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CAPITOLO TRE

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Luna si svegliò sbattendo le palpebre alla luce, e anche quello fu una sorpresa. Quando si era addormentata, si era aspettata di scivolare nel buio e non svegliarsi più, completamente consumata dai nanobot alieni che si stavano lentamente impossessando del suo corpo. Invece poteva ancora ricordare chi era, dove si trovava e tutti gli orrori che avevano colpito il mondo.

Fu solo quando il suo corpo si alzò senza che lei ci pensasse che si rese conto che qualcosa non andava.

“No!” gridò, ma l’urlo le uscì dalle labbra solo come uno sbuffo che si rifiutava di dare risposta ai suoi comandi. Ad ogni modo non erano suoi, per niente. Qualcun altro stava tirando i fili che la controllavano.

Si guardò attorno nel complesso in cui avevano combattuto contro tutti i trasformati e gli alieni, e Luna ebbe la sensazione di non essere lei sola a guardarsi in giro in quel momento. C’erano altre cose che stavano guardando attraverso i suoi occhi, prendendo decisioni per suo conto e dando comandi senza pensare a cosa ciò potesse procurarle.

Luna cercò di opporsi con più forza possibile a quei comandi, ma non fece nessuna differenza, come non aveva fatto nessuna differenza l’ultima volta che si era trovata ad essere controllata. Si alzò invece come una prigioniera nella sua stessa carne, mentre il suo corpo iniziava a camminare verso gli altri, costretta da pareti che erano costituite dai suoi stessi muscoli. Afferrò un lungo pezzo di metallo che era affilato come un machete o un coltello. Se così facendo si tagliò le mani, non se ne accorse.

Luna non capiva. Prima i trasformati aveva afferrato gente alla cieca cercando di convertirli, intontiti dalla mancanza di un diretto controllo. Questo però… le sembrava che qualcuno la stesse usando per qualcosa di molto più concentrato, qualcosa di molto più pericoloso.

Avanzò a grandi passi, e fu solo così facendo che si rese conto di dove era diretta. Ignazio, Lupetto, Barnaby e Leon erano davanti a lei: tutti coloro di cui aveva bisogno la resistenza. Gli alieni avevano intenzione di usarla come coltello da piantare nel cuore della loro organizzazione, con lo scopo di uccidere le sole persone che veramente sapevano come poter fermare ciò che gli alieni avevano fatto. Se gli alieni fossero riusciti a ucciderli, allora chi altro avrebbe saputo come far funzionare la cura?

Luna tentò di gridare un avvertimento, ma non ebbe alcun effetto. Non uscì nessun suono, e anche se il cambiamento dei suoi occhi ora era sicuramente ovvio per chiunque la guardasse, nessuno stava guardando. Erano tutti troppo occupati a riprendersi dopo la battaglia, sistemando le ferite e tentando di trovare del cibo per la gente che per settimane non aveva provato fame o sete.

Poi Bobby, il cane da pastore, corse verso di lei ringhiando e la morse.

Luna non sentì niente, perché a quello stadio della trasformazione non poteva provare nessuna sensazione. Abbassò lo sguardo sul cane e tirò indietro una gamba, pronta a tirargli un calcio. Sapeva che l’avrebbe fatto, nonostante tutto il suo sforzo per trattenersi. Bobby arretrò, ringhiando e digrignando i denti come un lupo aizzato contro un gregge. Luna avanzò verso di lui sollevando ora il grosso pezzo di metallo.

“Bobby, cosa stai facendo?” chiese Lupetto avvicinandosi.

Luna si girò verso di lui, facendo roteare l’arma che teneva in mano e riuscendo a fargli un taglio sulla pelle anche se lui indietreggiò con un salto. Ricordava quel genere di velocità e quel genere di forza, ma non aveva mai avuto la possibilità di usarle per colpire qualcuno prima d’ora. Non si era resa conto di quanto fosse potenzialmente pericolosa.

“Luna, che succede?” chiese Lupetto, schivando un altro colpo. Luna lo vide mentre la fissava. “Oh no. No!”

Luna si lanciò contro di lui e gli altri con tutta la sua nuova velocità, esalando il vapore anche se sapeva che non avrebbe fatto nulla alle persone a cui era già stato iniettato l’antidoto. Un uomo le si parò davanti e lei lo colpì con il suo pezzo di metallo, spingendo nel contempo un’altra persona che era davanti a lei.

“Si è trasformata!” gridò Lupetto nel caos.

Poi fece l’impensabile e portò la mano alla pistola.

Luna si stava già lanciando addosso a lui e lo spinse indietro, facendogli cadere la pistola dalla mano, così veloce da non riuscire quasi a credere alla rapidità con cui si stava muovendo.

“Prendetela!” urlò Ignazio nella confusione.

Luna tirò un colpo verso di lui, sentendo che la necessità di obbedire all’Alveare aveva la meglio su ogni suo tentativo di opporre resistenza. Dentro di sé stava gridando, ma non ne veniva fuori che un debole sibilo. Una dozzina di altre persone le furono addosso in quel momento. Luna ne spinse via una, lanciandola con più forza di quanta avrebbe mai potuto credere possibile. Poi cercò di colpirne un’altra.

Lo stesso, sempre più gente le si ammassò contro, e per quanto lei sentisse la forza e la ferocia della propria condizione, si trovò bloccata tra loro. Erano troppi per poterli combattere. Soffiò fuori il vapore, nella vana speranza di poter trasformare alcune di quelle creature, di quegli umani… e mentre ci pensava si interruppe. Lei non era ciò che gli alieni volevano che lei fosse. Non avrebbe perso il collegamento con se stessa.

“È cambiata,” disse Lupetto scuotendo la testa. “È andata. Abbiamo perso Luna.”

Aveva ancora la pistola in mano, e il braccio sembrava tremare adesso, come se stesse lottando contro una decisione da prendere. Luna capiva perfettamente quale fosse quella decisione, e la odiava.

“Non dire così,” disse Leon. “Potrebbe ancora essere là dentro.”

Luna avrebbe voluto urlare che lei era là dentro. Voleva che Lupetto vedesse che lei c’era ancora, che… beh, non sapeva cosa sarebbe successo poi.

Invece vide Lupetto sollevare la pistola.

“So come si sta quando si diventa una di quelle cose. Anche se Luna è là dentro, non ci resterà ancora a lungo. Quegli esseri ti succhiano via la tua identità.”

“Ma adesso è lì!” disse Leon. “Possiamo ancora salvarla. L’esplosione…”

“L’esplosione ha convertito tutta la gente che c’era nei paraggi durante la battaglia, ma non ha salvato Luna,” disse Lupetto. Luna poteva vedergli le lacrime negli occhi ora. “L’abbiamo persa, e ora devo fare… devo fare l’unica cosa che si può…”

Luna sapeva a cosa stava pensando: che era la stessa cosa che con suo padre, Orso; che non c’era altra scelta, che le stava risparmiando un destino peggiore della morte. Lo stesso, le stava puntando contro la pistola, e lei non lo sopportava. Come poteva farle una cosa del genere? Come poteva pensare, anche solo per un momento, che fosse la cosa giusta da fare?

“Aspetta!” gridò Ignazio, che era l’ultima persona che Luna si sarebbe aspettata di vedere mettersi in mezzo tra lei e la pistola. Il chimico ed ex produttore di droga non era altro che un codardo.

“Levati di mezzo,” disse Lupetto con tono secco.

“Possiamo ancora salvarla,” insistette Ignazio.

“Se non è stata salvata nel momento dell’esplosione…”

“Perché si trovava nel mezzo. Nell’occhio del ciclone!” disse Ignazio. Non si spostò. Luna non si sarebbe aspettata che lui, tra tutti, affrontasse quel genere di pericolo. “Non significa che non possiamo salvarla. Abbiamo solo bisogno di …”

“Cosa? Di ricreare l’esplosione?” chiese Lupetto, e Luna avrebbe voluto poter asciugare le lacrime che gli vedeva negli occhi, se non altro per il motivo che le generava. “Ricreare un’esplosione casuale di energia aliena, modificata nella corretta frequenza di quando ha colpito i cristalli? Pensi che non stessi ascoltando quello che dicevi, Ignazio? Se avessi pensato che ci fosse un modo…”

Tirò il grilletto della pistola e Luna vide la polvere sollevarsi vicino ai suoi piedi. Il suo corpo controllato non sussultò, non mostrando la minima reazione.

“Questo era un avvertimento, Ignazio,” disse Lupetto, e Luna poté sentire la sicurezza nella sua voce. “Spostati.”

Luna cercò di muovere il proprio corpo in modo che Ignazio non fosse nella linea del fuoco, ma era imprigionata nella propria carne oltre che dalle mani di coloro che la trattenevano. Loro volevano che questo accadesse. Volevano essere sicuri che i trasformati venissero eliminati.

“L’esplosione ci ha permesso di travolgere i nanobot che hanno contribuito alla trasformazione di centinaia di persone,” disse Ignazio, “ma possiamo ancora trovare una cura per una persona alla volta. Abbiamo solo bisogno di elaborarla.”

Luna vide Lupetto esitare davanti a quell’affermazione. Sembrava essere l’unica cosa ad avere quell’effetto su di lui.

“Puoi davvero farlo?” chiese.

“Non qui,” ammise Ignazio. “I danni procurati dalla battaglia sono ingenti, ma tutto ciò che mi serve è un laboratorio con la giusta attrezzatura, e qualche pezzo di macchinario specifico.”

“E nel frattempo dovremo stare tutti qui a tenere ferma Luna per evitare che ci ammazzi?” chiese Lupetto.

“Possiamo costruire qualcosa per rinchiuderla,” disse Barnaby. Sembrava che ci stesse già lavorando, sollevando pezzi di metallo dai resti di un trailer per motociclette come se potesse già vedere nella sua testa come assemblarli.

“E lei attirerà qui tutti gli alieni che si trovano anche a centinaia di chilometri da qui,” disse Lupetto.

Luna capiva quello che intendeva dire. Le creature che la controllavano avrebbero visto tutto attraverso i suoi occhi. Avrebbero saputo dove mandare rinforzi.

“Faremo tutto da soli,” disse Ignazio. “Glielo dobbiamo, Lupetto, e ti prometto che possiamo riportarla tra noi.”

Lupetto rimase fermo, ma Luna aveva visto che ormai aveva deciso. Forse avrebbe dovuto essere riconoscente che non intendesse ucciderla. Forse avrebbe dovuto provare della pietà per le dure decisioni che aveva già dovuto prendere. Invece tutto quello a cui poteva pensare mentre lo vedeva lì era che aveva avuto intenzione di ucciderla. Poco prima era stato davvero sul punto di ucciderla.

“Va bene,” disse Lupetto arretrando. “Va bene.”

Luna continuava a sbattere i denti e ringhiare, incapace di contenersi, contro la gente che la teneva ferma. Era in tutto e per tutto ciò che Lupetto temeva, ma era anche di più. Solo non aveva modo di farlo sapere alla gente. Poco più in là, Barnaby stava lavorando al serraglio progettato per contenerla. Sembrava una specie di gabbia, fatta con parti trafugate dal caos generato dalla battaglia.

Prese forma lentamente, con attenzione, un pezzo dopo l’altro. Man mano che la cella veniva preparata, Luna si sentì gradualmente andare a pezzi. Sentiva i ricordi che scivolavano via nei meandri del suo essere in un modo che le suonava fin troppo familiare. Lo aveva provato prima, la prima volta che era stata trasformata, con frammenti di sé che si perdevano non appena si concentrava su qualcos’altro, impossibili da afferrare, impossibili da trattenere, come pesci scivolosi che sfrecciavano via e le scivolavano tra le dita.

I ricordi dei suoi genitori si riversarono in una sorta di vaga consapevolezza, con Luna che era incapace di ricordare un solo momento con loro, un singolo istante passato a ridere a casa o a discutere per le faccende domestiche, o addirittura solo seduti insieme a mangiare. Luna sapeva quali fossero i fatti della sua vita, ma non riusciva a richiamarli alla memoria. Non riusciva a ricordare sul serio come fosse stato essere a scuola, o stare seduta a guardare la TV, o stare fuori, o…

… le venne in mente il volto di Kevin, così netto e perfetto da poter essere scambiato per una fotografia, e Luna si tenne stretta a quell’immagine con più forza possibile, come avrebbe potuto stare aggrappata a un palo durante un uragano. Non avrebbe perso Kevin, non si sarebbe lasciata sfuggire un singolo frammento del suo ricordo. Non avrebbe perduto i momenti trascorsi con lui. Quegli istanti sembravano essere scolpiti in lei, da quando era stata insieme a lui nell’Istituto della NASA, alla fuga nel bunker per sfuggire all’ondata di vapore, al tentativo di sconfiggere insieme gli alieni.

In qualche modo, c’era qualcosa di più luminoso in quei momenti, confronto al resto. Si stagliavano indelebili nella mente di Luna, e lei riuscì ad aggrapparvisi, tenendosi stretta ai pensieri di Kevin e di tutte le cose che provava per lui. Quel bisogno e quell’affetto sembravano come un faro nel buio che minacciava di avvolgerla.

“Portatela da questa parte,” esclamò Barnaby, e Luna sollevò lo sguardo vedendo che aveva completato la sua cella di contenimento. Era stato così veloce che questo bastò a ricordarle il suo talento quando si trattava di costruire qualcosa. Sembrava una struttura piuttosto grezza, ma il metallo era grosso e gli spazi tra le sbarre tanto piccoli che Luna non sarebbe riuscita a passarvi attraverso.

La portarono verso la gabbia, e il suo corpo continuò a lottare anche se la sua mente sperava che la gabbia fosse abbastanza resistente da contenerla. Sentì un suo piede che andava a sbattere contro la mandibola di un uomo, un gomito che sbatteva contro lo stomaco di qualcun altro. I colpi erano tanto forti da procurare di sicuro dei lividi o addirittura da rompere qualche osso, ma parve non sortire alcuna differenza. La maggior parte delle persone impegnate nel trasporto ora non erano membri dei Sopravvissuti, o almeno Luna non pensava che lo fossero. Avevano invece l’aspetto cencioso di chi era stato prima un trasformato. Sembravano desiderosi di darle una mano, anche se altri avevano paura.

La sollevarono e la lanciarono dentro alla gabbia. Luna non sentì l’impatto con il suolo. Si alzò invece subito in piedi e corse alla porta, ma neanche la sua sfrenata velocità le fu sufficiente per arrivarvi prima che il metallo sbattesse andando a chiudere la cella e i Sopravvissuti la chiudessero in modo sicuro.

Luna si scagliò contro le sbarre, testandone la forza. Le pulsanti istruzioni dell’Alveare le dicevano di liberarsi e uccidere, di fare quanti più danni potesse prima che loro la eliminassero, ma il metallo non cedette sotto le sue mani, neanche quando lei lo colpì tanto forte da far sanguinare le dita. Avrebbe dovuto sentire dolore, ma come tutto il resto, in quanto trasformata sembrava che ogni cosa accadesse come in un sogno, come se succedesse a qualcun altro.

L’unico problema era che quel qualcun altro era lei, e questo le avrebbe fatto male sul serio se Ignazio aveva ragione nel dire che l’avrebbe riportata indietro.

“Dove andiamo ad elaborare quello che abbiamo trovato?” chiese Leon ad Ignazio e Barnaby. “Ci serve solo un laboratorio, giusto?”

Luna tentò di distogliere lo sguardo. Non pensava che gli alieni stessero traendo conoscenze sui Sopravvissuti da lei, ma non aveva modo di saperlo per certo. Lupetto su quello aveva ragione: lei era una minaccia per tutti per ogni cosa che poteva vedere e sentire. Poteva attirare lì, come un faro, orde di controllati.

“Non basta un laboratorio qualsiasi,” disse Ignazio. “Ci servono attrezzature speciali. L’Università di sicuro le aveva, ma con l’attacco temo che possano essere sparite.”

“Allora dove?” chiese Leon.

Luna vide Ignazio scrollare le spalle e in quel momento capì che non c’era nessuna certezza. Ignazio aveva fatto intendere che il processo per riportarla indietro era semplice, ma ovviamente non sapeva effettivamente dove trovare quello che stavano cercando. Nessuno di loro ne aveva idea, e in qualche modo Luna sospettava di avere solo un tempo molto limitato prima che tutta se stessa scomparisse per sempre. Anche in quel momento poteva sentire il peso dell’infezione aliena che la opprimeva, cercando di schiacciare la sua essenza. Era come se dietro ci fosse nascosta una mano che si chiudeva lentamente su di lei per far succedere questa cosa.

“Ci sono dei posti che potrebbero avere ciò che ci serve,” disse Barnaby, indicando verso la città come una guida turistica. “Ci sono degli edifici industriali da quella parte, e se riusciamo a trovare un impianto chimico, lì ci sarà tutto quello che ci serve. Oppure possiamo andare da quella parte e vedere negli edifici più accademici. Oppure possiamo esplorare meglio l’interno dell’università e sperare che qualcosa sia sopravvissuto.”

Leon pensò per un momento o due. Luna sapeva cosa avrebbe scelto lei, optando per l’opzione più vicina, anche se era la meno probabile. Voleva che facessero questa cosa il prima possibile, e non solo perché non voleva stare più del necessario nella condizione in cui si trovava. Sapeva anche che ogni secondo che lei passava in quello stato era una grossa minaccia per gli altri.

Sembrava però che Leon la pensasse in modo diverso, perché indicò verso le fabbriche.

“Quelle sono la nostra migliore possibilità,” gridò ai Sopravvissuti che lo circondavano. “Ignazio e Barnaby vi diranno esattamente ciò che stanno cercando. Ci serve la giusta attrezzatura per salvare Luna, e per salvare altri trasformati che potremmo trovare.”

Il gruppo si riunì attorno a loro. Erano così tanti adesso, praticamente un esercito, anche se in quel caso ci sarebbe dovuta essere della disciplina, piuttosto che quell’avanzare liberamente in avanti, tutti insieme. Marciarono verso le fabbriche, andando ora a piedi, dato che l’autobus non avrebbe potuto muoversi tra le macerie dovute alla battaglia. Trascinarono Luna con il trailer che la conteneva, le ruote che cigolavano a ogni giro, la struttura della gabbia che sobbalzava sul terreno irregolare. Le sembrava di essere un reperto in mostra in un museo, o forse un prigioniero in una qualche antica guerra, messa in mostra prima della morte.

Non morirò, disse a se stessa, tentando di convincersene e di crederci. Si teneva aggrappata al pensiero di poter rivedere Kevin, l’unico punto saldo e certo mentre tanti altri elementi e ricordi le scivolavano via.

La processione andò dritta in direzione delle fabbriche e Luna doveva solo sperare che sarebbero arrivati in tempo, prima che lei perdesse ogni pezzo di sé e non potesse più stare aggrappata ai pensieri di Kevin.

Il Ritorno

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