Читать книгу Lo Scettro di Fuoco - Морган Райс, Morgan Rice - Страница 16
CAPITOLO SETTE
ОглавлениеOliver, Ralph, e Hazel corsero dietro al ragazzo, seguendolo tra le vie di Firenze. Oliver stentava a credere che fossero arrivati ai tempi di Galileo. Aveva incontrato talmente tanti dei suoi eroi viaggiando nel tempo, e non ci stava più dietro con la testa. Se qualcuno gli avesse detto, mentre leggeva un tempo il suo libro degli inventori, che un giorno avrebbe incontrato alcune delle persone di cui si parlava al suo interno, non ci avrebbe mai creduto!
Davanti a loro apparve una fila di edifici terrazzati di colore beige. Erano alti dai quattro ai sei piani, e ciascun livello era dotato di una serie di piccole finestre quadrate e ordinate. Il ragazzo che stavano seguendo entrò di corsa da un portone in legno intagliato che dava accesso a uno degli edifici di quattro piani. Quando furono più vicini, Oliver vide che accanto al grosso portone c’era una placca di pietra intagliata che riportava le parole Accademia delle Arti e del Disegno.
“È molto più piccola di quanto mi aspettassi,” commentò Ralph.
Hazel accarezzò con le dita le lettere incavate, come a volere assorbire parte della loro storia. “Sapete che anche il nostro amico Michelangelo ha studiato qui?” commentò.
“Amico?” scherzò Ralph. “Non penso che incontrare una persona una volta la renda automaticamente un amico.”
“Ci ha aiutato a salvare la vita di Esther,” rispose Hazel corrugando la fronte. “Di certo questo non lo fa diventare un nostro avversario!”
“Ragazzi,” li interruppe Oliver. “Adesso non è il momento di mettersi a bisticciare. Su, entriamo.”
Spinse il grosso portone di legno che si aprì cigolando. Oliver si sentiva come se si stesse introducendo in qualche posto segreto. Era una sensazione che spesso provava quando gironzolava per il passato. Era difficile accettare sul serio che, in quanto indovino in missione, l’universo gli concedesse di trovarsi in un certo posto e tempo. Si aspettava sempre che qualche insegnante severo saltasse fuori e gli dicesse di andarsene.
L’Accademia delle Arti del Disegno era piuttosto fresca all’interno, grazie in parte al pavimento in marmo e alle piccole finestre che lasciavano entrare ben poco del calore del sole. Il contesto scuro era accentato anche dai pannelli in legno che ricoprivano le pareti per metà della loro altezza e da una serie di travi dello stesso colore che percorrevano la larghezza del soffitto sopra di loro. Lungo il corridoio si trovavano, disposte a intervalli regolari, delle imponenti statue di pietra che completavano così l’atmosfera di grandiosità e soggezione.
Quando entrarono, i loro passi riecheggiarono. Oliver guardò in fondo al corridoio, a sinistra e poi a destra.
“Eccolo lì!” gridò, vedendo il ragazzo scomparire attraverso una porta.
Lo seguirono di corsa ed entrarono anche loro.
Si ritrovarono in un’ampia aula che portò a Oliver il doloroso ricordo della classe della dottoressa Ziblatt. Aveva lo stesso ferro di cavallo fatto di panche e un palco al centro, ma invece di essere bianca, moderna e splendente, questa era in legno. E invece di un grande schermo per le proiezioni, c’era una lavagna sulla quale era riportata una scritta in gesso bianco che diceva: L’arte della prospettiva è di natura tale da rendere in rilievo ciò che è piatto e piatto ciò che è in rilievo.
Con trepidante entusiasmo, Oliver si rese conto di conoscere la citazione. Provò uno strano rimestio nella mente mentre gli ingranaggi si mettevano in moto. Poi riuscì a capire di chi fossero quelle parole. Le aveva dette Leonardo da Vinci. E Oliver non se ne ricordava per averle lette in un libro di testo o per averle sentite durante una conversazione, ma le aveva prese direttamente dalla propria mente. Quella sensazione era data dal suo cervello che accedeva alle conoscenze di Leonardo da Vinci, conoscenze che erano state impiantate nella sua mente durante la loro ultima missione in Italia.
Lo shock fu travolgente. Nel caos del salvataggio di Esther e del salto attraverso il portale, Oliver non aveva per niente dimenticato i ricordi di Leonardo che gli erano stati impiantati. Non solo possedeva gli immensi poteri da indovino della preside Moretti, insieme alla sua intelligenza, che stava ora silenziosa nella materia grigia della sua mente, ma possedeva anche nient’altro che quella di Leonardo da Vinci! E proprio come le doti linguistiche della Moretti erano improvvisamente apparse quando ne aveva avuto bisogno, allo stesso modo pareva che le conoscenze di Leonardo gli si stessero presentando ora. Si chiese quali altri doti potesse aver acquisito, le circostanze necessarie per accedervi e la situazione nella quale avrebbe potuto avere bisogno di utilizzarle. Parlare italiano avrebbe sicuramente dato loro un buon vantaggio per il resto del tempo che avessero trascorso in Italia.
Oliver riportò la sua attenzione al giovane Galileo, che si trovava sul palco davanti a lui. Sembrava avere una ventina d’anni. Allora di certo era prima che facesse tante delle sue grandi scoperte. Ripensando al capitolo del suo libro degli inventori, Oliver ricordò come Galileo avesse superato i quarant’anni quando aveva elaborato la legge della caduta dei corpi e le traiettorie paraboliche, studiato la meccanica, il moto, il pendolo e altre formule matematiche. Era oltre i cinquanta quando aveva fatto le sue grandiose scoperte astronomiche – montagne sulla Luna, le lune di Giove – sfidando la convinzione di lunga data che la Terra fosse il centro dell’universo, una dichiarazione che lo aveva fatto condannare dalla Chiesa.
Oliver perlustrò le proprie nozioni, cercando di ricordare cosa facesse il giovane Galileo a vent’anni. Doveva essere un periodo di negatività, quando aveva lasciato l’Università di Pisa senza laurearsi, dopo essere passato da medicina a matematica a filosofia. Si chiese perché il professor Ametisto li avesse mandati a incontrare Galileo a un punto della storia in cui non aveva ancora scoperto nulla di importante.
Oliver, Ralph e Hazel scivolarono nella fila posteriore. Quando Galileo iniziò la sua lezione, Ralph si piegò verso Oliver.
“Non capisco una sola parola di quello che dice.”
“È Italiano,” sussurrò Oliver in risposta.
Ralph incrociò le braccia. Hazel mise il broncio.
“Non è giusto,” disse. “Mi piacerebbe un sacco sapere cosa sta dicendo. Non puoi tradurre?”
Ma Oliver le disse di fare silenzio. “Non posso tradurre se non riesco a sentire quello che dice, no?”
Hazel si accigliò e si appoggiò allo schienale, adottando la stessa posa con le braccia incrociate che aveva Ralph. A Oliver spiaceva che dovessero passare un’ora di quella che doveva per forza essere una lezione affascinante, senza poterne capire una sola parola.
“Come possiamo vedere qui,” stava dicendo Galileo indicando un dipinto che raffigurava una donna con un abito blu e rosso che teneva in braccio una piccola creatura, “la figura è stata posizionata diagonalmente all’interno dello spazio, la testa ruotata verso la spalla sinistra, che è più vicina allo spettatore. Quindi la sua nuca e la spalla destra sono in ombra. Invece la mano destra, appoggiata sul fianco dell’ermellino, e per forza l’ermellino stesso, come anche il naso, il volto e la spalla sinistra di lei, sono stati illuminati. In questo modo l’artista ha dato l’impressione della luce che si diffonde. Questo ci fornisce una comprensione della distanza, della posizione in relazione alla luce.”
La Dama con l’ermellino, pensò Oliver, e il nome del dipinto si mostrò nella sua mente dal nulla.
Hazel si avvicinò a lui. “Quello è uno dei dipinti di Da Vinci,” disse.
Ovvio.
Di nuovo il ricordo arrivò da uno di quelli che Da Vinci aveva instillato nella sua mente. Ma questa volta era qualcosa di più viscerale, come se portasse con sé non solo informazioni, ma una sensazione. Una fitta di malinconia pulsò nel petto di Oliver mentre si rendeva conto che, in questa linea temporale, l’uomo di cui possedeva conoscenze, ricordi ed emozioni era morto. E anche se Oliver sapeva che tutto il tempo esisteva all’unisono, che non era lineare, si sentiva comunque triste pensando che in questo punto della storia il brillante Leonardo non c’era più. Che la sua mente meravigliosa viveva solo all’interno dei recessi di quella di Oliver.
Una mano posata sulla sua lo riportò al momento presente. Oliver si voltò e vide i sinceri occhi grigi di Hazel.
“Sei preoccupato per Esther?” gli sussurrò con tono gentile.
Oliver emise una risatina malinconica. “Adesso sì.”
“Ops, scusa,” rispose Hazel, rendendosi conto del proprio errore. Poi corrugò la fronte. “A cosa stavi pensando allora, se non a lei? Avevi uno sguardo così triste.”
Oliver arricciò le labbra. Non voleva dare nessun peso ad Hazel, ma sapeva anche che gli avrebbe fatto male, nel tempo, continuare a tenere per sé quel segreto.
“A Da Vinci,” sussurrò, tenendo la voce bassa in modo da non disturbare gli studenti concentrati che sedevano attorno a loro. “Lo posso percepire,” spiegò dandosi un colpetto alla testa. “Qua dentro.”
Hazel sgranò gli occhi. “Intendi dire le sue conoscenze?”
“Le sue conoscenze. I suoi ricordi.” Oliver spostò la mano posandosela sul cuore. “I suoi sentimenti.”
“Oddio,” rispose Hazel con espressione scioccata.
In quel momento Ralph si chinò verso di loro. “Di costa state confabulando?” chiese con voce ben più alta rispetto agli altri due.
Diversi studenti seduti sulla panca davanti alla loro si girarono guardandoli storto e portandosi il dito alle labbra: “Shh!”
Ralph arrossì per l’imbarazzo e sprofondò nel suo posto. Incrociò le braccia e mise il broncio per non essere stato reso partecipe del segreto.
I tre amici rimasero per l’intera lezione. Hazel passò tutto il tempo seduta con la schiena dritta e il volto raggiante. Ralph d’altro canto sembrava annoiato a morte. A un certo punto si appisolò quasi.
Ma Oliver si sentiva riempire di un misto di sensazioni. Ricordi e sentimenti che appartenevano a Leonardo venivano risvegliati in lui mentre Galileo discuteva le sue teorie sulla prospettiva nell’arte, spiegandole agli studenti. Era qualcosa di a dir poco particolare, e Oliver fu sollevato quando la lezione finalmente terminò.
Mentre gli studenti uscivano, i tre amici si diressero dalla parte opposta, scendendo i gradini e avvicinandosi a Galileo.
“Mi scusi,” disse Oliver, trovandosi senza sforzo a proprio agio parlando con naturalezza italiano. “Il signor Galilei?”
“Sei un po’ giovane per prendere parte alle mie lezioni, no?” disse Galileo squadrandolo dalla testa ai piedi.
“Non siamo studenti del suo corso,” gli disse Oliver. “Siamo indovini.”
Decise di mostrare direttamente tutte le carte in tavola. Il professor Ametisto li aveva mandati in quest’epoca e in quel luogo per un qualche motivo, e ogni grandioso inventore che avevano incontrato durante le missioni precedenti si era rivelato essere un indovino, o qualcuno che era in contatto con essi. Non aveva tanto senso stare a menare il can per l’aia.
Vide un lampo di comprensione negli occhi del giovane uomo, ma Galileo non assecondò il suo gioco.
“Non ho idea di cosa stiate parlando,” disse, raccogliendo le sue carte.
“Io penso di sì,” insistette Oliver. Siamo stati mandati a Firenze. Dal professor Ametisto. Forse lo conosce? Guida la Scuola degli Indovini. Siamo in missione per trovare lo Scettro di Fuoco. Ne ha sentito parlare, per caso?”
Dal modo in cui Galileo stava infilando nella borsa le sue carte, Oliver poteva dire che la risposta era affermativa. Di certo sapeva qualcosa. Qualcosa con cui, per motivi sconosciuti, non si sentiva a proprio gio.
“Non ne ho mai sentito parlare,” affermò, evitando di guardare Oliver negli occhi.
Oliver nutriva il forte sospetto che Galileo stesse mentendo, anche se non sapeva il perché. Forse non era un indovino. Ma di certo c’era qualcosa di insolito in lui.
Decise di fare il coraggioso. “Veniamo dal futuro,” disse.
“Oh, davvero?” disse Galileo. Smise di trafficare con la borsa. “Allora, per darmene la prova, ditemi qualcosa che non è ancora stato scoperto.”
Oliver esitò. Sapeva come tutto fosse equilibrato in maniera precisa e accurata. Sapeva che dovevano essere molto cauti per non sbilanciare le cose. Sapeva che un passo falso anche minimo poteva causare una reazione catastrofica.
“Non posso,” disse.
“A-a,” rispose Galileo. “Proprio come pensavo. State mentendo.”
“No,” disse Oliver. “Mi sfidi in qualcos’altro. Qualcosa che solo Leonardo da Vinci potrebbe sapere.”
Hazel gli diede un colpetto al gomito. “Oliver, cosa stai facendo?”
“Non ti preoccupare, ho tutto sotto controllo,” le disse Oliver, parlandole di sbieco.
“Bene allora,” disse Galileo picchiettandosi il mento, pensieroso. “Il duca di Valentinois ha commissionato a Da Vinci il disegno di una mappa della città di Imola. In che anno?”
Oliver cercò nella sua mente tra i ricordi di Da Vinci. “Nel 1502,” rispose.
Galilei si accigliò. “Fortunato.”
“Me ne faccia un’altra,” insistette Oliver. “E vi darò prova che non ho tirato a indovinare.”
“Va bene,” disse Galileo. “Magari una domanda relativa alla geometria. Dimmi dei cinque termini dei matematici.” Sorrise con autocompiacimento, come se fosse convinto che non ci fosse alcun modo in assoluto che Oliver fosse in grado di rispondere correttamente.
Ancora una volta Oliver ricorse alla parte della sua mente che gli era stata riempita da Da Vinci. “Il punto, la linea, l’angolo, le superfici e il solido.”
Galilei apparve stupefatto, ma anche impressionato. “E cosa c’è di unico nel punto?”
“Beh,” disse Oliver, “non ha né altezza, né larghezza, né lunghezza, né profondità, per cui lo si considera invisibile e privo di dimensioni nello spazio.”
Stava citando direttamente Da Vinci adesso, attingendo alle parole precise dell’inventore, prendendole dai recessi della propria mente. Hazel aveva un’espressione stupefatta. Ralph invece sembrava piuttosto sconcertato che Oliver potesse avere accesso a tali conoscenze, e che sembrasse capace di esporle in modo così immediato.
Ma non era questo il punto, pensò Oliver. Guardava Galileo per vedere se l’uomo si fosse convinto. Di certo pareva che stesse valutando i tre giovani che aveva davanti.
Alla fine guardò Oliver con intensità. “E perché hai detto di essere venuto qui a cercarmi?”
“Siamo indovini,” disse Oliver. “Dal futuro. Crediamo che lei ci possa aiutare a trovare una cosa che si chiama Scettro di Fuoco.”
Galileo fece una pausa un momento, corrugando le sopracciglia. “Forse allora dovreste venire con me,” disse.