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CAPITOLO QUINTO

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Il Maestro Grey avvertì la luce dell’alba avvolgerlo. In un altro giorno, il suo calore avrebbe potuto essere piacevole, ma ora era un disturbo. La magia si basava sull’equilibrio delle forze del mondo e qualsiasi cambiamento poteva perturbare quell’equilibrio. L’alba era come un vento che spingeva ai margini della sua mente, che lo colpiva in un modo impossibile da controllare.

“Solo… qualche… altro… minuto,” borbottò Grey a denti stretti. Lui era il fulcro in base a cui si muovevano le leve del mondo, il mozzo della ruota, il punto fermo al centro di tutto.

Ma non era fermo. Aveva tremato per lo sforzo di tutto ciò quasi da quando aveva iniziato; il sudore gli inzuppava le vesti mentre lottava per tenere tutto collegato, per far sì che la magia fluisse attraverso di lui.

Ogni istante in più che durava un incantesimo, diventava sempre più difficile da mantenere; le strutture ordinate dei primi istanti decadevano e diventavano più selvagge, man mano che le forze al suo interno si agitavano in un modo e nell’altro. L’incantesimo di un novizio sarebbe crollato a quel punto, come era accaduto a molti di quelli che aveva fatto Devin mentre modellava il metallo stellare. Un mago esperto poteva sostenerlo per un breve periodo, ma il Maestro Grey aveva portato avanti quello sforzo per ore, adattandosi a ogni cambiamento, riportando tutto nel suo insieme.

A un certo punto, però, neanche lui avrebbe potuto proseguire, ed era proprio quello il momento in cui avrebbe dovuto fare una scelta. Poteva resistere un po’ più a lungo, spingersi al limite assoluto, ma alla fine la sua pressione avrebbe fatto crollare l’incantesimo e anche lui.

E poi… sarebbe stato troppo stanco per fuggire, troppo spento per combattere mentre le forze di Re Ravin assalivano il castello. Se lo avessero catturato, cosa sarebbe successo? Il Maestro Grey non era abbastanza arrogante da credere che non avrebbe rivelato alcun segreto dandolo in pasto agli aguzzini di Ravin, che non avrebbe dato loro un aiuto se lo avessero costretto.

Non poteva permettere che ciò accadesse. C’erano ancora degli eventi che dovevano verificarsi, ancora delle cose che doveva fare, o tutti i Tre Regni sarebbero stati in pericolo e per cose peggiori delle forze di Re Ravin.

Diede un ultimo sguardo alla città. In piena alba, non era necessaria la vista di uno stregone per rendersi conto della diffusione dell’esercito del Regno del Sud. Ora riempiva tutti i quartieri bassi della città e presto si sarebbe esteso anche al castello. Accolse in sé l’impeto dell’acqua, la sua furia che scorreva attraverso i canali che dividevano la città. Grey pensò a tutti coloro che erano morti e che potevano ancora morire. Poteva solo sperare di aver salvato qualche vita con le sue azioni; magari avrebbe in parte compensato le morti che sarebbero seguite.

Lasciò cadere l’incantesimo.

Fu come liberare le redini di uno stallone che voleva caricare, l’energia ritratta scoppiò in un tuono che echeggiò sopra a Royalsport, mentre la furia dell’acqua sottostante cominciava a rifluire. I corsi iniziarono ad abbassarsi e l’acqua tornò verso il mare, dopo un arco così lungo in cui si era gonfiata e accumulata. Il livello discese e il Maestro Grey sapeva che ben presto le truppe di Ravin si sarebbero riversate in tutto il regno, inarrestabili una volta unite.

Doveva andarsene.

Raggiunse la cassa che teneva chiusa nei suoi alloggi, prendendone il contenuto. Poi rimase lì in piedi, attingendo al suo potere, sperando di avere ancora abbastanza forza per questo. C’erano alcune arti magiche che il Maestro Grey capiva meglio di chiunque altro fosse in vita. Quello che fece dopo fu praticare una di queste. Prese quel potere e lo modellò, in modo che la nebbia riempisse la stanza, oscurando persino le pareti. Il Maestro Grey cominciò a camminare attraverso quelle nebbie, attraverso i luoghi tra esse, un passo dopo l’altro, attento.

Nella stanza della torre, le nebbie cominciarono a sollevarsi, uscendo dalle finestre e bruciando a dissolversi sotto alla luce del sole. Ma erano durate abbastanza a lungo, perché quando si alzarono, il Maestro Grey non c’era più.

*

Vars fuggiva alla velocità di un animale cacciato attraverso i tunnel che portavano fuori dal castello, inciampando sui suoi stessi piedi e rialzandosi, senza curarsi delle ginocchia che gli si sbucciavano contro la pietra dura. In quel momento, tutto ciò che contava, era fuggire lontano, per liberarsi di tutto.

Era adesso sporco di polvere e terra del tunnel, i suoi abiti reali erano strappati dove avevano raschiato contro il pavimento, i suoi capelli scuri erano striati di terra e aveva il volto sporco di polvere. C’erano tratti in cui il tunnel era stretto e Vars era contento di non essere alto e possente com’era stato suo fratello Rodry. Ma, del resto, Rodry non sarebbe neanche stato lì, sarebbe rimasto a combattere.

La paura lo alimentava, lo spingeva in avanti, gli dava una velocità che le sue gambe non avrebbero posseduto in nessun altro momento. Sapeva che Re Ravin lo avrebbe ucciso per il trono, per rendere chiaro che aveva conquistato il regno e, allo stesso tempo, per eliminare un rivale. Vars si malediceva per il terrore che provava, nonostante si stesse rivelando una benedizione, che lo aveva portato a scappare, a sopravvivere. Ogni passo sembrava condurlo più vicino alla sicurezza, ma gli faceva anche sentire il peso dell’aver abbandonato i suoi doveri, scappando da tutte le cose per cui aveva lavorato tanto duramente.

Suo padre non sarebbe fuggito, suo fratello neanche. Naturalmente, entrambi sarebbero morti. Vars aveva fatto tutto il possibile come re; aveva inviato le sue forze a contrastare la minaccia del Regno del Sud. Che altro avrebbe potuto fare?

Davanti a sé, vide uno spiraglio di luce e proseguì in quella direzione, per trovare una grata fissata dall’interno con dei bulloni marroni e rossi per la ruggine. Vars li tirò con tutte le sue forze, desiderando in quel momento di aver passato più tempo a rafforzare il suo corpo, come gli aveva sempre consigliato Rodry. Sentì il metallo incidergli le mani, ma continuò lo stesso, strattonando i bulloni fino a quando il metallo stridette e alla fine cedette, cadendo a terra e lasciando aprire la grata cigolante.

Vars si alzò e si tirò su sotto alla luce dell’alba, respirando profondamente all’aria aperta.

Si alzò e si guardò intorno, cercando di capire dove si trovava. Da qualche parte nelle zone dei teatri, pensò, perché riconosceva la forma avvolta nella seta della Casa dei Sospiri che si ergeva sopra il resto.

Era meglio che essere al castello, ma doveva comunque uscire dalla città.

Vars si mise in cammino lungo le strade, tenendo la testa bassa, nascondendosi sulle soglie ogni volta che sentiva il rumore dei soldati che arrivavano. Li vedeva marciare in formazione, dichiarando la proprietà delle strade e cercando di fare qualsiasi mossa militarmente utile. Vide un cittadino comune incrociare il loro cammino, cercare di voltarsi e correre, ma lo abbatterono senza esitare.

Vars deglutì a quella scena, consapevole che gli avrebbero fatto lo stesso se lo avessero visto; tuttavia, per fortuna, lo superarono, lasciandolo procedere verso le periferie della città. La tremenda furia dei ruscelli si era ritirata, quindi si calò su un letto fangoso, tenendosi basso e andando verso le mura.

Sapeva di non poter tentare di attraversare le porte della città, ma c’erano sempre altri modi per entrare e uscire da essa. Li aveva usati a volte quando si era incontrato con qualche donna, quando si era incontrato con Lyril. Vars si chiedeva cosa fosse successo alla nobildonna, che aveva desiderato sposarlo tanto ardentemente, da quando l’aveva mandata via. Era forse nascosta in una qualche casa, o magari stava cercando di sedurre qualche ufficiale del Sud. Era sempre stata brava a cercare di sopravvivere.

Avvistò le mura davanti a sé e il punto in cui si trovava un piccolo negozio di guanti, quasi addossato contro esse. Guardò da entrambi i lati della strada, assicurandosi che non ci fossero soldati nei pressi, e poi corse per sfruttare il negozio come copertura.

Scivolò dietro di esso, in uno spazio dove c’era un’apertura nel muro coperta da assi di legno. Era stata usata a lungo dai contrabbandieri, e Vars era stato fin troppo felice di chiudere un occhio in cambio della possibilità di usarla quando aveva bisogno di andare e venire con discrezione, o di un piccolo “regalo” occasionale, naturalmente. Ora, sarebbe stata la sua ancora di salvezza. Tutto quello che doveva fare era attraversarla, trovare un cavallo dall’altra parte e galoppare verso la sicurezza della campagna. Si sarebbe nascosto fino a quando non fosse riuscito a trovare un modo per tornare al potere.

Si chinò e si fece strada attraverso il varco; si mosse rapido, per evitare di essere visto. Spinse da una parte la copertura dall’altro lato; ce l’aveva fatta! Era salvo!

Mani ruvide lo afferrarono, però, trascinandolo fuori dall’intercapedine e all’aria aperta. Lo gettarono a terra e, accanto a sé, Vars vide una mezza dozzina di cadaveri che giacevano ammassati. Si girò sulla schiena e alzò lo sguardo su una coppia di soldati di Re Ravin; il terrore lo pervase quando si rese conto che erano stati messi lì apposta per colmare quella falla e uccidere chiunque cercasse di fuggire.

In un momento come quello, Rodry ed Erin avrebbero forse combattuto. Lenore sarebbe senza dubbio morta con dignità, Greave l’avrebbe invece fatto citando qualcosa di commovente che la gente avrebbe raccontato per secoli. Vars non era nessuno di loro. Al contrario, quando una spada si sollevò su di lui, fece l’unica cosa che gli venne in mente: alzò le mani in segno di resa.

“Sono Re Vars del Regno del Nord,” disse. “E sono cento volte più utile a Re Ravin da vivo che da morto!”

L’anello dei draghi

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