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Mio padre, appena vedeva un politico in televisione, sbottava disgustato:

«Sono tutti bugiardi!»

Al che, o cambiava canale o spegneva la televisione.

Ora, per uno di quei fatti imponderabili della vita, sono entrato in politica e, sebbene lo sia da poco, di bugie non ne ho ancora dette, beh, insomma, tranne quelle innocue che fanno parte delle cosiddette relazioni sociali. Allora: se mio padre aveva ragione, dovrei essere anch’io un bugiardo, ma visto che non lo sono, aveva torto. Ne consegue quindi che non tutti i politici sono bugiardi! Questo ragionamento mi rassicurava, dal momento che ero in trepida attesa di un colloquio con il Presidente degli Stati Uniti, senza la pregiudiziale che fosse un sicuro bugiardo.

Mentre aspettavo di essere fatto accomodare nello studio ovale, mi lambiccavo il cervello per trovare una ragione per la quale ero stato convocato (sicuramente un grande onore), ma per quanto mi sforzassi, non riuscivo a trovarne alcuna. A trentatré anni, appena compiuti, ero uno dei più giovani deputati eletti, ma tutto finiva li. Inoltre, essendo a Washington da appena sette mesi, non avevo ancora avuto modo, nemmeno se lo avessi voluto, di allacciare relazioni politiche tali da giustificare l’interesse del Presidente nei miei riguardi. Comunque fosse, ora ero alla Casa Bianca in procinto di essere introdotto al cospetto della persona più potente del pianeta. Dopo minuti che mi parvero un’eternità, squillò un citofono, la segretaria rimase in ascolto alcuni istanti, quindi si alzò e, raggiuntomi, mi pregò gentilmente di seguirla: il Presidente desiderava vedermi!

Superata la pesante porta bianca, mi trovai d’innanzi al primo cittadino degli Stati Uniti!

Il Presidente, seduto alla scrivania, alzò lo sguardo verso di me facendomi cenno con la mano di accomodarmi. Era un omone… due metri e dieci per circa centocinquanta chili di peso, al suo confronto, nonostante il mio metro e ottantacinque e un fisico abbastanza atletico, mi sentivo un nanerottolo. Ma c’era una cosa che mi colpiva ancora di più, infatti, ogni volta che lo avevo visto, sia in TV sia a qualche convegno, mi ero sempre meravigliato per le dimensioni della sua testa che a me sembrava enorme e ora, che me lo trovavo davanti a non più di due metri, questa impressione era ancora più accentuata.

«Si accomodi, signor Endis! Un caffè?»

Il testone fu attraversato da una lunga fessura, immaginai l’equivalente di un sorriso, e per un attimo ebbi l’impressione di trovarmi di fronte ad uno di quei cagnoloni … (un terranova?) insomma, uno di quelli talmente simpatici che ti vien voglia di abbracciarlo per poi ritrovarti coperto di bava.

«Grazie…no, Signor Presidente...» declinai gentilmente l'invito, anche se per un attimo ebbi la tentazione di dire di sì solo per il piacere di essere servito dal Presidente in persona.

«... ma ho già assunto la mia razione giornaliera di caffeina, Signore!»

«Come desidera, signor Endis. Allora entriamo subito in merito alla questione per la quale l’ho voluta vedere.»

Così dicendo si alzò e, prima che potessi alzarmi a mia volta, poggiò le grosse natiche sul piano della scrivania dando così alla conversazione un tono più rilassato e quasi amichevole.

«Ecco...» mi dissi «… queste sono le cose che devi imparare!»

Infatti, con quel semplice gesto aveva tolto quasi ogni ufficialità alla situazione del momento mantenendo allo stesso tempo una posizione dominante. Provai un senso di sincera simpatia per quest’uomo e per il suo testone.

«Mi dica, Signor Presidente.»

«Allora… il suo nome mi è stato fatto presente dal senatore Henry. Sì, lo stesso che l’ha fatta eleggere deputato; sembra che lei sia un genio sia come analista sia come esperto di reti informatiche.»

Piccola pausa per permettermi di manifestare tutta la mia modestia. Ne approfittai subito.

«Ringrazio il senatore Henry per aver detto questo di me… ma ci sono molti altri, altrettanto, se non più bravi, Signor Presidente.»

Mi agitai leggermente a disagio sulla sedia. Devo ammettere che in quel momento ero abbastanza imbarazzato, non tanto per il genio, che condividevo, ma quanto per il fatto che dopo tante lodi viene, in genere, la fregatura.

«He he he... signor Endis ... apprezzo la sua modestia.» Occhiatina nella mia direzione come di approvazione.

«Intanto mi lasci dire cosa vorrei lei facesse per me. Poi, se lo ritiene opportuno, potrà sempre declinare l’incarico. Ok?»

«Ok, Signor Presidente.»

Con calma, come per riflettere bene sulle parole da usare, il Presidente si alzò dal piano della scrivania e tornò ad accomodarsi nella sua poltrona quindi mi fisso direttamente negli occhi. Il messaggio era chiaro: ritorno nella piena ufficialità!

Istintivamente irrigidii il busto come a mettermi sull’attenti pur restando seduto: messaggio ricevuto. Ancora una pausa, ancora occhi fissi nei miei, poi la fessura cominciò a muoversi.

«Allora… fra poco meno di un anno, come lei sicuramente saprà, ci sarà la festa della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America ed io, invece delle classiche e ormai scontate celebrazioni, avrei in mente un qualcosa di particolare, qualcosa di meno rituale e, se vogliamo, anche un po’ divertente.»

Altra occhiata scrutatrice.

«Prima che io continui però, deve giurarmi che, sia accetti o meno l’incarico che sto per offrirle, quello che le dirò resterà assolutamente riservato fino a quella data. D’accordo?» M’irrigidii ancora di più.

«Lo giuro, Signor Presidente. Può contare sul mio più assoluto riserbo.»

Il Presidente con un sorriso di approvazione si fece sprofondare nella comoda poltrona accavallando una gamba sull’altra. Poi, improvvisamente, con uno scatto, si alzò e cominciò a camminare su e giù per lo studio dopo avermi fatto cenno con la mano di rimanere seduto. Quindi girò il testone verso di me fissandomi con espressione da bambino birichino.

«Lo sa, signor Endis, io sono un gran burlone.»

«Scusi, Signor Presidente, forse non ho capito bene!»

Certo che il testone era una sorpresa continua… e mi era anche sempre più simpatico.

«Mi dica: sa quanti presidenti si sono succeduti nel corso dei duecentoventicinque anni della nostra storia?»

«Sì Signore… quarantacinque con lei.»

«Bravo! E ora riesce anche a nominarli? Lasciamo stare: sono sicuro di sì.»

Inutile dire che non capivo dove volesse andare a parare ed ero anche certo che lui si stesse divertendo un mondo per questo.

Qualche punto però lo aveva perso nella mia simpatia.

«E le facce? Sì, i volti… se li ricorda? Tutti?»

«Certo che no!» proseguì senza darmi il tempo di rispondere.

«Credo nessuno se li ricordi, tutti uguali, tutti immortalati, tranne qualcuno, in posizioni ufficiali come tanti manichini in una vetrina… e chi vuole si ricordi di un manichino!»

Mentre guardavo stupito il suo faccione sorridente proteso verso di me pensai che fosse impazzito. Chissà, forse con un morso di quella bocca enorme mi avrebbe staccato la testa di netto. M’immaginavo già i titoloni: giovane deputato dell’Ohio decapitato dal Presidente impazzito.

«Lo so cosa sta pensando… no, non sono impazzito, si rilassi. Voglio solo organizzare, per il giorno dell’indipendenza, una mostra fotografica che rappresenti tutti i quarantacinque presidenti degli Stati Uniti.»

Tirai un sospiro di sollievo … ora era tutto chiaro. Solo una cosa ancora mi sfuggiva: cosa c’entravo io con una mostra fotografica?

Come mi avesse letto nel pensiero, proseguì fissandomi con un sorriso strano.

«E qui viene fuori il mio carattere burlone. Non sarà una mostra convenzionale! Il suo compito, come analista, sarà quello di visionare tutte le fotografie di tutti i presidenti che abbiamo nei nostri archivi, ma, e dico ma, dovrà scegliere tutte quelle e solo quelle che sono fuori dal comune, irrituali, strane, anche imbarazzanti se vogliamo, ma che mostrino il lato umano dei presidenti che ha avuto la nostra grande nazione. Non delle statue di cera. Spero di essere stato abbastanza chiaro, signor Endis.»

Mi gratificò di un’altra occhiata inquisitrice quindi con passi decisi ritornò ad accomodarsi sulla poltrona, prese alcune carte dal piano della scrivania e cominciò a esaminarle attentamente come se non avesse fatto altro per tutto il tempo. Quindi, senza nemmeno degnarmi di un’occhiata, concluse:

«Sempre che decida di assumere l’incarico... ovviamente.» Quell’ovviamente pronunciato in tal modo, aveva un ovvio significato: se non avessi accettato, sarei stato un deputato politicamente morto! Non mi restava altro che dire quello che dissi e cioè:

«Certo che accetto, Signor Presidente. Spero solo di riuscire a fare tutto come lei desidera.»

La fessura sul testone riuscì questa volta a mostrare quasi tutti i denti presenti al suo interno, con gesto soddisfatto appoggiò le carte, si alzò e venne a stringermi la mano con enfasi.

Era evidente che ci teneva in modo particolare a questa cosa…mah!

«Non ne dubitavo, signor Endis. Anzi, mi dica, qual è il suo nome?»

Ero certo che conoscesse il mio nome, ma il chiedermelo era un modo per rendere la nostra conoscenza un po' più personale.

«John, Signor Presidente.»

«Perfetto, John. Allora, benvenuto a bordo, d’ora in poi lei farà parte del mio staff, ciò significa che dovrà rispondere solo a me del suo operato e a nessun altro. Chiaro?»

«Chiarissimo, Signor Presidente.»

«Bene… ah, un’altra cosa! Come esperto di reti deve installarne una, alla quale solo io possa accedere... e direttamente da qui. In questa rete memorizzerà tutte le fotografie che sceglierà. E si ricordi, tutte le più strane. E per strane intendo anche quelle che sembrano ancora più strane.» Altra occhiata birichina.

«Siamo d’accordo?»

Ora fu la mia volta di esibire un sorriso birichino.

«D’accordissimo, Signor Presidente!»

Beh… forse questa volta non c’era la fregatura e, chissà, magari sarebbe stato anche divertente, per non parlare del fatto che essere direttamente al servizio del Presidente mi conferiva una certa importanza. Sì… era proprio un simpaticone!

Intanto il Presidente mi aveva preso sottobraccio accompagnandomi verso la porta. Chiaro segno che il colloquio era terminato, e devo dire, sembrava con piena soddisfazione di entrambi.

Prima di aprirmi la porta l'omone guardandomi ancora una volta serio negli occhi ribadì nuovamente:

«E mi raccomando, la segretezza! Deve essere una sorpresa per tutti, nessuno escluso.»

«Stia tranquillo, Signor Presidente. Sarò una tomba!»

«Perfetto! Domani sarà messo in contatto con il generale Thomas. Il generale soddisferà tutte le sue richieste sia di materiale sia di organico per portare a termine il suo compito nel migliore dei modi. Se dovesse incontrare qualche difficoltà non esiti a rivolgersi a me direttamente, ma solo per questioni importanti. Intesi?»

«Intesi, Signor Presidente.»

«Bene, John, buon lavoro.»

«Arrivederci, Signor Presidente.»

E la pesante porta bianca si chiuse alle mie spalle.

Quando uscii dalla Casa Bianca, la mia euforia era alle stelle! Essere sotto il diretto controllo del Presidente, significava in pratica, essere quasi indipendente… Certo, il lavoro andava fatto alla perfezione, ma io mi fidavo delle mie capacità. Inoltre, il compito non mi sembrava particolarmente difficile da eseguire: di fotografie scattate per caso, oppure scartate perché non riuscite bene, ce ne saranno sicuramente a bizzeffe. Ne ero sicuro… avrei accontentato il Presidente! Non riuscii a trattenere un sorriso. Certo che l’idea era un po’ strampalata, ma del resto… non richiedeva grandi finanziamenti, solo alcuni computer, un numero di persone esiguo e… questo sì… molto molto tempo.

Rimasto solo, il Presidente, con passo svelto si avvicinò ad una parete della grande stanza. Fece un gesto lieve con la mano ed ecco che una paratia scorse rivelando quella che sembrava la cabina di un ascensore. L’uomo vi entrò e subito dopo la parete tornò a essere una semplice parete.

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