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Capitolo quinto

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PARTENZA PER L’ISOLA DI CORA

Il giorno della partenza della flotta reale il cielo era limpido e terso come non si era mai visto ed il vento dell’est spirava nella direzione e con la forza giusta. Tutti gli abitanti accorsero al porto perché avevano un parente o un amico imbarcato sulle navi da salutare, e nessuno voleva perdersi quel magnifico spettacolo.

Sull’albero maestro della Glorius venne issato il segnale di formazione e la flotta reale procedette, con cautela, verso l’uscita dal porto.

Quando tutte le navi furono in formazione venne dato il segnale convenuto: tre colpi di cannone.

Alla maestosa scena assistette anche l’ammiraglio Uluç Alì Pascià che, per la prima volta nella sua carriera di marinaio, era costretto a trascorrere a terra e non sulla sua nave, i giorni della traversata annuale. La tristezza dell’ammiraglio fu compensata dalla irrefrenabile felicità della giovane moglie Saha, eccitata al pensiero di trasferirsi, finalmente, nella nuova e splendida residenza che il re Mohammed e la regina avevano voluto donare alla coppia. Questa era un’antica villa, rimodernata a nuovo, ubicata in una posizione privilegiata sull’isola e dotata di ogni confort. Come ulteriore segno di rispetto, il personale di servizio era stato appositamente selezionato dalla regina Adeela.

Era un regalo magnifico e assolutamente meritato per l’ammiraglio, un ringraziamento per tutti gli anni di onorato servizio trascorsi nella marina reale.

Così come per l’ammiraglio, anche i sentimenti del principe ereditario Amir erano contrastanti. Da un lato si rallegrava del fatto di essere rimasto da solo a palazzo reale con la possibilità di girare, praticamente indisturbato, per ogni sala o giardino della tenuta, senza il rischio di essere scoperto e subire i pesanti rimproveri della severa madre Adeela. Ma si sentiva comunque triste perché, in fondo, percepiva già la mancanza del caro fratello Akhmed.

Per prima cosa volle tuffarsi nella lettura dei suoi amati e preziosi libri di storia e, per sentirsi più vicino ad Akhmed, chiese al responsabile delle cucine reali di preparargli, per pranzo, le famose ciambelle di Astagatt, di cui il fratello era ghiotto. Le fece servire sulla grande terrazza antistante il salone da ballo così da poter godere della splendida vista sull’oceano e provare a scovare, sul lontano orizzonte, la sagoma di qualche nave.

Ma la flotta reale aveva già attraversato la pericolosa Barriera d’acqua e, ormai, non era più visibile ad occhio nudo.

All’ora desiderata le ciambelle furono pronte e portate al principe. Quel piatto emanava un intenso profumo di miele e di Vergara, la famosa pianta della felicità che cresceva rigogliosa solamente su Astagatt. La rara pianta aveva fatto la fortuna dell’isola e, grazie alla sua particolare coltivazione, tutti gli abitanti potevano dirsi esperti produttori e agricoltori.


Partenza per l’isola di Cora (Amir saluta i genitori e il fratello Akhmed)


Tutti quelli che avevano a disposizione un piccolo pezzetto di terra coltivavano la radice di Vergara.

In questo modo, non solo la nobiltà, ma anche ogni singolo e intraprendente abitante poteva trarre profitto affidando il proprio prezioso carico nelle competenti e capaci mani del Ministro degli Affari Esteri e della Casa Reale: Idris al-Shafi.

Tutte le navi commerciali, al seguito della flotta reale, erano sotto la sua personale responsabilità. Ogni carico di Vergara, anche il più piccolo, veniva annotato in un apposito registro con il nome del produttore, a cui veniva assegnato un numero personalizzato con il peso e il nome della nave sul quale era imbarcato. L’organizzazione del ministro al-Shafi era molto efficiente e nulla sfuggiva al suo vigile controllo. Poiché tutte le navi potevano superare la Barriera del Muro d’acqua solo per pochi giorni all’anno, la flotta reale faceva scalo, per motivi logistici, sull’isola più vicina: Cora.

Fu qui che il re Mohammed, durante una visita di cortesia al Sultano Modaffer III (Akhmed Al Kebir), conobbe la sua futura moglie e regina. Adeele era la figlia maggiore del sultano e il padre fu ben contento che i due provassero una reciproca e irresistibile attrazione.

Il loro matrimonio assicurò al vecchio Modaffer III diversi vantaggi. Innanzitutto, si imparentava con la potente famiglia regnante l’isola di Astagatt e, in questo modo, trasformava l’isola di Cora in un centro di commercio internazionale della rara pianta Vergara.

Con il matrimonio di sua figlia il furbo sovrano aveva assicurato al suo popolo un luminoso e prospero futuro economico. Infatti, per ogni carico di Vergara sbarcato sull’isola di Cora, il sultano impose una “speciale tassa doganale”.

Ma all’ennesimo aumento di questa impopolare tassa ricevette le energiche proteste diplomatiche del potente e rispettato Idris al-Shafi.

Il ministro, eseguendo gli ordini di re Mohammed, promise al sultano che, in caso di mancata cancellazione dell’ultimo aumento della tassa doganale, la flotta reale di Astagatt non sarebbe entrata nel porto di Cora e si sarebbe ancorata al largo, ben oltre il limite delle acque territoriali dell’isola.

Il Sultano Modaffer III, conoscendo il carattere fermo e irascibile del ministro Idris al-Shafi, ben presto si rese conto che la sua fame di ricchezza, la sua incontrollabile avidità, aveva creato una pericolosa crisi diplomatica e commerciale tra le due isole.

La radice di Vergara, oggetto del desiderio di tutti i popoli delle terre emerse, proprio perché rara, era ricercatissima e, praticamente, si vendeva da sola.

Di questo ne era ben consapevole il sultano.

Infatti, benché la flotta reale di Astagatt fosse rimasta ad aspettare tutto il giorno in mare aperto, ciò non aveva scoraggiato i numerosi acquirenti che erano arrivati da ogni angolo dell’oceano Pacifico.

Il Sultano Modaffer III, mostrando assoluto senso pratico e fiuto per gli affari, decise di ritornare sui suoi passi. In ogni caso, per non perdere la faccia davanti al suo popolo, decretò, unilateralmente, che “l’importo della tassa speciale sulla radice di Vergara” sarebbe stata decisa, di anno in anno, da un apposito consiglio composto dai membri di entrambe le due isole ma da lui presieduto.

Il compromesso escogitato dal sultano produsse gli effetti sperati e la flotta di Astagatt, finalmente, attraccò nel porto di Cora.

Modaffer III, per festeggiare l’avvenimento e dare un segno della sua potenza, fece allestire un’imponente cerimonia ufficiale, con tanto di esercito schierato in parata, alla quale presero parte entrambi i sovrani. L’accordo venne firmato solennemente e, da quel momento, cessò ogni forma di disputa commerciale tra i due regni.

Lo stratagemma del Ministro Idris al-Shafi aveva funzionato e, nonostante non fosse stata cancellata l’odiata tassa, era riuscito a far cessare i continui soprusi del Sultano ed a stabilizzare i traffici commerciali tra le rispettive isole.

Tra tutti i viaggiatori della flotta di Astagatt, la regina Adeela era la più entusiasta. Desiderava rivedere suo padre, le sue sorelle e, cosa ancora più gradita, tutti i posti dove aveva trascorso la sua infanzia e parte della sua gioventù. Più di ogni altra cosa le mancava il gigantesco e bellissimo orto botanico dove, fin da bambina, aveva ammirato fiori e piante provenienti da tutto il mondo conosciuto.

Durante la sua adolescenza, in quello splendido giardino a cielo aperto, aveva vissuto la sua intensa storia d’amore con l’adorato marito Mohammed. Insieme avevano trascorso intere giornate a passeggiare mano nella mano e, complice una gigantesca pianta di Palmira, proprio in quel posto si erano scambiati il loro primo e tenero bacio, al riparo da sguardi indiscreti.

Anche Akhmed era curioso di rivedere suo nonno e tutti i suoi numerosi parenti perché sapeva che un giorno, alla morte del sultano, sarebbe diventato il padrone incontrastato dell’isola di Cora. Nella sua testa già si affollavano piani stravaganti o rischiose imprese da realizzare in un prossimo futuro. Il suo carattere ribelle lo condizionava in tutto quello che faceva e diceva.

Perfino durante il breve viaggio fino a Cora aveva avuto il tempo di litigare con alcuni sottufficiali della nave Glorius che, secondo il suo “modesto parere”, non eseguivano a regola d’arte gli ordini impartiti dal loro comandante.

Dopo la miracolosa salvezza dal naufragio si sentiva invincibile, quasi immortale. In cuor suo credeva che il destino lo avesse risparmiato per offrirgli un futuro fatto di grandi imprese.

Dal naufragio era solito ripetere al fratello Amir: “Un giorno il mio nome sarà temuto e rispettato… non solo qui ad Astagatt o sull’Isola di Cora… ma in tutto l’arcipelago. Spazzerò via… senza pietà… chiunque si metterà sulla mia strada… chiunque sarà un ostacolo tra me e i miei piani… e non avrò pietà né degli amici né dei parenti”.

I giorni di vacanza sull’Isola di Cora trascorsero serenamente tra feste, balli a corte, e lunghe nuotate nel meraviglioso mare corallino.

Il re Mohammed, quando gli fu comunicato che tutto il prezioso carico della radice di Vergara era stato venduto, convocò il vice ammiraglio Abdul-Lateef Kafer e gli ordinò di far preparare la flotta per l’imminente partenza.

Finalmente era giunto il tempo di tornare a casa.

Prima di ritornare sulla nave ammiraglia Glorius, al momento del commiato, i sovrani Mohammed e Adeela convocarono il figlio Akhmed per un colloquio riservato.

Caro figlio”, esordì il re con la voce commossa, “è giunto il momento tanto atteso… quello per il quale… in tutti questi anni… sei stato addestrato. Il tuo destino è scritto da tempo… sarai il principe ereditario dell’isola di Cora… siederai alla destra del Sultano in tutte le occasioni ufficiali e… alla sua morte… salirai al trono”.

Akhmed, dopo avere ascoltato in silenzio le parole del padre, divenne improvvisamente rosso in volto e, come in preda all’ira, si rivolse alla regina Adeela: “Tu madre… anche tu… dunque… alla fine mi tradisci!!”.

Iniziò a urlare e ad agitarsi come un selvaggio qualunque, cercando di dare l’ennesima cattiva dimostrazione, ai suoi illustri genitori, di quanto fosse poco adatto al ruolo che gli avevano riservato.

Inoltre, cercò di togliersi da dosso tutti i “ridicoli vestiti da cerimonia” come lui spesso, in modo sprezzante e offensivo, si divertiva ad apostrofarli. Ma ben presto si rese conto che la sua inutile sceneggiata non stava dando i risultati sperati.

Improvvisamente, come un esperto attore, cambiò strategia. Smise di urlare e si buttò ai piedi della regina. Con le sue tozze mani le afferrò la caviglia destra e la strinse forte al suo petto, nell’ultimo, disperato tentativo, di commuoverla e farle cambiare idea.

Madre… non mi lasciare qui da solo… portami a casa con te…” iniziò a supplicarla piangendo.

“Il mio destino non è questo… io non sarò mai il Sultano di quest’isola brutta e inospitale. Il mio destino è quello di diventare il re di Astagatt. Non mettere il nostro amato regno nelle mani di mio fratello… quello stupido… quello sciocco… che sa amare solo i suoi ridicoli libri di storia. Io sono il destino di Astagatt!! Madre… non soccombere ai desideri del re… aiutami a tornare a casa… non abbandonarmi tra gente sconosciuta e ostile”.

La regina Adeela lo guardò con aria severa e indignata, tirò via il suo piede dalle forti e possenti mani del figlio e, con piglio autoritario, lo rimproverò energicamente: “Akhmed… il tuo tempo è arrivato. Sii uomo… comportati da futuro sovrano. Fai in modo che tutti noi… un giorno… potremo essere fieri di te. Dovrai essere d’esempio per tutti e farai in modo di non far ricadere la vergogna sulla tua famiglia. Sii forte… un anno passa velocemente. Ti prometto che con l’arrivo della prossima estate…», ma la regina non fece in tempo a finire la frase che Akhmed si era già rialzato e ricomposto. Con un gesto deciso della mano, fece segno alla madre di aver compreso il suo discorso.

Va bene madre… mi fido di te… come sempre!”, replicò il principe ormai rassegnato all’inevitabile.

È vero… il tempo passa rapidamente e un anno corre in fretta. Troverò sicuramente qualcosa d’interessante da fare su questa stupida isola… ma se non ti rivedrò qui la prossima estate… sappi che farò il diavolo a quattro per ritornare ad Astagatt e… destino o non destino… lì resterò per sempre…”.

Il re, che fino a quel momento non era intervenuto ed era rimasto in disparte, fece un segnale con la testa alla regina per farle capire che il tempo era scaduto.

I genitori abbracciarono affettuosamente Akhmed e si diressero verso il porto per imbarcarsi sulla nave ammiraglia Glorius e fare ritorno a casa.

Tutta Astagatt stava aspettando, con ansia, il ritorno della flotta.

Le avventure dei Principi Amir & Akhmed. Il Diaspro rosso e la strega Luthien

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