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La mattina dopo, alle otto in punto, feci il mio ingresso nel centro operativo del progetto P. Avevo anche considerato l'ipotesi di usufruire dell'appartamento messomi a disposizione ma non volevo rinunciare, almeno per il momento, alle mie comodità. Del resto ero sempre stato un tipo abitudinario.

Dopo un rapido controllo dell’elettronica, decisi che tutto era pronto per partire: stava per scoccare l’ora x! Mi avvicinai all’interruttore generale pronto ad attivarlo quando una voce che riconobbi immediatamente mi fermò:

«Aspetta… non puoi farlo senza di me!»

Mi girai e non credetti ai miei occhi: Annie in accappatoio e con un asciugamano avvolto intorno alla testa si stava precipitando alla mia volta. Raggiuntomi, si eresse sulla punta dei piedi nudi, mi diede un bacino veloce sulla guancia, e disse allegra:

«Questo lo dobbiamo fare insieme!»

Quindi appoggiò il suo dito indice sul mio, ancora adagiato sull’interruttore, e spinse. Immediatamente i server presero vita, il ronzio delle ventole di raffreddamento e dei dischi riempì con il suo fruscio la sala. Ero ancora esterrefatto quando lei scappò via dicendo:

«Vado a vestirmi, torno tra un momento.»

Poi, improvvisamente si fermò, voltò la testa alla mia volta e con aria innocente esclamò:

«Beh…mi sono trasferita qui! E bellissimo vivere sotto la Casa Bianca!» e sparì.

Quando ritornò, ero seduto alla consolle, le fotografie cominciavano a giungere dall’archivio quindi venivano immediatamente memorizzate su tre diversi sistemi di dischi in Raid 5, ogni Raid con un suo differente OS, indipendente dagli altri inoltre, veniva eseguito un backup, su nastro magnetico, ad intervalli regolari. Insomma… tutto per la massima sicurezza dei dati!

Appena mi raggiunse, sollevai lo sguardo e stavo per indicarle con la mano le immagini sul monitor quando rimasi esterrefatto.

Della ragazza della sera prima non era rimasto niente… a parte la bellezza naturalmente! Indossava un completo giacca e pantaloni marroncino a righine chiare, molto elegante ma non appariscente, sotto la giacchetta, una magliettina a collo alto color beige, i capelli erano tirati indietro e raccolti sulla nuca, inoltre, portava un paio di occhiali, questi sì, all’Henry Potter, solo che su di lei facevano un altro effetto che sul maghetto in questione!

«Ehilà! Siamo passati alla versione professionale vedo.»

«Già» fu il suo laconico commento, mentre osservava attenta lo schermo.

«Di chi è la prima fotografia?» anche il tono era professionale.

«Martin Van Buren. Dei precedenti sette ci sono solo dipinti! Ovviamente la macchina fotografica non era ancora stata inventata.»

«Ovviamente…e come facciamo a trovare qualcosa, diciamo, che li umanizzi un po’, in dei dipinti?»

Tirai un sospiro: me lo ero già posto il problema! O saltavamo quelli di cui non trovavamo niente di particolare, oppure dovevamo inventarci noi qualche cosa.

«Beh… intanto direi di analizzarli bene questi dipinti, nei minimi particolari, poi sentiremo cosa ne pensa… testone» dissi sorridendo e questa volta non mi era scappato.

Ecco, la risatina che seguì le mie parole era la stessa della sera prima!

«Se aspettate un attimo… testone ve lo dice subito quello che pensa.»

La voce alle nostre spalle mi fece sobbalzare sulla sedia mentre Annie invece si giro tranquillamente sorridendo. Anch’io mi girai verso la provenienza della voce, ma non certo tranquillamente, anzi, direi atterrito!

La figura massiccia del Presidente avanzava verso di noi anche lui sorridente. Annie andò incontro al gigante, che abbasso il… testone per ricevere il rituale bacio sulla guancia.

«Ciao zio!»

«Ciao piccola!»

Poi venne verso di me, ancora impietrito accanto allo schermo. Incredibilmente, invece di essere adirato, il Presidente mi stava tendendo la mano, divertito del mio imbarazzo. Non persi tempo a stringerla e, non so, se per un certo senso di colpa, mi sembrò che la stretta fosse un po’ più energica del solito.

«Signor Presidente… non… ecco io…»

«Lasci perdere John…» il Presidente interruppe il mio balbettio imbarazzato «...cosa crede? È da quando sono bambino che mi sento dare del testone ed è da anni che mi ci sono abituato, anzi, lo considero quasi un termine affettuoso.» Poi, lasciando la mia mano, lentamente fece un giro su se stesso per osservare il tutto, ebbi l’impressione che quello che vedeva lo soddisfacesse abbastanza, quindi si chinò sullo schermo a esaminare attentamente le immagini visualizzate.

«Sapete ragazzi…» ci apostrofò senza togliere gli occhi dal monitor «… certe facce non me le ricordavo neppure io! He…he…he.»

Con gesto deciso si voltò verso di noi, ora non sorrideva più!

«Allora, su cosa volete sapere il mio pensiero?»

In breve gli esposi la questione dei dipinti. Il Presidente ascoltava attentamente, annuendo di tanto in tanto, appoggiato con le massicce natiche al tavolo della consolle a braccia conserte.

Quando ebbi finito, si tirò su, mosse la testa su e giù un paio di volte, le labbra leggermente serrate.

«Beh… John, lei ha già dato la soluzione, del resto è quello che mi aspetto da lei…» Ora il Presidente mi stava dicendo, molto gentilmente senz’altro, che non avrei più dovuto importunarlo con certi problemi: lui voleva vedere solo il risultato finito, punto e basta! «… finora ha fatto un ottimo lavoro, intendo la parte tecnica, continuate così!»

Rivolse un sorriso ad Annie che per tutto il tempo era rimasta in silenzio accanto a me.

«Ciao piccola! Buon lavoro a entrambi!»

«Ciao zio!» rispose sorridendo Annie, facendo seguire alle parole il solito bacino sulla guancia.

Osservando la scena non potei fare a meno di domandarmi se lo zio fosse a conoscenza delle tendenze sessuali della nipote. Questo pensiero mi fece rimescolare qualcosa nello stomaco, ma lo ricacciai immediatamente, non erano affari miei!

«Arrivederci John!»

Questa volta la stretta di mano non era così energica come la precedente. Lo presi come un buon segno!

«Arrivederci Signor Presidente!»

Restammo in silenzio a osservare la gigantesca figura scomparire oltre la massiccia porta.

«Fuiiii…! ANNIE… ti prego, la prossima volta che mi senti pronunciare quella parola, dammi un pugno in testa Ok?»

«Ben volentieri» rispose lei divertita. «Ti è andata bene che non ti abbia ucciso, l’ho visto spappolare gente solo perché aveva creduto l’avessero pensata!»

«Ne sa qualcosa la mia mano» risposi scuotendola su e giù come fosse dolorante. Scoppiammo entrambi a ridere.

Per il resto della giornata continuammo a ricevere immagini su immagini a ritmo continuo. Man mano che arrivavano, Annie le passava sotto uno speciale scanner per evidenziarne i più piccoli particolari, poi le mandava sul mio di monitor, dove le esaminavo attentamente. Quando trovavamo qualcosa, che giudicavamo potesse essere interessante, memorizzavamo l’immagine nella cartella con il nome del relativo Presidente. Non era un lavoro pesante ma richiedeva una continua concentrazione sia mentale sia visiva.

Nella sala di controllo non mancava nemmeno un piccolo ma fornitissimo bar, così, ogni tanto, ci prendevamo una piccola pausa caffè, a volte insieme a volte singolarmente. In una di queste pause, mentre Annie continuava a lavorare, riflettevo sull’idea di questa mostra e la ritenevo sempre di più un’idea un po’ balorda. La tazza di caffè che tenevo tra le mani si era raffreddata e con essa anche il suo contenuto. Evidentemente non avevo più voglia di caffè. Guardai l’orologio: erano già le cinque! Non si può dire che il tempo non fosse volato via! Era giunta l’ora di qualcosa di più consistente di un caffè. Mi alzai, svuotai il contenuto della tazza nel lavabo, quindi mi avvicinai al mobile frigorifero e aprii lo sportello.

All’interno facevano bella mostra di se anche un paio di bottiglie di Campari e vari vini, presi una bottiglia di prosecco italiano e una di Campari. In due bicchieri versai un terzo di Campari e due terzi di prosecco, quindi aggiunsi a ognuno una scorza di limone. Con i due bicchieri in mano mi diressi verso Annie, che continuava a muovere le mani sullo schermo tutta presa dal suo operare. Sporgendomi oltre le sue spalle e allungando il braccio sinistro posai il bicchiere proprio sopra il piano traslucido. Annie si girò sorpresa e alzò la testa verso di me un po’ scocciata.

«Ma dai! Così rovini lo schermo!»

«Non si rovina niente, non temere, è uno schermo speciale. Se vuoi, puoi anche prenderlo a martellate» risposi con espressione rassicurante.

Le labbra della ragazza si piegarono in un leggero sorriso tipo Gioconda, poi, sollevando il bicchiere con due dita, lo guardò in controluce.

«Cos’è?»

«Un aperitivo italiano!» precisai con aria da intenditore «Provalo!» la incoraggiai cominciando a sorseggiare il mio. Annie lo portò alle labbra e ne sorbì il tanto necessario per assaggiarlo.

«… mm mm…buono…solo un po’ forte» sentenziò.

«È più leggero del classico Martini americano, se è per questo.»

«Ti piace bere? He?»

Mi guardò con aria scrutatrice da sotto in su.

«Non temere, non sono alcolizzato… però…sì, mi piace bere! Ma bere bene, non schifezze! Sai… in Italia dicono, che sia meglio mangiare male, ma bere bene, piuttosto che il contrario.»

«Sei stato in Italia?»

«Per qualche tempo, da ragazzo. Il padre di un mio amico possedeva una casa in Liguria così, un anno, ci passai un’estate intera. Devo ammettere che lì ho imparato a mangiare. Qui ci si nutre e basta, in fin dei conti duemila anni di cultura culinaria devono pur servire a qualche cosa.»

«Beato te, io non ci sono mai stata e francamente fino ad ora non ci avevo nemmeno mai pensato, ma posso immaginare che deve essere bella l’Italia!»

Si alzò, il bicchiere vuoto in mano, sì, perché mentre parlavamo se l’era sorseggiato tutto… evidentemente aveva apprezzato!

«Fuiii… sarà meno forte del Martini, ma si sente eccome!» Annie si era un po’ colorita in volto, il che mi fece sorridere. Probabilmente non era abituata all’alcool!

«Sarà anche, perché a stomaco vuoto» aggiunse sempre sorridendo.

Accidenti… mi diedi una pacca con il palmo della mano sulla fronte: era vero! Non avevamo toccato cibo per tutta la giornata. Non so a lei, ma a me proprio non era passato nemmeno per la mente.

Mi sentii in colpa!

«Dai Annie…» Il mio tono era deciso. «… cambiati che ti porto a cena!»

Non era solo per Annie, anch’io avvertivo adesso un certo languorino allo stomaco.

«Ehi…» rispose lei sempre sorridendo.«… calma. Stasera ho un impegno, mi dispiace.»

Devo ammettere che non me lo aspettavo e ci rimasi un po’

male.

«Ah… dimenticavo… la tua… amica? Quella che ti ha accompagnato ieri?»

«Proprio lei!» ammise un po’ piccata.

Evidentemente aveva capito cosa intendevo o l’aveva scocciata l’accenno di sorrisetto ironico che avevo abbozzato parlando.

«E poi guarda, che, anche se stiamo tutto il giorno insieme, non siamo mica sposati!» Ora era lei a fare l’ironica.

«Bene, allora buona serata.» E, seccato, presi la giacca e indossandola mi diressi verso la porta, per terminare, senza voltarmi, con un secco:

«A domani!» e uscii.

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