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Guarino a Venezia. (1414-1419)

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46. Il cozzo di Guarino col Niccoli era stato troppo violento e quell'ostilità aveva acquistato maggior gravità diventando pubblica. Il Niccoli nelle faccende dello Studio fiorentino avea gran peso e la posizione di Guarino a Firenze dovette rendersi insostenibile.

47. Egli era colà ancora nei primi mesi del 1414; ma poco più vi rimase. Giusto in quell'anno, verso la metà, capitò a Firenze Francesco Barbaro, non si saprebbe dire per quali ragioni. Forse era corsa qualche trattativa tra la famiglia Barbaro e Guarino da quando questi cominciò a trovarsi a disagio in Firenze; forse il Barbaro desiderò di conoscere da vicino quel centro di umanisti, così ormai famosi per tutta Italia e con alcuno dei quali era probabilmente in corrispondenza.

48. Comunque, a Firenze il Barbaro si sentì come in casa propria. Sedicenne appena, com'era allora, aveva pur levato un certo rumore intorno a sè per la precocità del suo ingegno e per il rapido progresso negli studi; al che si aggiungeva la nobiltà e liberalità della sua famiglia. Non era egli stato alunno di Giovanni da Ravenna, cancelliere dei Carrara a Padova, non meno celebre dell'omonimo che insegnava a Firenze? Non aveva egli udite le lezioni di Gasparino Barzizza, prima a Venezia in casa propria, dove il Barzizza era stato ospitato, e poi a Padova dove l'illustre umanista aveva piantata la sua feconda scuola? Non aveva egli conosciuto a Venezia quel Manuele Crisolora, che aveva insegnato a Firenze?

49. Ben a ragione pertanto il Barbaro respirò aria sua a Firenze e si mosse liberamente in quel circolo di umanisti, che nè potevano poi dimenticarlo, nè potevano essere dimenticati da lui. Ivi si strinse in amicizia con Giovanni di Bicci dei Medici e coi due suoi figliuoli Cosimo e Lorenzo, allora studiosi e più tardi fautori degli studi. Conobbe Palla Strozzi, Roberto Rossi, i Corbinelli, Leonardo Bruni e il frate Ambrogio Traversari, che di tutta quella schiera eletta gli restò il più intimo. Con lui ebbe infatti negli anni successivi vivo carteggio, che tenne strettamente legate le tre città le quali più di tutte allora rappresentavano l'umanismo, Venezia, Padova e Firenze.

50. Nel luglio del 1414 mosse Guarino da Firenze col Barbaro verso Venezia. Passando da Bologna, i due umanisti risalutarono gli amici della corte pontificia. Giovanni XXIII sin dal febbraio del 1414 si era stabilito in Bologna, donde partì poi il 1.º ottobre alla volta di Costanza. Tra quegli amici Guarino e il Barbaro videro anche il Crisolora, il quale anzi volle accompagnarli fino a Venezia. Imbarcatisi sul Po i nostri viaggiatori percorsero felicemente il fiume, ma quando entrarono nel mare furono colti dalla nausea. Come mai, si domandarono, non si sofferse la nausea sul Po, bensì sul mare? Allora il Crisolora, «tesoro inesauribile di dottrina», spiegò ai compagni come cagione della nausea siano un senso esterno e un interno: «l'esterno essere l'olfatto, perchè l'acqua marina esala odori disgustosi, l'interno essere il timore, perchè il mare nasconde sempre, anche sotto belle apparenze, minacce e pericoli». Noi ci figuriamo Guarino pendere tutt'occhi e tutt'orecchi dalla bocca del Crisolora, nel quale ammirava tanto quel filosofeggiare bonario e sentenzioso anche sulle più minute questioni.

51. L'arrivo di Guarino a Venezia «fu un trionfo». Ivi egli era molto conosciuto; ivi l'aveano veduto partire e tornare da Costantinopoli, avea già intimi vincoli di amicizia con la famiglia di Paolo Zane il suo benefattore, coi Donati, coi Barbaro e altre illustri case patrizie. Inoltre la gioventù veneziana lo aspettava con ansia, perchè tolte le momentanee apparizioni del Ravennate del Barzizza e del Crisolora, una scuola propria e stabile ivi non si era ancora fondata.

52. Appena giunto fu intanto generosamente ospitato in casa Barbaro, dove oltre a Francesco c'era il fratello Zaccaria con la moglie e il figlio Ermolao, il piccolo portento d'ingegno, allora forse di sei o sette anni. E Francesco Barbaro meritamente si gloria di questa ospitalità offerta al grande maestro.

53. Ma Guarino ben presto si costituì la propria dimora, che egli popolò di alunni privati, mettendo così le prime basi della scuola-convitto. Non era egli forse stato un famiglio in casa del Crisolora a Costantinopoli? e non praticava così a Padova il suo collega Barzizza, provetto institutore? Il Barzizza teneva in casa sua una parte dei suoi scolari, tra i quali forse quel Vittorino da Feltre, che più tardi era destinato a dare il proprio nome a questa instituzione. Ebbe a convittori figli d'illustri famiglie veneziane, tre nipoti del cardinale Branda Castiglioni, un figlio dei marchesi Malaspina e di qualche altro principe. Li faceva sorvegliare da persone fidate, qualche volta dai suoi stessi figliuoli; destinava alla loro istruzione appositi maestri: egli sedeva al timone, per dirla con la sua frase, invigilando il buon andamento generale.

54. Così Guarino a Venezia. La sua casa era una famiglia di studenti, talvolta assai numerosa: chiamava convitto (contubernium) la famiglia, camerate (contubernales) gli studenti. Nell'invitare a Venezia l'amico Paolo de Paolinis, professore di filosofia morale a Firenze, così gli scriveva: «Vieni e faremo vita comune; comune avremo il cibo, i discorsi, il sonno. Nè ti credere in ciò di recarmi incomodo; tutto si acconcierà nel migliore e più agevol modo possibile. Per te non faccio nessuna novità nè di apparecchi nè di cibi nè di letti, nulla nulla; preparati a una vita da studente, alla quale tu sei stato avvezzato, educato, cresciuto. Non ti prometto pietanze squisite, vasi preziosi, ricca supellettile; mangerai rape e fave, berrai in bicchieri di legno e adopererai posate alla buona. Condiremo ogni cosa coi continui ragionari, con le risa, coi giuochi, col brio; così Curio traeva in terra una vita celeste. Oro e argento non te ne posso offrire, ma buon umore e lieta brigata quanta ne vuoi».

55. Appena posto piede in Venezia, Guarino scrisse al Barzizza, che già dovea conoscere di persona, del suo arrivo e come sarebbe andato a trovarlo a Padova; a cui con altrettanta squisitezza ed urbanità il Barzizza rispose che sarebbe toccato a lui venirlo a vedere a Venezia. Così si strinse fra i due umanisti quel legame di reciproco affetto e stima, il quale fu veramente esemplare: che nè invidia nè gelosia rallentò mai, anche quando il Barzizza si vide rubare, come era naturale, dal nuovo collega gran numero di scolari «che erano stati primi ad amarlo». È bello veder quel loro scambio di codici e di pietosi sensi. Affettuose sono le condoglianze che Guarino fa al Barzizza in morte della moglie, affettuosi e veramente paterni gli ammonimenti che il Barzizza dà a Guarino sul mutar residenza e sul cercarsi dopo tanto peregrinare un posto sicuro e stabile. Da buoni colleghi si aiutano scambievolmente nei loro studi, professando l'un per l'altro quella stima che meritavano, nel che il Barzizza dava esempio di generosa modestia, proclamando Guarino il più dotto dell'età sua e il vero modello della bontà e dell'onestà.

56. Questa stessa affettuosa corrispondenza troviamo negli scolari delle due città vicine. Col Barbaro e col Giuliani, già allievi suoi ed ora di Guarino, il Barzizza è sempre in carteggio: loda al Giuliani l'orazione in morte del Crisolora, al Barbaro il De re uxoria, a lui e al Giustinian le traduzioni dal greco. Comuni amici del Barzizza e di Guarino restano il Corner e il Vettori, che ora fanno vita a Venezia, i fratelli Giona e Lazzarino Resti, Alfonso portoghese, Filippo di Cipro, che stanno a Padova; amico comune Cristoforo Parma, maestro vagante, che un anno troviamo a Padova, un anno a Ferrara, un anno a Verona, un anno a Venezia. Da Venezia Guarino si congratula degli studi di Battista Bevilacqua, a cui raccomanda gli amici suoi; e da Padova il Bevilacqua compiange in una affettuosa lettera a lui diretta la morte di Zaccaria Barbaro. Passa da Venezia a Padova e da questa a quella Pietro Donati, arcivescovo di Creta, ben voluto dai letterati delle due città. Da Venezia Guarino mette in relazione Francesco Bracco, suo camerata, col Donati, col Gualdo, col Barzizza a Padova e briga con tutti gli amici di Firenze per far nominare alla magistratura della mercanzia Filippo di Cipro, residente in Padova.

57. A Padova si erano incontrati alla scuola del Barzizza Giorgio da Trebisonda, Francesco Filelfo, Vittorino da Feltre, destinati tutti e tre ad occupare un posto cospicuo tra gli umanisti della prossima generazione; e da Padova si partono l'un dopo l'altro tutti e tre: il Filelfo a piantar scuola in Venezia, il Trebisonda a udirvi Guarino e a fare il copista in casa Barbaro, Vittorino a imparare un po' di greco dal dotto Veronese, a cui per compenso raffinò il gusto latino, facendo così quello che il Platina felicemente chiama «scambio di merci».

58. Ma ciò che più tiene vive le relazioni tra Venezia e Padova è la corrispondenza di Guarino con Girolamo Gualdo vicentino, a cui lo legavano anche rapporti di famiglia. A lui manda gli scritti suoi, come la lettera sulla vittoria di Gallipoli, e gli scritti degli amici, come l'orazione funebre del Poggio per lo Zabarella, le traduzioni dal greco e qualche lettera del Barbaro; e con lui scambia codici.

59. Nè in questi rapporti manca l'arguzia e la burletta, giacchè per quanto gli umanisti fossero quasi sempre al verde e in lotta tutto il giorno con le prime necessità della vita, pure la serenità e il brio non venivano loro mai meno. Quegli che alimentava la gaiezza in questa società era soprattutto il veneziano Giannino Corradini, che faceva il medico a Padova; «l'amenissimo e argutissimo Corradini,» ammiratore entusiastico di Guarino e delle sue lettere, al quale per ogni lettera che riceveva mandava in dono una gallina. «Ma bada, gli doveva scrivere Guarino, bada che questa mia non è nè lettera nè epistola, se no c'è il pericolo che mi capiti qui all'improvviso una gallina. Del resto vogliamo proprio fare il patto dello scambio delle lettere con le galline? io già non mi preoccupo che me ne venga nausea; tu valente medico non puoi mandare, naturalmente, cibi nauseosi. E intendi bene: io non seguo la setta degli Stoici e dei Peripatetici, ma degli Epicurei. Ho poi speciale antipatia per certi autori e simpatia per certi altri: antipatia per Cicerone, Lentulo, Fabio, Macrobio, autori insipidi; simpatia per Vitellio, Cepione, i sacerdoti Galli, Perdicca, compagno di Alessandro, e Carneade, non il vecchio ma il giovane».

60. A Padova andava spesso Guarino «a celebrarvi, come egli diceva, i sacri riti dell'amichevole sodalizio, del quale era consigliere e ospite». «Di ritorno ier l'altro, o diletto Gualdo, dalla mia visita al sodalizio di Padova, avevo d'innanzi agli occhi e mi risonava ancora negli orecchi la vostra festività, la cortesia, il brio condito di gravità; e tanto la mente mia si era immersa nel ricordo, che voi mi eravate al fianco compagni del viaggio». In un altro ritorno da Padova a Venezia si erano imbarcati Guarino, il Barbaro, il Giustinian e il Giuliani. Chiese di salire con loro un vecchiotto, che fu lo spasso della brigata. «Di che genere sei?» gli domandò il Giuliani. «Maschile», rispose quegli. «Me ne ero accorto, riprese il Giuliani, dalla barba bianca che ti copre il volto.» Allora il vecchiotto disse che era maestro di scuola. «Ho capito, replicò il Giuliani, sei ludi magister.» «Sì, e credo che ci chiamino così, perchè facciamo scuola ai bambini, i quali amano i giochi (ludus).» Risata generale. Intanto il Giuliani cavò di tasca un Persio e cominciò a leggere la sat. II: hunc, Macrine, diem numera meliore lapillo.» «Che significa numerare meliore lapillo»? domandò il Giustinian al maestro. E quegli franco soggiunse esser nato dal costume antico di contare i giorni con le pietre; perciò Persio inculca a Macrino di contare esattamente i suoi giorni, ma con una pietra di valore, p. e. con del marmo. Altra risata generale. E con queste corbellerie compirono la traversata, che non se ne accorsero nemmeno.

61. Nulla di importante avvenne nel primo anno che Guarino fu a Venezia, se ne eccettui l'arrivo nel gennaio 1415 dell'amico Valerio Floro dalla Grecia, che si recava ambasciatore alla repubblica e di là al papa a Costanza. Il Floro, a cui Guarino dedicò il trattatello sui Dittonghi, gli era legato d'amicizia da parecchio tempo, come pure Cristoforo vicentino, al quale Guarino partecipa la fausta novella dell'arrivo del Floro. Per mezzo poi dello stesso Cristoforo abbiamo occasione di vedere come erano sempre vive le relazioni di Guarino con Antonio Loschi tornato di fresco (verso la metà del 1415) da Costanza a Vicenza, dove si godette sei anni di tranquillità, aspettando per il papato tempi migliori.

62. Ma ecco da Costanza giungere e propagarsi per tutta Italia una triste notizia: il 15 aprile 1415 era morto colà Manuele Crisolora. Fu un colpo terribile per Guarino, il suo più entusiastico ammiratore. Il primo pensiero che gli corse alla mente fu di tessergli un elogio, che fosse un monumento di gratitudine e di affetto; ma lo stordimento per la sventura e l'altezza del tema ne lo distolsero. Da Costanza lo aveva a ciò eccitato il Vergerio, ma gli risponde che le sue spalle non reggerebbero al peso e addita piuttosto il Vergerio stesso come adatto più di ogni altro all'impresa. Il Rustici e il Poggio si erano pure proposti di dirne le lodi, ma non ne fecero poi nulla; e il Crisolora restò senza l'elogio di qualcuno dei suoi scolari ed amici: meno fortunato in questo di tanti che lo precedettero e che lo seguirono.

63. Però se tacquero gli scolari del Crisolora, parlò uno scolaro di Guarino. Guarino infatti verso il luglio dello stesso anno (1415) preparò una solenne commemorazione del Crisolora, affidando l'incarico del discorso d'occasione al patrizio Andrea Giuliani. Il Giuliani non fece un quadro biografico del Crisolora, ma ne tessè le lodi, tenendosi sulle generali e tributando ardente e viva ammirazione all'illustre defunto.

64. Il Barzizza da Padova lodò l'oratore, «che risuscitava i bei tempi dell'eloquenza antica». Guarino poi disseminò in un momento l'orazione del Giuliani, encomiandola altamente. Ne parlò nella lunga lettera consolatoria a Giovanni Crisolora, nipote del morto, ne parlò nella lettera a Giacomo Fabris giureconsulto veronese, la mandò agli amici di Costanza e di Ferrara. A Verona la portò egli stesso verso la fine del 1415 e in quell'occasione si parlò del Crisolora nel crocchio degli amici, quale Niccolò Brenzoni, l'abate di S. Zeno, il Salerno, il della Pigna; tra essi il Fabris aveva conosciuto il Crisolora, anzi aveva avuto l'onore di ospitarlo in casa propria. E con l'orazione del Giuliani lessero a Verona pure la lettera consolatoria di Guarino a Giovanni Crisolora; e i due scritti riscossero i più sinceri applausi: applausi tanto più vivi, quanto che il Giuliani era a Verona conosciuto ed amato e già si era letto il giudizio dato sul suo discorso dal Barzizza, la maggior autorità letteraria di quel tempo. Gli amici veronesi avevano poi un'altra ragione di congratularsi col Giuliani, perchè egli in quei giorni era passato a seconde nozze con una ricca e virtuosa signorina veneziana.

65. Guarino in quel suo giro del 1415 toccò Padova, dove s'incontrò con alcuni del circolo letterato ferrarese, seppure non prolungò il viaggio fin proprio a Ferrara. Le relazioni tra Ferrara e Venezia erano molto amichevoli. Era marchese allora di Ferrara Niccolò d'Este, fautore dei buoni studi, il quale veniva di quando in quando a Venezia per assistere alle feste pubbliche e ai tornei; e c'era stato giusto di fresco nell'aprile del 1415 accompagnato dal suo aiutante Uguccione dei Contrari e forse anche dal cavaliere Alberto della Sale suo condottiero. In quella e in altre occasioni Guarino potè incontrarsi con quei signori, qualcuno dei quali era anche dilettante di letteratura, come il cavaliere della Sale.

66. Negli ultimi anni del secolo XIV le condizioni della cultura in Ferrara non erano troppo floride, giacchè il Vergerio non conosceva che un nome che in quel tempo (1392) facesse onore agli studi, Bartolomeo da Saliceto. Le condizioni si migliorarono certo con la riapertura dello Studio nel 1402. Negli anni 1411 e 1412 fece capolino a Ferrara il Barzizza, che aveva mandato colà la numerosa sua famiglia, sia perchè a Padova il vitto costava troppo caro, sia perchè l'invasione degli Ungheri aveva portato lo scompiglio nelle città del Veneto. In quelle visite il Barzizza conobbe molti personaggi della corte e pare che ne abbia ricevuta buona impressione. Viveva ancora, ma decrepito, Donato degli Albanzani, già segretario degli Estensi e istitutore di Niccolò III. Vi era il suo amico Lodovico conte di S. Bonifacio, studioso dei classici latini e specialmente dei moralisti; vi conobbe Uguccione dei Contrari e strinse relazione con Bartolomeo Mella, referendario del marchese.

67. Che qualche traccia non lasci il contatto, sia pur passeggiero, di un umanista come il Barzizza, non si può negare; perchè un certo impulso vien sempre dato, il quale si alimenta poi con la corrispondenza epistolare. Ma più che il Barzizza lasciò traccia la corrispondenza epistolare e la relazione personale di Guarino. Giacomo Zilioli, che fu più tardi consigliere intimo del marchese, deve certo a Guarino, se divenne liberal mecenate degli studiosi. E col giurista Niccolò Pirondoli e specialmente col medico Ugo Mazzolati avviò Guarino viva corrispondenza, che giovò moltissimo a promuovere gli studi in Ferrara.

68. Col mezzo di comuni amici che andavano e venivano da Ferrara, come Francesco Bracco, i Ferraresi erano messi a parte delle produzioni letterarie che uscivano in Venezia. Così l'orazione del Giuliani e le lettere di Guarino sulla morte del Crisolora e il De re uxoria del Barbaro furono a suo tempo trasmesse a Ferrara. Così Ugo Mazzolati riceveva le versioni da Plutarco di Guarino e da lui si faceva emendar codici. Ugo pose tale affetto a Guarino, gli pose tale stima, che lo chiamava padre e si affliggeva se da lui non ricevesse almeno una lettera al mese. A Ferrara godeva la stima di Guarino un altro medico, Bartolomeo Mainenti; e ivi si trovò per qualche anno il grammatico Cristoforo Parma, amico del Mazzolati.

69. Mentre Guarino moltiplicava e intrecciava così la sua attività e le sue relazioni con Padova, Costanza, Vicenza, Verona, Ferrara, ferveva il lavoro e l'operosità nella sua scuola a Venezia, dove i suoi alunni facevano rapidi progressi e producevano ottimi frutti. Abbiamo parlato dell'orazione funebre del Giuliani; nè fu la sola, perchè egli ne compose un'altra in morte dello zio Paolo. Nel testamento però lo zio aveva vietato qualunque pompa funebre e l'orazione non fu recitata; il che non impedì a Guarino di pubblicarla all'insaputa dell'autore mentre era a Costanza. Nel 1418 il Giustinian recitò l'orazione funebre per Carlo Zen; due orazioni, l'una funebre in morte del diletto Corradini, rapito nel fior dell'età all'affetto degli amici, l'altra per la laurea del Perugino Guidaloti, avea pronunziate il Barbaro nel 1416 a Padova. Il Barbaro levò assai più rumore per un altro lavoro, il De re uxoria, uscito verso il maggio del 1416 e dedicato all'amico Lorenzo dei Medici in occasione delle sue nozze.

70. Questo opuscolo morale, scritto in venticinque giorni, tratta delle principali questioni attinenti al matrimonio: della sua essenza, della economia domestica, del coito, dell'allevamento dei figli. Si intende da sè che le massime non sono attinte alla pratica, ma all'erudizione del suo precettore; però un elemento pratico c'era, quello attinto al senno e all'esperienza di Zaccaria Trevisan, morto tre anni innanzi, uomo ascoltato sempre con affettuosa riverenza dal giovinetto Barbaro. In quel libro egli depositò tutta l'erudizione latina e greca, che aveva acquistato nei due anni di scuola di Guarino. Erano purtroppo lavori di semplice parata, condotti sugli esemplari classici, senza anima e senza sentimento, senza un alito di quella vita che allora viveano; la sola parte lodevole e durevole era l'acume dell'ingegno e la vivacità della forma.

71. Il Barbaro fece nè più nè meno di quello che s'aspettava il Barzizza, gran fabbro di lettere esercitatorie e di orazioni accademiche. Il Barzizza infatti saputo della pubblicazione di quel trattato, ne scrisse al Barbaro domandandogliene una copia. «Attendo la tua Res uxoria, che sento aver tu pubblicato testè. E mi si dice anche che il lavoro risponda degnamente al tuo ingegno e ai tuoi studi. Non dubito punto che esso sia scritto con senno ed eleganza; giacchè l'avrai certamente infiorato in molti luoghi di sentenze latine e greche; ma desidero vederlo per poterlo giudicare più col mio giudizio che con quello degli altri.»

72. Primo a riceverne copia fu naturalmente Lorenzo dei Medici e da lui gli amici fiorentini che lo lodarono. L'ebbe e lo ammirò Niccolò Pirondoli a Ferrara. A Costanza Guarino lo mandò allo Zabarella, presso cui lo lesse il Vergerio, il quale poi ne scrisse parole di grande elogio al medico veneziano Niccolò Leonardi. E da Guarino lo ricevette anche il Poggio, che lo passò al Rustici e a Biagio dei Guasconi. Il Poggio gli rispose che da quel saggio c'era da ripromettersi assai bene del giovinetto autore, ma che egli più che mai nel leggere il trattatello si era distolto dal pensiero di prender moglie, considerando i gravi pesi di quello stato.

73. Questo quanto riguarda i frutti dati negli studi latini. Nè minori furono quelli dati, specialmente tenuto conto della novità, negli studi greci, i quali anzi in Venezia ebbero un vero fondamento e ricevettero incremento solo per opera di Guarino. Tra la fine del 1415 e il principio del 1416 il Giustinian aveva tradotto il Cimone di Plutarco, rendendo così, come dice Guarino, testimonianza di gratitudine alla memoria del Crisolora, che primo aveva aperta la via alla cultura greca in Italia. Nel medesimo tempo il Barbaro tradusse l'Aristide dello stesso Plutarco. Questi due primi saggi furono subito mandati a Verona al Salerno, che li avrà comunicati certamente agli amici di colà. Ben presto seguirono due nuove versioni da Plutarco: del Lucullo per opera del Giustinian e del Catone per opera del Barbaro. Le quattro vite erano già pubblicate nella fine del 1416 e vennero spedite al Traversari a Firenze e al Gualdo a Padova.

74. Questi studi greci, appunto perchè una novità, incontrarono qualche opposizione a Venezia. Organo di tale malcontento si fece Lorenzo Monaco, cancelliere di Creta, dando così il primo esempio della guerra, che diventò poi famosa, tra la letteratura greca e la latina. Lorenzo Monaco, già amico del Barbaro e ammiratore de' suoi lavori, quando lo vide tutto inteso agli studi greci, gli scrisse una lettera per dissuadernelo, cercando di mostrare che tanto lo studio del greco quanto le traduzioni dal greco erano inutili. Il Barbaro replicò con una lettera assai vivace, nella quale sostiene la necessità degli studi greci e l'utilità delle traduzioni dal greco, appoggiandosi all'autorità degli antichi e all'esempio dei più grandi traduttori moderni, Guarino e il Bruni. Di questa lettera Guarino mandò una copia al Gualdo a Padova, mentre da Firenze glie l'avea chiesta il Bruni, il quale, paladino come era degli studi greci, voleva entrare in lizza a rompere una lancia per essi.

75. La seconda metà del 1416 Venezia fu visitata dalla peste, lo spauracchio di Guarino, uomo forte e coraggioso, meno che davanti all'epidemia. Già sin dal maggio se ne vociferava e si diceva che Guarino in compagnia del Barbaro si sarebbero rifugiati a Firenze. Invece si rifugiarono a Padova, dove li troviamo al principio di luglio. Vi venne più tardi anche Zaccaria Barbaro con la famiglia e Vittorino da Feltre, che in quei giorni stava a Venezia. Nel tempo della sua dimora a Padova Guarino ricevette dal Poggio la famosa lettera sul supplizio di Girolamo da Praga e lo ricambiò con la sua sulla vittoria di Gallipoli.

76. Era ancora a Padova sul finire dell'anno, ma non pare sia sempre stato fermo colà, poichè almeno una volta fu certo a Verona. «Ho errato qua e là, egli scrive, come uno Scita e un Nomade». E di ciò si preoccupava non poco: «mi par mill'anni che finisca questa pestilenza e che noi possiamo tornare ai nostri studi; giacchè come il vomere non adoperato irrugginisce, così l'animo non esercitato illanguidisce. Ormai intorno alle tempie spuntano i capelli bianchi, la vecchiezza s'avanza (aveva allora 42 anni) a gran passi e lo scrigno è vuoto». Eppure c'era chi lo faceva ancora (come in fin dei conti era veramente) uomo fresco e voleva dargli moglie. Racconta egli che mentre stava a Padova vennero da lui alcune persone, che dopo un preambolo preso alla larga gli proposero un buon matrimonio. Guarino rispose celiando, che le mogli non gli piacevano, se non finchè erano mantenute dagli altri; che del resto la moglie egli l'aveva e cercava da un pezzo di far divorzio: questa moglie era la povertà. Ma il proposito negativo non durò molto tempo.

77. Di ritorno a Venezia nel 1417 tradusse il Temistocle di Plutarco e lo dedicò a Carlo Zen, il quale, quantunque più che ottuagenario, trovava modo di occuparsi di letteratura; ma erano gli ultimi lampi di una vita agitata, spesa in pro' della patria; e il dì 8 maggio dell'anno seguente, 1418, chiuse la sua carriera mortale, accompagnato dalla parola calda ed eloquente del Giustinian, che gli recitò l'orazione funebre in mezzo all'ammirazione degli astanti. Assisteva un pubblico sceltissimo, tra cui anche gli amici della corte di Ferrara. Fu un nuovo trionfo per Guarino, il quale aveva ormai resi celebri i suoi tre migliori scolari, educandoli così in pari tempo a quella disinvoltura presso il pubblico, che è tanto necessaria a chi si applica all'amministrazione dello stato. E tutti e tre riuscirono uomini di stato, superiore a tutti il Barbaro, ma benemeriti anche il Giustinian e il Giuliani. Il Giuliani anzi era già entrato da prima nella carriera pubblica; e mentre studiava sotto Guarino aveva ottenuto l'ufficio di cassiere in Padova. Alla fine poi del 1417 lo incontriamo, probabilmente in qualità di ambasciatore della repubblica, a Costanza, dove si era pure recato da Padova il Barzizza, con la speranza forse di migliorare fortuna nella prossima elezione del nuovo pontefice, la quale dovea por termine allo scisma.

78. Per tal modo furono raddoppiate le relazioni, già sì frequenti e cordiali, tra Costanza e Venezia. Da Venezia infatti andavano di quando in quando ambasciatori a Costanza, come il Floro, che aveano amici comuni nelle due città; da Venezia partirono nel 1415 per il Concilio i cardinali veneti; da Venezia passò, diretto a Costanza, Carlo Malatesta, procuratore del pontefice veneto Gregorio XII. Tra Venezia e Costanza erano attivi gli scambi di lettere e codici col Poggio, il Vergerio, lo Zabarella, Bartolomeo da Montepulciano dall'una parte, con Guarino, il Barbaro, Niccolò Leonardi dall'altra.

79. La corte pontificia era giunta a Costanza il 28 ottobre 1414 con Giovanni XXIII e ne ripartì il 16 maggio 1418 con Martino V. Giovanni XXIII quando vide non potersi più sostenere di fronte al Concilio, fuggì di là il 19 marzo 1415, ma ripreso fu solennemente destituito il 29 maggio dello stesso anno. A questo atto ne seguì un altro il 4 luglio 1415, cioè la rinunzia di Gregorio XII per mezzo del suo procuratore Carlo Malatesta. Da allora in poi il Concilio, più libero nella sua azione, discusse e approvò una serie di provvedimenti e di riforme ecclesiastiche; da ultimo nell'8 novembre 1417 i cardinali e i vescovi entrarono in conclave, dal quale l'11 uscì eletto Martino V.

80. Tra i personaggi di nostra conoscenza troviamo a Costanza il cardinal fiorentino Zabarella, buon letterato e filosofo e generoso mecenate degli studi, «l'asilo dei dotti», come lo chiama il Poggio, sotto la cui protezione e al cui servizio stavano il Rustici, il Vergerio, Bartolomeo da Montepulciano. C'era il vescovo Capra addetto, come sembra, alla corte dell'imperatore Sigismondo; c'erano il Poggio, il Crisolora, il Loschi, il Bruni, arrivato quest'ultimo in ritardo verso la fine di decembre 1414: tutti quattro al servizio di Giovanni XXIII. Altri di minor conto, ma che pur meritano di essere ricordati, erano Biagio Guasconi, Caronda, Zomino da Pistoia, Bartolomeo del Regno, Benedetto da Piglio.

81. Deposto Giovanni XXIII, i suoi segretari si trovarono squilibrati e senza appoggio. Già prima della deposizione il Bruni, che aveva odorato il vento infido, sin dal principio del marzo 1415 avea preso il volo ed era tornato a Firenze, donde non si mosse più, attendendo tranquillamente ai suoi studi prediletti. Anche il Loschi nel corso del 1415 partì di là e si ritirò nella natia Vicenza aspettando tempi migliori. In compenso nella seconda metà del 1417 quel circolo di letterati si accrebbe del Giuliani e del Barzizza; ma nessuno potè compensare due gravi perdite: quella del Crisolora nel 1415 e quella del cardinal Zabarella il 26 settembre 1417, al quale il Poggio recitò l'orazione funebre, comunicata poi a Guarino a Venezia e da Guarino agli amici di Padova, città nativa dello Zabarella, dove avea tanti anni studiato e insegnato.

82. Ci fu in queste relazioni tra Venezia e Costanza anche un piccolo scandalo. Sul principio del 1416 Caronda sparse la voce che Guarino avesse composto un libro, nel quale avea raccolto tutti gli errori dei recenti traduttori dal greco; il Bruni naturalmente, come il più attivo dei traduttori, vi era impegnato. Bartolomeo da Montepulciano ne scrisse a Guarino chiedendogli una copia dell'opuscolo. Guarino gli rispose meravigliato di una simile fandonia e se ne lagnò anche col Poggio, che fece del suo meglio per cancellare ogni traccia della malevola invenzione; e tutto per allora finì lì.

83. Dal soggiorno della corte pontificia in Costanza l'umanismo ripete uno dei più grandi impulsi, venutogli con le scoperte di codici latini, delle quali il Poggio fu l'eroe. Approfittando dell'ozio che gli concedeva l'interregno pontificio egli intraprese da Costanza alcuni viaggi, parte in Francia, parte in Germania. Quelli in Francia, che furono i primi e li fece da solo, cadono nella seconda metà del 1415. Andò a Parigi, dove trovò un Nonio Marcello, che del resto era conosciuto, se non letto, già innanzi, poichè fin dal 1407 si sapeva esisterne una copia in Pavia. Trovò a Cluny un primo nucleo di orazioni ciceroniane e un secondo a Langres.

84. I viaggi in Germania invece cadono negli anni 1416 e 1417. Il centro di questa seconda serie di esplorazioni fu la badia di S. Gallo, dalla quale egli mosse alle badie circostanti. Qui il Poggio ebbe compagni il Rustici e più ancora Bartolomeo da Montepulciano. Anzi Bartolomeo nel febbraio 1417 proseguiva per proprio conto le ricerche e giusto in quel tempo scoperse a S. Gallo un Vegezio e un Festo.

85. Le notizie delle scoperte volavano subito per tutto, specialmente a Firenze e a Venezia. Da Venezia il 6 luglio 1417 il Barbaro scriveva al Poggio una lunga lettera di congratulazione, nella quale si trovano nominati i migliori acquisti fatti: Tertulliano, Silio Italico, Marcellino, Manilio, Lucio Settimio, Valerio Flacco, Capro, Probo, Eutichio, Nonio Marcello, Lucrezio, Asconio Pediano, Quintiliano, oltre ai suaccennati scoperti in Francia e a quelli di cui ci ha lasciato notizia il Rustici, cioè Vitruvio, Prisciano (Partitiones XII versuum Aeneidos) e Lattanzio (De utroque homine).

86. Questi autori o erano interamente ignorati o mal noti. A Venezia e a Padova arrivò subito un Marcello, non dopo la metà del 1416; Guarino e il Barzizza ebbero anche un Asconio, Guarino un Lucrezio. Ma i due più preziosi acquisti furono Quintiliano e le orazioni di Cicerone. Un Quintiliano l'ebbe Guarino dal Poggio, uno il Barzizza, probabilmente dal cardinale Branda Castiglioni. Il Poggio poi scoprì un secondo Quintiliano, di cui si impossessò e che portò o mandò in Italia: quello stesso che ora si conserva nella Laurenziana di Firenze. Anche di questo ricevette Guarino copia dal Poggio.

87. Per le orazioni di Cicerone invece Guarino e il Barbaro si dovettero rivolgere al circolo fiorentino, con cui il loro commercio epistolare non era meno vivo che con quello di Costanza, specialmente per alcuni Veronesi, che dimorando in Firenze contribuivano ad alimentare la corrispondenza tra le due città. Veronese era Galesio della Nichesola, ufficiale della mercanzia negli anni 1416-1417; veronese il Salerno, podestà nel 1418, col suo vicario Guglielmi; veronese Paolo de Paolinis, professore di filosofia morale. Nel 1418 Guarino raccomandava per l'ufficio della mercanzia in Firenze Filippo di Cipro al Corbinelli, allo Strozzi, al Barbadoro, al Boninsegni. E in uno di quegli anni fece, in compagnia di suo zio Francesco, una gita a Firenze il piccolo Ermolao Barbaro, che vi conobbe il Marsuppini, il Traversari e gli altri. Guarino era tornato in pace col Niccoli sino almeno dal 1416 e con lui e col Traversari scambiava codici.

88. Questo commercio avea di solito per intermediario il Barbaro, la cui corrispondenza col Traversari era copiosissima. Il Niccoli mandava a Venezia le orazioni di Cicerone scoperte dal Poggio e le Epistole ad Attico, rendeva conto di un Tucidide vendutogli dall'Aurispa a Pisa, di un Trogo scoperto dall'Adimari in Spagna e mandava le orazioni di Demostene tradotte dal Bruni. Il Traversari poi inviava a Venezia le lettere del Crisolora, copiava per il Barbaro l'Agesilao di Senofonte ed emendavagli un Lattanzio; traduceva la Scala Santa e Grisostomo e ne spediva copia a Venezia.

89. Da Venezia non erano meno generosi; di là partivano le nuove produzioni del Barbaro e del Giustinian; di là Guarino spediva gli opuscoli di Senofonte e il Barbaro colmava una lacuna al Livio del Traversari. La ricca collezione del Barbaro, della quale presentemente stava compilando il catalogo, fornì ai Fiorentini le lettere di Platone e di Basilio, un Nicandro, Alessandro Afrodisio, un Apollonio, un Filostrato, un Diogene. Anche Venezia ebbe la sua importante scoperta, poichè Guarino nei primi giorni del 1419 trovò fra molti codici sacri l'Epistolario di Plinio in otto libri, antichissimo, ora perduto, e che fu l'archetipo di una intera famiglia di codici Pliniani.

90. Tirata la somma, Guarino nel quinquennio che stette a Venezia impresse un potente impulso agli studi. Quello fu un breve periodo, ma un periodo aureo, in cui Venezia brillò come faro dell'umanismo. A Venezia mettono capo le fila da Costanza, da Firenze, da Padova; e Guarino le raccoglie e le compone in mirabile unità. Ma Venezia dovea cedere presto il primato ad altre città, contentandosi di passare in secondo ordine, vuoi perchè non era favorita da tutte quelle condizioni che danno lunga vita a un centro di studi, vuoi perchè Guarino piantò altrove le sue tende, lasciando però dietro di sè larghe tracce in quella schiera di valorosi patrizi, che frequentarono la sua scuola.

91. Guarino si cominciò a sentire a disagio in Venezia sin dalla fine del 1417; anzi trattava per avere un posto presso la curia pontificia. Che volesse abbandonare l'insegnamento per cercarsi uno stato meno precario e più durevole? Già si lamentava nel 1416 quando comparivano i primi capelli grigi; e il Barzizza lo eccitava paternamente a costituirsi una buona volta una posizione stabile. Quelle esitanze di Guarino fecero rinascere la speranza nei Fiorentini di riaverlo, ma fu vana lusinga.

92. Fallito il tentativo con la curia, Guarino mutò punto di appoggio e rivolse le sue mire a Verona. Quanti vincoli non aveva egli a Verona! Tutti gli amici, tutti i parenti, che lo amavano, che lo stimavano, lo avrebbero voluto colà. Colà si era trasferito nella prima metà del 1418 il suo carissimo Cristoforo Parma, colà egli avrebbe desiderato tirare da Firenze il veronese Paolo de Paolinis. Il suo diletto Maggi e l'ottima madre metteano in opera tutti i mezzi per farlo venire a Verona; e pare che egli cominci a cedere.

93. Le sue visite alla città natale diventano più frequenti: il Maggi e la madre gli aveano proposto un matrimonio. Si offriva a Guarino quella posizione, che egli poteva considerare ormai come stabile e definitiva, il suo sogno era in via di avverarsi; egli avrebbe abbandonato la vita del maestro errante, che piaceva tanto all'amico Cristoforo. Alla fine di ottobre del 1418 egli torna da una visita a Verona lasciando, come si dice, carta bianca alla madre e al Maggi; e il matrimonio è combinato con Taddea Zendrata figlia di Niccolò.

94. Le nozze furono celebrate il 27 decembre dello stesso anno; come dote gli vennero assegnate delle case in Verona e dei terreni a Valpolicella. Non condusse però seco subito la moglie; il che non gli impedì di difendere strenuamente, per quanto νεοθάλαμος, il matrimonio quando Antonio Corbinelli pretendeva tra il serio e lo scherzevole di dimostrargli, che esso nuoce agli studi. Verso il principio del 1419 prese moglie anche Francesco Barbaro, a cui poco dopo morì il fratello Zaccaria: due nuove ragioni che distaccarono maggiormente Guarino da Venezia.

95. Nel marzo 1419 Federico Pittato, cugino della moglie, gli scriveva come ella lo sospirasse e come fosse aspettato a braccia aperte da tutta la città. Spesi pochi giorni a sbrigare le ultime faccende e a prender commiato dagli amici, Guarino già ai primi di aprile dovette probabilmente trovarsi a Verona.

Vita di Guarino Veronese

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