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IV.

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Leone stava comodamente seduto in una lunga poltrona di giunco, sul limitare del porticato aperto sul giardino. Aveva accanto un tavolino carico di quanto potesse occorrergli e teneva fra le mani un giornale spiegato. Ma egli non leggeva e il suo sguardo correva, furtivo e un po' inquieto, dietro due figure femminili erranti pel giardino.

Egli era ora quasi al tutto guarito ed aveva incaricata sua suocera di parlare a Diana in favor suo. La pecorella smarrita chiedeva di far ritorno all'ovile.

La contessa Galli, lietissima della santa missione, aveva colta la prima occasione, quella cioè della passeggiatina ch'ella e sua figlia erano solito fare ogni giorno, dopo colazione, in giardino.

Giardino, per modo di dire. — C'erano i soliti comparti di bosso sì cari ai nostri nonni, la solita montagnuola, fresca dell'ombra di un vicinissimo boschetto di cipressi e d'ippocastani, ornato d'un tavolo e di qualche seggio di pietra, nonchè di un parapetto, dal quale si poteva godere lo spettacolo della pianura senza fine e quello di una larga gora che stagnava all'esterno, costeggiando la base del muro di cinta. I sentieri si serbavano a mala pena, tanto erano scarsamente battuti.

La contessa Galli condusse sua figlia sulla montagnuola e sedette. Diana rimase in piedi. Indovinava, a un dipresso, le intenzioni di sua madre, sentiva venir la burrasca, senza poterla evitare.

Per un momento, quelle due donne stettero raccolte in un silenzio grave. S'udiva, poco lungi di là, dietro il boschetto, lo strepito dei cavalli che si governavano nelle vicine scuderie. Dalla lucentezza immobile del fossato esterno saliva una frescura umidiccia ed un musicale ronzìo di moscerini.

La contessa Galli fu affettuosissima colla figliuola e fe' rapida strada nell'argomento. Le disse di aver avuto un lungo colloquio con Leone, d'aver deplorato con lui le difficili e spiacevoli circostanze della posizione. Parlò del sincero pentimento del genero, egli riconosceva apertamente i suoi torti e nutriva vivo desiderio di ottenere il perdono di sua moglie.

Diana sorrise. Ora!... disse con profonda amarissima ironia.

La madre, sconcertata un'istante da quell'enigmatica parola e più ancora dall'accento col quale era stata profferita, riprese con somma e dolce cautela, le proprie argomentazioni.

Leone aveva errato, senza dubbio, aveva crudelmente offesa la sua povera Diana. Chi, più della madre, aveva sofferto dell'infelicità, della figlia? Ma ora tutto ciò era passato, finito. Dio aveva parlato al cuore di Leone, le cure, l'affetto della moglie lo avevano richiamato sulla via del dovere, cancellando in lui ogni traccia del passato. Diana trionfava ora, nel pentimento e nel ravvedimento del marito.

E con questo riferto, alquanto amplificato, a dir vero, sul tracciato della missione affidatale, la buona signora credette d'aver tagliata la testa al toro.

Ma Diana non rispondeva. Appoggiata al parapetto, guardava non già sua madre, ma qualcosa che a lei sola era visibile, nelle sfumature dell'orizzonte. Stava rigida, immota colle ciglia aggrottate, il suo volto era duro, contratto, recava una espressione che turbò la madre, più assai di quanto nol lasciasse scorgere.

— Ebbene? chiese questa, cercando di sorridere e di parlare scherzevolmente.

— È impossibile!... disse Diana con accento vibrato.

— Impossibile?... Oh che parolone, mia cara Diana. Ma perchè?

— Perchè è impossibile. Doveva pensarci prima. Ora, è tardi.

— Non è mai tardi per pentirsi. È naturalissimo ch'egli, rinunziando alle colpevoli leggerezze che ti hanno tanto afflitta, desideri il tuo perdono e lo implori. E tu... sei sua moglie.

Diana ebbe un moto di rabbia convulsa. Strappò di terra alcuni fili d'erba e li gettò con un aspro gesto nel fossato.

— Sei sua moglie, continuò dolcemente la vecchia signora. Questo stato t'impone dei doveri speciali... dirò anche, dei sacrifici. Non puoi esimertene.

Diana si morse le labbra e non rispose che dopo un istante, con impeto.

— Egli si è liberato da questi legami, li ha infranti, egli... pel primo.

— Vero. Pur troppo; verissimo. — Ma quando tu lo hai sposato, mia povera Diana, quando hai giurato di esser sua, per sempre, non hai fatte condizioni speciali, non hai messe clausole preventive? Hai giurato, semplicemente ed illimitatamente. — Poi?... Egli fu debole ed infedele, mentre tu serbavi incolume, illibata la tua personale dignità di donna e di moglie.

Sotto la sferza di quella lode materna, Diana impallidì e la sua persona ebbe un breve guizzo nervoso.

— Egli, continuò imperturbata la madre, ebbe la sventura di cadere, non trovò, per difendersi contro le passioni la forza che tu, insidiata da esse, avresti attinte alla nostra fede, ai nostri principi. Perciò ti è serbato l'alto privilegio del perdono. E questo; pietosamente accordato da te, può ritrarre per sempre tuo marito dal male, può essere la salvezza del suo avvenire e... del tuo.

— Il mio?... gridò Diana.

— Il tuo, sì. — Ascoltami, sia sincera. Sei contenta dell'attuale tua posizione? Guardami in faccia, rispondi.

Ella non rispose, nè guardò in faccia sua madre. Alzò le spalle bruscamente, come nello sforzo di un singhiozzo.

— Non puoi essere contenta, Diana... non lo sei. — E perciò, dimmi; cosa intendi fare?

— Io?... Che vuoi ch'io faccia? Che posso dire? Ma scordare, tornar come prima è impossibile. — È impossibile! ripetè esasperata.

— Ebbene, ammettiamo. È impossibile. — Ma allora, in questo caso, quali sono i tuoi progetti.

— I miei progetti?... balbettò Diana. Ma non so, non ne ho. — Vivere a Rezzano, così... nome ora.

— Sola?

— Sì... sola...

— Ma s'egli non volesse? Può venirci o condurti via, a piacer suo. Non siete separati legalmente.

— E se mi separassi legalmente?

— Non puoi farlo senza il suo consenso e senza un motivo legale. Anche nei suoi disordini, egli ha rispettata la dimora coniugale. Egli ha avuti dei torti, e tu hai tutte le ragioni, ma con tutto ciò, la legge è per lui e non per te. E quand'anche ottenessi una separazione amichevole, che faresti poscia?... Penseresti forse di venir con me?... Ma io ti amo troppo, figlia mia, per acconsentire a questo falsissimo passo.

Diana ebbe un grido.

— Tu non mi vuoi?... tu?

— No Diana, non ti voglio così. Non voglio per te una posizione ambigua, che il mondo giudicherebbe sinistramente. Ricusando di accettare il pentimento di tuo marito, rinunzieresti a tutti i privilegi della tua posizione e ne incontreresti una di gran lunga peggiore. E ciò potrebbe altresì recar danno all'avvenire delle tue sorelle.

— Io potrei recar danno...?

— Certamente, Diana. — È difficile, in qualunque condizione, il collocamento delle ragazze. Ma più ancora quando un primo matrimonio in casa avesse fatto cattiva prova. Il mondo...

Diana ebbe un gesto di fiera noncuranza.

— No cara, non possiamo scordarlo, nè sfidare le sue condanne, anche se ingiuste, anche se erronee. E sai tu che si direbbe di te, qualora tu respingendo il pentimento di tuo marito, volessi continuare un'esistenza indipendente? Che colla scusa dell'infedeltà del marito, vorresti libero l'esercizio della tua!

— Mamma! gridò Diana con un'angoscia piena di spavento.

— Sì, proseguì spietatamente la contessa Galli, il mondo direbbe questo. Sarebbe una menzogna; ma alcuni la crederebbero. Non quelli che ti conoscono... non io, appunto perchè più di ogni altro ti conosco; perchè sei mia figlia, perchè è impossibile che tu cada.

Tacque un istante, sopraffatta dalla sua emozione, dal segreto terrore che sorgeva e cresceva in lei davanti all'attitudine atterrita di Diana, davanti al suo curvo capo, al suo silenzio disperato.

— Questo solo è impossibile, proseguì concitata. — È impossibile per te. Fra tutte le sventure che possono accadere ad una donna, questa è la peggiore. Bada, parlo di noi, donne oneste, che abbiamo una fede, che amiamo il bene, che soffriamo del male, anche se lo commettiamo. Non siamo fatte per il peccato, quand'anche peccassimo. Il suo orrore ci ucciderebbe, prima o poi. Ed io vedi, io, tua madre, preferirei saperti morta! Ma non dico questo per te, Diana! Io lo so... tu lo sai pure che non puoi cadere!

Tremò visibilmente, nella gloriosa audacia di quell'asserto. Diana alzò sulla madre uno sguardo spento. — Così era infatti. E per ciò appunto; come dirle il vero?

Non lo disse. Tacque.

— Allora, continuò la vecchia signora, cercando di frenarsi, ti rimane aperta una sola via. Tornare con tuo marito.

Diana si ribellò.

— Ma non lo amo, intendi?

— Il dovere non si chiama sempre amore. Ed egli è tuo marito.

Certo. Leone era suo marito. Di lì, non si esciva!

Diana si sentì invasa da una lassezza infinita, incrociò le mani sulle ginocchia con un gesto di scoramento che parve all'illusa madre un principio di rassegnazione. — Rianimata da quella speranza, prosegui con accento non più austero ma affettuosissimo:

— È una sventura che tu non l'ami, figlia mia. Ma si può vivere senza l'amore. Pur di volere, gagliardamente, ad ogni costo. Sii forte e per poterlo essere; prega. Dio ti darà la forza, ti darà la pace, ti darà forse la grazia che gli ho sempre chiesta per te, la grazia che tanto muta, tanto appiana nel cuore della donna, ti darà la maternità.

La maternità! pensò Diana. Sì. Ma a qual prezzo...!

Non parlava più, ora, persuasa di aver detto tutto ciò che poteva dire, compresa dall'onta di ciò che l'era d'uopo tacere, spaventata dalla gravità dell'ammonimento che la previdenza materna aveva celato sotto l'apparenza di una lode, convinta, nell'intimo del cuor suo, dell'inesorabile vero delle materne parole. Ma convinta pure e con pari forza di convincimento di amare Alberto, di non amare Leone e di non poter vivere con lui, senza amarlo.

* * *

— Ho inteso; disse lietamente Leone a sua suocera, il giorno prima della partenza di questa, ho inteso. Va tutto benone. Ora, lasci fare a me.

La contessa Galli non bramava però ch'egli dasse troppo ampia latitudine alla relazione testè fattagli del colloquio con Diana. Le pareva ch'egli corresse alquanto la posta.

— Ma bada, sai, ti raccomando. — Non ho mica detto che Diana...

— Eh! non importa. Ho inteso, le dico. La conosco sa, è una buonissima creatura, un po' testarda è vero ma a saper fare, se ne viene a capo. Non ammetterà mai, a voce, di rinunziare a una sua idea, ma poi... s'intende, capirà anche lei! E tanto meglio se non ci sono spiegazioni fra noi, le ho sempre aborrite anch'io. Così; ce le risparmiamo a vicenda. Si mette una pietra sul passato e non se ne parla più. È la più bella soluzione che si possa immaginare.

— Intendo. — Ma capirai che ora, naturalmente, la questione è sempre abbastanza scottante, per cui ci vorranno dei riguardi speciali e...

— Diavolo! lo so anch'io. Oh che sono un ragazzo? Naturalissimo! Diana è nei suoi diritti. Per conto mio, la intendo benissimo. Creda, sono proprio dolente delle mie... ehm. Del resto, tutti capricci, sa, roba di passaggio — Le ho sempre voluto bene, anche allora! Scappate, nulla più. A volta anche Diana (mi scusi veh...) era un poco freddina, non c'intendevamo. Mentre ora, si è fatta tanto carina in questi ultimi tempi, ha acquistato un certo non so che, un chic, un sentimento che non aveva, anni sono. E poi, sarei proprio un ingrato, dopo le tante cure che mi ha prodigate. Sento che saremo proprio felici!

— Sì, ma...

— Che ma d'Egitto, lasci fare a me, le ripeto. Vedrà che belle novità le porteremo a Monsoldo, questo autunno!

Rideva, d'un bel riso sonoro di convalescente felice, baciando, da genero galante, la magra mano di sua suocera.

La contessa Galli aveva avuta parecchie volte, nei giorni scorsi, una mezza voglia di ritardare la sua partenza. Non era al tutto contenta nè della muta, accigliata docilità di Diana, nè dell'assoluta fiducia di Leone in una già avvenuta soluzione della crisi. Le pareva che tutto andasse troppo bene. — Ma d'altra parte, a che avrebbe giovato una più lunga dimora alla Morletta? Ora, toccava a loro due! Forse, suo genero non aveva torto, meglio lasciar fare a lui, cioè no, a Domeneddio. Ella aveva fatto quant'era in poter suo per preparare la via ad una completa riconciliazione, il resto verrebbe forse da sè.

Partì e nel lasciare sua figlia, che l'aveva accompagnata alla stazione, le mormorò all'orecchio una calda preghiera.

— Farò quel che potrò, rispose Diana a stento, con voce cupa ed alzando le spalle.

La contessa Galli avrebbe forse voluto aggiunger qualcosa ma il treno si metteva in moto ed ella ebbe a mala pena il tempo di dare un bacio, l'ultimo, a sua figlia.

* * *

Otto giorni dopo i Rezzano ebbero una bella visita.

Alberto Mentana, il quale si recava a Milano per le corse, ebbe la gentile idea di allungare alquanto il suo viaggetto, recandosi alla Morletta, per costatare, de visu la perfetta guarigione dell'amico.

Rimase soltanto a colazione, resistendo a tutte le insistenze di Leone, perchè si trattenesse almeno un giorno intiero. — Ma quelle due ore furono proprio piacevolissime, si fecero grandi progetti per Rezzano, ove si ritroverebbero tra breve. Leone pregò l'amico di aiutarlo a convincere quella testarda di sua moglie che voleva sempre ritardare la partenza per Rezzano, temendo per lui la fatica del viaggio. Come se non fosse guarito ora... perfettamente guarito! Si stava freschi a dar retta alle donne e alle loro paure!

Leone parlò molto di sua moglie, con una specie di lepida insistenza, piena di buon umore. Narrò a lungo della sua malattia, delle infinite cure prodigategli dalla sua infermiera.

Alberto ascoltava, sorridendo, coll'occhio alquanto socchiuso.

— Allora... a rivederci a Rezzano, disse nell'accomiatarsi e rivolgendosi alla moglie dell'amico.

Non eran rimasti soli un secondo, non s'erano scambiati una parola furtiva, ma Diana, colla mano ancora tremante della stretta di addio che Alberto le aveva data al momento della partenza e sotto gli occhi del marito, sapeva di certa scienza che non certo in Alberto avrebbe trovato un ajuto contro sè stessa e ch'egli l'amava ormai senza pietà nè misericordia!

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