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CAPITOLO UNO

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Per il lunghissimo tempo durante il quale rimase nell’oscurità che lo circondava, Kevin fu convinto di essere morto. In un certo senso gli sembrava giusto. Tutti gli avevano comunque detto che non gli restava molto da vivere, e poi c’era stata la navicella spaziale che andava alla deriva nel vuoto, l’aria che finiva poco alla volta. Dopo tutto questo, non era forse ammissibile che ci dovesse essere la fine di tutto?

“Kevin,” chiamò la voce di Chloe da qualche parte nello spazio oltre il buio. “Apri gli occhi.”

“Va’ via, sono morto,” bofonchiò Kevin, perché una parte di lui non voleva fare altro che tornare a dormire. Voleva lasciarsi andare e rilassarsi, permettere all’oscurità di travolgere tutto. Stava così comodo che… Sussultò sentendosi punto da qualcosa. “Ahi!”

Aprì gli occhi di scatto e vide un luogo che decisamente non era la navicella con cui erano andati alla deriva, indifesi. Quello non era un velivolo rubato all’Alveare dove loro due stavano lentamente morendo dopo essere stati urtati da una navicella degli Ilari e da ciò che restava del mondo di questi ultimi. Questo spazio era più ampio, e assomigliava quasi a…

“È un ospedale,” ipotizzò Kevin. Ora sapeva benissimo come fossero fatti gli ospedali. Aveva passato così tanto tempo tra ospedali e laboratori e altri posti del genere, che gli era impossibile non riconoscerne uno, anche se sembrava un ospedale in un certo qual modo alieno, senza nessun dispositivo che assomigliasse a quelli cui lui era abituato.

“Allora sei sveglio,” disse Chloe dal posto in cui si trovava in piedi, accanto al suo letto. Sembrava soddisfatta dei suoi sforzi per svegliarlo e sorrideva sotto i baffi in un modo che suggeriva che l’avrebbe rifatto molto volentieri.

“Mi hai fatto male,” si lamentò Kevin, ma poi gli venne in mente un pensiero. “Sei ferita, tu? Stai bene?”

“Sto bene,” lo rassicurò Chloe, ora con tono serio. “Hanno curato i lividi più grossi quando ci hanno portati qui.”

Kevin la guardò comunque dalla testa ai piedi, giusto per essere sicuro, preoccupato che stesse tentando di nascondere quanto invece fosse ferita e dolorante. Qualcuno le aveva dato una specie di divisa argentata da indossare al posto dei suoi soliti vestiti. Assomigliava un po’ alle squame argentate di un pesce e rifletteva la luce in modi diversi a seconda di come lei si muoveva. Abbassando lo sguardo, Kevin si accorse di avere indosso la stessa cosa.

“E tu?” chiese Chloe con ovvia preoccupazione. “Sei ferito?”

“No,” le rispose. “Penso di no.”

Di certo non si sentiva peggio del solito, o almeno di quanto si fosse sentito prima che l’Alveare avesse deciso di renderlo uno di loro. Sentiva il dolore che gli scorreva lungo il corpo, e lo stordimento che minacciava di metterlo al tappeto quando si muoveva troppo velocemente, ma erano sensazioni che conosceva. Erano così familiari che gli sembravano quasi dei vecchi amici a questo punto, ormai. Non sentiva niente di simile a forti dolori derivati da qualcosa di rotto.

Chloe si chinò su di lui e lo abbracciò con forza. “Sono così contenta che tu sia sano e salvo.”

Kevin si aggrappò a quell’abbraccio, anche se non aveva la sensazione di meritarselo in quel momento. Era colpa sua se erano arrivati a quel punto. Se non fosse stato per lui, Chloe non si sarebbe trovata rinchiusa in una cella, sottoposta a degli esperimenti. Non avrebbe avuto quella strana cosa che sembrava viva attaccata al braccio, stretta come una seconda pelle, la sua superficie ossuta da insetto completamente fuori posto sulla morbidezza della sua pelle liscia.

Era talmente bello che fosse sana e salva che per un momento o due Kevin non pensò neanche a chi non era lì con loro.

“Dov’è Ro?” chiese poi, guardandosi attorno alla ricerca dell’ex membro dell’Alveare. “È…”

“Bene, sei sveglio,” disse una nuova voce. “Kevin si girò verso il punto in cui la porta si stava aprendo, rivelando una donna degli Ilari dalla pelle blu con indosso un’uniforme scura con un marchio militare sopra. Kevin riconobbe il generale s’Lara dalla trasmissione video che aveva fatto tentando di imbrogliare lei e tutti i suoi simili. Solo il pensiero bastava a dargli la certezza che quello dovesse essere solo un orribile sogno.

“Generale, è stata lei a salvarci?” chiese Kevin. “Ma io… io ho tentato di ingannarvi.” Eppure non era la cosa peggiore. “Ho… ho contribuito a far saltare per aria il vostro mondo.”

Il senso di colpa lo pervase al pensiero di tutto ciò che aveva fatto, mentre vedeva l’espressione del generale assumere una connotazione di rabbia.

“Hai anche contribuito a metterci in guardia,” disse. “Questo ti fa guadagnare un po’ di considerazione da parte nostra e… beh, non vogliamo abbandonare coloro che hanno bisogno. Noi non siamo come l’Alveare.”

“Questo è…” Kevin non trovava le parole. “Grazie.”

“Non ringraziarmi ancora,” disse il generale s’Lara. Alzò lo sguardo verso il soffitto e parve ascoltare qualcosa che solo lei poteva sentire. “La mia Intelligenza Artificiale dice che gli altri sono pronti per decidere cosa fare di voi. Voi e quel cosiddetto ‘Puro’ che avete portato qui. Seguitemi per favore.”

“Kevin è ancora debole,” disse Chloe contrariata. “Ha bisogno di riposo.”

“Potrà riposare tutto il tempo che vuole quando il processo sarà finito. Ora venite con me.” La donna generale era chiaramente abituata ad essere obbedita quando ordinava qualcosa, e stava già uscendo, senza aspettare per vedere se gli altri l’avrebbero seguita.

Kevin guardò Chloe, che scrollò le spalle. Sapevano che nessuno di loro due aveva effettivamente una possibilità di scegliere. Affrettandosi per tenere il passo, seguirono il generale fuori dalla camera d’ospedale e si trovarono a percorrere una serie di corridoi contorti le cui pareti avevano immagini brillanti che davano loro l’illusione di ampi spazi aperti. Qua e là passarono accanto a finestre che davano vedute dello spazio.

“Siamo su una navicella vero?” chiese Kevin. Non assomigliava alle navicelle dell’Alveare. Questa non aveva la perfetta stabilità dei regolatori della gravità, ma era pur sempre una qualche specie di navicella.

“Questa è l’ammiraglia della flotta usata per fuggire,” disse il generale s’Lara. “La mia Intelligenza Artificiale vi è integrata.”

“Quindi ogni millimetro di questo posto è… lei?” chiese Chloe.

“Penso che si possa dire così,” rispose il generale. “La mia Intelligenza Artificiale si connetterà agli altri per il vostro processo.”

“Come nell’Alveare?” chiese Kevin, capendo all’istante, dall’espressione sul volto del generale, di aver detto la cosa sbagliata.

“Noi non siamo per niente somiglianti all’Alveare,” disse il generale s’Lara con tono severo. “Loro si lanciano di forza contro i mondi che poi distruggono, contro la gente che poi trasformano in parte di loro. La sofferenza e le scelte degli altri non significano nulla per loro. Noi ci uniamo alle nostre Intelligenze Artificiali, ma continuiamo a scegliere ciò che facciamo, e non andiamo a caccia di conquista. Ci mettiamo dietro a degli scudi perché non vogliamo massacrare gli altri, anche se questo ci è costato dei mondi.”

Kevin sentì un’altra ondata di senso di colpa crescere in lui. Era stato lui a dare una mano per abbattere quegli scudi e rendere vulnerabile il loro pianeta davanti all’attacco successivo. Era stato lui ad aiutare l’Alveare a distruggere il loro mondo e a prendere il suo. Con sua sorpresa, però, Chloe fu più diretta.

“Avreste potuto battervi contro di loro e non l’avete fatto?” disse. “Vi siete nascosti a loro quando avreste potuto fermarli?”

“Chloe…” tentò di dire Kevin, ma a quanto pareva Chloe non aveva finito.

“No, Kevin,” disse. “Se sta dicendo che avrebbero potuto fare di più, che avrebbero potuto batterli prima che arrivassero sulla Terra, allora avrebbero potuto risparmiarci tutto questo. Avrebbero potuto salvarci.”

“Non siamo neanche riusciti a salvare noi stessi,” disse il generale s’Lara, ora con tono addolorato. “Non abbiamo i mezzi per fermare l’Alveare. Possiamo ucciderli, abbiamo la tecnologia necessaria per distruggere le loro navicelle, eppure loro continuano ad attaccare.” Parve ascoltare ancora qualche cosa. “No, lo so. Ad ogni modo siamo qui.”

Indicò una serie di porte. Kevin e Chloe vi passarono attraverso e si trovarono in un ampio spazio pieno di gente. Come con i corridoi, le immagini si dipanavano sulle pareti, ma queste sembravano più astratte e Kevin poté distinguervi degli schemi. In qualche modo capì che si trattava delle Intelligenze Artificiali che comunicavano tra loro.

Ro si trovava in piedi su un cerchio vuoto del pavimento, sopraelevato rispetto al resto. Kevin corse dall’alieno per assicurarsi che stesse bene, mentre Chloe fu ancora più veloce e andò ad abbracciarlo. La gente presente li fissò. Kevin ne vide tantissimi, sia Ilari che altri alieni che avevano trovato rifugio tra loro. Erano talmente numerosi che era difficile distinguere dei singoli volti. Lo stesso, aveva la consapevolezza che stavano fissando loro tre senza distogliere lo sguardo, tentando di decidere il da farsi.

“Ro, stai bene?” gli chiese. L’amico non sembrava ferito, ma era comunque scosso.

“Non lo so,” ammise l’alieno. “Sto provando così tante emozioni. Colpa, e paura, e… come fa la gente a gestirle?”

Kevin gli posò una mano sulla spalla. Chloe gli mise un braccio attorno alle spalle.

“Lo facciamo,” gli promise. “E continuiamo a farlo.”

“Questi tre individui sono stati salvati da una navicella alla deriva,” disse il generale s’Lara, ovviamente rivolgendosi all’assemblea. “Potete vedere che uno di loro è un ‘Puro’ dell’Alveare. Degli altri due, uno e il ragazzo che li ha aiutati ad accedere al nostro mondo, mentre la ragazza è stata modificata diventando una delle loro creazioni.”

Kevin odiava la sensazione che gli dava quella descrizione di sé e dei suoi amici. La parte peggiore, però, era che non poteva negare ciò che stavano dicendo di loro.

“Ci stiamo dirigendo verso un altro avamposto,” disse il generale s’Lara. “La nave mi dice che la nostra flotta è inseguita, quindi dobbiamo decidere cosa vogliamo fare con i nostri nuovi ospiti. Possiamo correre il rischio di tenerli a bordo? Siamo in maggiore pericolo avendoli qui? Sono quello che sembrano? C’è qualcuno che vuole parlare del primo di loro? La ragazza?”

Vi fu un vorticare di immagini e lettere sulle pareti mentre le Intelligenze Artificiali comunicavano tra loro. Se si concentrava, Kevin aveva la sensazione di poter cogliere il senso della conversazione, dato che i segnali emessi venivano trasformati per lui attraverso lo stesso talento che gli aveva permesso di tradurre tutti gli altri messaggi.

… non colpevole…

… una vittima, non un avversario…

… però il dispositivo sul braccio…

Due individui si alzarono in piedi.

“Si è deciso che parlerò io per lei,” disse un uomo. “Ci pare ovvio che è stata una prigioniera dell’Alveare, una loro vittima e non una di loro. Dovremmo concederle protezione in qualità di rifugiata.”

L’altra a prendere la parola era donna. “Si è deciso che io prenderò posizione contro di lei,” disse. “Anche se siamo comprensivi nei confronti della sua difficile situazione, non sappiamo cosa le abbiano fatto gli alieni. L’oggetto che ha al braccio potrebbe essere un rischio, perché l’Alveare non progetta nulla di sicuro. Dovremmo rinchiuderla o distruggerla, per la sicurezza degli altri.”

Il generale s’Lara fece cenno a Chloe. “Hai niente da dire?”

“Cosa volete che dica?” rispose seccata Chloe. Kevin poteva vedere che era sull’orlo di perdere la pazienza, e probabilmente questo era principalmente dovuto alla paura che stava provando.

“Allora parlo io,” disse il generale. “Non siamo soliti uccidere perché potrebbe esserci una minaccia. La qui presente Chloe è praticamente una come noi, o come uno qualsiasi di quelli che sono venuti dagli Ilari in cerca di aiuto. Credo che dovrebbe essere la benvenuta tra noi, e forse nel tempo saremo in grado di annullare ciò che le è stato fatto. C’è qualcun altro che desidera parlare? No? Allora discutiamo degli altri.”

Kevin sentì lo sguardo del generale posarsi su di lui e poi su Ro.

“Le discussioni che riguardano gli altri sono più complesse,” disse. “Uno ci ha avvisato dell’attacco, ci ha aiutato, ma è anche lo stesso che ha eliminato i nostri scudi. L’altro è uno dei Puri dell’Alveare, e quindi un nostro avversario. So che il nostro popolo è pacifico, ma ho difficoltà a provare qualcosa di diverso dalla rabbia di fronte a questa situazione.”

Kevin guardò le pareti, vedendo che ora le scritte vi apparivano sopra meno simili a lucciole, ma più come api furiose. Le discussioni sembravano molto più complesse e il suo talento per la traduzione gli consentiva di cogliere solo qualche brandello del discorso, che era quindi impossibile da seguire in toto.

… dove inizia la responsabilità…

… dove finisce…

… se è uno di loro, è uno di loro…

… distrutto un mondo intero!

Kevin era così occupato a lasciare che quelle discussioni lo travolgessero che quasi non sentì la prima persona alzarsi in piedi.

“Parlo io in difesa del ragazzo,” disse una donna con tono gentile. “Sento che sebbene abbia creato grosso danni, l’abbia fatto solo perché controllato dall’Alveare. Una volta libero, ha cercato di aiutarci. Ci ha avvertiti. Si è liberato e non dovremmo ricompensarlo nuocendogli. Dovremmo accoglierlo come abbiamo fatto con la sua amica.”

“Io mi oppongo,” disse un uomo. “Qualsiasi sia la verità, lui era uno dell’Alveare. Sono un popolo che ha massacrato più individui di quanti potremmo riuscire a contarne con le nostre Intelligenze Artificiali, e lui li ha aiutati. Dovrei guardarlo mentre se ne va in giro liberamente, mentre i nostri cari non possono farlo perché sono già morti? Ora ci mettiamo a perdonare l’imperdonabile?”

“Io parlo per il Puro,” disse un uomo più anziano. “Loro sono parte di un intero, dal quale lui si è staccato. È stato contorto dalla sua precedente identità, ma ora non è più quella creatura. Se ha avuto il coraggio di liberarsi da loro, dovremmo festeggiare questo evento, non denunciarlo.”

“Nessuno si libera,” disse con tono secco e deciso un altro degli Ilari, e la rabbia era palpabile nella sua voce. “È ovvio che è una specie di trucco. Hanno già tentato di ingannarci in passato. Sono passati attraverso i nostri scudi. Hanno assassinato la nostra gente. Hanno distrutto il nostro mondo. Questa cosa è stata una parte di ciò, entrambi lo sono stati! Dovremmo distruggerlo prima che ci faccia dell’altro male!”

Kevin poteva sentire l’emozione nelle sue parole, una cosa completamente diversa da come si era sentito nell’Alveare. Loro avrebbero preso decisioni puramente razionali, mentre questo… questo era in qualche modo più reale.

“Volete dire qualcosa?” chiese il generale s’Lara guardando lui e Ro.

Kevin sapeva che avrebbe dovuto, ma non era sicuro di cosa dire. La colpa che provava sembrava ancora pervadere tutto, seppellendo ogni parola. Sapeva di dover provare, ma la verità era che non voleva provarci in quel momento.

“Non voglio dire niente a mia discolpa,” disse, scuotendo la testa. “Non me lo merito, e la verità è che… comunque sto morendo. Non importa cosa mi farete, fintanto che gli altri siano salvi.” Gli parve quasi uno shock dire una cosa del genere, ma era la verità. Era più importante che fossero salvi Chloe e Ro piuttosto che lui. “Ho dato un contributo per distruggere un mondo. Non merito… non merito niente. Ma Ro si è liberato dell’Alveare. Questo dovrebbe contare qualcosa.”

Ro scosse la testa. “Ho… ho paura, lo ammetto, ma non scapperò da quello che ho fatto. Ho commesso un orrore dopo l’altro. Ho fatto cose malvage. Una volta ero un Puro, ma ora non sono neanche quello. Sono impuro. È Kevin che dovreste salvare. Lo abbiamo reso uno di noi contro la sua volontà. Non aveva altra scelta.”

“C’è sempre una scelta!” disse l’uomo che si era scagliato contro Ro, parlando a voce alta da qualche parte in fondo alla stanza.

Kevin non sapeva cosa dire. Sembrava però che Chloe lo sapesse, perché gridò per farsi sentire da tutti, guardando dritto in faccia l’uomo che aveva appena parlato.

“Pensi che Kevin abbia scelto di essere preso dagli alieni?” chiese con tono che sarebbe bastato di per sé a far indietreggiare chiunque. “Pensi che ne avesse il controllo? Gli hanno fatto accettare che mi venisse fatto del male in ogni genere di modo, e lo stesso io non lo biasimo, perché non è stato lui. Era un lui senza emozioni, senza nessuna compassione. E se non hai compassione, non sei certo meglio dell’Alveare!”

Si prese un momento per guardarsi attorno e osservare gli alieni, e per un attimo Kevin pensò che avesse finito, ma poi continuò la sua tirata, puntando il dito contro tutta la gente che li circondava.

“Siete tutti lì in piedi a prendere decisioni su di noi, ma non avete neanche provato a cercare di capirci. Kevin… ha attraversato il nostro paese tentando di salvare il nostro mondo. È andato nello spazio perché stava cercando di fermare l’Alveare. Lo hanno preso solo perché stava tentando di fermarli. Per quanto riguarda Ro, ha lottato contro le uniche cose che ha sempre conosciuto. È un segno che il controllo dell’Alveare può essere spezzato, e voi volete… cosa, ucciderlo? Dovrete uccidere me se volete farlo!”

Stava lì in piedi guardandoli furente, quindi il generale s’Lara alzò una mano per richiamare l’ordine.

“Non parlerò di questo,” disse. “I miei pensieri sono troppo in conflitto. La logica richiede una cosa, l’emozione un’altra. Ma mi chiedo, siamo esseri di pura logica? Siamo come loro? Non lo so. È ora che ci dividiamo.”

Abbassò la testa e tra loro Kevin vide delle luci danzanti che baluginavano intorno, come se le Intelligenze Artificiali parlassero e discutessero, probabilmente cercando un equilibrio tra le emozioni degli Ilari e le necessità dettate dalla logica. Agli occhi di Kevin sembravano sciami di api arrabbiate che volavano attorno, spostandosi e dividendosi, poi ricombinandosi in diversi gruppi man mano che il dibattito tra loro proseguiva.

Da dove si trovava, Kevin non riusciva a capire esattamente in che modo stesse andando la discussione. Poteva coglierne dei pezzetti qua e là se ci provava, ma c’erano così tanti diversi frammenti che era impossibile anche solo iniziare a tentare di capire la direzione del tutto.

Alla fine parve che stesse succedendo qualcosa. Kevin ebbe la sensazione che le Intelligenze Artificiali si stessero spostando, disponendosi in formazioni, creando gruppi man mano che prendevano le loro decisioni. Sulla superficie delle pareti attorno alla stanza apparvero due blocchi, uno rosso e uno blu. I gruppi sembravano vicini, così vicini che Kevin non poteva contarli, e neanche capire quale fosse più grande. Poteva vedere che alcune Intelligenze Artificiali vibravano ancora svolazzando in giro, rivedendo i fatti o discutendone con coloro a cui erano connessi. Lentamente, però, i gruppi si stabilizzarono.

Neanche allora, però, Kevin riuscì capire quale potesse essere il risultato.

Il Ritorno

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