Читать книгу Voli di guerra: Impressioni di un giornalista pilota - Otello Cavara - Страница 4
Come si diventa piloti.
ОглавлениеForse l'allievo pilota vive il momento più emozionante quando presenta la domanda per essere ammesso a una scuola d'aviazione. Egli non reca in sè che un elemento certo: la decisa volontà di riuscire. Ma l'attitudine a volare è per lui un'incognita la quale lo pone fra l'avidità di provarsi e il dubbio di fallire nel tentativo.
La guerra ha creato un tipo speciale di volontario dell'aviazione: il pacifico borghese del tempo beato in cui non si credeva alla conflagrazione mondiale, pacifico borghese che dovendo in occasione della guerra assumersi la sua parte di azione e di pericolo, e avendo una predilezione per gli atti che derivano direttamente dalla responsabilità individuale, sceglie l'aviazione conscio di rendere un servizio militare non meno prezioso e periglioso d'ogni altro, e conscio di valorizzare al massimo grado le proprie attitudini morali e fisiche in un'arma di straordinaria bellezza.
Ed è per ciò che oggi l'aviazione militare aduna rappresentanti d'ogni ambiente, d'ogni cultura e d'ogni mentalità. Diversi per il loro passato, gli allievi si identificano nell'esuberanza delle loro energie, nella dedizione completa ai cimenti aviatorii, nella fraternità che deriva dal comune mistero della loro sorte. Essi più o meno passano traverso le medesime fasi psicologiche: trepidazioni e speranze della vigilia; incosciente disinvoltura durante i primi voli; poi una successione crescente di depressioni e di rivincite al contatto di difficoltà sempre più intense.
L'allievo giungendo alla scuola è curioso d'ogni particolare. I motoscafi e gli autocarri che recano gl'istruttori e gli scolari, sembrano colmi di gitanti spensierati: e in realtà costoro si accingono ad effettuare i quotidiani voli con la medesima disinvoltura con cui s'intraprende una passeggiata. La scuola aspetta con i capannoni spalancati innanzi all'ampio specchio d'acqua su cui dovranno svolgersi i voli. Gli idrovolanti sono allineati lungo la riva, ciascuno sulla propria pista di legno che dal capannone scende nell'acqua.
Maestri e allievi vanno a fare toilette. Ognuno ha i propri indumenti di volo. Chi indossa lo scafandro o la pelliccia, chi un maglione, chi s'avvolge il collo d'una sciarpa, chi s'applica un passamontagna, chi il casco. Tutti fanno uso di occhiali e guanti. La trasformazione è sensibile. Le fisionomie scompaiono sotto le maschere e le lenti. Eleganti ufficiali assumono aspetti strani, apparenze grottesche di palombari, di clowns, le loro linee svelte si ricoprono — specialmente dopo l'applicazione del salvagente — di gonfie gibbosità.
Ad ogni apparecchio corrisponde un istruttore ed una sezione di allievi. Il primo allievo cui spetta di volare — si segue un turno a rotazione — s'ingolfa nella complicazione di fili dell'idrovolante e scende nello scafo, sedendo a destra dell'istruttore dopo aver messo in movimento il motore con giri di manovella. L'apparecchio si stacca dalla riva e l'allievo, afferrato il suo volante e occupati i pedali, si accinge a manovrare. Il maestro ha pure il suo volante e controlla la manovra del suo vicino intervenendo con cenni della mano o con dirette correzioni ogni qualvolta lo scolaro tarda, precipita o confonde i suoi movimenti. Gli idrovolanti partono ad uno ad uno striando lo specchio di spuma, oscillando per sollevare i galleggianti e la coda, poi raggiunta la velocità voluta, saltellano e spiccano il volo. Al ritorno, l'istruttore spiega gli errori commessi dal discepolo e questi li attenua affermando che sono passeggeri e promettendone solennemente la sparizione per il volo successivo. Anche gli altri allievi della sezione presenziano al colloquio per immagazzinare esperienza a spese degli errori altrui.
Il nuovo arrivato osserva i colleghi più progrediti come esseri dotati di misteriose facoltà del cui segreto si vuole impossessare. Timidamente egli procede alla personale conoscenza dell'apparecchio introducendosi nello scafo: con circospezione afferra il volante, lo rigira, lo attrae a sè, lo respinge volgendosi a osservare alle estremità delle ali e della coda i movimenti degli aleroni e del timone di profondità. Si stupisce che i colleghi i quali lo hanno preceduto, spieghino la manovra come una funzione semplice. Poi rimane interdetto udendo il linguaggio d'aviazione fiorito di francesismi. Decollare: manovra per condurre l'apparecchio a staccarsi dallo specchio d'acqua; virare: mutamento di direzione durante il volo; picchiare: abbassare l'apparecchio pure durante il volo; ammarare: far riprendere all'apparecchio il contatto con l'acqua.
Intanto il novizio sente parlare con rispettosa preoccupazione della manovella, il fatale istrumento che serve a mettere in funzione il motore e ad imporre soggezione al novizio: — Attenti ai contraccolpi — lo avvertono gravemente i colleghi che all'esordio conobbero il medesimo patema. — Bada che già vari si sono fratturati il braccio.... — Comincia così la mobilitazione dell'amor proprio: il neofita s'attacca all'insidiosa manovella, non riesce, ritenta e finalmente consegue la sua prima vittoria, girando la nemica con esuberanza trionfale.
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Più è prossimo il momento di volare per la prima volta e tanto maggiormente la sensibilità dell'allievo si paralizza. Pochi istanti prima di salire sull'apparecchio, il novizio, non avvertendo più alcuna emozione, confonde questo stato d'animo con la tranquillità: viceversa è l'effetto di una tensione nervosa, la quale si trasforma in un fenomeno di serena voluttà non appena l'apparecchio si è librato. L'esordiente ha l'illusione che non sia l'apparecchio a sollevarsi, ma il panorama ad abbassarsi, a roteargli lentamente intorno. Una improvvisa, assoluta fiducia lo sorregge: una fiducia ispirata dalla stabilità dell'apparecchio che in volo si rivela solido, imperioso, sonoro e perde l'aspetto fragile osservato da terra. La velocità non è percettibile; pare che l'idrovolante si regga su un solido pernio invisibile. Il vuoto non esiste che per lo sguardo: l'atmosfera si manifesta anche al neofita un elemento consistente, soffice ma tenace, in cui l'apparecchio morde e si regge vittorioso. Ma quando l'idrovolante s'inclina per iniziare la discesa, il novizio si turba. Un rimescolìo passeggero agli intestini, somigliante a quello che dà l'altalena, lo coglie all'improvviso. Il silenzio che segue al fragore del motore — perchè il motore viene fermato o ridotto a una velocità minima — determina una forma d'ansietà. La visione panoramica, che prima era preclusa in parte notevole al neofita dalla punta dello scafo protesa in alto, ora che lo scafo è inclinato, appare in tutta la sua vastità, come osservata da un altissimo balcone, e rivela la quota raggiunta. Si mostra come un'immensa carta geografica a rilievo. Lo specchio d'acqua appare come una enorme lastra metallica bruna e s'avvicina con crescente velocità. Quando mancano pochi metri da esso e l'apparecchio si dispone a posarvisi, si rivela fulminea la rapidità dell'apparecchio stesso: lo specchio gli sfugge di sotto vertiginosamente e il neofita trattiene il respiro in cospetto di questo imprevisto epilogo. Un lieve fruscìo, un impercettibile colpetto sotto lo scafo: l'apparecchio ha preso contatto con l'acqua, solleva intorno biancori di spuma e s'arresta rapidamente.
L'allievo confonde l'ammirazione per il volo con la gioia di averlo condotto a termine: certo è raggiante. Difficilmente le sue impressioni sono da lui espresse in modo genuino, perchè non ha saputo analizzare sè stesso o perchè ritiene obbligatorio ricorrere a una di queste due opposte frasi: «Nessuna impressione» oppure «Impressione straordinaria» accompagnate da un prolungato sorriso ufficiale finchè egli si vede scrutato dai colleghi. Effetti fisici generali: ronzìo alle orecchie paragonabile all'uniforme canto dei grilli, appetito accentuato e richiesta da parte dei colleghi di una bicchierata per festeggiare il primo volo.
Nei voli successivi l'allievo ammesso ad abbozzare tentativi di manovra accanto al maestro, acquista l'improvvisa persuasione che per manovrare siano sufficienti le risorse dell'istinto. La sua convinzione di riuscire diviene tanto più fiera quanto prima dei voli era esitante. Si delinea in lui l'esuberante spirito d'iniziativa: egli scambia per aquilina audacia la propria ignoranza sulle difficoltà del volo. I suoi tentativi di manovra sono senza sfumature. Se il maestro lo frena, egli insiste per ottenere una maggiore autonomia. Non esita ad affermare in piena buona fede che si sentirebbe di volare da solo. Naturalmente pretende di figurare tra gli anziani. In cospetto dei nuovi aspiranti si comporta da vecchio falco, spiega con degnazione annoiata la manovra, concludendo: — È semplicissima!
Ma quando l'istruttore gli affida realmente la manovra, l'allievo entra nella fase di depressione. Egli registra le nuove difficoltà nel suo diario: quasi tutti gli allievi conservano un diario con il numero e le caratteristiche dei loro voli. Oltre occuparsi delle condizioni dell'atmosfera, del motore, dell'acqua, lo scolaro osserva: «Oggi il maestro mi ha dichiarato che se egli non interveniva in tempo ci si infilava nell'acqua». — «Ho osservato che quando reggo io il volante, l'apparecchio disegna le montagne russe; non appena il maestro riprende il volante, l'apparecchio torna in linea di volo. Dunque non è il vento. Il maestro dice che il vento lo faccio io». — «Quando correggo uno sbandamento ne produco uno maggiore. Il maestro dice che faccio fare all'apparecchio ciò che fa il cane quando è gaio; mena la coda a destra e a sinistra».
Se l'idrovolante giunto presso all'acqua non è posto in tempo in linea di volo, toccando l'acqua rimbalza in aria come un ciottolo a forma di piastrella lanciato parallelamente alla distesa liquida. Di qui la denominazione di piastrella a questo tipo di amérissage imperfetto. La piastrella è l'incubo dell'allievo il quale ricorre ai più ricercati sofismi per ripudiarne la paternità. Generalmente spiega che è derivata da un complesso di combinazioni: acqua poco visibile, colpo di vento, vicinanza di una barca, occhiali appannati....
A traverso queste prime esperienze l'entusiasmo del discepolo perde effervescenza: diviene solida meditazione. L'allievo non ha più baldanza loquace, superficiale, nè severità di giudizi. Tace ed osserva. Segue i voli con sguardo da iniziato, rimugina le osservazioni fatte pilotando. Dal modo come si comporta un apparecchio in aria indovina chi lo guida. Anche in aviazione, la personalità, lo stile esistono. L'allievo comincia a comprendere che la manovra non è dettata dall'istinto, ma dalla fulminea entrata in azione di abitudini contratte studiando il volo. È un ricamo di innumerevoli eccezioni intorno a un semplice concetto fondamentale. Ma per conseguire questo senso della manovra occorre vivere la vita dell'apparecchio, occorre che pilota e idrovolante compongano una cosa sola.
La spirale: altra causa di crisi momentanea. L'istruttore la fa conoscere all'allievo d'improvviso ed eccezionalmente stretta per misurare la sua presenza di spirito. L'allievo vede il panorama inclinarsi e sollevarsi obliquamente come agitato da una danza diabolica, vede lago, fiumi, paesi, colli, monti roteare, sovrapporsi quasi fosse giunta la fine del mondo. Quando la spirale cessa di fatto, nella testa dell'allievo continua. Egli rimane rigido, in atteggiamento di difesa, trattenendo il respiro. Scendendo reca il sospetto di non avere attitudine per l'aviazione, ma negli esperimenti successivi si comporta, anche intimamente, con assai maggiore disinvoltura fino a divenire egli stesso un abile autore di spirali, per quanto ampie e caute.
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Affermano in maggioranza i piloti che la loro più acuta soddisfazione derivò dal loro primo volo senza istruttore. Si giunge a questa prova sospinti da un bisogno imperioso di liberarsi dal controllo dell'istruttore. È un'apparente forma d'ingratitudine che ricopre una sostanza di rinascente idoneità. Quando l'allievo in volo si sente spersonalizzato, prova la luminosa illusione di aver sempre volato, considera normale la visione dall'alto del panorama ed è insofferente degl'interventi nella manovra del suo maestro, è evidente che la convinzione di poter volare solo, matura in lui. Ciò che importa assai è la convinzione di poter condurre un apparecchio, tanto è vero che i capi-piloti fingono di mostrarsene increduli per accertarsi, traverso le proteste dell'allievo, ch'essa esiste veramente.
Se le discussioni in terra sono spesso vane, in cielo sono addirittura dannose. È necessario in volo perseguire un'idea unica, precisa, ferma. Due idee avverse nella testa di un pilota producono il medesimo disordine di due donne in una casa. Purtroppo l'allievo nel suo primo volo da solo reca due, tre idee per ogni fenomeno nuovo che lo interessa. Il suo è il volo dei dubbii. I fenomeni nuovi sono: il motore, l'orientamento e la solitudine. Quando l'allievo volava col maestro questi si occupava di regolare il motore, di indicare la rotta, e con la sua presenza aboliva la solitudine. Accade che l'allievo, dovendo introdurre nella sua psicologia queste nuove responsabilità, smarrisca momentaneamente l'esatto senso del solo elemento di cui era sicuro: la manovra. Assalito da nuove preoccupazioni, diffida anche delle regole che già applicava con disinvoltura da tempo. Le impiega precipitosamente e provoca nell'apparecchio oscillazioni ch'egli si affretta ad attribuire al vento. Tutti i reduci del primo volo affermano che spirava un vento eccezionale.
Ma la crisi culminante del primo volo è provocata dalla discesa: — Quando spengo il motore? — comincia a chiedersi il neo pilota. — Adesso. No, è presto. Toccherei acqua troppo lontano dalla scuola. Però attento a non scendere contro gli hangars. Spengo adesso. No. Sì. No.
Intanto l'apparecchio, quasi avesse udito il dibattito del suo incerto pilota, si è abbassato per conto suo; l'allievo, allarmato, fa uno sforzo togliendo una mano dal volante per chiudere la manetta della benzina, e riportandola urgentemente al volante. Con l'indice destro cerca il bottoncino del magnete, per togliere la corrente elettrica, ed ha l'impressione di non trovarlo. Eccolo. Preme. Il motore tace. L'allievo inclina l'apparecchio. Troppo. Lo richiama. Teme di scivolar d'ala. Ripicchia. Teme d'imbarcarsi: — Calma, calma, se no va a finir male — raccomanda a sè stesso. La discesa finalmente procede regolare con buona velocità. S'avvicina lo specchio d'acqua. Comincia la preoccupazione per l'amérissage. Si tratta di attenuare l'inclinazione dell'apparecchio, ma con dolcezza, con sfumature quasi impercettibili. Viceversa il reduce richiama a sè il volante troppo sollecitamente: è ancora a sei metri dall'acqua. Respinge il volante ma deve richiamarlo quasi subito perchè è ormai a un metro. Qualche esitazione ancora, poi alla fine l'idrovolante tocca l'acqua, un po' bruscamente e inelegantemente, ma senza eccessivi guai. Lungo respiro di soddisfazione dell'allievo il quale, riacceso il motore, fa ritorno alla scuola salutato dai colleghi che sulla rotonda lo hanno seguìto in volo: — Bene, bravo, — gli gridano. Ognuno vuole stringergli la mano. Il trionfatore diventa insincero. Poichè lo lodano, egli assume l'atteggiamento di chi si merita la lode guardandosi dal denunciare gli errori commessi, anche perchè ha la coscienza di non ripeterli più.
— Quali impressioni? — gli chiedono.
— Mi sono trovato molto bene.
— Si vola meglio senza maestro?
— Non c'è paragone.
In questa fase di ascensione, caratterizzata da prove di crescente portata, il neo pilota è suscettibile di impressioni esagerate che derivano dal consumo eccezionale di energie quando ancora i suoi centri nervosi non sono sufficientemente sviluppati. Ma lo sviluppo nervoso nell'allievo di solida costituzione è alacre e gli consente di superare prove che pensate prima gli apparivano insormontabili. Un allievo che scende esausto da un esperimento non raggiunto, porta nel segreto della sua anima uno sconforto che non sa confidare e che ha il colore della sconfitta. Ma all'indomani le sue forze sono gagliarde in una misura insperata. L'esperienza del giorno precedente, anzichè essergli nemica, gli è alleata.
La notevole altezza e la resistenza di volo sono sopratutto un risultato dell'amor proprio. La volontà ferma, orgogliosa di raggiungere la quota designata e di rimanere in aria per una durata stabilita è indispensabile come la benzina al motore. Essa servirà a neutralizzare gli effetti demoralizzanti del freddo, delle inquietudini atmosferiche, del vuoto sempre più profondo e vasto, delle nubi e della solitudine.
In altri ambienti amiamo vincere oltre che per noi stessi anche per il prossimo, ma in aviazione si vince sopratutto per noi stessi. Un pilota che dovesse cedere al vento, recherebbe con sè un incubo che graverebbe nei suoi successivi cimenti. Perciò il volo è un efficace mezzo per misurare, oltre le qualità tecniche, le risorse morali dell'allievo. La cartina del barografo riproduce le peripezie psicologiche dell'allievo. Quella linea che s'innalza sicura, regolare, leggermente incurvata sino a una data quota — 1500 metri, 2000 metri — poi prosegue in una alternativa di tratti rettilinei, gobbe concave e convesse e finalmente ridiscende con una rapida obliqua, narra una serie di emozioni in contrasto: serena conquista della quota di metri 2000, poi lotta col vento, incertezze del motore, soggezione della solitudine, tentazione di scendere, reazione dell'amor proprio e finalmente discesa definitiva.
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Talvolta la sensibilità dell'allievo viene sottoposta a una prova singolare durante una traversata di nubi, l'incontro con le quali presenta varie caratteristiche e non sempre uguali. Può risultare abbastanza placido se sono nubi bianche, i carri, ma spesso è preceduto da un avvicinarsi scapigliato di folate vaporose, dal gelo, dalla rarefazione dell'atmosfera, dall'incrociarsi volubile di raffiche. Poi penetrato l'apparecchio in questo mondo latteo, invisibile, misterioso, il motore diviene asmatico, il pilota perde il senso dell'orientamento.
Splendido è il momento in cui si esce da questa prigionia: splendido dal punto di vista tecnico ed estetico. Ci si accorge che l'apparecchio era sbandato malamente, troppo sollevato; ristabilitolo nelle condizioni normali si può ammirare a rapidi sguardi la nuovissima visione: un mare di immobili onde candide, compatte, raggianti, preceduto da lontani cirri solitari che fanno pensare alle avanguardie di un esercito fantastico. Ma la sensazione del bello è quasi paralizzata dal problema di tornare fra le nubi: problema che si risolve con una discesa a forte velocità, preferibilmente dove s'apre nella massa dei vapori un pertugio che lasci intravedere un pezzo del panorama sottostante.
Vari sono gl'istrumenti che si recano a bordo per controllare la manovra: ma l'istrumento migliore che può ridurre al minimo il numero degli incidenti, è il sistema nervoso del pilota sorretto da esperienza e da perseverante studio. Il pilota affina la sua sensibilità al punto di giudicare in volo col solo udito il funzionamento del motore, col tatto sul volante il comportarsi dell'apparecchio. Solo istrumento di cui non tende a svincolarsi è la bussola che sul mare indica la rotta, mancando ogni altro punto di riferimento. Il pilota prima di partire osserva attentamente con occhio d'iniziato l'apparecchio e il cielo. Dell'apparecchio diffida. Egli ha perduto — a questo punto del suo allenamento — la beata fiducia dei primi tempi che gli faceva ritenere l'apparecchio il più sicuro veicolo. Egli sa che anche l'assenza di un bullone, un cavo non sufficientemente teso, già roso dall'uso, possono determinare la catastrofe. Egli, per volare sicuro, vuole aver controllato il suo idrovolante nei più minuti particolari. E prima di partire legge nel volto infinito del cielo come gli uomini del mare e della montagna; le forme, i colori delle nubi gli rivelano l'altezza, la direzione e la velocità approssimativa dei venti. Un buon pilota sente di non poter manovrare efficacemente se ignora le condizioni dell'atmosfera, dell'invisibile pista su cui procede.
È evidente così come riesca impossibile al pilota esprimere le sue impressioni al profano che lo interroga avidamente. La sua vita quotidiana trascorrendo fra osservazioni sempre più particolareggiate di aerologia, elettrotecnica, costruzioni di apparecchi, topografia, trascorrendo in un mondo — il cielo — che per la grande maggioranza è cosa immensa di sola contemplazione, lo porta a sentire diversamente dall'umanità che non vola.
— Che impressione prova? — gli chiede il profano.
— Non saprei che dirle. Se vuol provare....
— Ma neppure.... Si soffrono le vertigini?
— No, grazie.
— Però lei dimostra un bel coraggio.... E quando c'è vento?
— Si balla e si lavora molto.
— Ah perdinci, non vorrei neanche.... E se scappa un'ala?
— Eh.... allora....
— Che fegato occorre per andare in aria! E chi sa il vuoto che impressione produce!
— Per noi è cosa naturale.
— Io non mi abituerei. Si figuri che m'infastidisce guardare giù dal terzo piano. A che altezza vanno loro?
— Anche a 5000 metri.
— La saluto. Mi vien male a sentirlo dire soltanto.
Il contatto continuo con il fascino e l'incognita del volo abitua il pilota a famigliarizzarsi con superiori concetti di vita. Il sistematico esercizio di difendersi ogni minuto, ogni secondo da mortali insidie, lo arma di una filosofia serena, robusta, da cui il trepidante, pavido, assoluto attaccamento alla vita rimane estraneo. Non che l'aviatore sia indifferente alla vita. Anzi ciò che fa di lui un vittorioso è il senso acuto dell'esistenza che lo porta a superare i limiti mediocri, a dominare una più ampia vastità di sensazioni e di spazi, a riconquistare ogni giorno, affrontando necessari perigli, il diritto, la gioia di vivere. Ma l'aviatore nel segreto del suo fervore sente che le sensazioni da cui è pervaso sono così fulgide da ripagarlo d'ogni più grave eventualità. Sente cioè che è importante più che vivere molto, vivere intensamente e utilmente anche se in breve spazio di tempo. Il coraggio è la sua aspirazione, il suo ansioso desiderio. Giunge un momento in cui il mistero della sua psicologia si svela: il momento in cui una cupa minaccia lo affronta in volo. O lo coglie un'invincibile tendenza a precipitosamente scendere, oppure si afferma in lui un'opposizione sdegnosa alla catastrofe e quindi un ponderato, sagace impiego delle sue energie istintive e di esperienza.
In queste battaglie si allena il combattente del cielo: superate le prime avversità naturali si prepara a vincere quelle dell'aviazione nemica.
È il milite nuovo che fa suo e più ampio il motto del mare: «Vivere non è necessario, ma navigare e volare sì».