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Dal giornalismo all'aviazione.

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Anche quando il giornalista vola da solo, le personalità a bordo del suo apparecchio sono due: il pilota e l'osservatore; l'uno agisce e l'altro nota. Se il fenomeno non gravita sulla portanza dell'apparecchio, raddoppia però il lavoro del singolare aviatore il quale, oltre provvedere alla manovra, all'orientamento, all'azione bellica, avverte i moti psicologici dai quali sgorga tale operosità, raccoglie con una preoccupazione di esattezza impressioni panoramiche, e procura di vivere nella sua totalità missioni anche se estese ad aeroplani, navi, truppe. Le abitudini acquisite in numerosi anni di vita giornalistica — immediata ricerca nell'attualità di cause e studio di effetti — lo accompagnano pure in volo, mentre in terra si esplicano in implacabili interviste ch'egli infligge ai più esperti perchè la scienza acquisita in terra lo aiuti ad eliminare sorprese in cielo.

Si riesce aviatori, gli eroi per esperimentare primi le macchine di volo divinate dal loro genio; gli studiosi di meccanica e di aeronautica per amore di motori e di apparecchi; gli appassionati dello sport per il gusto di maggiori cimenti; i guerrieri per la voluttà delle battaglie individuali; i giornalisti per conoscere il meglio, il nuovo della vita e partecipare alla buona guerra nostra tra bagliori inauditi di bellezza e costumi superstiti di cavalleria.

Un pubblicista non giunge generalmente impreparato al pilotaggio di aeroplani. L'autore di queste note fu, come redattore del Corriere della Sera, in alta montagna a famigliarizzarsi con l'orrore del vuoto, con le vertigini, con le temperature rigide e con l'ostinazione fisica; fu in aerostato a proclamare dalla quota di 4500 metri la decadenza delle proporzioni geografiche e il miglioramento dell'umanità ridotta a puntini; fu in dirigibile per la gioia di andare, almeno in aria, dove gli pareva; fu in aeroplano a constatare in sè una embrionale vocazione di pilota perchè negli sbandamenti si spostava con la persona per ristabilire l'equilibrio, nelle spirali storceva persino la bocca in fuori per non scivolare in dentro e raccomandava in silenzio, durante i viraggi, «attenti nelle voltate». Con tali precedenti si può quasi asserire che il giornalismo, stazione di transito per le più brillanti carriere, lo è pure per l'aviazione.

Esistono varie egregie letterature d'aviazione; tra queste una minima di coloro che volano e una massima di coloro che non volano. Alla prima appartengono frasi estremamente laconiche: «Nessuna impressione. — Tutto bene. — Nulla di straordinario». La seconda è un inno: «Sorprendenti acrobazie. — Esseri d'eccezione — ....»

Tra l'una e l'altra s'insinuano queste note di un giornalista-pilota il quale fra l'altro confesserà d'avere sofferto, tra sensazioni epiche e leggiadre, gravi apprensioni durante certi impicci nei quali procedeva avanti perchè era rassegnato e deciso a non tornare più indietro. Ma la sensazione che maggiormente lo sorprendeva all'insperato ritorno era il desiderio cocente di riprovare l'avventura. Durante il volo drammatico aveva temuto di scendere psicologicamente diminuito, e a terra si scopriva aumentato.

Di qui il dovere del giornalista, proveniente da una professione che è già scuola del carattere, di rendere omaggio, con questi appunti sinceri, a un'altra eccellente scuola del carattere: l'aviazione di guerra.

Voli di guerra: Impressioni di un giornalista pilota

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