano tutti insieme e non capivo nulla. Quello che ho capito molto bene e che erano di due categorie, perché c'erano quelli che in mano avevano una macchinina, oppure altri giochi che anch'io conoscevo, e c'erano quelli che avevano una specie di bambino molto, molto piccolo e morbido.

Era per la prima volta che vedevo delle cose così.

Quelli con il bambino morbido avevano anche i capelli più lungi.

Erano le femminucce, con le loro bamboline.

La cosa molto bella e che quasi ognuno di loro, maschietti e femminucce, mi voleva dare quello che aveva in mano, e mi sono subito sentito così bene insieme a loro, da non ricordare neanche più della presenza di mia madre.

Infatti, le persone grandi erano non molto lontane.

Vicine da poterci vedere bene, ma abbastanza lontane, per non fare parte di tutto quello che succedeva tra noi piccoli.

Noi piccoli, perché quella bella erba verde e profumata, mi arrivava quasi al petto.

È stato tutto bellissimo, e quando sempre con mia mamma per mano, siamo andati via per salire in casa, ero molto contento. Non vedevo l'ora di tornare di nuovo con la mia macchinina preferita, per farla vedere e toccare ai miei, ormai amici ed amiche.

Quello che sentivo era molto, molto bello e dentro il mio petto c'era un qualcosa che mi sembrava si muovesse.

Saltellava e forse era per via di quelle cose nuove e belle che vivevo.

Questa bella sensazione, mi faceva stare ancora meglio.

Mi capitava sempre più spesso ed un giorno, è stata così forte da avere quasi paura che veniva fuori dal petto.

Era il giorno in qui i miei genitori hanno detto che andavamo a trovare i nonni.

Ero felice, curioso ed impaziente.

Subito sono andato a prepararmi ed ero pronto per partire.

Mi hanno fermato, quasi bloccato i miei genitori, molto sorridenti e con dei modi molto tranquilli, divertenti e non riuscivo a capire niente, non riuscivo a capire il perché.

Mi chiedevo perché avevano già cambiato idea, se pochi attimi prima erano decisi di andare dai nonni.

I giorni dopo, ho visto che succedevano delle cose mai viste prima.

Cose comprate, depositate sui tavoli ed altri posti in casa. Roba da vestire che di solito stava negli armadi, appoggiata sui divani e sulle poltrone. Poi, quando non c'era più spazio per appoggiare niente, da nessuna parte, mio papà ha cominciato a mettere tutto in dei grossi contenitori abbastanza rigidi. Una volta pieni li chiudeva a chiave, e grazie ad una maniglia, li spostava per non essere di intralcio. Quando i tavoli, le poltrone ed i divani sono tornati puliti e liberi come erano di solito, mi è stato detto di prepararmi.

Stavamo partendo.

Scesi di casa, c'era mio padre che portava quei due grossi contenitori e mia madre con per mano me ed il mio fratello.

Abbiamo fatto poca strada.

Il marciapiede che affiancava i giardini del condominio ed il nostro bel pezzo di terra con l'erba tutta verde. Subito dopo, abbiamo attraversato il corso e ci siamo fermati sul marciapiede, da l'altra parte. Mio padre ha posato i due contenitori, e stavamo li fermi, insieme ad altre persone. Come ad un segnale, tutte le persone hanno cominciato a fremere e dopo pochi istanti, d'avanti a noi si è fermata una macchina molto grossa.

Siamo saliti tutti.

La macchina era tutta piena di gente.

C'era chi stava seduto e c'era chi, come noi, stava in piedi in mezzo a delle persone molto, molto più grandi di me. Tutte quelle cose nuove: la grossa macchina, le persone, il rumore del motore, le vibrazioni che si sentivano, il fatto che ogni tanto quella macchina si fermasse, e c'era chi scendeva e chi saliva, il tutto mi faceva sentire più rigido. La serenità che ho sempre vissuto dentro di me, la gioia perché si andava dai nonni, all'improvviso erano come scomparse e quello che sentivo era una cosa nuova.

Una cosa che mi toglieva la tranquillità e che non mi piaceva.

Quando mio papà mi ha preso in braccio, ho scoperto che quella grossa macchina, aveva finestre dappertutto intorno. Riuscivo a vedere fuori le case, i prati, le macchine e tutte le altre cose che andavano via.

Stavo già meglio.

Il mio respiro, che prima era molto corto, veloce, è ritornato ad essere quello che conoscevo.

Così tranquillo da non ricordarmi neanche che respiravo.

Purtroppo, dopo abbastanza poco tempo, la grossa macchina si è fermata, tutta la gente è scesa ed insieme alla gente anche noi.

Come quando siamo scesi di casa, mio padre ha preso i due grossi contenitori, mia madre ha preso per mano mio fratello e me e tutti insieme abbiamo cominciato a camminare. Dopo pochi passi, ci siamo trovati su un marciapiede molto stretto e con recinzioni molto alte sui due lati. Questo marciapiede sembrava diviso a metta, da una linea che non vedevo. Da una parte c'erano persone che come noi, andavano, e da l'altra parte c'erano persone che ci venivano incontro.

Era una cosa che non si fermava mai.

Persone che andavano e persone che venivano.

Molto ordinate, ma il tutto mi faceva sentire di nuovo come prima, non tranquillo. Dopo pochi passi, ho visto che il marciapiede dove stavamo camminando era molto, molto alto. Sotto, c'erano delle macchine molto più grosse e molto più lunghe di quella di prima, e si muovevano su e giù. Facevano tanto rumore e facevano tremare quel marciapiede dove stavamo camminando, ogni volta che una di quelle macchine passava sotto.

Tutti quei movimenti e tutti quei rumori, mi hanno fatto venire di nuovo quel respiro molto corto, molto veloce ed in quei momenti, per la prima volta, sentivo un'altra cosa che non avevo mai sentito prima in quel modo.

Un qualcosa che colpiva nel mio petto di dentro con tanta forza.

Lo faceva in un modo, ancora più veloce del mio respiro.

Erano come delle botte una dietro l'altra e non finivano mai. Abbastanza forti per poterle sentire, ma non mi facevano assolutamente nessun male. Dopo pochi attimi, ho cominciato a sentire le stesse cose anche nella testa. Ad ogni colpo, mi sembrava di sentire un rumore forte che veniva di dentro.

Più diventavano tanti e forti quei colpi, più l'unica cosa che desideravo, era di trovare di nuovo la pace che ho sempre vissuto prima.

Stavamo camminando già da un po', quando il marciapiede si è trasformato in una scala. Siamo scesi e ci siamo fermati su uno dei tanti marciapiedi che avevo già visto dall'alto. Messi molto ordinati uno di fronte all'altro.

Non ho fatto in tempo a vedere nulla, perché d'avanti a noi, mentre tremava la terra sotto i piedi, e facendo un rumore da non poter più sentire niente, si e fermata una macchina immensa. Aveva delle ruote di ferro molto grosse ed anche questa sul lato che vedevo, nella parte sopra, era tutta vetri.

La scala che mi sono trovato d'avanti era così alta che mio padre ha dovuto prendermi in braccio per farmi salire. Dentro c'era uno spazio molto ampio. Con tanti divanetti che potevano tenere due persone. Erano messi uno di fronte all'altro e di fianco, tra loro una grossa finestra. Nello stesso modo, da l'altra parte, dove c'era l'altra finestra. Due lunghe fila di divanetti messi ordinati, in coppia ed in mezzo, uno spazio, dove la gente andava avanti ed indietro.

Dopo il grande movimento all'inizio, tutte le persone hanno trovato un posto per sedersi.

Noi, ci eravamo seduti su due di quei bei divanetti morbidi e molto comodi. Su uno dei due di fronte a me, stava vicino alla finestra mio fratello e di fianco a lui, mia mamma. Mi sentivo molto protetto sul' altro, con mio papà.

Anche se attorno riuscivo a vedere non poche persone, il modo come eravamo seduti, mi dava un po' di intimità della nostra famiglia.

Mi faceva sentire sempre più tranquillo.

Questo ha fatto che quel qualcosa che mi stava saltellando nel petto ed il respiro molto veloce, sono andate via piano, piano, finché sono scomparse.

Quando sono ritornato a sentirmi come di solito, mio papà, ha cominciato a parlarmi, dicendomi che quella grossa macchina si chiama treno. Viaggia su una strada di ferro e l'unica cosa che ricordo ancora, è il buio totale.

Un silenzio assoluto.

Quando è ricomparsa la luce, di fronte al mio viso c'era la faccia di mia mamma. Provava a darmi un qualcosa che aveva in mano, dicendomi che è arrivata l'ora di mangiare. Ho subito guardato fuori dalla grande finestra e ho scoperto con curiosità che le montagne erano scomparse.

Era tutto piatto, e guardando in lontananza, sembrava senza fine.

Vedevo soltanto il sole molto grande che stava quasi toccando la terra, ma non riuscivo capire perché era più lontano di come era a casa nostra, e perché era tutto così piatto.

Con tutti questi grandi pensieri, con tutte queste domande senza risposte, mentre stavo ancora masticando, è sceso di nuovo il buio, e sono ritornato nel posto tranquillo, silenzioso e di pace assoluta, dove ero appena stato prima.

Quando per la via di rumori e movimenti che sentivo attorno, è ritornata di nuovo la luce, ho visto i miei famigliari già in piedi.

Appena il treno si fermava, saremmo scesi ed ero molto felice di farlo.

Non sono stato male, ma non vedevo l'ora di scendere, perché non mi sentivo libero, poi, pensando che incontravo per la prima volta i nonni, non vedevo l'ora di farlo subito.

Ero curioso se il mio nonno assomigliava a quello di Heidi.

Non vedevo l'ora che si fermava il treno.

Appena questo è successo, nel mio petto, nel posto dove alla partenza mi saltellava tutto, in quel momento è stato come se una grossa mano stringeva con molta forza.

Il mio nonno non c'era.

Appena scesi, mio padre con le valige e mia madre con noi due fratelli per mano, abbiamo cominciato a camminare. Dopo un pezzo molto corto, siamo arrivati in un posto dove c'era ancora più movimento e disordine di quelle della partenza. C'erano tanti autobus messi in ordine uno di fianco all'altro. Tanta gente che camminava, oppure correva da tutte le parti, in un modo disordinato, ma il punto di arrivo per tutti erano gli autobus.

Dopo un po' di tempo, ci siamo avvicinati anche noi ad uno.

C'era tanta gente e non finivo di guardare tutte quelle persone, perché mi incuriosivano molto. Tutte quelle persone, uomini e donne, erano completamente diverse da quelle che vedevo di solito.

Gli uomini sembravano meno giganti ed erano vestiti in un modo che non avevo mai visto prima.

Tutti avevano il capo coperto con dei capelli molto belli.

Anche le donne, portavano dei vestiti totalmente diversi di quelli che avevo sempre visto e mi sembravano non belle. Avevano gonne fino quasi a terra, e sopra, vestiti con maniche lunghe. Il capo coperto con dei fazzoletti molto colorati, anche se faceva caldo.

Sembravano tutti molto anziani.

Il loro modo di parlare era completamente diverso del nostro. Si capiva benissimo cosa dicevano, ma lo facevano in un modo che non avevo mai sentito prima.

Mi scappava da ridere sentirli.

Appena seduti tutti, l'autobus e partito e dopo aver fatto un pezzo in mezzo ai palazzi ed alle macchine, ci siamo trovati quasi all'improvviso che non c'era più nulla.

Eravamo usciti dalla città.

Da una parte e dall'altra della strada, c'erano soltanto delle colline. Non erano molto alte ed avevano delle forme molto belle.

Cosi rotonde e morbide che sembravano costruite da chi sapeva fare molto bene quel lavoro. Erano di un verde molto bello, così forte e così intenso, che nei punti dove erano vicinissime alla strada, faceva quasi male agli occhi guardarle con attenzione.

Mentre l'autobus continuava ad andare, nelle colline ho cominciato a vedere, prima ogni tanto poi molte di più, delle costruzioni piccole, basse, ma molto belle che fino in quel momento non avevo mai visto così tante.

Tutte insieme.

Mi e stato detto che erano le abitazioni dei contadini, e quando quelle case sono diventate molte di più e sempre più attaccate una all'altra, l'autobus si è fermato.

Dopo che un po' di gente è scesa ed un altro po' è salita, è ripartito.

Quasi subito le case sono diventate di nuovo sempre più lontane una dall'altra finché sono scomparse del tutto e le colline che vedevo erano ancora più belle. Si vedevano dei pezzi neri che sotto il sole luccicavano ed intorno altri pezzi colorati di verde. Non più come prima in modo unico, ma con tanti tipi di verde.

Uno più bello dell'altro.

La cosa più bella in assoluto, da perdersi dentro mentre si guardava, erano dei immensi pezzi di giallo, fresco e molto luminoso. Coprivano alcune colline del tutto e scendevano fino alla strada. Piante fini e molto delicate. Un po’ più alte dell'erba dove andavamo a giocare con i miei amichetti. Sii muoveva tutto insieme avanti ed indietro, senza mai fermarsi ed ogni volta, il giallo cambiava. Sembrava che il sole era sceso sulla terra, e non era ancora deciso da quale parte andare. Se avanti, oppure indietro, se su, oppure giù e nella sua indecisione, permetteva a me di vedere una delle cose più belle mai viste fino in quel momento.

Uno spettacolo unico.

Mi sentivo in pace.

Riposato, tranquillo, sfamato e dissetato.

Una sensazione nuova per me.

Meravigliosamente bella.

Per quanto stavo bene, sarei rimasto così per sempre, ma purtroppo il giallo è finito ed al suo posto, sono comparse altre case. Come prima, quando le case sono diventate sempre di più e sempre più vicine, l'autobus si è fermato.

Questa volta siamo scesi anche noi.

Appena sceso, mi è sembrato di essere arrivato in un altro mondo.

Quando l'autobus con il suo rumore è andato via, anche se attorno era pieno di case ed eravamo sulla strada, ho sentito un silenzio così forte, come mai prima.

Si sentiva soltanto il silenzio e niente altro.

Forte ed intenso.

Mi colpiva con tanta piacevole forza nelle orecchie quel silenzio ed ero molto impegnato nel ascoltarlo, capire qualcosa in più, ma il tutto è stato interrotto da una voce maschile che diceva:

< Fattemi vedere il mio nipote più piccolo >.

Il suono della voce, anche se normale, sembrava quasi che rimbombava in quel splendido silenzio.

Era il mio nonno.

Mentre si abbassava per baciarmi ed abbracciarmi, ho visto subito che non assomigliava al nonno di Heidi.

Anche lui, era vestito come gli uomini visti prima.

Su quello che vedevo d'avanti ai miei occhi per la prima volta, quella faccia di fronte alla mia, non saprei dire quasi nulla, a parte i suoi occhi molto blu e molto profondi e luminosi. Però, dentro il mio petto, quella cosa che all'inizio del viaggio saltellava affannata, poi si era sentita stretta da quella grossa mano, poi aveva sentito la pace, quella cosa lì, in quel momento era molto tranquilla e si sentiva molto protetta.

Quasi accarezzata.

Sembrava che si stava appoggiando dopo tante fatiche su un morbido cuscino.

Finalmente, il mio cuore era tranquillo e stava riposando.

Sembrava quasi un sogno molto bello, tranquillo e nella luce, che però è stato quasi subito interrotto da una cosa molto ruvida che ho sentito sulla mia guancia. Era la mano del mio nonno, che con un movimento molto delicato, mi aveva preso vicino a lui. Con tanta tranquillità, a piccoli passi, i miei passi, abbiamo cominciato a camminare.

Lui trascinava un carretto, dove stavano in quel momento le due valige. Dietro al carretto c'erano mio papà, mia mamma e mio fratello.

Mentre andavamo avanti ho cominciato a sentire di nuovo quel silenzio molto forte, ma molto bello che era interrotto soltanto dal rumore dei nostri passi che rimbombavano come un eco. Ogni tanto quando si sentiva qualche parola, sembrava così forte che veniva quasi la voglia di chiedere subito scusa al silenzio per averlo disturbato.

Dopo non tanto tempo, abbiamo lasciato la strada su quale eravamo venuti con l'autobus ed abbiamo iniziato a camminare su un'altra che cominciava li.

Era diversa da tutte le altre strade che avevo visto fino in quel momento.

Aveva un colore marrone molto, molto chiaro, quasi giallo e cominciando a camminare sopra l’ho sentita sotto i piedi più morbida di come erano tutte le altre strade che conoscevo. Più morbida, ma abbastanza durra per non sprofondare. Vedendo la polvere alzata dall’immenso carretto con quattro ruote e trascinato da due grossi cavalli, appena passato, ho capito che era una strada fatta di terra. Guardando poi con attenzione mio fratello ed i miei genitori che camminavano uno dietro l'altro, su un lato, dove finiva la strada, ho visto sotto i loro piedi, una fila di grossi sassi molto piatti, messi così ordinati, da sembrare quasi un marciapiede.

Non ho fatto in tempo a capire di più, perché ho sentito la voce della mia mamma dicendo:

< Siamo arrivati.>

Eravamo d'avanti ad un cancello in legno.

Molto bello e molto grosso. Tutto colorato di un verde molto fresco. Bucherellato ogni tanto in un modo così bello che sembravano dei grandi fiori. Non riuscivo a vedere nulla di quello che era dietro al cancello, ma di sopra vedevo una casa come quelle già viste dall'autobus. Di un colore cosi chiaro e caldo che sembrava un pezzo del cielo di quel giorno sceso sulle sue pareti. Mentre provavo a guardare con più attenzione, da dietro ho sentito dei rumori.

Subito dopo, si è aperta una piccola parte di quel grosso cancello.

Una parte dove potevano passare al massimo due persone e da dietro, dopo aver aperto, ci è venuta incontro una donna.

Anche lei era vestita come quelle donne che avevo già visto prima. Con una gonna quasi fino a terra, con le braccia tutte coperte e sul capo, un fazzoletto che lasciava vedere soltanto la faccia.

Era la mia nonna.

Appena passati oltre il cancello, si apriva un mondo tutto nuovo e completamente diverso di quello che avevo mai visto prima.

Il cortile era molto bello, molto ordinato.

Una parte era coperta di erba molto bassa, morbida e di un verde molto forte. La parte che rimaneva era tutta terra di marrone abbastanza scuro, ma bello.

Su tutta la parte destra, dall'inizio e quasi fino in fondo al cortile, c'era la casa che avevo già visto prima dalla strada. Di fronte alla casa, sul' altro lato del cortile, un muro tutto verde che usciva dalla terra ed era alto quasi come le pareti della casa.

Vicino a quel muro verde, l'aria sembrava più fresca, faceva meno caldo e c'era un buon profumo.

Quel muro verde, era tutto pieno di grossi grappoli d'uva con i chicchi un po' verdi ed un po’ appena colorati.

Più verdi che colorati.

In fondo al cortile, messa di fronte al cancello di dove eravamo entrati, c'era un’altra casa.

Molto più piccola e meno bella di quella grande.

Dopo pochi attimi e come se fosse stato dato un segnale da mia nonna, le tre bambine che fino in quel momento stavano tranquille su una bella panchina di legno, vicina, quasi attaccata al muro verde, si sono alzate e dopo che si sono avvicinate, ognuna di loro ha detto il suo nome.

Appena sentiti, non ricordavo più il nome di nessuna.

Tutte più o meno della mia misura.

Erano le mie cugine.

Una di loro, senza dire nulla a nessuno, si è avvicinata, mi ha preso per mano e quasi trascinandomi, ha cominciato a portarmi lontano da tutti gli altri. Tornando verso il cancello e poi girando tra la casa grande ed una recinzione attraverso quale si poteva vedere la strada di dove eravamo venuti, mi ha portato dietro alla casa.

Appena girato l'angolo, d'avanti agli occhi avevo un’altra cosa nuova. Un piccolo cortile, fatto tutto di terra, tra la casa ed un altro muro verde. Questo, era fatto di tantissime piante, tutte una vicina all'altra in un modo molto ordinato.

Piante che vedevo per la prima volta.

Erano molto sottili ed al meno due o tre volte più alte di me. Quando si muoveva l'aria, si muovevano tutte nella stessa direzione, facendo un bel rumore tranquillo, delicato, ma molto strano. Sembrava quasi il rumore del grande fiume che ho visto vicino a casa nostra con il mio papà.

Sopra tutto quel piccolo cortile, come un soffitto c'era un altro muro tutto verde che non faceva passare la luce del sole e da qui scendevano dei grossi grappoli d'uva con i chicchi molto più grossi di quelli appena visti.

Sotto la vite, nel forte caldo della giornata, l'aria era di un fresco profumato così buono, da non sembrare vero. Per terra, c'era un movimento veloce, disordinato e continuo di: galline, galli, tacchini, papere, oche e qualche mamma di queste razze, che in quel continuo movimento cercava dei posti più tranquilli per i suoi pulcini.

Era una cosa bellissima che prima, avevo visto soltanto in televisione.

Sembrava che ognuno sapeva quale era il suo posto ed anche se non si fermavano mai, nessuno dava fastidio o disturbava nessuno.

Non ho fatto in tempo a rispondere alla domanda della mia cugina se mi piaceva, oppure no perché, tenendomi sempre stretto per mano, mi ha riportato nel cortile dove eravamo arrivati. Passando vicino a tutti gli altri molto veloce e senza fermarci, siamo andati verso la piccola casa in fondo al cortile.

Camminando, mi ha fatto vedere alla fine del muro verde sulla sinistra, un grosso cane che vedendoci, o forse soltanto vedendo me che ero nuovo lì, ha cominciato a camminare deciso ed abbaiare molto forte.

Stavo per fuggire via dalla paura, quando ho sentito la mano della mia cugina che mi teneva ancora più forte e stretto.

Mentre lo faceva, mi diceva di non avere paura perché era legato ad una catena.

Il suo comportamento sicuro ha riportato subito la tranquillità anche a me, ma dentro il mio petto, quel qualcosa che ormai conoscevo, cioè, il mio cuore, aveva già cominciato a correre molto forte.

Siamo andati sempre avanti ed alla fine della casa grande, sulla destra del cortile, mia cugina mi ha fermato e siamo entrati dentro una piccola casetta, tutta di legno che prima non avevo neanche visto.

Dentro, l'aria era così forte che mi pungeva il naso e l'odore non era buono, ma la curiosità di vedere cosa c'era dentro, più forte di qualsiasi altra cosa.

Era la casetta dei maiali.

Tutti abbastanza grossi. Si muovevano tranquilli e ci venivano anche vicini facendosi accarezzare senza nessun timore. In quei momenti, anche se la cosa cominciava a piacermi, quello che aveva più paura tra tutti, credo che ero io.

Appena usciti dai maiali, siamo entrati nella piccola casa.

Per terra era tutto legno, ma coperto con un grosso strato di erba seccata. L'odore mi è subito piaciuto molto, anche se non lo conoscevo.

Si sentiva una grande pace.

In quel giorno in qui, quasi tutto ciò che ho visto e vissuto era per la prima volta, quello che avevo d'avanti in quel momento, oltre ad essere per la prima volta che vedevo, era anche la cosa più bella mai vista da vicino fino in quel momento.

Una mucca.

Tutta di un bel marrone, quasi rosso con delle macchie bianche sul petto, sulla pancia, sulle gambe e tutta la faccia. Legata alla sua mangiatoia, mentre masticava tranquilla, ci guardava nello stesso modo. Non mi sembrava vero ed ero fermo, senza parole, quasi perso nel guardare ed esaminare la mucca più che potevo, quando la mia cugina mi ha quasi svegliato per farmi vedere un'altra cosa che, preso dalla curiosità per la mucca, non avevo visto prima.

In quel momento, ho capito che avevo sbagliato.

Era quella la cosa più bella vista in quel giorno.

Il figlio della mucca.

Un piccolo vitellino.

Era seduto in un angolino tra il muro e la mangiatoia e dall'erba secca si vedeva soltanto un faccione bianco, bello e dolce. Un musetto rosa molto umido e due occhioni neri, grossi, puliti e luminosi. Ogni tanto muoveva le orecchie buffe che sembravano più grosse della testa.

Aveva una settimana da quando era arrivato.

Dopo essere usciti dalla stalla, si chiamava così la piccola casa ed era un'altra cosa nuova imparata in quel giorno, attraverso un piccolo cancelletto alla sua sinistra, siamo andati dietro. Appena arrivati, mi sono detto che se il Paradiso esiste, deve essere come quello che vedevo in quel momento.

Un pezzo abbastanza grosso con tutta erba e tanti alberi.

L'erba non era molto alta. Di un verde mai visto prima e toccandola era cosi soffice, cosi morbida, da sembrare una di quelle camicette eleganti che indossano le donne nei giorni di festa.

Il profumo era buonissimo.

Gli alberi non erano molto grossi e le loro foglie con il movimento dell'aria, facevano quasi lo stesso bel suono del muro verde, dietro alla casa.

Ho visto che oltre le foglie c'era dell'altro sulle piante.

Quando la mia cugina mi ha detto che se volevo mangiare della frutta, dovevo prendere quella caduta da sola per terra. perché era più buona di quella ancora sugli alberi, non mi sembrava vero.

Potevo mangiare della frutta subito.

Senza dover andare al negozio e senza doverla pagare con i soldi.

Da quel momento, il pezzo di terra dove eravamo, per me e diventato per davvero Il Paradiso, perché c'erano al meno sei o sette tipi diversi di frutta. Frutta che ogni bambino avrebbe voluto e che io potevo mangiare tranquillo.

Subito.

Purtroppo quel sogno bellissimo è stato interrotto da una voce di donna che da l'altra parte della stalla chiamava per nome me e mia cugina.

Dovevamo andare a mangiare.

Stavamo già andando ed ero molto contento, perché finalmente avevo capito come si chiamava la mia cugina.

Ritornando nel primo cortile, ho visto che c'era un continuo avanti ed indietro tra la prima porta della casa verso la stalla, ed un tavolo che e comparso vicino al muro verde, di fianco alla bella panchina in legno.

Ho visto in quel momento che la vite, diventava anche soffitto per un buon pezzo del cortile, come quello dietro la casa.

Mentre mia nonna e la mamma delle mie cugine preparavano il tavolo, insieme ai miei genitori ed al mio fratello sono entrato per la prima volta nella casa dei nonni.

Fuori faceva molto caldo ed entrando, per quello che ho sentito, sono rimasto per un attimo quasi bloccato sulla porta.

Un bellissimo fresco, molto gentile e ben profumato che mi avvolgeva dappertutto.

Mi sentivo dolcemente accarezzato.

Una cosa bellissima.

Non sapevo di cosa erano quei buoni profumi che mai avevo sentito in una casa prima di quel momento. Sapevo con certezza, che i profumi, insieme al fresco, al grande silenzio ed alla pace che si sentiva dentro, erano un forte invito per restarci.

In quel momento, dopo aver guardato bene in giro, era l'unica certezza che avevo, perché di domande ne avrei avuto da fare tantissime.

Tutte insieme.

Era una casa completamente diversa della nostra e di tutte le altre che avevo mai visto fino in quel momento.

Due camere molto grosse con delle finestre forse un po' piccole che non facevano entrare tanta luce. Per terra non c'erano tappetti come a casa nostra ed appena entrati, le scarpe non si toglievano. Il pavimento era molto scuro ed abbastanza duro e mio papà mi ha spiegato che era fatto di terra battuta. Le pareti erano colorate con dei colori molto belli e chiari. I soffitti, fatti di legno. Erano così belli per la loro forma, che sono rimasto con il naso in su a guardarli per un bel po'.

Anche i mobili erano tutti diversi dei nostri.

Avevano quasi tutti lo stesso colore dei soffitti. Un marrone abbastanza scuro, ma piacevole ed avevano tagliate, scolpite, delle forme una più bella dell'altra, che insieme ai disegni fatti con dei colori molto piacevoli, facevano restare a bocca aperta, d'avanti ad ogni cosa.

Piccola o grande.

Appesi ai soffitti, c'erano dei lampadari completamente diversi dei nostri.

Molto più piccoli, ma molto più interessanti.

Fatti di vetro, ferro molto fine e tela bianca con dei bei disegni molto colorati.

Non riuscivo a capire a cosa serviva il liquido che si trovava al loro interno e che riuscivo a vedere attraverso il vetro.

Tutti quei dubbi sono rimasti un po' in aria, allo stesso modo di come mi sono trovato, quando all'improvviso mio papà mi ha alzato, per poi lanciarmi nel gradissimo letto.

Bellissimo, ma, appena atterrato, sono venute fuori altre domande.

È stato un atterraggio molto morbido, ma non sono stato rimbalzato in aria come a casa quando saltavo sopra il letto con il mio fratello. Il materasso faceva un rumore tutto strano che non conoscevo. Il profumo che sentivo era molto buono, la curiosità, molto grande e senza neanche fare la domanda, mio papà mi ha dato subito la risposta.

Era un materasso fatto con il fieno.

Mia mamma era già pronta per vestirmi in tenuta da battaglia e lo ha fatto mentre ero ancora sopra il letto.

Pantaloncini corti, maglietta e sandali.

Appena pronto, siamo usciti ed eravamo gli ultimi che si dovevano ancora sedere intorno al grande tavolo.

C'era un po' di gente e non conoscevo quasi nessuno, ma non era importante, perché la mia attenzione è stata subito attirata da tutto quello che c'era sopra il tavolo.

Tutto molto bello.

La tovaglia che lo copriva era molto bella ed il suo colore bianco, mi sembrava ancora più bianco, quando guardavo tutti i suoi disegni, colorati con tutti i colori più belli e caldi, ma quello che era sopra il tavolo, toglieva il fiato.

Cose che ogni tanto vedevo e mangiavo anche a casa nostra mentre sentivo che erano mandate dai nonni, ma sul tavolo, c'erano anche tante altre che non avevo mai visto prima.

Non c'era del cibo cucinato.

Su un grosso piatto in centro, c'erano delle salcicce di un marrone intenso e piacevole interrotto ogni tanto da alcune piccole macchioline bianche. Erano tagliate a rondelle molto fini e delicate. Tutto intorno, delle fette di pancetta in quale le strisce bianche, quelle rosa, quelle rosse che poi diventavano quasi marrone, erano così ordinate da chiedersi come mai erano venute così bene se nessuna persona ci ha mai lavorato per metterle in ordine. Alla fine, all'esterno del grosso piatto e sempre tutto intorno, c'erano delle grosse fette di formaggio. Il colore non era né bianco e neanche giallo, ma molto bello.

Forse perché aveva visto la mia faccia, la mia cugina salvatrice, mi ha subito detto che il formaggio, l'ho aveva fatto la nostra nonna, con il latte della mucca appena vista.

Di fianco al grosso piatto, c'era un altro.

Sempre rotondo, ma ancora più grosso e molto profondo. Dentro, in piccoli pezzettini, c'erano tutti i colori che potrebbero essere immaginati.

Tutti molto belli, molto vivi e molto freschi.

Era l'insalata dentro quale secondo mia nonna, ci volevano ancora dei pomodori e mentre stava ancora parlando, si è alzata ed attraverso un piccolissimo cancello, è sparita dietro al grosso muro verde della vite. Non ho fatto in tempo a stupirmi della sua mossa che è subito ritornata. In mano, aveva un po' di pomodori e dopo averli subito lavati, li ha tagliati dentro l'insalata.

In un altro grosso contenitore quasi piatto, c'erano tanti tipi di frutta bel colorata, di quella che avevo già visto per terra e sugli alberi nel Paradiso.

Sempre lì vicino, c'era un pezzo di legno grosso e piatto che mi incuriosiva molto, ma la cosa che aveva sopra toglieva il fiato.

Era un pane immenso tagliato a metà.

Molto alto, con tanta mollica.

Dentro era di un bianco che guardato fisso e per tanto tempo toglieva la vista.

Era bellissimo vedere come verso l'esterno, in pochissimo spazio, il bianco diventava giallino, poi marrone molto chiaro e poi il marrone scuro della crosta, che chiedeva soltanto di essere mangiata.

Tutte quelle belle cose sopra il tavolo, liberavano dei profumi così forti e cosi buoni, da sentirmi quasi sazio, prima ancora di cominciare a mangiare e quando mio papà mi ha svegliato dai miei profondi sogni, ho capito che mi chiamava per andare insieme a lui a fare un qualcosa.

Portare l'acqua fresca in tavola.

Stavamo camminando e mi chiedevo perché lo voleva fare, visto che vicino al nonno c'erano due bottiglie di vetro trasparente già piene. Una, aveva dentro un liquido di un colore giallo molto chiaro e molto bello che non sapevo che cos'era, ma l'altra aveva un liquido senza colore.

Per me l'acqua.

Con mio papà che aveva in mano un secchio ed il mio fratello, siamo andati dietro alla casa, lì dove c'erano le galline. Appena arrivati, mio papà ha aperto una piccola porticina nella parte alta del piccolo e bellissimo gabbiotto in legno che avevamo di fronte. Nella parte alta della casetta, da una parte al' altra, ho visto un grosso pezzo di legno rotondo su quale era raccolta in modo ordinato una catena. Alla fine della catena, un secchio di metallo.

Quando mi ha preso in braccio ed alzandomi mi ha fatto guardare dentro, la prima cosa che ho sentito e stato un bellissimo fresco umido molto profumato, che mi ha colpito forte, ma dolcemente in faccia.

Ho visto un grosso buco, non molto profondo e fatto tutto intorno di sassi molto grandi.

Alla fine del buco, l'acqua.

Faceva tanto buio dentro, ma la cosa bella era che mentre parlavo, sentivo la mia voce molto più forte e sembrava che di sotto qualcun' altro che aveva la mia voce, mi rispondeva con le mie stesse parole.

L'eco rimbombava molto forte e molto chiaro.

Poi, mio papà, girando una grossa ruota al' esterno del piccolo gabbiotto in legno, ha fatto scendere il secchio di ferro legato con la catena e dopo un po’, lo ha riportato su.

Pieno di acqua.

Mentre dal secchio di ferro la stava versando nel secchio che lui ha portato, ho visto che era molto limpida.

Con una tazza di ferro che era dentro il gabbiotto, ci ha fatto bere.

Era così fresca che con il caldo di fuori, la sentivo mentre scendeva nella mia pancia. Aveva un gusto molto buono ed era completamente diversa dell'acqua che avevamo noi a casa.

Ritornati con l'acqua fresca a tavola, ho capito che era l'unica cosa che mancava prima di cominciare a mangiare, perché ci stavano tutti aspettando.

Dopo averla messa in un grosso contenitore marrone con una forma tutta strana, qualcuno dei grandi mi ha spiegato che era fatto di terracotta per poter tenere l'acqua fresca. L'altra acqua che ho visto in bottiglia, andava bene li perché si chiamava grappa ed insieme al liquido giallo nella seconda bottiglia, che si chiamava vino, erano fatti dal mio nonno e bevuti soltanto dai grandi.

Non avevo capito quasi niente di queste ultime cose, ma non ho fatto domande.

Non mi interessava, non mi riguardava, perché da grandi.

Poi mi è stato detto che tutto quello che c'era sul tavolo in quel momento, era da assaggiare perché fatto dai miei nonni e questa sì che era una cosa che mi interessava e non comprendevo. Soprattutto mi interessava capire, come erano riusciti i miei nonni a fare così bene e con così tanti colori, quelle belle fette di pancetta vicino alle rondelle di salsiccia.

Non ho avuto il tempo di fare partire nessuna di tutte le mie domande ed ancora meno di avere delle risposte, perché mentre tutti insieme, in allegria, con poche parole e forti risate che ogni tanto rompevano il grande silenzio, ci si andava avanti con il bel lavoro di svuotamento dei contenitori sul tavolo.

Quando il bel lavoro era quasi finito, all'improvviso ho sentito una voce che dentro mi ha fatto venire il freddo. Freddo, come la neve con qui giocavo d'inverno, anche se la mia pelle era tutta molto calda, quasi sudata. Non sapevo chi era stato, ma avevo capito benissimo quello che aveva detto.

Mandava noi piccoli a dormire.

Mentre i grandi stavano ancora togliendo le cose dal tavolo, insieme alle tre cuginette, ero già sul grosso lettone provato prima. Dormire di pomeriggio era l'unica cosa che fino in quel momento della mia vita non ho mai accettato volentieri, ma appena rimasti da soli, ho visto che era tutto molto diverso di come era a casa, quando dovevo dormire.

Appena chiusa la porta, dentro e ritornato il grande silenzio.

Con la bella aria fresca che c'era, il profumo del materasso sembrava ancora più forte ed ancora più buono di prima. La coperta, anche lei tutta nuova per me, era cosi morbida sulla pelle che invogliava a restare lì, ma non volevo dormire lo stesso. Volevo usare quel tempo per vedere e capire un po' di più tutto quello che avevo intorno, però la luce bassa non mi aiutava.

Purtroppo per me e senza sapere per quale motivo, quella luce diventava sempre più bassa.

Finché e scomparsa del tutto.

La luce e tornata, quando ho sentito delle belle voci molto vicine. Erano le mie cuginette, in piedi in giro per la camera ed il mio primo pensiero e stato:

< Meno male che ci sono anche loro ad alzarsi prima, perché così non devo più dormire >.

Non ho fatto in tempo a finire quel grande pensiero, perché nella porta che si è aperta, oltre la luce potente di fuori, è entrato anche il mio fratello. Scherzando ci diceva di scendere dal letto, perché erano quasi tre ore che stavamo lì e nelle vacanze non si deve dormire mai così tanto.

Non credevo nulla, ma non ho aspettato di sentire per la seconda volta quello che aveva detto.

Con i miei dubbi, tutti insieme, siamo usciti.

Fuori faceva ancora molto caldo e la luce era forte.

Per tutto quello che ho sentito uscendo di casa, mi sembrava quasi di essere al mattino quando mi svegliavo ed i miei dubbi sono diventati ancora più forti.

Come sempre, al meno una grande domanda girava libera per la mia testa.

Anche in quel momento ne avevo una:

< Ho dormito, oppure no? >.

Poi, quando mio fratello mi ha fatto vedere una grossa bacinella di metallo con dentro dell'acqua e ho visto le mie cuginette lavorando già sodo nel lavarsi la faccia, i dubbi sono scomparsi del tutto e sono venute fuori le mie grandi conclusioni. Era per la prima volta nella mia vita che quella cosa lì, quella che mi ha sempre fatto soffrire, cioè dormire di pomeriggio, era diventata bella, piacevole e facendo un po' più di attenzione a me stesso, ho capito che mi faceva stare anche molto, molto bene.

In quel momento, mi è sembrato che i miei pensieri hanno finito le parole e di domande non ne avevo più.

Il posto di tutto ciò è stato preso da un'immensa soddisfazione che dentro mi faceva sentire come mai prima.

Una tale leggerezza, da non sentire più il mio peso.

Erano passate soltanto poche ore da quando ero arrivato a casa dei miei nonni, ma tutte quelle tante cose nuove viste e vissute, mi facevano stare sempre meglio in ogni momento. Stavo benissimo e mi sono reso conto per la prima volta che non riuscivo a trovare parole abbastanza buone per raccontarmelo bene.

Mentre nel mio stare bene, mi stavo quasi sollevando da terra, ho sentito la mano decisa, ormai conosciuta, della mia cugina salvatrice, che mi trascinava a raggiungere tutti gli altri bambini già partiti per andare nel Paradiso, dietro alla stalla.

Quando siamo arrivati, ho visto che c'erano anche altri bambini che non avevo mai visto prima.

Erano di varie misure, quasi tutti più grandi di me e guardando bene i loro modi di fare, di vestire, sentirli come parlavano, mi sembravano diversi tra di loro. Poi, giocando in totale libertà nel Paradiso senza vedere e sentire nessun grande vicino, parlando tra di noi, ho capito che ci eravamo incontrati, perché tutti noi, da tante città, avevamo appena fatto la stessa cosa.

Eravamo venuti in campagna, per trovare i nonni.

Per un lungo tempo, dal correre dietro ad un pallone, tutti insieme in un grande disordine, al fare le capriole, salire, scendere ed ogni tanto anche cadere dagli alberi o rincorrerci sul bel prato, abbiamo fatto un po' di tutto. Più passava il tempo, più stavamo scoprendo che eravamo tutti affannati, sudati e con i vestiti molto dipinti dai forti colori della terra, dell'erba, degli alberi e di qualche frutto schiacciato per terra. Poi, in un certo momento, è stato interrotto tutto dalla voce di una donna che da l'altra parte della stalla, ci chiamava ad andare per mangiare qualcosa di buono. Mentre la voce della donna diceva ancora qualcosa, un'altra voce, vicinissima a me, gridava: < chi arriva l'ultimo è... >

Dopo, non ho più capito nulla perché, seguivo i più grandi che correvano già.

Il problema grosso è stato, quando dal piccolo cancelletto, di fianco alla stalla, non siamo riusciti a passare tutti insieme e forse, quello era anche il segnale che il nostro Paradiso finiva li.

Eravamo tornati nel cortile.

Siamo entrati tutti in casa dall'ultima porta verso la stalla, lì dove non ero ancora entrato.

Era una stanza molto grande e piena di gente in quel momento. Molti di loro non avevo mai visto prima. Non sono riuscito a capire quasi nulla di come era fatta quella camera, ma dai profumi che sentivo, ero sicuro di essere entrati nella cucina. Nell'attimo dopo, mi sono visto d'avanti una faccia molto, molto bella.

Non lo so se era una ragazza grande, o una donna molto giovane, ma so che il profumo delle creps sul grosso piatto nelle sue mani, in quel momento d'avanti al mio naso, non mi faceva più pensare a niente altro, e prima ancora di sentire la sua voce, stavo già masticando il primo boccone.

Appena assaggiata ho sentito che era ancora più buona di quello che pensavo.

Era molto soffice e dentro aveva una marmellata scura, con un gusto che conoscevo molto bene, perché ogni tanto a casa, mentre mi gustavo quella buonissima marmellata, sentivo che era la marmellata di prugne fatta e mandata dalla nonna.

Dopo la prima, è arrivata anche la seconda, la terza ed inutile dire che nella fretta di mandarle giù per poter prendere subito un'altra prima che finivano, un po' di quella buona marmellata, invece di finire n bocca finiva sui vestiti, provocando un grande dolore, perché andava sprecata.

Mentre noi piccoli stavamo svuotando il vassoio delle creps ed il contenitore dell'acqua fresca, i grandi che riuscivo a vedere sempre meglio nella bassa luce della cucina, donne e uomini, continuavano i loro racconti.

I posti dove ci si poteva sedere o stare comodi, erano tutti pieni ed era molto bello vederli, ma la cosa ancora più bella era che oltre il silenzio disturbato soltanto dalle loro voci, nei loro racconti, si sentiva una grande pace in quale ci siamo persi anche noi piccoli, ognuno appoggiato alla sua mamma come i cuccioli, ascoltando quelle storie dei grandi.

Era una di quelle cose che mi facevano sentire tranquillo e sazio.

Beato.

La tranquillità è aumentata sempre di più, vedendo che nessuno dei grandi protestava per i nostri vestiti molto sporchi. Come se nessuno vedeva niente.

Il motivo non lo sapevo, ma sentivo che era un giorno di grande festa per tutti.

Poi, quando dalla finestra ho visto che il sole cominciava a scendere per andare a dormire, la cucina è cominciata a svuotarsi finché siamo rimasti: noi quattro, con i miei nonni, le mie cuginette e la loro mamma.

Loro abitavano li, sulla stessa via, molto vicino ai nonni ed il loro papà non c'era, perché al lavoro.

Quasi subito dopo, mentre si alzava, il mio nonno ha chiesto a noi piccoli se volevamo darli una mano nel suo lavoro.

Stava ancora parlando quando è uscito di casa, ma con tutti noi già intorno a lui.

Seguendolo in tutto quello che faceva, ci siamo trovati dietro casa nel cortile delle galline, e mentre lui buttava per terra da un grosso contenitore dei bellissimi chicchi gialli, insegnandoci che erano di grano turco, guardavamo la calca che si era formata attorno a noi.

Vedendo sorridevo, perché sembravamo noi con il piatto delle creps.

Finito lì, il nonno ci ha dato il compito di tornare tra un po’, per chiudere tutte le gabbie dopo che ogni creatura sarà entrata al suo posto per la notte, poi siamo ritornati nel cortile. Insieme a lui, per la prima volta mi sono avvicinato al cane e mentre le dava da mangiare lo toccato.

Per me è stato come volare sulla luna.

Era la prova di coraggio più grossa mai fatta fino in quel momento della mia vita.

Quasi subito dopo, guardandolo bene, mi è sembrato di vedere che non aveva la faccia di un cane cattivo, anzi. Purtroppo, non ho fatto in tempo a concludere tutti i miei pensieri e preparare i miei progetti futuri su come fare amicizia con il cane, perché ci siamo trovati nella casetta dei maiali ed anche loro, come le galline prima, facevano un gran rumore. C'era una spinta ed un movimento continuo alla ricerca del posto migliore, mentre mangiavano molto veloce e con tanto appetito. Dopo un po' di risate ed un po' di carezze, siamo usciti per poi entrare nella stalla.

Siamo entrati da una porta diversa di prima ed appena dentro, dopo aver preso un attrezzo che sembrava una nostra forchetta da tavola, ma con quale poteva mangiare un gigante, mio nonno ha cominciato a tirare giù del fieno, dalla parte alta della stalla. Faceva un bel rumore mentre cadeva giù ed il profumo era ancora più buono di quello del materasso. Poi, ha aperto una piccola porta di legno dentro la parete ed è stato bellissimo vedere comparire da l'altra parte l'immensa testa di Viola, la mucca nella stalla. Era così grande che non ci stava tutta nella porta ed il suo faccione buono, non metteva paura. Anzi, ci ha dato il coraggio di accarezzarla uno alla volta, anche se le sue corna erano molto grosse e la lingua molto ruvida.

Quando il nonno ha cominciato a mettere il fieno nella sua mangiatoia attraverso la piccola porta, sembrava che si capivano benissimo, perché lei, con dei movimenti lunghi e molto lenti, dopo essere quasi uscita dalla piccola porta quando l'abbiamo accarezzata, ha tirato indietro la testa, lasciando lo spazio al nonno per metterle il cibo.

Al lavoro finito, siamo usciti dal cortile ed eravamo sulla via di terra.

Dopo aver fatto pochissima strada, ci siamo trovati d'avanti ad un piccolo fiumiciattolo che scorreva tranquillo e senza fare nessun tipo di rumore. Mentre il mio nonno stava riempiendo i due secchi che aveva portato, un po' più su, ho visto una piccola diga. Fatta di pezzi di legno, erba e terra. Le mie cugine mi hanno subito spiegato che quello è il posto dove i bambini vanno a giocare nelle giornate molto calde.

Appena ritornati nel cortile con i due secchi pieni di acqua, siamo andati subito alla stalla. Questa volta siamo entrati dentro, lì dove c'era Viola ed il suo piccolo. Mentre lei, sempre con dei movimenti molto lenti, ha cominciato a bere, finalmente

ho visto il piccolo in piedi che si era avvicinato al muso della madre. Un vitellino così bello, non avevo mai visto neanche nei più bei cartoni animati, e mentre le stava vicino, il nonno ha detto a tutti noi che lo potevamo toccare se non avevamo paura.

Aveva gli stessi colori della madre.

Era così caldo e morbido come nessun'altra cosa mai toccata prima.

È stata la cosa più meravigliosa di quella giornata.

La ciliegina sulla torta di quella giornata che era già stata la più bella della mia vita fino in quel momento.

Uscendo dalla stalla, mi stavo già godendo in pieno i conti di quante cose bellissime avevo visto e vissuto in quel giorno, ma senza riuscire a finire nulla, perché la mia cugina salvatrice, mi ha detto che stava per arrivare il momento più bello.

Mentre il nonno entrava nella cucina, noi siamo ritornati nella stalla con la nonna.

Aveva nelle mani un piccolo sgabello, un grosso secchio di metallo smaltato bianco ed una grossa tazza, uguale al secchio.

Appena entrati, dopo aver messo lo sgabello vicino alle gambe dietro, di fianco alla Viola, con il secchio per terra tra le sue gambe, la nonna ha cominciato a mungere.

Era bellissimo.

Mungeva con tutte due le mani ed il latte usciva così forte che faceva un bel rumore mentre colpiva il metallo del secchio vuoto. Poi, piano piano, il rumore non era più di metallo, ma di un qualcosa che non conoscevo, perché mai sentito prima e mentre guardavo nel secchio, dopo che mi ero avvicinato alla nonna, ho capito che quel bel rumore profondo, sconosciuto, era il rumore della tanta schiuma molto bianca e molto morbida, che faceva il latte appena munto.

Guardavo senza fiatare la nonna come mungeva con una mano sola nella grossa tazza che teneva con l'altra mano. Quando era quasi piena me la data, dicendomi di bere insieme alle mie cugine.

Non avevo mai visto prima una cosa così.

Appena toccata la tazza, ho sentito che era molto più calda di come era l'aria fuori, ma molto meno calda di come sono gli oggetti appena tolti dalla cucina.

Un caldo molto piacevole, morbido e delicato.

Appena ho provato ad assaggiare, non ho sentito il latte, ma la schiuma molto soffice e di un leggero così fine, come non ho mai avuto prima sulle labbra. Appena in bocca, si scioglieva subito, più veloce del gelato e senza lasciare nessuna traccia.

La cosa più speciale mai assaggiata.

Poi e arrivato il latte.

Era quasi dolce di gusto, e se non avessi saputo che era latte, avrei pensato che è gelato sciolto per come lo sentivo mentre scendeva nella mia pancia. Meno liquido di quello del negozio e scendeva più lentamente. Quasi da non riuscire a capire bene, se è panna o latte. In bocca, si sentiva e lasciava una cosa buonissima, indescrivibile. Mi è sempre piaciuto condividere tutto con tutti, ma in quel momento, quella tazza più grossa di me, l'avrei bevuta da solo, senza neanche respirare.

Quando stavamo ritornando nella cucina, il buio si stava già mescolando con la luce.

Entrando in casa, ho capito cos'erano quei bei lampadari con il liquido dentro, perché quello della cucina era già acceso e la sua fiammella in continuo movimento, faceva una bella luce. Abbastanza forte da poter vedere bene tutto nella cucina. Molto piacevole da guardare senza sentire nessun fastidio.

Dopo aver finito il lavoro con il latte appena munto, mia nonna ha cominciato a preparare la cena.

Non ho fatto in tempo a capire bene cosa aveva fatto e cosa aveva messo nella pentola, perché un'altra sorpresa mi è venuta addosso rotolando.

È andata con la pentola nell'angolo più lontano, dove c'era un mobile in metallo e quando dalla parte di sopra ha tolto un po' di cerchi in ferro di misure diverse tra loro, di dentro è come saltato fuori il fuoco.

Nell'attimo dopo ero vicino a lei, per capire che cos'era.

Dentro, un grande fuoco ballava e si muoveva da tutte le parti, molto forte, deciso, senza mai fermarsi.

Ho capito che quel strano mobile chiamato stufa era la sua cucina.

Quando mi sono di nuovo seduto e mentre la pentola ed il suo coperchio, stavano già facendo dei rumori molto divertenti, mio nonno ha aperto una piccola porticina sotto la pentola, sul lato della stufa, dicendomi di guardare il fuoco.

Il buio fuori, aveva preso completamente il posto della luce ed in quel momento, tutto il mondo era in quella stanza.

Fuori non esisteva più nulla.

Dentro casa, il silenzio, la tranquillità, la pace assoluta.

La piccola lucina del lampadario ballava sulle pareti e sul soffitto in legno.

Il gatto sotto la stufa, stava quasi russando.

Il rumore sempre più forte e divertente della pentola.

Il fuoco che cambiava sempre il colore, dal giallo forte e luminoso all'arancione molto intenso, con dentro ogni tanto delle lingue rosse come il sangue, lingue che erano blu appena partite dal legno che bruciava.

Il rumore del fuoco ed ogni tanto i botti che sentivo dentro la stufa e quando capitava, nell'attimo dopo, si riempiva tutta con tantissime piccole scintille molto luminose che saltellavano in tutte le direzioni.

Le persone che si erano trovate ognuna il proprio posto e stando in silenzio si gustavano lo spettacolo.

Sembrava una bellissima favola che donava tantissima pace, tranquillità, serenità, sicurezza.

Tutto questo, mi faceva sentire sazio e beato.

Cosi sazio, da poter andare a dormire senza neanche mangiare del cibo.

Il cielo sereno e pieno di stelle, come non lo avevo mai visto, che mi ha fatto vedere mio padre prima di andare a dormire, è stata l'ultima meraviglia vista in quel giorno fatto di solo meraviglie.

Era stata la giornata più bella, intensa, interessante, fino in quel momento della mia vita.

Ricca di cose nuove, insegnamenti e tante amicizie.

Spensierata, movimentata e vissuta in pieno ad ogni respiro.

Con tutto ciò, la stanchezza non si era mai vista, anzi, sentivo soltanto la soddisfazione, la serenità, la gioia, la tranquillità e la pace assoluta che vivevo in quel preciso momento.

Sarei potuto ripartire subito per un nuovo giorno, senza neanche riposare.

Tutti i gironi che sono seguiti, sono stati uno meglio dell'altro.

Li passavo sempre insieme ai miei nuovi amici, nel nostro Paradiso, o nei Paradisi dei loro nonni.

Nella “nostra piscina” sul fiumiciattolo.

In mezzo ai campi, oppure sulle colline, mentre i grandi lavoravano il fieno.

Era tutto bellissimo e qualsiasi cosa si viveva, dentro me, mi faceva stare bene come mai prima.

Mi faceva sentire più libero che mai.

Beato.

Tutto è stato interrotto una mattina, quando mia mamma ha cominciato a fare cose strane, che non aveva mai fatto prima in quei giorni da sogno.

Mi ha svegliato e fatto scendere dal letto molto presto, anche se di solito dormivo quanto volevo. Fatto lavare e mangiare senza più lasciarmi tutto il tempo che volevo. Poi, mi ha vestito con dei bei vestiti da città ed era per la prima volta da quando eravamo arrivati, che mi diceva di fare attenzione a non sporcarmi.

Non ho chiesto nulla, ma cominciavo a preoccuparmi per mia mamma.

I comportamenti non erano più come quelli tranquilli e morbidi dei giorni prima e lei non era più serena e rilassata.

Speravo soltanto che se le era successo qualcosa, non era molto grave.

Con lei per mano, siamo usciti dal cortile ed abbiamo cominciato a camminare e più andavamo avanti, più vedevo che stavamo facendo al contrario, la strada che avevamo fatto insieme al nonno, appena arrivati con l'autobus.

Arrivati quasi al punto dove eravamo scesi, siamo entrati nel cortile di una casa molto grande, sull'altro lato della strada.

Sentivo già il cuore nel petto che cominciava di nuovo a correre, ma appena siamo arrivati nel bel parco verde dietro alla grande casa, il cuore è tornato a camminare, perché lì, c'erano quasi tutti i miei nuovi amici.

Ognuno, con la sua mamma.

Tutti vestiti da città, non più da battaglia.

Non mi piaceva tanto quello che stava succedendo, perché ognuno di noi, tenuto per mano dalla sua mamma, non era più libero di fare quello che voleva e le facce delle mie amiche e dei miei amici, sembravano più triste di quelle che conoscevo già abbastanza bene.

Non vedevo la mia, ma eravamo della stessa squadra.

Quasi subito è arrivata una signora che non avevo mai visto prima ed insieme a lei, siamo entrati tutti, nella grande casa e poi, dopo pochi passi, in una grossa camera piena di tavolini e sedie.

Tutte a nostra misura.

Appena entrati, ho sentito la mia seconda mano tornare libera.

Anche se dentro la grossa camera, c'era tutto il nostro gruppo di amici, mentre ognuno di noi si sedeva su una sedia, non si sentiva più quella cosa tranquilla e bella che ci faceva stare bene tutti insieme, ma una cosa diversa.

Sembrava che eravamo uniti, perché stavamo soffrendo tutti nello stesso modo e non più perché ci stavamo divertendo.

Forse aiutati dagli alberi e dal tanto verde che si vedevano nel parco attraverso le grandi finestre, ancora di più dal canto degli uccellini che si sentivano fuori e molto dal profumo della buona aria che entrava, un po' di serenità stava quasi tornando.

All'improvviso, come ad un segnale, tutte le mamme sono andate via.

Rimasti soltanto con la nuova signora, lei ha cominciato a tirare fuori dai grossi armadi, dei giochi di plastica ed altre cose che non avevo mai visto prima.

Con il suo aiuto, abbiamo imparato come si usavano e come si poteva giocare con tutte quelle cose nuove per me.

Era tutto bello, ma non così bello come era quando eravamo noi da soli.

Stavamo tutti giocando e stavamo bene, ma non eravamo allegri e gioiosi come sempre.

Si rideva molto meno e le facce dei miei amichetti sembravano più tristi.

Di sicuro, lo era anche la mia, perché dentro mi sentivo così.

Poi, siamo usciti fuori, nel grande parco ed anche se era molto bello, con tanti giochi, il nostro Paradiso era un'altra cosa.

Non lo so quanto tempo era passato, ma quando il sole era abbastanza alto, luminoso e forte, le mamme sono tornate tutte e dopo aver salutato la nuova signora, siamo andati via.

Arrivati a casa dei nonni, ho capito che era il momento giusto per il pranzo e mentre si mangiava, più di una volta ho sentito i grandi che dicevano guardando me: < è pronto! >.

Non ho dato tanta importanza, perché pensavo già al bel pomeriggio da passare con i miei amici nel Paradiso, o da qualche altra parte.

Da lì a poco, è arrivato il momento di ritornare a casa nostra.

Non mi dispiaceva, ma rimpiangevo e piangevo forte per tutto quello che lasciavo.

Sono riuscito a fermarmi dal pianto, soltanto quando il mio nonno, mi ha detto di pensare a quanto sarà bello il prossimo anno, quando sarò più grande e potrò fare cose ancora più belle di quelle appena fatte e vissute.

Tornati a casa, quasi subito siamo andati tutti insieme a comprare quello che serviva al mio fratello per la scuola e quello che serviva a me per andare al' asilo.

Perché ero pronto!

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