Читать книгу Presidents - Regina + Giuseppe De Facendis - Страница 4
2
ОглавлениеEra stata una settimana intensa. La stazione di lavoro era stata portata a termine sotto la mia guida e devo dire che i tecnici della Casa Bianca si erano mostrati molto competenti. Ormai restava da completare solo la parte software riguardante i codici di criptazione e si sarebbe potuto cominciare il lavoro. Guardai soddisfatto il terminale destinato alla sezione grafica, il monitor, tecnologia Oleg a tavolo e Multitouch, era quanto di meglio la ricerca militare, e non solo, potesse offrire. In commercio un aggeggino del genere lo avrebbero sicuramente visto fra qualche anno minimo, del resto, io stesso era la prima volta che ne potevo ammirare uno simile.
Sì… dovevo riconoscere che il Presidente aveva fatto le cose in grande a maggior dimostrazione di quanto ci tenesse a questo progetto.
Il progetto P, P per Presidents, così era stato denominato, occupava quello che durante la guerra fredda era stato il bunker antiatomico della Casa Bianca. Riadattato più e più volte nel corso degli anni offriva lo spazio necessario per i server di rete, la stazione grafica e in più, due grandi appartamenti dotati di tutti i comfort possibili e immaginabili. Volendo, avremmo potuto abitarci sia io sia il grafico fino a compimento del progetto, ovviamente l’accesso era precluso a chiunque, salvo mia previa autorizzazione. Il tutto era sotto la mia diretta responsabilità.
Le scansioni delle fotografie invece sarebbero state eseguite direttamente nell’archivio fotografico della Casa Bianca da uno staff di dieci persone munite di una batteria di scanner ultima generazione e rese immediatamente disponibili alla rete del progetto.
La rete era a se stante ed interfacciata solamente con lo studio ovale e protetta da un sistema di cripta tura da me compilato. Mancava ancora solo il grafico dato, che per motivi di sicurezza, il Presidente aveva deciso che si sarebbe trattata di una persona scelta da lui stesso all’ultimo momento. Pensando al grafico non riuscii a trattenere un sorriso, speravo solo che non fosse il solito rompiballe, tanti ne avevo conosciuti, con occhialoni all’Henry Potter e fumati tutto il giorno, poi mi venne in mente il testone del Presidente e scartai questa ipotesi: no, non era tipo da avvallare certi soggetti!
«Fantasticoooooo…»
O sì?! Non feci nemmeno in tempo a girarmi che una figura mi superò senza nemmeno degnarmi di uno sguardo per poi chinarsi davanti allo schermo… in adorazione. Solo una cosa potevo affermare con certezza: dal fondo schiena che esibiva, inguainato com’era in aderentissimi pantaloni di finta pelle rosa, non era certo un Henry Potter!
«Sei tu il capo?» non si era nemmeno girata a guardarmi.
«E non guardarmi il culo!» sempre senza girarsi!
«E non dirmi che non lo guardi, perché lo stai guardando!»
«Per forza che lo guardo… è l’unica cosa che posso vedere di te!»
Il mio tono era stizzito! Le sue mani smisero di accarezzare lo schermo e lentamente si rialzò girandosi verso di me. Forse sarebbe stato meglio che fosse rimasta sempre voltata di spalle, perché, se il fondo schiena era splendido, la parte anteriore era uno spettacolo: bionda, la pelle sembrava una cera lacca cinese, gli occhi di un azzurro intenso sembravano brillare di luce propria mentre la bocca era la perfezione in persona!
Credo che me ne innamorai subito, anche se non me ne resi conto. Riuscii a farfugliare.
«Immagino tu sia il grafico… ops… scusa la grafica?»
Piegò la testa da un lato guardandomi divertita, ma non cattiva.
«Scusa, hai ragione! Mi sarei dovuta presentare, ma quando vedo certe cose… » indicò con un gesto lieve della mano la stazione grafica «… beh… mi lascio prendere dall’entusiasmo! Comunque sì, sono io la grafica!» Poi tendendomi la mano aggiunse civettuola «Annie, Annie Windors, piacere.»
«Endis… » replicai stringendogliela deciso.
«John Endis... »
Quindi, cercando di assumere un’espressione il più possibile neutra ma allo stesso tempo simpatica… con una leggera vena d’ironia, il che non guasta mai, condita con uno sguardo di sexy intelligenza… aggiunsi con tono magnanimo:
«… e lasciamo stare il capo. Chiamami solo John!»
Invece di cadere fulminata ai miei piedi, si limito a emettere una breve risatina, quindi indicandosi il petto, e che petto, recitò:
«Io Annie e tu John, he he he.»
Ripensandoci, è stata una fortuna che nessuno ci abbia visto, avrebbe concluso che eravamo entrambi dei perfetti idioti! Un’idea improvvisa mi balenò nel cervello, guardai l’orologio.
«Senti Annie, sono le sette e mi è venuta una fame boia.
Conosco un posticino, nelle vicinanze, dove fanno una pizza fantastica. Che ne dici? Tanto per conoscerci meglio visto che nei prossimi mesi dovremo lavorare gomito a gomito.»
Non riuscii a decifrare la sua espressione ma dopo un attimo di riflessione corrucciò le labbra e strofinando il suo gomito contro il mio con espressione complice annunciò:
«Ok! Vada per il gomito a gomito!»
«Perfetto. Andiamo con la mia macchina poi ti riporto a prendere la tua.»
«No, non ce n’è bisogno… mi ha accompagnata un’amica. Devi solo portarmi a casa, se vuoi, altrimenti prenderò un taxi.»
Giunti al parcheggio fece proprio quello che speravo facesse:
rimase estasiata di fronte alla Ferrari Testarossa.
«È tua?» chiese, evidentemente sorpresa.
«Beh… poiché ho appena azionato il telecomando, direi proprio di sì.»
«Non ti facevo un tipo da Ferrari, voglio dire, sei solo un giovane deputato almeno così mi è stato detto.»
«Se è per questo, non l’ho certo pagata grazie allo stipendio da deputato!» precisai salendo in macchina. Lei fece altrettanto accompagnando il gesto con una breve risatina.
«Allora hai rapinato una banca? Dimmi di sì, ti prego!!! Non ho mai conosciuto un rapinatore di banche!»
Con una sgommata partii. Non so perché ma avevo la strana sensazione di essere preso un po’ in giro.
Con tono di larvata sufficienza chiesi.
«Cripta tura… sai cos’è?»
Altra risatina.
«Certo che lo so! Sono i geroglifici egizi. No… NON MI DIRE…! Hai trovato un tesoro traducendo delle vecchie pergamene? Fantastico!»
Ora avevo un dubbio, o mi prendeva in giro o era proprio cretina! Lasciamo stare mi dissi e rimasi in silenzio a guidare mentre lei non fece altro per tutto il tragitto che ammirare, entusiasta, ogni particolare degli interni della macchina. Il ristorante italiano era tutto tranne che un ristorante italiano, almeno così lo avrebbe giudicato un italiano!
Spaghetti scotti conditi con salse impossibili, che solo un americano avrebbe potuto ingurgitare apprezzandoli per di più, le pizze erano un’accozzaglia di ingredienti, tipo ananas, mango, banane ecc. Roba che in Italia, al solo presentarle, il cameriere avrebbe rischiato la vita… ma… era… alla… moda! Del resto era frequentato da americani non da italiani!
Però, però aveva un vantaggio: se eri conosciuto dal cuoco e ti piaceva la vera cucina italiana allora… beh… allora mangiavi da Dio!!!
Ed io avevo entrambi i requisiti! Fummo condotti da un cameriere estremamente ossequioso che si esprimeva in una lingua sconosciuta: un misto tra dialetto siciliano e slang, del resto nessuno si preoccupava di capirlo, a un tavolino appartato illuminato dalla fioca luce di una candela. Ma la cosa che più m’impressionò fu l’avanzata trionfale di Annie tra i tavoli! Non so quanti rischiarono di strozzarsi e quanti ricevettero calci negli stinchi dalle rispettive compagne non potendo trattenersi dall’ammirare a bocca aperta quella meraviglia della natura muovere con tanta disinvoltura e altrettanta grazia quegli improponibili pantaloni rosa.
Mi sentii, stupidamente, fiero… come fosse stata una cosa mia!
Un inno al testone per la scelta… grafica!
«Sei conosciuto qui, immagino.» chiese Annie una volta accomodati.
Con i gomiti sul tavolo, il mento appoggiato delicatamente sulle nocche delle dita e illuminata dalla tenue luce della candela, Annie era la bellezza fatta terrena!
«Ci vengo di tanto in tanto… diciamo!» confermai con espressione leggera «Vuoi impressionarmi, vero? » sembrava una domanda ma era una affermazione! Per un attimo mi sentii nudo come un verme.
Beh… forse così cretina non lo era!
«No, farti mangiar bene!» mentii spudoratamente. Che stessi diventando davvero un politico?! Poi, cercando di darmi un contegno, non so con quanto successo, aggiunsi:
«Ma ora parliamo di lavoro. Come mai sei stata scelta tu? Sì… lo so, è una domanda impertinente, ma non saprei in che altro modo formularla. Scusami.»
«Semplice, John. Sono la nipote del Presidente!»
«La nipote del testone?»
Ero così sorpreso che non prestai caso alle parole.
«Ha... ha... ha... »
La sua risata cristallina riecheggiò per tutto il locale, facendo vibrare bicchieri e cuori.
«Lascia stare, lo chiamiamo anche noi così… a casa.»
Evidentemente aveva capito la mia perplessità cosi, con un sorriso tutto dedicato a me, aggiunse:
«Non ti preoccupare. Mi sono laureata in grafica computerizzata con il massimo dei voti! Saprò fare il mio lavoro!»
Poi, guardandosi attorno, tutta vispa aggiunse:
«Beh… si mangia o no?»
Come per magia il cameriere si materializzò accanto a noi porgendoci la carta. Con un gesto della mano lo fermai quindi rivolgendomi ad Annie con aria da intenditore, chiesi:
«Desideri una pizza o mangiar bene?» Risatina di lei.
«Dovrei anche rispondere a una simile domanda? Una pizza naturalmente!»
Improvvisamente, con un gesto che mi sorprese, allungò il braccio attraverso il tavolo, poggiò il palmo della sua mano sul mio polso, leggera, quindi, guardandomi con una certa dolcezza negli occhi, sospirò:
«Dai, che scherzo. Scegli tu il menù: mi fido ciecamente!»
Lo scelsi… e sembra anche che fu l’unica cosa che indovinai in tutta la serata.
La guardai compiaciuto gustarsi gli spaghetti al sugo di battibatti, divorarsi mezza spigola al cartoccio e infine assaporare con piacere il dessert di panna cotta… il tutto accompagnato da un ottimo e fresco bianco delle Cinque Terre.
«Eccellente, davvero eccellente. Mai mangiato così bene!» Con gesto leggero posò il tovagliolo, con il quale si era nettata le labbra, sul grembo e per la prima volta mi guardò come fossi un essere umano e non solo una comparsa nel suo personalissimo show.
«Sei sposato?»
«Ehm…no.» Questa domanda, devo ammetterlo, m’imbarazzava sempre.
«Amichetta?» continuò ammiccante.
«No… nemmeno!»
«Allora amichetti!»
Ora il suo tono era da confessionale, anche se mi guardava divertita. Mi mossi imbarazzato sulla sedia, non avevo mai pensato di poter essere preso per un gay.
«Nooo… mio Dio! No… niente contro i gay, ma preferisco la normalità!»
«Meno male…» con gesto elegante prese tra le dita il calice con il vino portandolo delicatamente alle labbra, un breve sorso, poi guardandomi seria negli occhi continuò «… che tu non abbia niente contro i gay, poiché io lo sono!»
«Sei cosaaa?»
Ora ero un po’ arrabbiato! Mi sporsi verso di lei.
«Senti, Annie, è tutta la sera che ti diverti a prendermi in giro, sì… molto elegantemente e discretamente, ma sempre in giro. Pensi davvero che possa credere a una cosa del genere?»
Ora era lei a essere stizzita.
«È perché no?»
«Perché… perché… ma ti sei vista? Sei la più bella ragazza che abbia mai conosciuto, la femminilità fatta persona e vorresti ora farmi credere che sei invece un maschietto! Ma dai… per favore!»
«Per favore cosa …?» un lieve rossore le colorava ora le guance «e poi non sono un maschietto!» precisò protendendosi a sua volta verso di me sempre più accalorata.
«Sono una donna, solo che invece di preferire voi, veri maschi, sempre pronti a tirar fuori il vostro strumento per infilarlo nella prima apertura disponibile, preferisco… ma che strano… le carezze di un’altra donna, magari lei sì, un po’ mascolina ma infinitamente più dolce e sensibile di voi! » continuò pungente. «E se te l’ho detto ora, è solamente perché, prima che s’inizi a lavorare come dici tu… gomito a gomito, le cose tra di noi siano chiare, punto e basta! Se poi la cosa ti crea un problema, chiederò a mio zio di trovarti un altro grafico… magari più normale.»
Le ultime parole erano avvolte di un lieve sarcasmo.
Ora la rabbia mi era sbollita. Con un sorriso che voleva essere rappacificatore, dissi:
«Senti…Annie, una cena così per essere perfetta non può che terminare con un caffè espresso e un bicchierino di grappa invecchiata in fusti di rovere. Che ne dici?»
«Facciamoci la vecchia allora, anche se non so cosa sia!» Anche lei ora sorrideva. Pace fatta, almeno per il momento! La serata in pratica terminò qui! Dopo averla accompagnata a casa, tornai nel mio appartamento.
Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a non riandare con la mente agli ultimi avvenimenti e ad Annie in particolare. Mi diressi al piccolo bar e mi versai un generoso bicchiere di Chianti, quindi, aperte le tende e spente le luci, mi accomodai sul divano davanti alla grande vetrata a contemplare le luci della città. n genere, questo piccolo rituale riusciva a mettermi in pace con il mondo intero. Assaporai con gusto l’ottimo vino e, cosa molto rara, presi dal tavolino adiacente una sigaretta e l’accesi. Niente non funzionava! Le scene della serata continuavano a girarmi in testa come spezzoni di un film… in particolare le parole di Annie sugli uomini e sul loro… come aveva detto? Strumento?
Mi sembrava quasi un’accusa diretta verso di me e non mi pareva giusto! Sarò tutto, ma non sono di certo mai stato uno che salta addosso alla prima gonnella che incontra, e non mi sono nemmeno, almeno che io mi ricordi, mai comportato come un trapanatore assatanato. Anche le poche relazioni avute si erano svolte nel massimo rispetto reciproco e quando erano finite, per un motivo o per l’altro, era stato sempre amichevolmente tant’è vero che con alcune si era poi stabilito un rapporto di sincera amicizia. E poi, non mi conosceva che da cinque ore!
Tutto questo continuavo a ripetermelo mentalmente… ma una cosa era certa, anche se non volevo ammetterla: quella strana ragazza aveva cambiato qualcosa in me! Finito il terzo, abbondante, bicchiere di Chianti mi decisi ad andare a letto. Nonostante l’aiuto dell’alcool, sul quale confidavo, non riuscii a dormire molto bene.