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Crescere senza volerlo

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Quell'estate, è stata un'estate di grandi riflessioni, grandi interrogazioni e grandi pensieri per quello che sarebbe successo da lì a poco.

Facevo tutte le cose con la stessa passione e tranquillità di sempre, i motivi di soddisfazione erano molti e molto variegati, forse come mai fino in quel momento della mia vita, ma dentro me, succedeva un qualcosa di nuovo.

Un qualcosa che non riuscivo a capire, perciò neanche spiegarmi.

Era un qualcosa di così complesso e diverso del solito, che mi stavo quasi rifiutando di credere che era tutto dovuto soltanto al' inizio delle medie.

Soltanto perché ero cresciuto.

Guardavo i grandi intorno a me ed anche loro mi sembravano diversi.

Sembrava quasi, che sapevano, capivano molto bene cosa stava succedendo, ma non parlavano.

Con tutti i pensieri per la testa delle novità future di qui ho sentito parlare, ma che non mi convincevano ed ancora meno mi piacevano, ho deciso di non dare più spazio e tempo a cose che avrebbero creato dentro me soltanto preoccupazioni inutili, facendomi sprecare del tempo e togliendomi la mia tranquillità.

Ho provato con tutti gli aiuti che ho trovato intorno a me, a capire bene ed in anticipo tutto quello che potevo, ma purtroppo, mi sono trovato subito d'avanti un grande problema.

L'orario di scuola delle medie, era di pomeriggio, dall’una fino alle sei.

Oltre l'orario di studio, avevo tutti i miei impegni come comandante della classe e gli incontri con la compagna comandante della scuola. Quasi sempre, per quelli delle medie, questi impegni, erano tutti prima degli orari di studio.

Non avevo ancora cominciato la scuola e mi trovavo d'avanti il problema più grosso che avrei potuto avere fino in quel momento. Con quasi il doppio di materie da studiare, che voleva dire il doppio dei compiti, con una lingua straniera in più, con gli impegni come comandante della classe e soprattutto con gli allenamenti del calcio al meno tre volte alla settimana, avrei dovuto fare tutto, nella sola mattinata di ogni giornata.

Mi sembrava impossibile.

Già l'idea delle medie non mi entusiasmava, ero infelice per aver lasciato la nostra maestra, non mi piaceva non avere più a disposizione tutto il pomeriggio, non mi piaceva andare a scuola di pomeriggio ed a conti fatti, mi sarebbe mancato il tempo per preparare bene e come volevo i compiti per la scuola.

Prima ancora di cominciare, mi sembrava di intravedere un mezzo disastro.

Riuscivo a trovare un po' di serenità, quando parlando “me con me”, mi dicevo che conoscevo alle medie ragazze e ragazzi con dei buonissimi risultati nello studio, perciò, se ce l'hanno fatta loro, ce l'avrei fatta benissimo anch'io.

Magari scoprendo qualche segreto che in quel momento non conoscevo.

Purtroppo, il dolore di questo passaggio, era appena cominciato, e ho scoperto che era ancora più profondo, quando insieme ai miei genitori, siamo andati nel solito negozio, per comprare la mia nuova divisa.

Appena entrati nel negozio, abbiamo girato a destra e non più a sinistra come negli anni passati.

In quel momento, ho toccato per la prima volta con mano i problemi per quali, soffrivo già da un po', perché entrando, a sinistra, dove c'erano i vestiti per i bambini delle elementari, ho visto dei miei amici ed amiche più piccoli di me, conosciuti a scuola.

In quel momento, andando verso destra con i miei genitori, dentro mi sono sentito strappare via con una forza inimmaginabile e violenta, da quella che era la mia vita.

Dal mio mondo.

Il mondo dove avrei voluto restare ancora.

Ero presente soltanto fisicamente.

Con tutto il resto di me stesso, ero nell'altro reparto del negozio, dove ero sempre andato i quattro anni prima.

Avrei voluto fuggire via, per andare li.

Cominciavo a rendermi conto, che il periodo più bello della mia vita fino in quel momento, era passato.

Non lo avrei mai più ritrovato, mai più vissuto.

Più guardavo da l'altra parte del negozio, più ero assente dove stavo fisicamente.

Mi sentivo vuoto dentro e mi sembrava di diventare sempre più pesante.

Forse anche rigido.

Ero quasi terrorizzato al pensiero che non ero più un bambino piccolo, e mentre d'avanti agli occhi, in un attimo mi sono passati forse tutti i momenti più belli, tranquilli e spensierati di quei anni, mi veniva da piangere con tutto me stesso. Avrei voluto farlo in quel momento, senza nessun problema, senza pensare al posto dove ero ed a tutte le persone che erano intorno.

Purtroppo non ho potuto farlo, perché mi ha riportato nel duro presente mia mamma, che con la mia nuova divisa in mano, mi indicava la fila per la cabina di prova.

Appena vestito, ho visto che era un po' diversa di quella degli anni passati.

Aveva di diverso poche piccole cose, ma quelle cose l'ha rendevano un po' più elegante e forse più matura.

Guardandomi nello specchio, non ero più un piccolo bambino, ma un mezzo ometto.

Da quel momento non avrei più potuto piangere.

Non perché non avrei più voluto, ma perché dentro ero diventato come un pezzo unico di ghiaccio, come congelato ed il mio cuore, le mie lacrime, erano congelate insieme a me.

Quella, era la prima prova pratica, già toccata con mano, che un altro periodo nella mia vita, era appena cominciato.

Ero costretto a crescere più in fretta di quanto e di come lo volevo.

Appena arrivati a casa, è stato per la prima volta da quando avevo cominciato la scuola, che non ho provato di nuovo la mia nuova divisa. Per vederla bene in tutta tranquillità, per capire come mi stava, così come ho sempre fatto con tanto entusiasmo in tutti gli anni prima.

Mi sono cambiato e sono sceso di casa, dicendo che andavo fuori, d'avanti al condominio con i miei amici.

Scendendo le scale, speravo e pregavo di non incontrare nessuno.

Volevo sparire, non vedere più niente e nessuno.

Mentre facevo questi pensieri, capivo che un'altra cosa era veramente cambiata dentro me.

Avevo visto già da un po' di tempo, che mi piaceva molto pensare, girare le cose da tutte le parti per capirle bene, per comprendere tutto più che potevo, ma quello che succedeva in quei momenti, era una cosa ancora più nuova, mai vissuta prima.

Totalmente diversa.

Era per la prima volta nella mia vita che volevo stare completamente solo.

In silenzio.

Non sapevo cosa volevo fare, ma volevo stare da solo.

Mentre dal sesto piano, scendevo le scale a piedi come sempre, perché mi piaceva cosi, e provavo a darmi da fare per gestire nel migliore dei modi tutto quello che mi veniva di dentro come un fiume in piena, mi è venuta dentro me, una cosa che senza neanche valutarla mezzo secondo, l'ho considerata subito la cosa migliore da fare in quel momento.

Appena attraversato il portoncino d'ingresso, mi sono trovato in mezzo agli amici ed alle amiche del condominio.

Come sempre, ci si stavano raccontando le nuove impressioni per le divise appena comperate, per i quaderni, matite, pene stilografiche e tutto il materiale didattico, per il nuovo anno scolastico.

I sogni e le speranze.

Succedeva ogni anno, come un rito.

Si condivideva tutto con tutti.

Le nostre cose.

Dalle più in vista, alle più intime, nascoste nelle nostre menti e nei nostri cuori. Era il nostro mondo aperto a tutti noi, ma chiuso agli adulti, che non ci perdevano di vista, ma sempre da lontano.

Non venivano mai a disturbare il nostro mondo.

Erano i momenti in qui tutti ci sentivamo i fratelli di tutti.

Tutti insieme, eravamo uno soltanto.

Era per la prima volta che non volevo partecipare.

Mi dispiaceva moltissimo, perché erano le persone a me più care e vicine, ma in quel momento, il desiderio di stare da solo, era il più forte in assoluto. Senza quasi pensare, mi è venuta una scusa per non restare. Mi era venuta in modo naturale e convincente, che nessuno mi ha chiesto nulla, dopo averla sentita.

Ho attraversato il corso, sono sceso nella vallata, attraversato il letto del piccolo fiumiciattolo, per poi salire sulla collina dove mio padre mi aveva portato per la prima volta, dopo quel mio primo incontro con la maestra compagna comandante.

Nel fra tempo, la collina era diventata il posto dove noi tutti gli amici, andavamo lontano dai grandi quando volevamo essere tranquilli, per raccontarci le nostre cose.

Stare insieme indisturbati.

Dalla base della collina e fino al nostro posto, dove avevamo anche costruito una piccola capanna sopra un albero ed un'altra un pochino più grande sotto lo stesso albero, c'erano dieci minuti di salita tranquilla.

Mentre salivo, sentivo soltanto il rumore dei miei passi ed il mio respiro.

Quando ho cominciato a sentire sempre meglio il mio respiro, ho capito che era affannato e rigido, anche se su quella piccola salita, non mi stancavo mai.

Mi sentivo diverso.

Non tranquillo e sereno come sempre.

Rigido.

Abbastanza rigido, da chiedermi se prima i miei amici non mi avevano fatto domande perché la mia scusa è stata convincente, oppure perché ero stato rigido nei loro confronti.

Sarebbe stato per la prima volta.

Non vedevo l'ora di arrivare al nostro posto, alle nostre capanne.

Per troppe volte in quel giorno ho dovuto dire: “è per la prima volta nella mia vita che mi succede”, questo o quell'altro e purtroppo per me, ogni volta erano cose che non mi piacevano affatto.

Appena, arrivato al nostro albero, ho cominciato a salire ed appena su, d'avanti alla nostra piccola capanna, mi sono fermato e seduto.

Senza entrare.

All'improvviso, il mio respiro è diventato meno affannato ed in poco tempo è ritornato ad essere come sempre. La grande tempesta che sentivo dentro, piano, piano è scomparsa, lasciando il posto alla pace, alla tranquillità ed alla serenità che tanto amavo.

Poco dopo, mi sono reso conto che stavo già sentendo ed ascoltavo con tanto piacere il profondo silenzio che mi avvolgeva.

Ogni tanto, un leggerissimo colpo di vento, muoveva le foglie degli alberi, aggiungendo al grande silenzio, quel qualcosa che lo faceva diventare la miglior sinfonia da ascoltare, forse la più grande, bella e delicata mai esistita. I buoni profumi che portava con sé, insieme ai canti degli uccelli che ogni tanto sentivo, hanno fatto il resto.

Mi hanno riportato alla tranquillità assoluta.

Il sereno, ha preso il posto di tutto il resto.

Seduto, godevo in pieno tutto.

Da beato.

Ho alzato gli occhi e cominciato a vedere quanto era bella la parte della città che riuscivo a vedere.

Osservare le finestre del nostro alloggio, senza che nessuno dei miei famigliari lo sapesse.

Andare con lo sguardo oltre e rendermi conto che la fabbrica alla fine dei condomini, quasi fuori città, sul lato opposto della vallata, non era poi così piccola come sembrava ed era anche molto bella da vedere. Soprattutto, faceva meno fumo delle altre fabbriche.

Le belle colline oltre il fiume, in quella giornata piena di luce, erano ancora più belle.

Finalmente, riuscivo a vedere quanto era luminosa quella giornata.

Ero finalmente ritornato ad essere me stesso, così come mi conoscevo.

La pace, la tranquillità e la serenità che mi gustavo, assaggiando con tanto piacere ogni cosa fino in fondo, non hanno però fatto scomparire quello che con insistenza, mi era girato nella mente per tutta la giornata. Anzi, era ancora più forte e molto presente, ma girava in un modo molto meno fastidioso. Sembrava che la sua forza distruttrice che avevo sentito in mattinata, si era trasformata in un qualcosa di positivo, di costruttivo.

Forte ed interessante.

Così interessante, da farmi prendere subito un impegno con me stesso per quei momenti e per tutta la mia vita da quei momenti in poi. L'impegno di non provare più a cacciare via da me quel qualcosa, così come avevo fatto per quasi tutto il giorno, ma conservarlo sempre con attenzione, averlo presente in ogni momento come compagno affidabile di un lungo viaggio.

Capire il motivo del suo arrivo, chiedere il suo aiuto quando arrivava e magari cercarlo, se non arriverà più da sé nel futuro.

Quel qualcosa non era stato la causa del mio “non stare bene” di quel giorno, come mi era sembrato, ma forse era quello che mi ha aiutato a trovare la soluzione a quel grosso problema.

Forse poteva aiutarmi sempre a trovare le risposte a tutte le domande.

Le soluzioni a tutti i problemi.

Ero già convinto di aver' scoperto che quel qualcosa era la domanda più semplice, ma importante della vita.

Sono riuscito a capire, ho visto e vissuto in quel giorno che ogni volta quando si faceva sentire, subito dopo, arrivava anche la risposta giusta.

Ho deciso che quella, doveva essere "la mia bussola" da non lasciare mai a casa, l'unica cosa da avere sempre con me, in qualsiasi momento, ovunque andrò.

Quella semplice domanda, era già diventata per me, la chiave che poteva aprire tutte le porte della vita, svelare tutti i segreti.

< Perché? >.

Mentre stavo scendendo dal nostro albero, per ritornare "nel mondo", mi ero reso conto di non aver trovato ancora le risposte a tutti i miei < Perché? > di quel giorno, ma che grazie proprio a quei “Perché”, non ho accettato il mio non essere sereno.

Ho agito per il mio bene d'avanti ai miei amici, andando via.

Stare subito da solo, per ritrovare me stesso e la mia pace.

Avevo appena scoperto forse la cosa più importante per la mia vita.

Felice e sereno, mi sentivo pronto per ritornare alla mia normalità.

Amavo ancora di più la nostra collina per il bellissimo dono che mi aveva appena fatto, per avermi aiutato a capire ad arrivare a quella grande scoperta.

Mentre stavo facendo la discesa per ritornare a casa, me la godevo in pieno ad ogni mio passo.

Convinto che niente e nessuno, sarebbe più riuscito a disturbare il mio “stare bene” da quel momento in poi, ho vissuto intensamente e mi sono goduto in pieno, ogni attimo ancora rimasto di quella vacanza.

Fino all'ultimo tramonto.

Il giorno dopo, si cominciava.

Mentre insieme alle mie compagne ed ai miei compagni stavamo aspettando nel cortile della scuola che veniva il nostro turno per conoscere il nuovo dirigente professore ed andare nella nostra aula, dovevamo mantenere l'ordine ed anche un certo silenzio.

Non potendoci raccontare in piena libertà le cose vissute in quella vacanza, ho deciso di conoscere meglio la mia nuova divisa, che non avevo mai più toccato dal giorno in quale l'ho provata nel negozio. Stavo scoprendo ed osservavo alcune piccole cose che la rendevano diversa dal modello che avevo indossato per i quattro anni delle elementari.

Mi sono ritirato nel mio mondo dove stavo molto tranquillo, sereno e dove ho provato a capire di più, grazie al mio partner di viaggio che avevo deciso di portare sempre con me.

< Il Perché? >.

Mi chiedevo perché tutti quei piccoli particolari che la rendevano molto diversa.

L'ho facevo, senza pretendere, o aspettare una risposta subito, ma promettendomi di stare attento per essere pronto ad accogliere e capire la risposta, quando questa arriverà.

Perché, di sicuro arriverà.

L'unico momento in quale la mia attenzione è stata catturata da quello che succedeva intorno a me, è stato quando la mia, ormai e purtroppo ex maestra, ha accolto ed accompagnato dentro la scuola i suoi nuovi alluni.

Più passava il tempo e le classi d'avanti a noi entravano nella scuola lasciando il posto vuoto sul grande piazzale, più ci stavamo avvicinando verso il portoncino d'ingresso dove avremmo fatto il nostro primo incontro con il nuovo dirigente.

Quando quel momento è arrivato, ho visto che eravamo stati fortunati anche in quel momento.

Una professoressa molto giovane e molto bella.

Vestita molto elegante, ma con dei colori molto più freddi di quelli che usava la nostra ex maestra.

Ci siamo subito messi in movimento, seguendola all'interno della scuola. Stavamo salendo le scale e ho capito che stavamo andando al secondo ed ultimo piano. Dal primo piano, dove abbiamo avuto la nostra aula per quattro anni e fino al secondo piano, sono salito con il sorriso in faccia e nel cuore, perché, mi rendevo conto soltanto in quel momento che non ero mai andato al secondo piano della nostra scuola.

La nostra vecchia aula, era vicinissima a quelle scale, al primo piano.

Mi sono quasi fermato, ma non potendolo fare del tutto e continuando a salire, sembrava che la mia mente da bambino si era aperta un altro po'. Mi sembrava di aver' appena fatto un'altra nuova scoperta nel mio camino.

La mia vita andava avanti senza poter essere fermata.

Saliva senza chiedermi se ero d'accordo, oppure no.

La migliore cosa che potevo fare, era quella di non oppormi, di accettare, seguirla docilmente e con tanta attenzione per non restare mai indietro, per essere sempre presente e pronto in ogni suo momento.

Prima ancora di entrare nella nostra nuova aula, mi sembrava di aver già imparato una grande lezione.

Fatto un altro passo avanti nella mia evoluzione.

Appena entrati, con tanta tranquillità, ma in un modo meno accogliente della nostra ex maestra, la dirigente ci ha detto di andare nei banchi, ognuno al posto che aveva nell'anno precedente, poi con pazienza ed in silenzio, ha aspettato finché tutti noi eravamo seduti.

Siamo riusciti a fare tutto abbastanza in fretta, perché l'aula ed i banchi, erano fatti nello stesso modo di quella che conoscevamo molto bene. C'erano tre fila di banchi, con due posti in ogni banco e noi eravamo coppie, tutte fatte con una femmina ed un maschio, coppie decise dalla nostra, purtroppo ex maestra.

Sui banchi, ognuno al suo posto, come sempre nel primo giorno di scuola, abbiamo trovato i nostri libri.

C'erano soltanto i libri e niente altro, questa volta.

Guardandoli senza toccarli, sono riuscito a capire che al meno due, dei sei che avevamo, non erano nuovi.

Non brutti, ma non nuovi come gli altri ed era per la prima volta che succedeva.

Erano molto più spessi di tutti quelli che avevamo avuto negli anni prima e già questo, mi faceva essere molto contento, molto soddisfatto. Per me, un libro più spesso voleva dire più cose nuove, interessanti da scoprire ed imparare.

Diventare più ricco.

Quando è scomparso il rumore dell'ultimo collega che si è seduto, la nostra dirigente, lasciando la cattedra si è avvicinata ai nostri banchi. Appoggiando in un modo molto deciso, abbastanza lontane una dall'altra, tutte due le mani sul mio banco, che era il primo nella fila centrale, ha cominciato a parlare.

Subito, ci ha detto che è una professoressa di lettere ed aveva appena finito la facoltà.

Noi eravamo i suoi primi allevi.

Aveva la stessa età della nostra ex maestra.

Mentre ci parlava di cose che più o meno conoscevo, essendo così vicina a me, ho approfittato e l’ho guardata molto bene e per tutto il tempo. Nello stesso momento, avevo già messo a duro lavoro il mio amico di vita.

< Il Perché? >.

Da vicino era molto più bella e forse anche più dolce della mia ex maestra e mi stavo già chiedendo:

< Perché mi sembrava più fredda? >

< Perché mi sembrava che assomigliava di più ad una di quelle persone che in TV parlavano del partito comunista e non alla mia ex maestra? >

Non avendo risposte in quel momento, la guardavo soltanto, con tanta attenzione.

Mi sembrava che capiva benissimo quello che stavo facendo, ma che mi lasciava fare tranquillamente e senza disturbarmi.

La conferma, l’ho avuta, quando dicendoci: < Adesso vi devo dire una novità, perciò fatte tutti attenzione >, mi ha guardato in un modo molto intenso mentre parlava ancora.

Un modo molto intenso, ma abbastanza amichevole.

La novità era che da quell'anno in poi, non avremmo più avuto una nostra aula fissa per studiare, come negli anni passati, ma che ci saremmo spostati per ogni ora di studio nelle aule ed i laboratori della scuola.

Li dove insegnavano i professori, ognuno nella sua aula.

Mi è subito sembrata una cosa molto meno comoda, ma molto più interessante, perché ci dava la possibilità di esplorare bene tutta la scuola, di conoscere altre aule, i laboratori.

Studiare meglio in ogni materia.

Appena finito di spiegarci bene la novità, ci ha detto che, con l'aiuto del capo della classe, vuole cominciare da subito a conoscerci, perciò, voleva conoscere ed ascoltare il capo della classe.

Quando mi sono alzato in piedi, ogni mio dubbio sul fatto che prima aveva capito di essere molto osservata, è stato disintegrato in mille pezzi, fatto volare via, perché facendo quasi un passo indietro, ma senza staccare le mani dal banco, con una voce ancora più amichevole di quella di prima ed allungando un po' l'ultima vocale, quasi sorridente, ha detto:

< Allora sei tu il capooo... ! >

Quel giorno, camminando insieme ai miei amici per tornare a casa dalla scuola, ero presente soltanto fisicamente.

Mi tornavano sempre e giravano in continuazione nella mia mente, le parole della compagna dirigente, quando ci ha detto che sarà la nostra compagna professoressa di lettere e che come dirigente, ci saremmo visti per due volte in ogni settimana.

Un’ora per organizzare bene le attività non legate allo studio della nostra classe ed un'altra ora, in un altro giorno, per “l'informazione politica”.

Non conoscevo il significato per nessuna delle due, però, mi stavo rendendo conto sempre di più che era l'ultima cosa detta che mi rimbombava nelle orecchie. Lo faceva con così tanta forza, da diventare fastidiosa, da togliermi quasi la tranquillità.

Poi, all'improvviso, ho avuto come una specie di grande esplosione solare dentro me perché, dal nulla è comparsa una grande luce, una grande gioia, soprattutto una grande soddisfazione.

La serenità.

Come se qualcuno avesse tolto il tappo dalla bottiglia di spumante che stava per scoppiare.

Era festa.

Il mio migliore amico di viaggio, “Il Perché?”, non mi ha dato tregua, finché non ha trovato la risposta a quelle mie domande.

La bellissima sensazione che vivevo dentro me, era l'effetto della risposta che mi era arrivata dal nulla.

Al meno così mi sembrava in quel momento, che quella risposta era arrivata dal nulla.

Mi aveva urtato moltissimo la parola “politica”.

Il problema, stava in quella parola. Una parola che conoscevo molto bene, l’avevo sentita tantissime altre volte. L'avevo sentita dal vivo pronunciata dai grandi, in televisione, in radio, ma non mi aveva mai toccato direttamente.

Grazie al mio amico “Il Perché?”, avevo capito che non era la parola che mi aveva urtato, ma il fatto che per la prima volta, il suo significato, toccava in modo diretto me.

Me e la mia vita.

Non ero tranquillo, perché non riuscivo a comprendere a cosa poteva servire un'ora di quel tipo a noi, che eravamo ancora dei bambini.

Non più molto piccoli, ma sempre bambini.

È stata per la prima volta nella mia vita in quale, ciò che mi dicevano i miei genitori e sentivo anche ad altri grandi vicino a me, non era la stessa cosa, con quello che sentivo a scuola.

Loro mi dicevano sempre:

< Sei un bambino ed i tuoi compiti sono: quello di studiare e farlo bene, quello di rispettare tutte le persone con quale entri in contatto e farlo bene, poi quello di giocare e farlo bene >.

Invece, a scuola, per la prima volta avremmo fatto cose da grandi.

Secondo me, troppo da grandi per noi bambini.

Non riuscivo a vedere nessuna utilità di quella cosa per la mia vita in quel momento. Mi sembrava una perdita di tempo, una cosa di sicuro non interessante, Non bella da vivere.

Non riuscivo a trovare nulla di bello e di interessante per il futuro, in quella che sarebbe stata l'ora di informazione politica.

Anzi.

Però ritornavo a casa tranquillo e soprattutto, ritornavo molto contento di aver capito ancora una volta, grazie al mio grande amico “Il Perché?”, quale era e dove stava il vero problema.

La sensazione era molto bella, tutta da vivere, con tutto me stesso.

Gustarmela in pieno, anche se in quel momento era soltanto una risposta ad una domanda ed una soluzione a quel problema non avevo ancora, ma ero sicuro che nel cammino della vita, la soluzione sarebbe arrivata.

Al momento giusto.

Appena entrato in casa, ho visto che il pranzo era già pronto ed i miei genitori stavano aspettando me, per mangiare.

Quello era l'ultimo giorno in quale avrei pranzato tornando dalla scuola.

Dal giorno dopo, avrei fatto pranzo prima di partire.

L'aria era di festa ed i miei genitori non smettevano di farmi domande sulle novità di quel giorno, però, continuavano ad essere come li avevo già visti anche nelle settimane prima.

Un po' diversi di come li conoscevo.

Non erano più rigidi, non lo so se più freddi, ma di sicuro, a me non mi trattavano più nello stesso modo in qui lo hanno sempre fatto. Erano diversi ed i loro modi nei miei confronti, mi facevano sentire più grande.

Stavamo tutti mangiando ed era tutto tranquillo. Mi sentivo molto sereno, libero, tranquillo come sempre e dopo un momento di silenzio, momento in quale volevo capire se avevano ancora domande da farmi, ho deciso di farne una io.

Senza aspettare più, ho subito chiesto:

<Perché dei bambini come noi, non più piccoli, ma sempre bambini, devono fare ogni settimana un'ora di informazione politica?>

L'effetto della domanda, è stato così forte che mi ha quasi bloccato.

Sono quasi saltati tutti e due sulla sedia nello stesso momento.

Hanno smesso di mangiare come se il boccone prima avesse fatto loro del male, ad ognuno di loro.

Si sono guardati in faccia quasi spaventati.

Dopo pochi attimi, senza neanche guardarmi, mia papà mi ha detto scherzando, ma con la voce quasi strozzata, di continuare a mangiare perché in quel momento, era la cosa migliore da fare.

Prima che il cibo diventava freddo.

Avevo appena avuto la conferma che i miei sospetti delle settimane prima, erano giusti.

Non erano diversi soltanto perché li vedevo io cosi, soltanto perché ero più grande, ma di sicuro c'era dell'altro. Non sapevo che cos'era, ma ero sicuro che c'era.

Avevo appena avuto la conferma.

Anche questa scoperta, l'ho fatta grazie al mio amico “Il Perché?” e dopo averlo ringraziato, ho deciso con ancora più convinzione, che sarebbe stato il mio migliore amico per tutta la vita. Appena chiedevo il suo aiuto, chiedendo < Perché questo? >, oppure < Perché quell'altro? >, non mi faceva mai aspettare tanto, prima di darmi una risposta, prima di farmi capire le cose.

Era molto bello e li volevo tanto bene.

Ero molto soddisfatto delle mie scoperte e stavo molto, molto bene.

Come sempre, quando facevo dei viaggi all'interno di me stesso, per vedermi, conoscermi, capirmi, lasciavo fuori il mondo, tutto il mondo esterno. L’ho fatto anche in quei momenti, ma quasi sempre, mia madre mi ha ricordato che il mondo esterno esiste, chiedendomi se quel pomeriggio mi sentivo di fare insieme a lei, una cosa che non avevo mai fatto prima.

Era una domanda, che non era proprio una domanda, perché sapeva benissimo che ogni volta quando si parlava di vivere e scoprire delle novità, andavo sempre e subito.

Non chiedevo mai nulla, perché ero convinto che ogni novità, fa vivere un qualcosa di nuovo.

Porta un qualcosa di buono ed importante per la vita.

L'ha arricchisce.

Nello stesso momento, però, avevo fatto un'altra scoperta, purtroppo non costruttiva fino in fondo.

Avevo appena scoperto che il tempo per rimanere con me stesso, con me dentro me, lasciando fuori il mondo esterno, diventava sempre meno mentre crescevo. Non perché non lo volevo più, ma perché le persone intorno a me, mi cercavano, mi chiamavano sempre di più, per un motivo oppure per un altro, costringendomi quasi, a guardare, considerare e ritornare al mondo esterno.

Dovevo imparare come e quando potevo ancora fare quella cosa che mii piaceva molto e mi faceva stare sempre molto bene.

Stare con me stesso.

Mi aiutava a capire e sapere di più.

Conoscermi sempre meglio.

Conoscere me stesso con i miei difetti da eliminare, con le mie mancanze da mettere apposto, con i miei limiti da superare e con i miei pregi da mettere a frutto.

Per migliorare sempre me stesso.

Con questo pensiero, dopo aver salutato mio papà, come sempre quando andava a lavorare, sono andato a mettere apposto i miei nuovi libri di scuola. Mettere ad ognuno di loro la copertina protettiva in plastica, così come avevo già fatto i gironi prima con tutti i quaderni. Sistemarli al loro posto, nel mio mobile per la scuola e quando tutto il lavoro era finito, mia madre mi ha chiesto se ero pronto per andare con lei.

Appena usciti dal condominio, siamo andati nella direzione opposta della nostra collina.

Dopo pochi attimi, abbiamo attraversato la via che passava all'altra estremità del nostro condominio. Molto più piccola del corso, ma molto trafficata, perché i mezzi industriali passavano tutti di li.

Subito dopo, siamo entrati nel complesso commerciale appena oltre la via.

Non era molto grande e serviva soltanto una parte del nostro quartiere, perché da l'altra parte, si trovava uno identico.

Vendeva un po' di tutto in più reparti.

Aveva il banco per i dolci, quello per la carne, i prodotti di carne e quelli del latte, panetteria e latte fresco. Uno spazio non piccolo, pieno di scaffali, dove ognuno prendeva da sé le conserve, scatolette di ogni tipo, pasta, sale zucchero ed altri prodotti confezionati. Nella stessa costruzione, ma molto più piccolo e passando da un altro ingresso, c'era il negozio di frutta e verdura.

Ero già entrato tantissime volte.

Quando mia madre mi mandava, oppure quando qualche vicino anziano mi chiedeva di andare a comprare il pane.

Ogni volta quando sono andato, era quasi sempre vuoto. Ho visto dentro, al massimo quattro o cinque persone nello stesso momento. Le lavoratrici, ogni volta stavano dietro ai loro banchi, ognuna al suo posto. Quasi sempre, facevano niente e tutto succedeva in una specie di tranquillità che mi è sempre sembrata non normale.

Esattamente il contrario del mercato, dove c' erano sempre tantissime persone che non si fermavano mai. Si vendeva e si comprava sempre. Nessuno usciva dal mercato, senza aver riempito al meno una borsa di quelle di tela, che tutti portavano da casa.

In quel momento era tutto diverso perché, il complesso era completamente pieno di gente.

Quasi tutte donne, ma anche degli uomini e non pochi bambini. Tutti riuniti nel grande spazio libero d'avanti ai banchi dei reparti.

Eravamo tanti, tutti insieme in un modo che sembrava molto disordinato. Così tanti, da pensare che se fosse entrata ancora una persona, le pareti e soprattutto le vetrate su tutta la parte d'avanti del complesso, sarebbero scoppiate.

Molto strano vedere pieno quel grande spazio, dove avrei potuto girare senza problemi con la mia bici gialla.

Era per la prima volta che mi succedeva.

Il rumore era molto alto, la confusione ancora di più e non lo so se era per quel motivo, oppure per tutte quelle cose nuove che vivevo all'improvviso e con tanto stupore, ma sentivo il mio cuore che diventava sempre più piccolo, sempre meno tranquillo, sempre più rigido. Ero come bloccato da quello che vedevo, da quello che vivevo ed in quei momenti, anche la mia grande voglia di sempre, nel fare domande, era scomparsa completamente.

Non ero molto alto e riuscivo ad arrivare soltanto fino sotto il petto delle persone adulte.

Mi sentivo schiacciato in tutti i sensi, in mezzo a loro.

Dal mio cuore, fino all'ultimo filo dei capelli.

Non sapevo e non capivo nulla di quello che stava succedendo.

Non chiedevo nulla a mia madre che mi teneva per mano e che forse senza neanche rendersi conto, mi stringeva sempre di più.

In un momento di meno rumore e meno movimenti, mia madre, quasi piegandosi sopra di me, mi ha detto che quello era il giorno in qui portavano le uova.

Dovevo restare con lei, perché ad ogni persona in fila, davano soltanto sei uova.

Insieme, saremo riusciti a portarne a casa dodici.

Subito dopo, ha continuato dicendomi in quali giorni della settimana portavano: la carne, il pollo, i salumi, i formaggi, del buon pesce ed altre cose che mangiavamo tutti i giorni a casa.

Non capivo nulla.

Era per la prima volta che sentivo quelle cose.

Non sapevo se era normale vivere tutto quello che vivevo in quei momenti per portare a casa sei uova che avrei comunque pagato, oppure era normale quello che succedeva ogni volta quando andavo per comprare il pane.

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