Читать книгу Il trampolino per le stelle: Tre dialoghi e due racconti - Lucio d'Ambra - Страница 4
II.
Оглавление(La mattina dopo è Quaresima e c'è un cielo mediocre: un cielo che non è azzurro e non è nero, un cielo grigio, il cielo delle ceneri. Sempre al suo tavolino, le braccia su questo, il capo su quelle. Pierrot dorme ancora. La porta s'apre L'amico entra. E viene a svegliare Pierrot. Coi piedi urta a terra un libro e lo raccoglie. Lo guarda e, dopo averlo guardato, lo getta con disprezzo su la tavola).
L'AMICO
Ah, già... il libro di Totò...
(E l'amico si avvicina a Pierrot Lo tocca prima con la mano; poi lo scuote rudemente. Alla terza scuotitura Pierrot balza in piedi d'improvviso come se l'avesse destato una scossa di terremoto).
PIERROT
Oh guarda.... Sei tu.... E sono qui, in casa mia?...
L'AMICO
E dove credevi di essere? Alla Mecca?
PIERROT
No. Giù in istrada. Appoggiato al muro, seduto a terra, accanto a una pozzanghera d'acqua piovana, con la luna dentro.
L'AMICO
E invece sei qui, a casa tua, appoggiato al tavolino dove t'ho lasciato iersera. E la luna, caro mio, non c'è. Non c'è neppure il sole. Carnevale è finito. Son le Ceneri. E il sole fa penitenza anche lui, dietro le nuvole.
PIERROT
Ma io ci sono stato, stanotte, sai, nella luna... Oh, ti assicuro, è stato un viaggio straordinario... E accaduto così... Vuoi che ti racconti?
L'AMICO
Racconta pure. Ho tempo da perdere.
PIERROT
È stato così.... Tu eri andato via.... E io m'ero appoggiato a questa tavola, le braccia conserte, il capo fra le braccia, gli occhi chiusi.... E pensavo a tante cose.... A te, a Colombina, a Totò.... E a Totò specialmente, e ai suoi versi... E a quel suo clown, e al trampolino, e al salto nelle stelle... E poi, a poco a poco, senza pensare più a nulla o pensando a tante cose insieme, in modo che tutte si confondevano e una copriva l'altra nel mio cervello, mi sono addormentato. Mi sono addormentato, ma mi vedevo uscir di casa, infilar la strada, una strada buia buia, e lunga, interminabile, tra fango e vento. E c'era laggiù tutt'un disegno di puntini d'oro, come un traforo di luce nell'oscurità. E, avvicinandomi, ho veduta la sagoma delle illuminazioni, e le finestre illuminate, e dietro le finestre ombre che passavano, che ballavano... Il caffè Momus... Il Quartier Latino... E li ho veduti, sai, entrare tutti e sei, Mimì con Rodolfo, Marcello con Musetta, Colline con Schaunard... E sono entrato anch'io, dietro di loro. E mi son seduto con gli amici, per bere. C'era, in un angolo, solo, un bel ragazzo con la barba bionda e gli occhi azzurri, con lo sguardo vuoto e il bicchiere pieno che andava e veniva dalla tavola alle sue labbra senza riposo.... Aveva l'aria così melanconica, povero diavolo.... Aveva l'aria d'aver tanto sofferto. Ma c'era una luce nei suoi occhi e non so che splendore su la sua fronte. E l'ho riconosciuto. Sì, sì, era lui, proprio lui, Musset.... E più in là, coi bohèmes, seduto alla stessa tavola, con un sorriso pieno di melanconia, innamorato di Mimì, disperato per Musetta, con la sua faccia da poeta e da ospedale, c'era l'altro, Murger. Ed io avevo alla mia tavola tanti altri Pierrot come me, allegri, chiassoni, che bevevano, che mangiavano, che cantavano, e gridavano levando i bicchieri: «Abbasso le donne... A che servon le donne quando ci sono le stelle?». E, d'un tratto, tra la gente che ballava, ho visto lei, Colombina, e sul chiasso del caffè Momus nell'ultima notte di Carnevale ho sentito il suo riso.... E gli occhi non mi si sono più staccati da lei. E ho veduto venire alla sua tavola, e sedersi, e bere lo champagne con lei nel medesimo bicchiere, un vecchio con una borsa piena d'oro da cui rovesciava monete sul tavolino e nelle mani di Colombina ogni volta che Colombina, lì, davanti a tutti, davanti a me, a due passi dalla mia collera, gli offriva un bacio ed un sorriso... E il vecchio aveva una faccia che non m'era nuova, una faccia che io sono abituato a vedere ad ogni fine del mese: quella del mio padrone di casa.... E io volevo lanciarmi contro Colombina. Ma i Pierrot della mia tavola mi tenevano al mio posto e mi ripetevano in coro: «A che servono le donne quando ci sono le stelle?...». Ma d'un tratto Colombina ha congiunto le mani facendone una piccola conca e il vecchio ci ha versato dentro tutto il contenuto della sua borsa, una piccola montagna d'oro, mentre Colombina gli dava la bocca, la bocca che io solo potevo baciare, in un bacio che non finiva più.... E allora.... allora.... in un colpo ho mandato per aria la mia tavola e i miei Pierrot, e ho traversato la sala rovesciando a terra le coppie che ballavano, e ho strappato Colombina dalle braccia del vecchio, e l'ho bastonata, bastonata, bastonata a più non posso, li, davanti a tutti, mentre tutti urlavano, e volavan piatti e bottiglie, e mille voci gridavano: «Gettatelo fuori.... Gettatelo fuori....». E Colombina sotto i miei colpi gridava: «No.... Non mi far male.... Ti amo.... Ti adoro.... Ma sei povero.... E se amo te, mio poeta, amo anche i bei merletti, i nastri di velluto, i rasi che mi accarezzano, le calze di seta che fanno a gara con la mia pelle a chi è più fine.... E poichè tutto questo tu non mi puoi dare vengo a prendermelo qui, da questo vecchio imbecille....». Ed io, più che mai furibondo, più sentivo gridar che mi amava, più avrei voluto ammazzarla tanto l'adoravo anch'io. E l'avrei ammazzata se non m'avessero gettato fuori del caffè, in un coro di voci che urlavano contro di me: «Scacciatelo.... È un pazzo.... È un mascalzone....» mentre una sola voce, baritonale, formidabile, che superava tutte le altre, mi incoraggiava, mi spronava, gridando: «Picchiala.... Picchiala.... ancora.... Più forte, più forte.... Se ti ha tradito, picchia. Se si vende per il lusso, picchia. Se ti fa soffrire, picchia.... Faccio anch'io così, nei cattivi giorni, con Musetta....». E, mentre mi gettavano fuori, ebbi il tempo di volgermi e di veder l'uomo che gridava, in piedi su una sedia, al tavolino dei bohèmes. Era il pittore, era Marcello, che con un tovagliuolo in mano menava gran colpi nell'aria come se picchiasse su Colombina, su Musetta, su tutte le donne che amano e non sanno rinunziare, su tutte le canaglie adorate che c'ingannano e ci fanno morire, che barattano il nostro cuore con un fisciù, il nostro amore con un pompon, la felicità immensa di volersi bene in due soli con un grùzzolo d'oro maledetto.... E poi, quando fui fuori nella strada e dietro di me il caffè era ridiventato tutto canti, danze e allegria e volgendomi potevo veder Colombina riseduta di nuovo a tavola — ma coperta, almeno, grazie a Dio, di lividure — col suo vecchio imbecille che paga a peso d'oro quel che ha valore solo se è gratis, la porta s'è riaperta e Marcello mi ha raggiunto. Aveva in mano due bottiglie di champagne e due bicchieri. «Bevi, ragazzo mio..., mi ha detto. Bevi. Non c'è da fare altro per tirare avanti. Bevi per dimenticare. Musset fa così. Murger fa così. E faccio anch'io così.... E fa dunque così anche tu.... Bevi. Quando avrai bevuto e sarai ubbriaco non saprai più che cosa sia la tua disperazione, e ti parrà ancora possibile di vivere in mezzo a tutte queste donne e a tutti questi uomini, e ti parrà ancora possibile riprenderti Colombina quando, carica d'oro e di vergogna, questi assassini te la riporteranno...». E ho bevuto, bevuto, tracannando tutto; e poi ho lasciato cader la bottiglia e mi sono voltato per chiederne ancora. Marcello non c'era più: era laggiù, alla tavola, con gli amici, con Musetta su le sue ginocchia; e la baciava perchè per quella sera Musetta era senza pensieri, col lusso pagato dalle tristezze di ieri, e poteva essere, felice e infame, tutta per lui, solo per lui.... E son fuggito davanti a me, per non vedere e non sapere più nulla. Ma il vino bevuto per dimenticare faceva le mie gambe molli e il mio passo squilibrato così che andavo a zig-zag attraverso la strada buia, urtando nei palazzi di sinistra, rimbalzando su quelli di destra per rimbalzar di nuovo su quelli di sinistra, come una pallottola di bigliardo che sbatte da sponda a sponda finchè finisce in buca. E finii in buca anch'io, scivolando lungo un muro e cadendo lì a sedere per terra, sotto la pioggia che veniva giù a torrenti, ma che non riusciva a smorzarmi il gran fuoco che mi bruciava dentro.... E lì, accoccolato per terra, bagnato di pioggia, sporco di fango, ubbriaco di vino, sfinito di dolore, morto di stanchezza, mi parve di non saper più nulla, di non conoscere più nè pioggia, nè champagne, nè amore, nè dolore, nè la tempesta fuori, nè la tempesta dentro e mi sentii a poco a poco irresistibilmente addormentare.... Ma io ti annoio.... Tu sbadigli.
L'AMICO
Non ci badare. È nervoso. Va avanti.
PIERROT
Ma, addormentato che fui, vidi un altro me stesso davanti al portone di casa mia; e lo vidi salir le scale alla luce dei fiammiferi ed entrare nella mia soffitta. E, quando la candela fu accesa, vidi lì, sul letto, un gran vestito da clown, nuovo di zecca, uscito allora dalla sartoria, tutto di raso bianco e nero, a grosse strisce. E sul vestito una letterina in cui era scritto: «Eccoti il vestito. Fa dunque, povero innamorato deluso, come il mio clown; e col tuo cuore divorato d'amore va-t-en rouler dans les étoiles....». E, sotto, la firma: lui, proprio lui, l'autore delle Odes funambulesques, Théodore de Banville, il grande impresario dei fuochi d'artificio lirico, il buon marito sedentario, il commendatore della Legion d'Onore, Totò.... E, letta la lettera, d'improvviso mi trovai vestito da clown, mentre il mio povero vestitino infangato da Pierrot era già su la stufa ad asciugarsi, messovi da chissà quale fata invisibile che mi faceva, bontà sua, da cameriera. Ma un'altra fata doveva esser sul tetto, poichè questo d'improvviso, in un angolo della soffitta, si scoperchiò quel tanto necessario a far venir giù dal tetto una scala tutta foderata di velluto e coi piuoli di metallo come quelle che adoperano nei circhi equestri per arrivare agli alti trapezii del salto mortale. E son salito su per quella scala, e sono arrivato sul tetto dove — oh meraviglia! — un gigantesco trampolino, tutto di metallo e di velluto anche questo, era stato eretto contro il cielo adesso sgombro di nuvole e tutto tremante di stelle. Non so dirti come quel trampolino fosse grande. Ma sì: per darti un'idea, alto come la Torre Eiffel e grande quanto San Pietro e con una molla così enorme che dieci cupole del Kremlino sommate insieme non avrebbero potuto farle da coperchio. E c'erano scale e scalette, scaloni e scalini per arrivare fin lassù; ed io incominciai a salire, a salire, a salire, e più salivo più c'era da salire ancora, più andavo in su e più mi sembrava d'essere sempre allo stesso punto. Ma d'improvviso le scale scomparvero e mi trovai su la piattaforma ch'era grande, per darti un'idea, come la piazza della Concordia e oscillava sopra un perno alto come la Colonna della Libertà a Nuova York. Su la piattaforma immensa io camminavo a passettini così minuscoli che avrei impiegato un mese ad arrivare fino in fondo. Ma avevo paura: la sentivo oscillare sotto i miei passi, come fa il piatto d'una bilancia sotto la mano. E, d'un tratto, sebbene ci volesse un mese a traversarla e non fosse passato nemmeno un minuto, mi trovai al centro della piattaforma e avevo appena poggiato il piede che, in un formidabile scoppio, come se cinquecento fulmini fossero caduti tutti insieme sui cinquecento campanili della città, mi sentii sollevato, lanciato in aria dal trampolino in azione, scaraventato attraverso il cielo con la formidabile velocità della luce. Di rimpetto a me le stelle piccole nel velluto immenso del cielo eran come tanti chiodi d'oro ed io passavo in mezzo ai chiodi.... Ah, che paura, amico mio... E vedevo laggiù, a terra, le metropoli illuminate piccole come lucciole; e mi sembrava di non poter reggere al volo, che la forza del mio slancio dal trampolino dovesse da un momento all'altro abbandonarmi e farmi cader giù dove, morto di paura in cielo in quel momento, il mio cadavere in polvere sarebbe arrivato a toccar terra un anno dopo... E allora, passando fra due stelle, mi aggrappai a quei chiodi d'oro e mi sostenni così. E ce n'erano a migliaia, a milioni, tutt'intorno, di quei chiodi d'oro e così, dall'uno all'altro, non staccandomi da un chiodo se non avevo afferrato l'altro ben bene cominciai a camminar per il cielo penzoloni alle stelle e c'era tutt'intorno una gran luce, una luce immensa, come quella del sole, ma più bianca, più fredda, una luce d'argento e non una luce d'oro. E d'un tratto, in quell'immenso chiarore, abbacinato mi smarrii. Non trovai più altri chiodi a cui sospendermi. Il chiodo, cioè la stella alla quale ero con un braccio aggrappato, bruciava, bruciava, oh come orribilmente bruciava,... Ed io non potevo più resistere a quel fuoco, talchè a un dato punto per il dolore abbandonai la stella e precipitai.... Precipitai nel buio verso la gran luce e mi trovai, quando riaprii gli occhi chiusi per l'orrore, in cima ad una grande scala d'argento e in un gran disco d'avorio.
L'AMICO
La luna?
PIERROT
La luna. Ed ai servi vestiti di bianco che custodivan la porta in cima alla scala chiesi naturalmente, da persona bene educata, di poter salutare la padrona di casa....
L'AMICO
Ch'era lei, la luna....
PIERROT
Ch'era lei, la luna. Chi me l'aveva detto? Nessuno. L'infallibile istinto del viaggiatore celeste che prodigiosamente si orienta da sè in quell'itinerario aereo senza indicazioni d'un Touring-Club stellare. È anche vero che qualche cosa, vedendo tutti aver l'aria felice mentre nel mondo che avevo abbandonato tutti hanno l'aria piagnona, qualche cosa mi disse entro di me: «Gente felice?... Questo è certo il mondo della luna....» Ed era, infatti, così. Ma la padrona di casa era a passeggio e un gentiluomo della sua corte mi indicò laggiù, su la Via Lattea, la sua carrozzina d'argento tirata da cento pariglie bianche di minuscoli cavalli.
L'AMICO
Sorvola sui particolari. E va al sodo. Hai dunque visto la luna?
PIERROT
Sì, al suo ritorno, quando discese, in fondo alla gran scala d'argento, dalla sua carrozza foderata di seta bianca in cui la luna staccava come una perla sul suo candido astuccio. Oh, che bella signora, amico mio.... Che cos'è mai Colombina al suo confronto? Un mostricciattolo.... Bella, bella, divinamente bella, e bianca, bianca, infinitamente bianca.... E quando salendo mi passò vicino mi riconobbe: «Oh, tu qui, Pierrot?...».
L'AMICO
Ti conosceva?
PIERROT
Dal vestito. Per tutti i poeti c'è sempre stata un po' di luna nel vestito di Pierrot.
L'AMICO
Ma se eri saltato dal trampolino vestito da clown.....
PIERROT
Sì, dal trampolino e finchè mi arrampicavo attraverso i chiodi d'oro delle stelle. Ma, non appena toccai le madreperle della luna, per un nuovo incantesimo mi trovai di colpo levate di dosso le brache del clown e negli specchi che nella luna fan da marciapiedi mi rividi addosso il mio vestito da Pierrot, immacolato, di bucato, stirato di fresco, con a posto tutti i bottoni e tutti i fiocchi, irreprensibile.
L'AMICO
E allora, dopo averti riconosciuto, che ti disse?
PIERROT
Nulla. Sorrise. E parve in quel sorriso voler dire tante cose, dal benvenuto alla buona sera, dall'incoraggiamento al lasciapassare. E sparì. Ma, come s'ella avesse veramente dato con quel sorriso un ordine, io potei varcare la soglia d'argento e girare a piacer mio pei giardini della luna, come se fossi munito d'un coupe-file per la libera circolazione. Ma dopo che ebbi pranzato con un estratto di polline di fiori e con una coppa di rugiada, mentre fumavo in giardino una sigaretta, fui avvertito che Madame la Lune desiderava parlarmi. E fui ammesso alla sua presenza. — «So — mi disse non appena fui inginocchiato d'innanzi a lei — so perchè il tuo sogno, attraverso il trampolino della fantasia, t'ha portato fin quassù. Nel mondo tu soffri e cerchi per i tuoi sogni di poeta un mondo migliore. Tu hai sofferto su la terra perchè tutti ti hanno mentito mentre a tutti chiedevi, invece, o poeta, la verità. Quassù tu sarai accontentato. Tutti ignorano quassù che cosa sia la menzogna. Quassù, come vedi, tutto è bianco e tu sai benissimo che ogni bugia è, sul candore delle anime, una macchiolina nera. Io ti dò piena libertà di rimanere in questi miei immacolati paesi. Tu potrai andare e venire liberamente, sognar le tue fantasie, trovare e cantare come e dove tu voglia la fortuna, l'amore, la gloria. Ma se nessuno qui t'inganna, nemmeno tu devi ingannare. E bada: io lo saprò. Se tu mentirai, ad ogni tua bugia una macchiolina nera apparirà sul tuo bianco vestito. Vivi dunque felice, Pierrot, come su la terra ed in mezzo agli uomini non ti fu dato di vivere. Trova qui fra noi la verità che cercavi. Qui tutto è amore, tutto è serenità, tutto è fiducia, tutto è ingenuità. Amore, serenità, fiducia, ingenuità, questo è il colore della tua anima, caro fanciullo, e del tuo vestito. Questo mio mondo lunare ha i medesimi sentimenti degli uomini: l'amore, l'ambizione, la fede, la speranza, la carità. Solamente questi sentimenti qui non conoscono frodi, inganni, raggiri, calcoli o finzioni. Qui si vive veramente, come voi dite in terra, col cuore su la mano. Va dunque, Pierrot, in questo felice mondo che desideravi. Ma torna ogni sera, prima d'andare a dormire nel calice d'un giglio, a farmi vedere se il tuo vestito e la tua anima continuano ad essere senza macchie. E non credere, bada, di potermi illudere. Quassù non c'è acqua e non ci son lavandaie. Fatta una macchia, tu non potrai cancellarla mai più....».
L'AMICO
Comodo paese, il paese della verità!
PIERROT
Uscii dalla reggia della luna tripudiando di felicità. Avevo tanto sofferto, io: Colombina infedele, gli amici infidi, i compagni sleali, frode e menzogna in ogni cosa. E per tre giorni, pur andando in giro continuamente fra uomini e donne, progetti ed affari, io ritornai dalla Luna, alla sera, col mio bel vestito immacolato. Ma la quarta sera Madame la Lune, corrugando il sopracciglio, scoprì una minuscola macchiolina nera poco più su del cuore. E, con la faccia oscura, mi rimproverò: «Tu hai detto, oggi, una bugia. Bada. Ma sia la prima e l'ultima». Sapevo come la macchiolina era venuta. Devi sapere che uomini e donne, lassù, son come noi. Solamente, mentre da noi le donne belle e gli uomini forti stanno specialmente nelle statue dei musei e nei quadri delle gallerie e attorno per il mondo vediamo girare ogni giorno un popolo di mostri e di sfiancati che d'uomo e di donna han solo il nome, nella luna, invece, son tutti belli. Così io, puoi immaginarlo, non tardai ad innamorarmi. E quel giorno stesso avevo al mattino chiesto un bacio ad una fanciulla bionda, offrendole, senza ch'ella me lo chiedesse, ma perchè si fa sempre così, d'esserle per sempre fedele. Ma nel pomeriggio una fanciulla bruna mi piacque e poichè ella chiedeva, per annoiarmi, un giuramento d'eterna fedeltà, io senza pensarci, tanto smaniavo di toccar quelle rosee sue labbra, giurai come alla bionda anche alla bruna d'esserle per sempre fedele. E il giorno dopo la prima bugia una terza fanciulla mi piacque. Suonava il violino divinamente; e glielo dissi. Ella, sorridendo felice, mi domandò se avessi mai sentito alcun altro suonar com'ella suonava. Ed io giurai che no. E, verso sera, una quarta fanciulla mi piacque, poichè suonava l'arpa celestialmente; e glielo dissi. Ed anch'ella, sorridendo felice, mi domandò se avessi mai nella luna od altrove sentito alcun altro suonare com'ella suonava. E io giurai che no, anche a lei, tanto mi piacque lusingarla per esserne lusingato e tanto non osai dir la verità per cui m'era parso che la suonatrice di violino, per profondità di sentimento e delicatezza di tocco, la vincesse di gran lunga su la suonatrice di arpa. E alla sera, chez Madame la Lune, furon dolori. Quattro macchioline, grosse come centesimi, erano schierate in bell'ordine su la mia giubba candida poco più su del cuore. «Bada, mi disse vedendole la Luna con cipiglio severo. Bada, Pierrot. Non continuar così se ti è caro vivere qui. Ricordati: non sei più fra gli uomini. In terra, di bugie si vive. Qui, di bugie si muore».
L'AMICO
Mi pare, in verità, che la Luna non potesse più affettuosamente metterti in guardia....
PIERROT
Mettersi in guardia.... Facile a dirsi, difficile a farsi. T'ho detto e ti ripeto che lassù eran tutte maledettamente belle e, non appena ne vedevo una che non avevo veduta ancora, mi prendeva una gran smania di baciarle le labbra e di suggerle in quel bacio l'anima come si succhia un fiore. E, per ottener questo bacio, non badavo a mezzi leciti o illeciti. Se mi chiedevano promesse, impegni, giuramenti, io, preso nel vortice del mio desiderio, ubbriacato di bellezza, promettevo, m'impegnavo, giuravo. E la giubba, la mia povera giubba si copriva di macchioline che s'allineavano in piccoli battaglioni come un esercito schierato in piazza d'armi e visto da un aereoplano a tremila metri. E, ogni sera, la Luna contava: «Trecento.... Quattrocento.... Cinquecento....». E ora le bugie, dette le prime, crescevano e si moltiplicavano senza che io volessi. Lo diciamo anche su la terra, tanto per giustificarci: una tira l'altra, come le ciliegie. E una, infatti, tirava l'altra. Dove una bugia era scoperta, dovevo dirne due nuove per nasconder la prima. Dove un inganno svelato minacciava di farmi perdere ciò che a me piaceva di conservare, tramavo altri tre inganni per mantenere il primo. E, alla sera, la Luna contava: «Ottocento.... Novecento.... Mille....». E sulla piazza d'armi della mia giubba candida l'aereoplano a tremila metri non vedeva più i punti fissi e radi d'un reggimento schierato: vedeva, povero me, tutt'un formicolìo d'eserciti....
L'AMICO
Come se guardasse, mettiamo, nell'anima di Colombina cui tu inesorabilmente rimproveri il giuoco delle bugie.
PIERROT
Ma tutto questo complicato andirivieni del mio capriccio e della mia fantasia, passati i primi tempi, corsa la cavallina, s'acquetò rapidamente. Quand'ebbi in un modo o nell'altro baciato tutte le donne che mi piacevano, m'accorsi che tutti i baci erano uguali e che a nulla serviva continuare a mutar di bocca se non riuscivo a mutar di piacere. Quand'ebbi comunque conquistato, lusingando, adulando, ingannando, imbrogliando, i migliori gigli per dormirvi la notte, i migliori fiori per assicurarmi i più fini manicaretti, i più bei cavallini per far trascinare la mia vettura, mi parve inutile continuare la mia fatica per avere altri agi uguali a quelli che già avevo, altre ghiottonerie quando di ghiottonerie ero già ristucco e altri lussi quando già, al mio passaggio, sdraiato nella mia Daumont, destavo l'ammirazione di mezzo mondo lunare e tutti mi segnavano a dito dicendo con rispetto: «Quello è Pierrot...». Quando, imitando gli altri poeti, camuffando con parole mie i pensieri altrui, rubacchiando con mano destra concetti e rime, ebbi avuto l'onore di adornare di miei versi le più illustri gazzette dell'Olimpo lirico lunare, mi parve superfluo insistere a far versi miei con quegli degli altri se già tutti leggendomi dicevano: «La Terra ha Dante.... E noi, più avventurati, abbiamo Pierrot....». E allora chiusi la mia vita in tre grandi solitudini: una donna sola per amare, un solo amico per vivere, un'opera sola per bere veramente, come Musset, nel mio bicchiere e farmi perdonare da Madame la Lune, in virtù del mio genio, le mie innumerevoli macchioline. E trovai, solo allungando la mano, la donna che mi adorava, l'amico impareggiabile e il capolavoro assicurato.
L'AMICO
E le macchioline, per tante nuove virtù, miracolosamente scomparvero.
PIERROT
No. Sta a sentire. E non m'interrompere così.... Trovato che ebbi l'amore, l'amicizia e l'opera, potei considerarmi, invero compiutamente felice. Da ogni parte la vita nella luna mi sorrideva come io avevo sognato che la terra mi sorridesse. Altro non mi rimaneva da fare che lasciarmi amare, lasciarmi servire e lasciar che l'estro liberamente cantasse nella mia fantasia. Ma, col tempo, la donna che mi amava mi venne a noia e, poichè aveva un'amica, non ebbi pace finchè non riuscii a tradir quella con questa. Verso il mio fedele e impareggiabile amico io non ebbi più scrupolo alcuno di mancargli di fede quando vidi che su la sua fede io potevo fare completo assegnamento. E, giuocandone la fiducia, sfruttandone gl'interessi, calunniandone il nome, riuscii ad avvantaggiar me in ogni modo danneggiando in ogni modo lui. In quanto poi al mio capolavoro, quando vidi che l'opera era certa, ma lunga la fatica, quando vidi alle prove che l'estro cieco non basta, ma che, come diceva Buffon, le génie n'est qu'une longue patience, quando sentii farsi attorno al mio raccoglimento operoso il silenzio nelle frivole voci delle più leggere e quotidiane popolarità e non mi vidi più per le vie segnato a dito e non mi vidi più nei grandi giornali paragonato ogni giorno a Dante od a Shakespeare, annunziai a tutti che il gran capolavoro era finito e diedi fuori, spacciandoli per l'opera lungamente pensata e lavorata, duemila versi qualunque buttati giù alla svelta in meno d'una settimana. Ma quand'ebbi tradito così tutto quello che avevo ricevuto in dono dalla Luna, l'amore, l'amicizia e la gloria, non potei più passare per i marciapiedi senza veder riflettersi negli specchi che li lastricavano non più la mia giubba candida tempestata di macchioline, ma addirittura una funebre casacca nera in cui di bianco non c'era più neanche un puntolino. Così mi ritrovò Madame la Lune quando, alcuni giorni dopo, essendo stata chiusa in casa e invisibile per un'eclissi, ricomparve ufficialmente nella sua reggia d'argento e mi mandò a chiamare. Non osavo apparirle davanti e sentivo che nella sua collera la mia ultima ora lunare sarebbe stata irremissibilmente segnata. Ma non s'alterò vedendomi nero a quel modo da capo ai piedi. Solo scosse melanconicamente la sua bella testa serena e mi disse così, senza severità: «Vedo che nel felice mondo della luna, non ostante tutto ciò che io ti ho consigliato, tu ti sei condotto non altrimenti da come, su la terra, gli uomini si conducevano verso di te. T'ho dato le tre grandi gioie del cuore, dello spirito e dell'intelligenza e tu ne hai fatto menzogna e mercato. Ma non poteva essere altrimenti. Non è tua colpa se, dopo le prime macchioline delle prime timide bugie, la tua bianca casacca s'è fatta nera come l'anima tua. Tu sei poeta, ma sei anche uomo, inguaribilmente uomo. Poeta tu desideri un bene, una verità, una felicità che poi, se ti son dati, tu uomo non sai vedere, non sai rispettare, non sai conservare. Quand'eri su la terra odiavi la menzogna, l'inganno, la frode, perchè menzogna e inganno e frode eran tramati dagli altri verso di te. Ma quando il tuo slancio ideale verso il sogno t'ha portato più su degli uomini, dove nessuno mentiva, nessuno ingannava, nessuno frodava, tu, che altro non sei che un uomo, hai mentito, hai ingannato, hai frodato, hai fatto nella luna, verso gli altri, quello che in terra ti doleva che gli altri potessero fare a te. Il male è nel tuo cuore, piccolo uomo che si veste di bianco, ma che è dentro di sè senza candore. L'illusione è dentro di te, poeta, l'illusione per cui follemente ti lamenti d'umane debolezze e d'umane viltà di cui tu sei quanto tutti gli altri capace. Che vuoi tu dunque da noi? Qui sono anime candide per cui purezza vuol dire diritto d'immortalità. La vostra vita umana è invece in un breve circolo di anni, impercettibile attimo nel tempo, inesorabilmente segnata. E nessuno di voi uomini è immortale perchè nessuno di voi, uomini, è degno d'immortalità. Anche qui, qualche volta, un'anima si perde. Tu ne hai perduta una: quella di colei con la quale hai tradito l'immenso amore che, per l'eternità, in una donna io t'avevo dato. Ma quando quassù un'anima si perde il lutto è così grande che una stella si spegne nel cielo e un mondo s'inabissa nell'infinito. Le stelle cadenti che voi uomini vedete solcare il cielo nelle notti d'estate altro non sono che anime perdute quassù e che precipitano in un'ultima luce per venire a perdersi nella vostra terrestre oscurità. Ritorna dunque, o piccolo poeta mortale, il cui ideale non ha luce più lunga e più forte di quella di una lucciola su la siepe, ritorna alla tua terra laggiù. Sopporta che gli altri ti mentiscano poichè tu sei pronto a mentir come loro. Soffri che gli altri ti ingannino, poichè tu, come loro, non sai vivere di verità. Accetta d'essere vittima della frode in attesa dell'ora propizia in cui sarai tu il frodatore. Vattene dunque, uomo. E dì al poeta che ha dato le ali alla tua fantasia per mandarti fin quassù, digli che è inutile chiedere come lui fece des ailes, des ailes, quando non potete servirvene per restare in alto. Quanto più in alto tu sali, o poeta, con le tue ali d'impossibile, più dall'alto cadi, tu uomo, quando il tuo peso mortale inesorabilmente ti condanna a ripiombare giù». Ciò detto la Luna fece un gesto e tutto si oscurò. Ed io mi ritrovai un istante dopo sul margine del firmamento, non più Pierrot bianco, non più Pierrot nero, ma col vestito da clown, a striscie bianche e nere, pagliaccio di due colori, mezzo ideale e mezzo realtà, poeta e uomo, da tutti diverso ed a tutti eguale. E vidi correre verso di me cento, duecento, mille donne, tutte quelle che avevo baciate, tutte quelle cui avevo mentito; e avevan tutte la faccia di Colombina quando ride e mi sfida. E gridavan tutte spingendomi verso l'abisso stellato: «Giù.... Giù.... Via di qua, uomo.... Torna da lei che ci vendicherà...». E in un'ultima risata di mille gole, nello spintone di duemila braccia, dal margine del firmamento ricaddi nell'abisso, traversai le stelle senza potermi più salvare aggrappandomi ai loro chiodi d'oro; e vidi sotto di me, precipitando, il minuscolo mondo crescere, crescere, crescere e farsi sempre più vicino, e più preciso, e vidi il mare e i monti, vidi le luci delle città e poi le città stesse, e poi le vie, e i palazzi, e le case, e le finestre, e il mio tetto e su questo un grottesco piccolo trampolino messo assieme con due povere tavole, miserabile tentativo fatto per sfuggire alla vita, agli uomini e a me stesso, trampolino su cui picchiai per rimbalzare e ricader fuori del cornicione, e rotolar giù lungo la parete della mia casa, e ripiombar giù nella strada piccola, buia, bagnata, fangosa e nell'urto formidabile svegliarmi, e trovarmi lì a terra, accoccolato vicino al muro, col mio vestito da Pierrot tutto pioggia e fango, col cielo sul capo, nella listarella azzurra che se ne vede tra le case in città, senza più nuvole tutto pieno di stelle. E la luna non era più che lì dentro — sola luna degna di me, di te, di Colombina, di tutti noi uomini e donne — la luna non era più che un dischetto bianco, grande quanto una fetta d'ananas, tremolante lì accanto a me nell'acqua piovana della pozzanghera.