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La conquista del brevetto.

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Se Diogene capitasse col suo lanternino in una scuola d'aviazione troverebbe finalmente i soggetti da lui ricercati: i candidati al brevetto, i quali sono dei saggi o almeno dovrebbero essere tali.

Quando s'avvicinano alla gran prova essi s'impongono rigorosamente — c'è pure chi non fa nulla di tutto ciò — il regime dell'equilibrio: nessuna esuberanza, nervi a posto, sobri alla mensa, presto a letto, coronando così un periodo di assestamento indispensabile per comportarsi con calcolata energia in cospetto dì qualsiasi sorpresa aviatoria. Il ritmo della scuola, la successione dei voli avevano già iniziato il consolidamento, l'educazione del loro organismo. L'equilibrio fisico del volo è in diretto rapporto con l'equilibrio morale del pilota.

Il candidato all'aquila o alla corona — per il primo brevetto si fregia dell'aquila e pel secondo sovrappone all'aquila la corona — si crea un programma attentamente meditato in cui rendimento d'apparecchio, quota da raggiungere, durata del volo e caratteristiche dell'atmosfera e del paesaggio costituiscono un tutto da attuare. L'io del partente è da giorni mobilitato e isolato: prova l'illusione che la vita aviatoria sia l'unica sua vita, immemore d'ogni altra vicenda estranea.

La partenza è imminente. I colleghi coadiuvano il brevettando nella accurata toilette del volo, destinata a fronteggiare la temperatura delle alte quote, e lo accompagnano allo scalo come fanno le comari intorno alla novella sposa che va all'altare; altri colleghi con i meccanici passano definitivamente in rassegna l'apparecchio; il capo pilota interviene a sua volta con raccomandazioni, avvertimenti.... Nessun augurio, nessun accenno di commiato, quasi questo volo costituisse un episodio usuale: poichè nella vita di un aviatore novizio, un brevetto è un avvenimento eccezionale, irto di incognite, è consuetudine che le apparenze di contorno attenuino il senso di questa eccezionalità.

Il partente si lancia saturo di energie, da giorni accumulate, e perciò sovraeccitato; ma non appena si è librato, subentra in lui una placidità nuova; le sue energie cominciano a scorrere nell'esecuzione dell'agognato brevetto. Mette in funzione il barografo, regola il motore, controlla gl'istrumenti di bordo, aggiusta la manovra secondo il vento, stabilisce l'ora in cui dovrà scendere — tre ore dopo, se trattasi di secondo brevetto su idrovolanti —, si prefigge un itinerario che eviti possibilmente i punti dai quali traggono origini permanenti inquietudini atmosferiche: centri abitati, corsi d'acqua, sbocchi di valli, vette nevose....

Anche le nubi sono da evitare. Il pilota se le vede accostare rapidissime. Sembra che vogliano avventarsi su lui per vendicare le solitudini violate. Il movimento che le caratterizza imprime loro aspetti di cose animate, vive, di strani mostri dai pallidi, foschi colori. Se si deve volare tra un blocco e l'altro di vapori, si ha l'impressione di transitare per un'angusta, candida valle. Sotto queste masse randagie il panorama terrestre si chiazza di larghe macchie d'ombra. Percossi dai raggi, i fiumi, i laghi, lanciano bagliori. Ma la foschia, le montagne fatte tozze, basse, sembra si seguano l'una all'altra in una fantastica, lenta cavalcata.... Le valli sono ovattate da evaporazioni candide, oblunghe. Il sole strappa dalla sommità dei cirri iridescenze porporine, violacee, argentee, effetti di luce che susciterebbero esplosioni di ammirazione se non fossero osservati in volo.

Perchè il panorama per colui il quale comincia a volare non è un elemento di ammirazione, ma di orientamento. La bellezza per chi deve allenarsi a mantenersi in equilibrio nell'atmosfera, non è comunicativa, ma fredda e ironica. La terra pare dica, specialmente al novizio: — Sono bella, ma sta in guardia di non cadermi sopra. — Il pilota diviene un ammiratore del panorama quando è ridisceso, quando la certezza della propria incolumità gli consente di sviluppare i ricordi estetici.

Ma durante il brevetto l'allievo deve dominarsi ricorrendo alle risorse della sua personalità migliore. A un certo punto la personalità debole gl'insinua: — Si balla molto. Scendiamo?

E la personalità forte: — Vuoi scendere per il vento? Ma tu non produci un vento più veloce con l'elica? Perchè ti hanno dato gli aleroni sull'apparecchio? Per reagire contro l'aria agitata.

La debole: — Ma debbo andare avanti in queste condizioni per altre due ore?

La forte: — E che pilota sei, allora? Tutti sono capaci di restare in aria quando non si balla. Che diritto hai di mettere la corona se scendi per il vento?

La debole: — Tu hai ragione. Ma hai sentito che colpi proprio ora?

La forte: — Sono niente. Rifletti: fra due o tre giorni sarai in squadriglia: batterie nemiche ti spareranno contro, apparecchi nemici da caccia ti affronteranno.

La debole: — Andiamo avanti....

E intanto è trascorsa la prima ora e mezza. Come è passata la prima metà, così passerà la seconda. Il successo si delinea. L'allenamento è già sensibile. Il volo, sviluppandosi, ha la potenza di astrarre il pilota dal mondo reale, terreno, di assuefarlo al meraviglioso: paesi, città che passano ogni minuto, celebri vette che si umiliano, l'orizzonte che si fa smisurato. L'atmosfera a 4000 metri ha come un suo profumo, una sua purezza. Più che mai il pilota è colmo dell'illusione che quella vita sia la sua unica vita, immemore d'ogni altra vicenda estranea.

Le tre ore di volo sono compiute: il barografo le registra esattamente. Una trionfale gioia pervade il vittorioso, ma quella gioia è tosto sopraffatta dall'attenzione per la manovra della discesa: che il ritorno non sia soverchiamente rapido, che il motore non s'arresti, che lo sbalzo da una pressione all'altra, da una temperatura all'altra non nuoccia al reduce il quale è intento ad avvicinarsi alla scuola, in spirali tanto larghe che coloro i quali osservano da terra discutono se sono spirali o no. A 2000 metri l'atmosfera si rivela calda, persino troppo calda. Come un pingue inquilino discendendo dal quarto piano si riposa di pianerottolo in pianerottolo, così il pilota di quota in quota riaccende in pieno il motore, pone in linea di volo l'apparecchio per abituarsi alle atmosfere sempre più grevi che incontra abbassandosi. E un altro fenomeno si manifesta: il panorama che alla partenza appariva grandioso, smagliante, ora è uniforme nei colori, piatto nelle forme. La permanenza a 4000 metri aveva aristocratizzata e insieme stancata la sensibilità dell'aviatore.

Il brevettato rientrando alla scuola consegna al capo-pilota il barografo con orgoglio di padre: la cartina è la sua creatura. Sordo, stanco, ma felice, passa di abbracciamenti in abbracciamenti, di stretta in stretta di mano, risponde con monosillabi, sorrisi alla carica di domande lanciate da superiori, colleghi, meccanici; senza avvedersi accetta contemporanei inviti a pranzo, promette bicchierate e visite mentre intorno gli amici, pure assediandolo, lo liberano degli indumenti di volo.

Da quel momento cominciano le innumerevoli repliche della sua narrazione: «Come feci il brevetto». Sarebbe servizievole, in questi casi, un cartellino da portarsi appeso al collo, con il riassunto del racconto: «Partii alle ore tali. Il vento era veloce. Nubi sparse. Arrivato a 2000 metri cominciai a ballare.... ecc.»

Ma le persone alle quali il reduce non lesina particolari sono gl'istruttori e i meccanici: i collaboratori del suo successo, coloro i quali, insieme al capo-pilota, avevano seguito le sue prove di brevetto con muta, insopprimibile trepidazione. Gli istruttori. Ecco il primo che abituò l'allievo al volo: tutto giovinezza, disinvoltura, doveva infondere la persuasione che è facile il pilotaggio, purchè l'anima sia forte e il corpo sano; allegro anche nei momenti più critici sì da non allarmare l'inconscio aquilotto. Ecco l'istruttore della precisione: meticoloso, razionale, che doveva trasformare la nascente perizia dell'allievo dallo stato istintivo allo stato riflessivo, comprimendone i moti sino alla giusta misura. Ecco l'istruttore della idoneità: taciturno, immobile, come sonnacchioso durante il volo, sì da lasciar persuaso l'allievo d'esser lui solo il responsabile della manovra, che torna repentinamente ai comandi e ingaggia spirali strettissime, frena il motore, lo riaccende per abituare alle sorprese i nervi dell'allievo.

E i meccanici? Sono gli oscuri organizzatori del successo, i pazienti studiosi del motore di cui vigilano ogni più delicato e recondito congegno. La bella, regolare sonorità del motore in marcia è il loro premio, il loro canto di vittoria, come ogni suono non ritmico, non fluido fa arguire loro un'irregolarità che limita le energie dell'organismo metallico.

Talvolta il motore viene accusato, ora a torto ora a ragione, di aver fatto fallire un brevetto. Se poi al mancato brevetto si aggiunge la scassatura dell'apparecchio, l'allievo pilota entra in una fase di desolazione. La scassatura si produce quando ormai il suo autore è convinto della propria infallibilità, quando pensa: — Io non scasserò mai; chi scassa è un inetto! — Le cause predominanti della scassatura possono essere: distrazioni dell'allievo, il vento, lo specchio dell'acqua o le onde.

Avvenuto il guaio, l'allievo ha l'impressione di avere commesso un delitto. Ma un delitto colposo. In cospetto della sua vittima sente a sua volta d'essere vittima di una sorte immeritata. Gli sovviene quindi d'essere atteso al campo e un senso quasi di.... raccapriccio lo coglie pensando al capo-pilota indignato, ai colleghi ironici, allegri che gli grideranno: — Paga, paga!

— Che cosa? L'apparecchio?

— No, no: da bere.

Lo scassatore non vorrebbe più tornare (momento d'infantilismo), ma lo viene a rimorchiare un motoscafo che lo trascina come innanzi a un tribunale. Il capo-pilota è sullo scalo in atteggiamento monumentale: volto crucciato, sguardo fisso, braccia conserte. Prepara il cicchetto. L'apparecchio con un'ala a sbilenco, i galleggianti schiacciati e magari con lo scafo bucato è ormai alla sua pista; il reduce con fisionomia da condoglianze ascolta la rampogna. — Se lei — esordisce il capo-pilota — avesse prestato maggiore attenzione.... — Dopo un minuto o due di svolgimento, la conclusione: — Lei sarà sospeso temporaneamente dai voli e vedremo se sarà il caso di farle pagare i danni. Lei oggi mi costa 30000 lire.

Che cosa rispondere? L'apparecchio a brandelli lo accusa. Chi rompe ha sempre torto, anche se qualche collega gli osserva: — Non si riesce grandi piloti se non si scassa. Il tale (e nomina una celebrità) ha scassato venti apparecchi. Il tale altro (e nomina un'altra celebrità) quindici.

Un secondo collega fa questa considerazione: — Si capisce che sei un novizio. Per aver messo fuori uso un idrovolante sembri disfatto: ti si potrebbe raccogliere a cucchiaiate. Viceversa dovresti compiacerti d'aver dimostrato che sai sfasciare un apparecchio restando tu incolume.

Filosofia arida di indifferenti! L'autentico conforto lo sfortunato se lo procura accostando un altro collega al quale sia accaduta di recente la medesima disgrazia. Perchè il mondo di un campo d'aviazione, nelle ore dei passi perduti, si suddivide spontaneamente in diversi gruppi secondo le affinità psicologiche: gli scassatori, gli eliminandi, gli scivolati d'ala, i neo-brevettati, ecc. Gli scassatori si sfogano contro il vento, si occupano unicamente del loro incubo, adottano nuove regole di manovra e ne ripudiano altre. Non appena riprendono a volare si comportano con circospezione da esordienti, e il felice esito del nuovo volo dà loro la sensazione di essersi riabilitati, per cui riesce loro facile riprendere la linea ascensionale pur non disponendo della primitiva presuntuosa disinvoltura, ma anzi applicando l'esperienza derivata dall'incidente.

Gli eliminandi sono come sotto processo: su di loro grava l'imputazione di non avere conseguito progressi proporzionati al numero dei voli effettuati. Qualcuno di essi ha già compiuto il volo di prova. Quale peripezia! L'eliminando dirigeva la manovra e l'istruttore gli stava a fianco pronto a evitare un disastro. Eroico istruttore. Si vedeva l'apparecchio fendere l'aria a zig-zag, su e giù, inclinato trasversalmente, puntare un bosco poi evitarlo a un tratto, scendere a precipizio, poi risalire a forma di montagna russa.

L'allievo ridiscendeva congestionato ammettendo di aver fatto errore, ma attribuendone la causa all'emozione di sapersi sotto esame e al fatto d'averlo, l'istruttore, corretto con gesti disperati ed urla feroci. L'istruttore da parte sua asseriva d'essersi salvato per miracolo. Altre volte s'era visto un eliminando portato come passeggero perchè si abituasse al volo, scomparire completamente entro lo scafo, ed esclamare al ritorno: — Quando alzavo la testa ed aprivo gli occhi vedevo un magnifico panorama! — Di un terzo si narrava che accompagnasse la sua manovra con dei commenti esplicativi: — Comincio a scendere. Siamo a cinquanta metri. Siamo a venti. Richiamo un poco, un altro poco. Siamo a dieci metri. — Pum! L'apparecchio aveva toccato acqua violentemente. E l'istruttore: — I dieci metri rimasti li faremo un'altra volta.

Gli scivolati d'ala sono intenti a chiedersi se rimane loro ancora la vocazione di volare dopo la caduta. Precipitati una volta non escludono di precipitare ancora. Se però riescono a ricostruire la esatta causa dell'incidente, possiedono elementi per tornare con fiducia al pilotaggio: maggior prudenza, conoscenza di un'emozione rara ed eccezionale che è — quando la caduta perdona — un collaudo di nervi. Essi narrano che l'apparecchio non precipita fulmineo, allorchè per errore di manovra perde ogni sostentamento, ma offre ogni possibilità di rimedio, purchè naturalmente la scivolata non cominci a quota estremamente bassa. Pur troppo se gli apparecchi in generale sono più o meno docili, i piloti non lo sono affatto, perdono la serenità e agitano le manovre a tal segno da annullare le buone disposizioni degli apparecchi stessi. Se i piloti considerano inesplicabile il motivo del loro infortunio, non hanno altra soluzione che ritirarsi dall'aviazione; l'incubo della misteriosa caduta non cesserebbe dal turbarli.

I neo-brevettati sono agli antipodi psicologici degli scivolati d'ala. Spediscono e ricevono telegrammi, lettere in abbondanza, rigurgitanti d'ottimismo augurale; i loro discorsi sono delle fanfare, le aquile e le corone splendide d'oro, già da qualche settimana pronte nel più segreto angolo, sfolgorano al sole (se c'è il sole). Scoccano intorno le ultime discussioni. — Quelle corone — afferma un collega — sono troppo cariche d'oro. — Io le preferisco su fondo nero. — Troppo grandi quelle corone. — Tutt'altro: stanno benissimo: sono fatte per essere vedute. — Il neo-brevettato gusta intanto il piacere di recare il nuovo fregio: se capita alla portata di uno specchio, come non rimirarsi? Se si vede osservato, tutta la sua vanità gorgoglia. Ma la vacanza dello spirito è breve. Non appena giunge il telegramma di servizio che lo destina in squadriglia, al neo-pilota militare si schiude tutta una serie di sensazioni nuove, una successione di ostacoli che la nostra massima nemica — l'immaginazione — si compiace di colorire a tinte gravi, forse per farci giudicare più facile e attraente la realtà. Il nuovo pilota considera che gli verranno affidate delle persone da portare in volo, delle missioni da eseguire in guerra, che dovrà ingaggiare combattimenti a grandi altezze, procedere avanti fra lo scoppiare dei proiettili. E tutto questo programma esercita un doppio effetto sull'animo del candidato alle battaglie del cielo: meditazioni intense, gravi, e un fascino trascinatore, luminoso. E il nuovo combattente parte verso un mondo assolutamente inesplorato.

Voli di guerra: Impressioni di un giornalista pilota

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