Читать книгу Futuro Pericoloso - Mª Del Mar Agulló - Страница 7
4. Una storia famigliare
ОглавлениеMonica, dopo aver sistemato gli avanzi della cena e pulito il tavolo, si sedette sul divano insieme ai suoi figli e iniziò il suo racconto, mentre Samuel la guardava impaziente e Oscar iniziava a leggere qualcosa sul suo cellulare.
– Conobbi il papà di Oscar molto tempo fa a scuola, quando lui stava per compiere dodici anni e io li avevo già compiuti. Era primavera, mi ricordo che a suo papà – Monica volse lo sguardo su Oscar, che fingeva di essere interessato alla storia che sua madre raccontava al fratellino – piaceva annusare i fiori delle pesche della scuola, cosa che attirò la mia attenzione.
– Avevate dei peschi nella vostra scuola? – chiese Samuel stupito.
– Avevamo alberi di tutti i tipi – Samuel aprì la bocca sorpreso —, sai che avevamo lezioni di agricoltura?
– Ci sono anche adesso – commentò Oscar senza alzare lo sguardo dal suo cellulare.
– Un giorno mi avvicinai a suo papà e gli chiesi perché lo faceva, mi disse che gli piaceva come profumavano. Io mi avvicinai fino all’albero e staccai un fiore per annusarlo, motivo per cui suo papà si arrabbiò con me. Non voleva che nessuno toccasse gli alberi. Non mi rivolse la parola durante tutto il corso.
– Cosa successe dopo? – chiese Samuel interessato.
– Durante il corso successivo mi chiese di aiutarlo con una materia. Studiavamo mappe antiche, dovevamo disegnarle, e io ero molto brava a disegnare. Così un giorno mi si avvicinò e mi chiese se volevo realizzare un lavoro con lui, io gli dissi di sì. Alla fine finii per fare da sola tutto il lavoro. Da allora tutti i giorni ci vedevamo durante l’intervallo e dopo le lezioni tornavamo sempre insieme a casa.
– E allora vi innamoraste? – chiese Samuel curioso.
Oscar alzò lo sguardo interessato.
– Ti ho già detto che sei un bambino molto intelligente? – Samuel iniziò a ridere.
– Per molti anni fummo inseparabili, finché rimasi incinta di tuo fratello.
– E adesso dov’è? – chiese Samuel.
Monica guardò Oscar, che la guardava.
– È in cielo con mio papà?
– No, tesoro, se ne andò.
– Dove? – insistette il piccolo.
– A volte c’è gente che se ne va e sparisce dalla tua vita.
– Come zia Victoria che vive a Londra? – Victoria era la sorella del padre di Samuel.
– Sì, una cosa del genere.
– Allora possiamo andare a vederlo?
Monica stava iniziando a innervosirsi.
– È che non sappiamo dove se ne andò – intervenne Oscar per aiutare sua madre ed evitare che sgridasse Samuel.
Più tardi Monica, dopo aver messo a letto il piccolo Samuel, scese in salotto e si sedette insieme a suo figlio maggiore.
– Grazie per prima.
– Non devi ringraziarmi. So che non ti è mai piaciuto parlare di mio padre e che quando lo fai, finisci per sembrare una persona con disturbi mentali.
***
Il giorno dopo Monica svegliò presto Samuel e lo portò nella camera di Oscar.
– Al tre – disse Monica a voce bassa.
– D’accordo.
– Uno, due e… Tre!
Al tre Samuel piombò sul letto di Oscar.
– Buon compleanno! – dissero Samuel e Monica all’unisono, mentre lei lanciava coriandoli colorati al festeggiato.
Erano le nove e mezza del mattino quando suonarono il campanello di casa. Monica aprì la porta, trovando Ignacio con una lettera.
– Mi dispiace, ti avevo avvertito molte volte.
Ignacio consegnò la lettera a Monica e se ne andò. Monica non aspettò di entrare in casa e aprì la lettera rompendo la busta. Era un ordine di sfratto. O pagava l’affitto entro i quattro giorni successivi o poteva già iniziare a fare le valigie.
Monica era esterrefatta, non poteva credere che Ignacio la lasciasse per strada. Forse avrebbe dovuto uscire a cena con lui per ammorbidirlo, cosa che aveva sempre rifiutato di fare perché la disgustava. Pensò a suo figlio maggiore, così tenace, che si preoccupava sempre del benessere degli altri. Lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per i suoi figli, perfino perdere la sua dignità. Ma si preoccupava anche di quello che avrebbero potuto pensare di lei. Forse per Oscar non era stata un esempio da seguire, ma non voleva ripetere lo stesso errore con Samuel.
Suonarono di nuovo il campanello. Monica corse verso la porta con la speranza che Ignacio si fosse pentito. Al suo posto trovò Rocío, giusto ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
– Ciao, vicina.
– Ciao, Rocío.
– Ho visto Ignacio passare di qui. Cosa voleva? Qualcosa non va?
Monica pensò a tutti gli anni in cui portava pazienza con le sue vicine, ai momenti in cui le sarebbe piaciuto dire loro che pensassero agli affari loro. Invece sospirò profondamente e molto educatamente le disse:
– Voleva solo sapere se ho i soldi per l’affitto.
Rocío sembrava poco soddisfatta.
– Festeggerai il compleanno di Oscar?
– Stasera esce con i suoi amici per festeggiarlo.
– E non organizzerai una festicciola qui?
– Non credo.
– Che peccato, avevo così voglia di una festa! Sai che Maribel sta cercando una fidanzata per Ignacio? Dovresti affrettarti, altrimenti ti sfuggirà.
– Non so di cosa parli – disse Monica confusa.
– Ho visto che ti ha fatto visita varie volte e che c’è un certo flirt innocente tra di voi.
– Sei unica, davvero – disse a voce alta, sebbene non ne avesse l’intenzione.
– Grazie, lo so, sono brava a prestare attenzione ai dettagli – disse tirando in ballo il suo ego —. Allora? Vuoi che gli dica qualcosa da parte tua?
Monica chiuse la porta senza rispondere. Forse cambiare casa non era una cattiva idea dopotutto.
Dopo che ebbe chiuso la porta, iniziò a suonare il telefono, che era in anticamera. Monica lo prese e premette il tasto verde.
– Buongiorno, è lei la signora Ibáñez? La chiamo dal servizio di autisti.
– Sì, sono io – rispose goffamente, mentre si dirigeva verso il divano per sedersi.
– Vede, abbiamo visto il suo curriculum e ci sembra una candidata molto interessante. Non si trovano persone così giovani che sappiano guidare macchine antiche. Certo che quelle moderne non si guidano. Potrebbe iniziare domani?
– Questo significa che sono assunta? – chiese Monica con un tono di voce troppo alto, mentre le si acceleravano i battiti.
– Certo, perché crede che l’abbia chiamata? – l’uomo all’altro lato della linea rise —. So che il lavoro è dal lunedì al venerdì, ma domani il mio cliente deve andare in ufficio per una riunione. Voglio che abbia chiare le regole, non gli rivolgerà la parola a meno che non lo faccia lui. Se un giorno dovrà accompagnare sua moglie o le sue figlie, sarà lo stesso. Il lavoro inizierà alle sette e mezza del mattino, ora in cui dovrà aspettare alla porta di casa del mio cliente. All’una del pomeriggio andrà a prenderlo al suo ufficio e lo porterà dove desideri. Quando scenderà dalla macchina, la sua giornata sarà conclusa. Inoltre è possibile che richieda i suoi servizi in altre date, come nel caso di domani, ma non si preoccupi, quelle ore le verranno pagate come straordinari. Per il lavoro di domani riceverà cinquecentosessanta simeoni. Guiderà una limousine del mio cliente che porteremo a casa sua oggi stesso.
Il simeone era la valuta universale da quando trecento anni prima il calo del valore di diverse monete, tra cui il dollaro statunitense e australiano, il peso messicano e lo yen giapponese, fu alla base di una grave crisi finanziaria in quei paesi e si decise che non aveva senso avere diverse monete nel mondo.
Una situazione simile si ebbe nel caso delle lingue: l’inglese e il russo vennero considerate come lingue universali, ma l’idea venne rifiutata quasi subito, sostenendo che fosse una perdita di valore culturale smettere di parlare le altre lingue. In quell’epoca esistevano centinaia di applicazioni e oggetti che fungevano da traduttori istantanei, senza aver bisogno di conoscere l’altra lingua.
***
C’erano due tipi di strade: quelle antiche e quelle automatiche. Le strade antiche erano state costruite molto tempo prima, erano vecchie, erano state asfaltate da molto tempo e in generale si faceva loro poca manutenzione perché erano poco transitate. Dall’altra parte c’erano le strade automatiche che ricevevano una manutenzione costante. Mentre sulle strade antiche le macchine avevano bisogno di un autista che le guidasse, sulle strade automatiche le macchine non avevano bisogno di un autista, dato che erano connesse a un sistema centrale elettromagnetico che portava la macchina da una parte all’altra senza bisogno di fare niente, salvo indicare il posto dove si voleva andare. Inoltre funzionavano con energia solare e non inquinavano.
Ogni tipo di strada aveva i suoi pro e contro. Sulle strade automatiche non si rischiava la collisione. Il sistema informatico stradale al quale si connettevano le macchine tracciava il tragitto, lo introduceva nella mappa e lo configurava affinché non ci fosse nessun rischio. Dall’introduzione delle strade automatiche, cento anni prima, non ci fu nessun incidente su questo tipo di strada. Per questa ragione la maggior parte delle persone viaggiava su questo tipo di strada.
Da qualche tempo era di moda guidare su strade antiche. Questo valeva soprattutto per i benestanti che volevano evitare gli ingorghi delle strade automatiche. Certo che la maggior parte di loro non sapeva guidare e doveva ricorrere ad autisti, un mestiere che era riemerso con questa moda dopo essersi estinto.
Monica non guidava una macchina antica da anni. Per questo era agitata. Decise di trascorrere il pomeriggio a guidare la vecchia macchina che teneva parcheggiata nel parcheggio sotterraneo e che non aveva toccato da quando si erano trasferiti. Se la conservava ancora, era perché correva voce che avrebbero introdotto un’imposta per poter circolare sulle strade automatiche, oltre alla tassa che si pagava annualmente.
Monica guidò fino a una vecchia e abbandonata zona industriale della sua città, Elche. Lì avrebbero installato un nuovo laboratorio per esaminare i virus, dopo la demolizione e la ristrutturazione dello stesso, prevista per la fine dell’anno.
Fino ad arrivare alla zona industriale, a vari chilometri dalla sua casa bifamiliare, la macchina di Monica si bloccò tutte le volte che lei si fermò.
– Bene, Monica, puoi farcela – si disse a se stessa —, fallo per i tuoi figli e, per favore, cerca di non farti licenziare il primo giorno.
Monica continuò a esercitarsi tutto il pomeriggio, andò persino a prendere Samuel a scuola.
***
Erano le dodici e mezza di sera quando Oscar entrò in casa.
– Ti sei divertito? – disse Monica dal divano.
– Ciao, mamma, molto.
– Sei tornato presto.
– Dopo tante ore con loro mi sono stancato – si giustificò Oscar sorridente.
– A tuo fratello sei mancato oggi pomeriggio.
– Perché non mi parli mai di mio padre? – chiese cambiando argomento e ricordandosi delle lettere che sua madre teneva nascoste.
– Vuoi davvero parlarne?
– Sì.
– Non sono pronta.
– Mamma, sono passati diciotto anni, voglio conoscerlo.
– Non so niente di lui da molto tempo. Magari potessi darti informazioni! Anzi, magari potessi dirti che tuo padre era meraviglioso o che ti ha cercato, ma non l’ha fatto, non si è mai preoccupato di te – mentì Monica.
Oscar andò in bagno per cercare di calmarsi. Da quando aveva scoperto le lettere di suo padre due giorni prima, aveva la sensazione di aver vissuto tutta la sua vita con un’estranea. Non conosceva più sua madre. Aveva sempre pensato che suo padre fosse la persona peggiore al mondo basandosi su quello che gli aveva detto sua madre, ma ora che aveva scoperto parte della verità, dubitava che sua madre fosse migliore. Quali ragioni poteva avere per non lasciare che gli si avvicinasse?
Monica salì per vedere se Samuel continuava a dormire. Quando scese di nuovo, trovò Oscar che guardava la TV angosciato.
– Guarda, mamma, è esploso un laboratorio di virus a Taiwan.
– È una tragedia. Per questo mi fa paura il fatto che vogliano costruire un laboratorio qui.
– È normale, Elche è la città più importante della Spagna. Il fatto che non ce ne sia uno qui è illogico – disse Oscar emozionato.
– Non andrai avanti con quella stupidaggine dei ProHu, vero?
– Stupidaggine? Ti sembra una stupidaggine rischiare la tua vita per salvare quella di altre persone? Io credo che si debba essere molto coraggiosi per fare qualcosa del genere – Oscar era turbato.
– L’hai appena detto tu stesso, rischi la tua vita. Che bisogno c’è di farlo?
– Qualcuno deve pur farlo, altrimenti tutti moriremmo. Se nessuno rischia, nessuno vince.
– E dev’essere mio figlio?
– Se c’è bisogno, sì.
– Cosa vuoi dimostrare?
– Cerco solo di aiutare, aiutare le persone malate a curarsi e aiutare te e Samuel con i soldi.
– Non devi farlo, ci sono già molti candidati.
– Sei un’ipocrita, mamma. Hai sempre detto che i ProHu sono eroi, ma non ti va l’idea che tuo figlio sia uno di loro. ProHu sì, ma senza sporcarsi le mani. Che coraggiosa che sei, mamma! – Oscar aveva le lacrime agli occhi.
– Vuoi parlare di coraggio a me? Chi ha cresciuto te e Samuel? Chi vi ha dato tutto?
– Immagino la stessa persona che da quando sono nato mi ha sempre negato di conoscere mio padre – disse Oscar cercando di recuperare la serenità.
– Non dire sciocchezze. Tuo padre ci ha abbandonato. Non so niente di lui da diciotto anni.
– Non continuare a mentire. So tutto, ho trovato la tua scatola.
– Hai rovistato tra le mie cose?
– Ti preoccupa di più che abbia trovato la tua scatola del fatto che è tutta la vita che mi stai mentendo? – alla fine Oscar crollò e iniziò a piangere.
– L’ho fatto solo per proteggerti.
– Da dove hai tirato fuori questa frase? Da un film?
– Aspetta, dove vai?
Oscar aprì la porta principale e uscì sbattendola.
– Oscar, aspetta!
Monica uscì in strada, ma era troppo tardi. Suo figlio, campione di atletica leggera, era già sparito.