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CAPITOLO TERZO

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Erin era inginocchiata in cima a un muro pronta a scattare, mentre guardava con repulsione tre soldati di Re Ravin passare lì sotto. Nell’oscurità del primo mattino, non potevano vederla e, probabilmente, era meglio così. Erin non si era mai preoccupata molto del suo aspetto; portava da sempre i capelli scuri tagliati corti, per evitare che le oscurassero la vista, e quando possibile indossava tuniche e brache invece che abiti femminili. Adesso, però, sembrava un mostro.

Non era solo per il sangue che copriva la sua armatura o per le ammaccature dove i nemici avevano affondato i colpi. Si era anche ricoperta l’armatura e il volto di polvere, per confondersi meglio nel buio. Oltre a ciò, però, si trattava anche di tutto quello che provava. Odd poteva passare tutto il suo tempo a cercare di insegnarle a combattere con serenità, ma in quel momento tutto ciò che Erin poteva sentire era rabbia verso gli uomini che avevano invaso la sua casa.

Saltò giù dal muro, gridando quell’ira mentre guidava la sua lancia, facendola precipitare nel primo soldato di quel trio. Altro sangue si unì alla patina che già le tingeva l’armatura, schizzando mentre impalava il suo nemico. Colpì forte il terreno e rotolò a tornare in piedi, abbandonando per il momento la lancia a favore di un lungo coltello che afferrò stretto con una mano.

I due soldati rimasti si stavano già girando verso di lei ma, presi dallo shock dell’attacco, erano lenti; Erin era già vicina al secondo e cominciò a pugnalarlo con entrambe le lame corte, troppo vicina perché lui potesse brandire la spada.

Tenne l’uomo morente tra lei e il terzo, usandolo come scudo per bloccare il colpo di un’ascia. Lasciò cadere il suo nemico già morto, trascinandogli dietro l’ascia del suo compagno, e notò che quest’ultimo uomo aveva avvolto l’arma intorno al polso con un pezzo di corda per non farla cadere nel mezzo della battaglia. Significava che era piegato ed esposto mentre Erin scattava all’attacco, affondandogli il suo coltello nella parte laterale del collo.

Quanti erano ora? Al calare della sera, Erin aveva cercato di tenere il conto del numero e aveva persino provato a fare un gioco con gli uomini che la seguivano. Adesso, però, aveva perso il conto; erano semplicemente troppi perché potesse tenerlo.

La situazione era molto lontana dai giochi cavallereschi che aveva a volte praticato da piccola insieme a Rodry; era molto lontana persino dal tipo di violenza rapida e virtuosa che aveva compiuto con Sir Til e Sir Fenir nel villaggio assediato dai Taciturni di Ravin. Questa era cruda, di casa in casa, dove doveva colpire e correre, uccidere e svanire di nuovo nell’ombra.

Erin andò a recuperare la sua lancia, mise un piede sulla schiena del primo soldato e tirò fino a liberarla con un brutto rumore umido. Stava pulendo giusto il grosso del sangue, quando sentì il rumore dei passi che si avvicinavano e vide quelle che dovevano essere altre venti truppe di Ravin che avanzavano rapide dietro alla luce di una lampada.

“Dannazione,” imprecò e si mise a correre. Dietro di lei, i passi accelerarono per raggiungerla e se la diede a gambe, svoltando a destra e a sinistra e sperando di conoscere le strade di Royalsport bene come pensava. Sì, quella era la Strada dei Vasai e quello era il vicolo dove in giorni migliori gettavano la loro argilla di scarto. Erin sapeva dove si trovava.

Questo non la metteva affatto più al sicuro. Un dardo da balestra sfrecciò oltre alla sua spalla, facendola procedere a zigzag mentre correva, determinata a essere un bersaglio difficile per qualsiasi nemico. Saltò sopra una pila di casse e udì delle persone attraversarle alle sue spalle; fece dunque uno sprint per seminarle.

Era stanca, però, e non solo per la corsa. Una dozzina di piccole ferite l’avevano ormai segnata nei combattimenti notturni. Era stata sveglia per più ore di quante potesse ricordare, e poi c’era quella violenza infinita e paralizzante, con uomini che morivano intorno a lei a ogni passo, sia della fazione nemica che amica.

Tuttavia, la furia della battaglia la spingeva a procedere, facendola svoltare ancora, in un cortile che puzzava come se fosse dietro una conceria; il fetore le aggredì le narici con ancora più forza del sangue. Non c’era un’ovvia via d’uscita dal cortile, quindi si girò a guardare i soldati che avanzavano, muovendosi più lenti ora che avevano capito che non aveva vie d’uscita.

“Ora!” gridò Erin.

Gli uomini uscirono allo scoperto sui tetti, tenevano in mano archi e balestre, lance e persino pietre in questa fase. Iniziarono lo sbarramento, sparando giù all’accerchiamento nemico, mentre alcuni di loro procedevano alle spalle avversarie, pronti a inibire ogni tentativo di fuga. Cercando di liberarsi, uno degli uomini si precipitò verso Erin, con la spada alzata. Erin riuscì a malapena a farsi da parte e gli affondò la lancia nelle budella, mentre lui falliva il suo colpo.

I suoi uomini balzarono giù allora, in seguito alla loro prima scarica di violenza con spade, mazze e asce. Attaccarono i soldati del Regno del Sud, uccidendoli uno dopo l’altro, ma non a costo zero. Erin vide uno dei nobili servitori che l’aveva seguita essere trafitto da una spada corta, vide la testa di una guardia spaccata in due dall’impatto di una mazza ferrata. Ogni volta che vedeva cadere uno dei suoi uomini, Erin sussultava, sentendo il colpo come fosse stato inflitto alla sua stessa carne. Tuttavia, sapeva che quello era il prezzo del comando; non poteva tenere al sicuro tutte le persone al suo seguito. Tutto ciò che poteva fare, era sperare che ciascuna delle loro vite portasse alla morte di quanti più nemici possibili.

La lotta nel cortile fu rapida e brutale; i soldati di Re Ravin morirono in meno di un minuto. Erin e i suoi uomini non rimasero comunque nei paraggi, perché ne sarebbero arrivati altri. Ne sarebbero arrivati sempre degli altri. Al contrario, sottrassero tutte le armi possibili ai morti e si rimisero in partenza per le strade, rimanendo nelle vie secondarie e contando sul fatto che conoscevano la città meglio dei loro nemici.

“Quanti ancora?” chiese un uomo dietro a Erin. Poteva sentire la stanchezza nella sua voce e la provava anche lei, ma sapeva di non poterla mostrare.

“Quanti ne occorre per cacciarli dalla nostra città,” rispose lei. “Noi continuiamo a procedere. Non ci fermiamo. La vita di tutti dipende da questo.” Era sicura che suo fratello, suo padre o persino Lenore, avrebbero fatto un discorso d’incitamento in quel preciso momento; tutto ciò che Erin poteva fare era dare l’esempio. “Tendete una corda.”

L’uomo borbottò ma annuì; si diresse verso uno degli edifici più vicini al corso d’acqua successivo e lanciò una corda dall’altra parte, tirandola fino ad assicurarsi che avesse preso un camino di là. Gli uomini di Erin legarono l’estremità più vicina al tetto sul quale si trovavano, ma fu lei a percorrerla, agile come un’acrobata. Sotto di lei, il fiume solitamente placido, che scorreva tra il quartiere più povero e quello dei teatri, ruggiva come lo stesso Slate. In alto, Erin poteva vedere la sagoma del Maestro Grey, che manteneva ancora il suo incantesimo.

“So che questo rallenta il nemico, mago, ma non rende le cose facili neanche a noi,” mormorò mentre atterrava leggera sul tetto opposto. Lì, vide che il groviglio della corda si era quasi districato; un altro secondo o due, o qualche chilo in più, e sarebbe scivolata in acqua. La legò più stretta, assicurandosi che i suoi uomini potessero seguirla. Si affrettarono sulla sua scia, infilando una seconda corda sopra la prima, in modo da poterla attraversare più facilmente.

“Pare che il nemico abbia avuto la nostra stessa idea,” disse uno di loro mentre attraversava. “Sono sicuro di aver visto la luce di una lampada sopra al fiume.”

“Dove?” domandò Erin e si arrampicò sul lato di un edificio, fino a quando vide un punto in cui sembrava che le luci fossero troppo vicine al fiume. Corse in quella direzione, affrettandosi per i vicoli con gli uomini sulla sua scia.

Rallentò man mano che si avvicinava, muovendosi nell’oscurità. Lì, trovò un ponte di corda tra due edifici e vide un uomo che lo stava attraversando. Sembrava un messaggero, ma a Erin non importava cosa stesse facendo, bastava il fatto che era coinvolto nel tentativo di uccidere la gente della sua città. Afferrò la testa della sua lancia e colpì una delle corde, tagliandola in un colpo solo.

L’uomo sembrò percepire che qualcosa stava andando storto. Si voltò e tornò indietro verso la riva lontana, ma Erin stava già tagliando una seconda corda. Vide la sagoma del messaggero precipitare nell’acqua sottostante e si voltò verso i suoi uomini.

“Non possiamo permetterlo,” disse. “Ma possiamo usarlo a nostro vantaggio. Ci avvicineremo di nascosto e taglieremo i ponti con gli uomini sopra. Uccidendo così quelli che stanno attraversando. Se hanno degli ordini per gli altri gruppi nella città, noi li useremo per metterli in trappola. Qualsiasi cosa facciano, troveremo il modo di farla pagare loro con la vita.”

“E cosa delle nostre vite?” domandò un altro dei suoi uomini.

“Vuoi la verità?” chiese Erin. “Le nostre vite non hanno importanza in questo momento. Pensate a tutti gli abitanti di questa città, a tutti quelli che moriranno o verranno ridotti a poco meglio che schiavi, se il Regno del Sud prenderà Royalsport. La loro unica speranza è che noi continuiamo a muoverci, che continuiamo a uccidere quanti più uomini di Ravin possiamo.”

Forse sarebbe stata fortunata, avrebbe sorpreso Re Ravin con poche truppe intorno a lui e sarebbe dunque stata in grado di ucciderlo. Con lo scemare della notte, però, sembrava sempre meno probabile. No, non era più nemmeno notte. Sopra di sé, Erin poteva vedere una sottile scheggia di luce all’orizzonte, rossa come il sangue che si era riversato nelle strade della città. Normalmente, avrebbe accolto l’alba con piacere, ma ora la malediceva. Il buio era il loro amico e la loro protezione; la luce era l’ultima cosa di cui avevano bisogno.

Presto, Erin comprese di dover rientrare al castello; odiava l’idea di lasciare Lenore e la loro madre da sole così a lungo. Per ora, però, doveva continuare a combattere, anche se il numero dell’esercito del Regno del Sud sembrava infinito in confronto alla loro piccola forza frantumata.

“Non abbiamo ancora finito,” promise Erin ai suoi soldati. “Andiamo.”

Con la lancia in mano, si immerse nelle prime luci dell’alba, alla ricerca del prossimo gruppo di nemici da uccidere.

L’anello dei draghi

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