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CAPITOLO TERZO
Il Covo

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Aleksej non poté fare altro che seguire in ascensore la sua bella collega, ma mille pensieri gli affollavano la mente. Aveva ottenuto solo una parziale spiegazione da parte di Petrov e questo non aveva fatto altro che accrescere i suoi dubbi. La sua famiglia era seriamente in pericolo, compresa sua mamma Maria. Prima di arrivare al parcheggio pensò di contattare telefonicamente suo nonno Andrej, cercando di non farsi scoprire, ma la sua nuova amica lo guardava a vista e lo controllava molto da vicino. Era sicuro che solo il nonno sarebbe stato in grado di mettere fine a quel terribile incubo. Avrebbe escogitato qualcosa in seguito, ma adesso aveva solo bisogno di un po’ di riposo per rimettersi in sesto.

Salirono a bordo di una Porche Carrera 911 nera, con i sedili in pelle rossa. Irina lo fissò negli occhi con atteggiamento di sfida: «Che hai da guardare… cosa credi che una donna non sappia guidare un bolide come questo?». Il motore urlò tutta la sua potenza, poi l’auto ebbe un sussulto e partì come un razzo sgommando sull’asfalto e lasciando profonde strisce di pneumatici. Irina guidò spericolatamente per le vie del centro, sorpassando e zigzagando come un pilota esperto. Ad intervalli regolari si voltava verso Aleksej guardandolo con aria soddisfatta.

«Come vedi… caro collega… in Accademia riceviamo un addestramento di prim’ordine. La mia specialità, tra le altre cose, è la guida veloce. Ma ho tante altre qualità che scoprirai molto presto».

«Non ne dubito», rispose sarcastico Aleksej, cercando di mantenere un contegno imperturbabile per dimostrarle che non aveva paura, mentre con lo sguardo incollato alla strada ripeteva tra sé e sé «fottiti tu e la tua Porche».

Si allontanarono dal centro di Mosca e si diressero verso l’aperta campagna. Dopo alcune ore di viaggio l’auto imboccò una strada sterrata. Quindi percorsero ancora pochi chilometri ad andatura più lenta finché giunsero nei pressi di un enorme portone di ferro battuto, a due ante, di colore verde scuro. Dall’esterno non si riusciva a vedere granché perché la vista era impedita da un poderoso muro di cinta, sormontato da filo spinato e telecamere di sicurezza. Al cancello furono fermati da due uomini in borghese armati di kalashnikov. Ordinarono ad entrambi di abbassare i finestrini dell’auto e chiesero i loro documenti.

«Grigory ti muovi a far aprire questo cazzo di cancello o dobbiamo stare qui tutta la notte», urlò Irina con tono beffardo.

«Sei la solita stronza», rispose la guardia, facendo un cenno con la mano verso la telecamera in alto sul muro.

Il cancello si spalancò magicamente, come se una mano invisibile avesse premuto un bottone. Irina, agitata e impaziente per quell’attesa imprevista, prima che fosse completamente aperto, premette violentemente il piede sull’acceleratore. L’auto si avviò velocemente verso l’interno, sollevando una grossa nuvola di polvere che investì e colorò di bianco i due poveretti fermi all’entrata. Grigory e il suo collega non poterono fare altro che guardare in cagnesco l’auto che si allontanava nel viale.

Ormai era già quasi buio e centinaia di piccole luci illuminavano lo splendido parco che l’auto attraversava rapidamente, come un coltello nel burro. Mentre proseguivano nella tenuta lo sguardo di Aleksej venne attratto dall’imponente struttura che si stagliava in fondo alla strada.

«Bello vero?», domandò Irina sporgendosi con la testa fuori dal finestrino dell’auto. «Lo senti questo profumo? Non è» magnifico? La primavera…, la mia stagione preferita. Non vedo l’ora di tornare a Roma per tuffarmi di notte nella fontana di Trevi o per mangiare un gelato a Trinità dei Monti, seduta sulla scalinata di Piazza di Spagna».

Aleksej la guardò divertito e, indicandone con il dito la direzione, le chiese: «Cos’è quello? È un castello ottocentesco? A chi apparteneva?».

«Domande… sempre domande… per quello che ne so era una vecchia residenza degli zar, probabilmente requisita ai tempi della rivoluzione bolscevica e poi messa a disposizione dell’SVR, che qui ha realizzato la sua Accademia. Ma non farti abbagliare dalla sua bellezza, noi questo posto lo chiamiamo il Covo». Sorrise soddisfatta, intuendo di aver risposto in modo brillante.

«Il Covo?», replico Aleksej, «perché questo strano nome?

«Non so perché gli hanno dato questo nome. C’era già prima che arrivassi e fossi reclutata nell’SVR. Probabilmente è stato creato e voluto come rifugio segreto. Il posto dov’è possibile ideare e organizzare attività illecite che in qualunque altra parte della Russia sarebbero perseguite. Comunque resteremo qui solo una settimana e sarò io stessa ad addestrarti e prepararti per la missione in Italia. Ti trasformerò in una perfetta spia». All’improvviso si mise a ridere come se pregustasse i tormenti che avrebbe inferto alla sua nuova vittima.

«Immagino che non mi libererò facilmente di te», commentò pensieroso Aleksej.

«Puoi ben dirlo… mio caro collega… puoi ben dirlo», replicò strafottente Irina.

La Porche si fermò davanti all’ingresso del castello con uno stridere di freni sulla ghiaia. Altre due guardie armate erano posizionate ai lati della splendida scalinata che li avrebbe condotti all’interno. Entrarono e si avviarono verso un grande salone dove sembrava che il tempo si fosse fermato. Tutto profumava d’antico: dal pavimento di legno, ai quadri, al mobilio, ai lampadari.

«Bellissimo questo postò», esclamò Aleksej, «non si direbbe proprio un covo di spie».

Irina non lo degnò di uno sguardo perché la sua attenzione adesso era rivolta verso Kostja Skubak che veniva loro incontro dalla direzione opposta.

«Ciao Irina… Maggiore…, finalmente siete arrivati. Collega per oggi il tuo compito è finito. Da qui in poi mi occuperò personalmente del Maggiore Marinetto. Questi sono gli ordini di Petrov. Sei libera di andare».

Irina, stranamente, si congedò dai due senza dire una parola e si allontanò irosa sbattendo, con notevole frastuono, i piedi sul pavimento. Le sue scarpe, con tacco da dodici, più che un accessorio di abbigliamento sembravano un’arma micidiale, se e quando fosse stata costretta ad usarle. Aleksej la seguì con lo sguardo fin dove poté. Camminava sinuosa nei suoi jeans attillati e pensò che avesse uno splendido corpo. Ma era pur sempre una spia e di quelle temibili. Improvvisamente poteva trasformarsi in un cobra reale, di quelli che quando mordono non ti lasciano scampo. Decise che, forse, sarebbe stato più saggio e salutare starle alla larga.


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Skubak si dimostrò insolitamente gentile e affettato. Si comportò come se avesse ricevuto ordini perentori e precisi dall’alto. Era l’ospite più importante del «Covo» e doveva trattarlo con ogni riguardo, senza però perderlo di vista nemmeno per un istante. In caso di guai seri le conseguenze sarebbero state disastrose per la sua carriera di spia.

Salirono al primo piano e Aleksej fu fatto alloggiare in una bellissima suite. «Spero tu sia contento della sistemazione, Aleksej. Sai…, si sussurra che la zarina Caterina ricevesse i suoi amanti proprio in questa camera».

«È tutto splendido. Grazie. Tranne per la guardia armata alla porta. Ma capisco che dobbiate essere prudenti, in fondo sono l’ultimo arrivato e devo ancora conquistarmi la fiducia del capo».

Skubak lo guardò divertito. Lo conosceva da troppo poco tempo ma capiva che in quelle frasi c’era una sottile vena d’ironia. L’esperienza gli consigliava, comunque, di diffidare del Maggiore. A pelle non gli piaceva affatto e poi aveva quell’aria da furbetto, un po’ troppo per i suoi gusti. Sapeva che alla fine, in un modo o nell’altro, avrebbe regolato con lui tutti i conti.

«Aleksej, ti consiglio di riposare un po’. Come puoi vedere… sul letto ci sono tutte le tue cose… quello è il bagno con tanto di vasca e doccia. Qualcuno verrà ad avvertirti quando sarà il momento della cena». Skubak lo salutò frettolosamente e si dileguò fuori dalla stanza come se qualcuno lo stesse aspettando da qualche altra parte.

Aleksej non ebbe neppure il tempo di sistemare il contenuto della sua piccola valigia quando sentì bussare alla porta.

«Toc toc. Posso entrare?».

Una voce suadente reclamava il suo diritto d’accesso.

«Entra pure Irina», rispose con tono seccato Aleksej, «sono ancora vestito. Non temere».

«Ciao Aleksej o dovrei chiamarti Luca», disse ironicamente mostrando il suo splendido sorriso.

«Ti ho portato la cena. Servizio in camera. Non conosco ancora i tuoi gusti culinari e così ho messo insieme un po’ di tutto. Ho qui anche il dessert e un buonissimo spumante italiano. Dovrai cominciare a godere dei piaceri della vita… nelle tue vene scorre pur sempre sangue italiano».

Appoggiò il vassoio sul tavolo vicino alla finestra e cercò di avvicinarsi ad Aleksej che era rimasto immobile, in piedi, al lato del letto.

«Non sono dell’umore adatto per festeggiare e, comunque, non ho fame. Se sei venuta fin qui per sedurmi allora puoi girare i tacchi e tornare da dove sei venuta», replicò contrariato Aleksej.

«Ehi… ma che modi. In Accademia non ti hanno insegnato ad essere gentile con l’altro sesso? Volevo solo esserti amica ma adesso mi accorgo di aver sbagliato. Comunque, che ti piaccia o no, nei prossimi mesi dovremo condividere molte cose insieme, compreso lo stesso letto. Dovrai farci l’abitudine. Ho poco tempo per farti diventare il perfetto sostituto di Luca, tuo fratello. Dovrai essere credibile se non vorrai farti scoprire immediatamente».

Lo guardò con disprezzo e si avviò verso l’uscita. Afferrò la maniglia della porta con vigore ma prima di aprirla si voltò e con l’aria di chi è stata offesa a morte disse: «Luca si è sempre comportato come un vero gentleman. Ma a letto era un insaziabile amante».

Aleksej capì di avere esagerato. Era appena arrivato e non voleva farsi troppi nemici nell’SVR. Se era in cerca di un alleato quello poteva essere solo Irina, almeno per il momento. Le si avvicinò e la prese delicatamente per un braccio, cercando di fermarla.

«Aspetta Irina… non andare. Non volevo essere scortese. Ma è stato un giorno molto difficile per me. In queste ultime ore sono successe così tante cose che mi sento ancora frastornato. Cerca di perdonare i miei modi da villano».

Irina richiuse la porta dietro di sé e tornò indietro sui propri passi. «Finalmente… vedo che cominci a capire. Qui sei tra amici, mentre tu vedi solo nemici e complotti. Tutti noi siamo qui per servire la nostra Patria…».

Non ebbe il tempo di finire la frase che Aleksej la interruppe.

«Per chi mi hai preso, per lo scemo del villaggio? Fammi un favore: non imitare Petrov che prima parla di alti ideali e poi minaccia di morte me e la mia famiglia. Irina, non fraintendermi. Tu sei una ragazza molto bella ma non sei certamente il tipo di donna da sposare. Voglio essere tuo amico, ma solo ad una condizione: che siamo sinceri l’uno con l’altro. Per cominciare potresti dirmi, per esempio, dove si trova mio fratello Luca».

Irina lo guardò perplesso ma pensò di aver fatto finalmente breccia nel cuore del Maggiore.

Con fare conciliante si avvicinò ad Aleksej e quando furono viso a viso gli disse sottovoce: «Ma non sai pensare ad altro che a fare domande? Perché non ci rilassiamo insieme e beviamo questo splendido vino italiano. L’ho portato direttamente dall’Italia e conservato per aprirlo in un’occasione speciale. Questo mi sembra il momento adatto per fare la nostra conoscenza in maniera… diciamo… più approfondita».

Allungò la mano verso il tavolo e dal cestello prese la bottiglia di spumante. Sul pavimento caddero copiose goccioline d’acqua: era il ghiaccio che cominciava a sciogliersi mentre la temperatura nella stanza diventava sempre più bollente.

Aleksej pensò che avrebbe fatto meglio ad assecondarla. Quello era l’unico modo per riuscire ad ottenere qualche informazione interessante. Brancolava ancora nel buio e non conosceva quasi nulla della missione che, di lì a poco, gli avrebbero affidato. Fino a quel momento Petrov gli aveva parlato solo di Roma e Bruxelles, per di più superficialmente. L’unica cosa certa era che doveva prendere il posto di suo fratello Luca. Nulla di più. Da Irina poteva ottenere altri particolari. In fondo, andarci a letto, non sarebbe stato un così grande sacrificio.

Irina e Aleksej, quella stessa notte, fecero all’amore più volte, sempre con passione e con trasporto, e alla fine si addormentarono sfiniti, uno nelle braccia dell’altro.


10


Un suono sinistro e ripetitivo svegliò Aleksej di soprassalto. Con la mano sinistra, istintivamente, andò verso il comodino e con un colpo netto scaraventò quell’aggeggio sul pavimento, lontano, in fondo alla stanza. Ma il rumore non cessò del tutto e fu costretto ad alzarsi dal letto. Fuori era ancora buio ma la timida luce dell’alba faceva già capolino dalla finestra. Era completamente nudo e con la testa che gli girava. Si ricordò della sera prima, del vino e di Irina. Poi ebbe un sussulto. Qualcuno, nascosto nell’ombra, sedeva sulla poltrona vicino alla porta d’ingresso.

«Chi c’è lì? Chi sei?», urlò Aleksej con tono minaccioso. L’ombra si alzò lentamente e con un colpo di karate, usando le suola delle scarpe, colpì la sveglia che stava continuando, imperterrita, a lanciare il suo sinistro sibilo di allerta. L’aggeggio andò in mille pezzi. Fu in quel momento che intravide nel buio la figura di una donna. Era Irina e questo lo tranquillizzò all’istante.

«Sei proprio un gran bel pezzo di marmo» esclamò la donna sorridendo, «sono già dieci minuti che ti osservo e non posso fare a meno di pensare alla somiglianza incredibile tra te e Luca. Non hai la macchiolina rossa all’inguine e questo mi conforta nel caso fossi costretta ad identificarvi. Ma non preoccuparti, ho un altro sistema infallibile: fate l’amore in modo diverso… simile… ma diverso. Luca è molto più romantico e passionale, mentre con te è più… diciamo… fare palestra… sport. Avresti tanto da imparare da tuo fratello», concluse sghignazzando.

«Sarebbe bello se mi aiutassi ad incontrare Luca» replicò Aleksej mentre con la mano cercava al buio, nel letto, i suoi boxer.

«Accendi la luce per favore, così posso rivestirmi?».

«Non è necessario» replicò Irina, «prendi! queste sono le scarpe da ginnastica e una tuta. Da adesso inizia il tuo addestramento e dopo avrai tutto il tempo per farti una doccia e godere di una ricca colazione, oltre che della mia presenza, naturalmente».

«Irina, se mi aiuterai ad incontrare Luca ti prometto che, quando saremo a Roma, mangeremo insieme quel gelato a Trinità dei Monti, come una vera coppia», quindi la prese tra le braccia e la baciò con passione.

Irina si divincolò infastidita.

«Non mettermi fretta Alex!! Potresti ottenere l’effetto contrario. Adesso stammi vicino e facciamo una bella corsetta mattutina nel parco, così potrai schiarirti meglio le idee».

Aleksej si vestì rapidamente.

L’occasione gli sembrò propizia per fare un giro di ricognizione intorno al castello, per capire se vi erano punti deboli nella sicurezza e magari individuare il piano e la stanza dov’era sicuro che tenessero prigioniero Luca.

Quando l’auto aveva oltrepassato il cancello all’ingresso aveva avvertito una strana sensazione, una forte emozione. L’aveva già sentita molte in passato ma non era mai riuscito a spiegarne l’origine. Da quando aveva saputo di avere un fratello e per giunta gemello, tutto gli sembrava più chiaro, coerente. Avvertiva delle piccole scosse intorno al corpo e un leggero formicolio alle mani. Erano i tipici segnali che anticipavano, ogni volta, quella strana sensazione di essere in un altro posto.

Vedeva luoghi sconosciuti dove non era mai stato prima e nella sua testa risuonava la sua voce ma con un’inflessione leggermente diversa, come se non fosse stata esattamente la sua. Nel castello quella sensazione si era amplificata. Percepiva Luca, sentiva che non erano distanti ma, negli ultimi tempi, aveva cominciato stranamente ad immaginare il mare.

Proprio di recente gli era sembrato di essere stato sulla spiaggia a prendere il sole, in compagnia di una donna di cui non riusciva a vedere il volto. Ma il fatto che al «Covo» mancasse tutto questo lo aveva fatto dubitare. Adesso si sentiva confuso, eppure quelle visioni erano sempre più frequenti, intense, quasi reali, come se qualcuno stesse comunicando con lui telepaticamente.

Avevano da poco iniziato a correre intorno al parco che Irina lo sfidò ad arrivare per primo dall’altra parte del castello. Aleksej era un atleta e sapeva che non avrebbe avuto difficoltà a batterla, ma in quel frangente decise di lasciarla vincere di proposito. Sapeva troppo bene che Irina amava vincere le sue sfide e magari questo l’avrebbe ammorbidirla un po’.

Quando furono dall’altra parte del parco Irina gridò soddisfatta: «Prima, prima… sono arrivata prima… sei una vera schiappa Alex».

Erano entrambi sudati, stanchi e con il fiato corto, piegati in due per la fatica e con le mani sulle ginocchia. Poi si guardarono l’un l’altro con un misto di tenerezza e di soddisfazione. Aleksej le si avvicinò, la strinse a sé e guardandola negli occhi le disse.» Se non vuoi dirmi dove si trova Luca, posso capirlo. Sei vincolata al segreto. Sono un militare e apprezzo queste cose. Ma vorrei chiederti un favore personale e questa volta spero che tu non mi dirai di no».

«Quale favore personale?», chiese Irina, mostrandosi preoccupata per quella strana richiesta.

«Vorrei che tu contattassi per me il Generale Andrej Vladimirovic Halikov, mio nonno, e gli chiedessi di venire al Covo. Devo vederlo e parlargli urgentemente. Ho bisogno dei suoi consigli. Puoi fare questo per me?».

Irina fece un passo indietro liberandosi dalla stretta morsa di Aleksej. «Credo di poterlo fare, ma dovrò chiedere l’autorizzazione al Direttore Petrov. Da qui non entra e non esce nessuno senza il suo permesso. Siamo un’agenzia segreta e non un albergo a cinque stelle».

Aleksej e Irina si misero a ridere all’unisono.

“Grazie collega… grazie per il tuo aiuto… non lo dimenticherò” sibilò Aleksej. Poi con lo sguardo quasi supplicante aggiunse: “Se abbiamo finito con le corse mattutine gradirei fare una bella doccia e magari prendere un buon caffè espresso”.

Irina annuì con la testa e si avviarono insieme verso la grande scalinata, mano nella mano dove trovarono ad attenderli l’agente Skubak.

«Maggiore… Irina… dormito bene questa notte? Aleksej, alle 7.00 sei atteso nella sala 5 per la tua prima lezione di teoria. Sbrigatevi, avete poco tempo. Irina accompagnalo nella sua suite», soggiunse con voce beffarda.

Rientrarono insieme in camera e fecero una doccia veloce, scambiandosi solo rapide effusioni; questa volta non avevano tempo per fare all’amore, ma dovevano sbrigarsi se volevano arrivare puntuali. Ebbero comunque il tempo di fare una fugace colazione alla mensa, quindi Irina lo guidò attraverso un lungo corridoio al piano terra. Qui Aleksej si fermò incuriosito, ammirando le numerose fotografie che erano appese su entrambe le pareti di legno. Tutte raffiguravano primi piani di volti.

«Agenti segreti russi deceduti in sevizio?», provò ad azzardare Aleksej.

«Non tutti sono morti e non tutti sono russi», replicò sarcastica Irina. «In quella zona del muro ci sono solo i migliori. Qualcuno è riuscito anche a godersi la pensione ma tutti sono stati decorati con le massime onorificenze e sono, tutt’ora, considerati eroi della Patria».

“Chi è questo?”, indicò con il dito Aleksej, “mi sembra di averlo già visto da qualche parte… magari in qualche libro che ho letto in Accademia”.

“Oh… stai guardando la più grande spia russa di ogni tempo. Strano che tu non lo conosca. Harold Adrian Russell “Kim” Philby. Era un agente segreto britannico ma già dopo pochi mesi di servizio cominciò a collaborare con noi, prima come agente russo per l’NKVD e poi per il KGB. Era la nostra talpa all’interno del Military Intelligence inglese. Nel 1963 il suo doppio gioco fu scoperto. Fuggì a Mosca dove ha vissuto e lavorato come istruttore per il KGB fino alla sua morte, avvenuta nel 1988.

Philby è stata la spia russa che ha creato i maggiori danni al Regno Unito e all’Alleanza Atlantica. Per ventisette anni ci ha inviato informazioni di altissimo livello che hanno causato, al blocco occidentale, un’ingente perdita di mezzi e di agenti».

“Questo tipo mi piace!”, esclamò Aleksej annuendo con la testa, “è un idealista… proprio come me. Se dovrò fare la spia allora il mio soprannome sarà KIM… esattamente come Philby”.


11


Arrivarono puntuali alla sala cinque, entrarono e trovarono ad attenderli il direttore Petrov che, appena li vide, si mosse verso di loro. Si strinsero le mani energicamente e si salutarono come l’occasione conveniva.

«Buongiorno Irina. Piacere di rivederla Maggiore Marinetto. Accomodatevi, così possiamo iniziare subito. Oggi abbiamo tanto lavoro da fare», e con la mano indicò i posti loro assegnati.

«Bene Maggiore. Innanzitutto sono contento che questa notte non abbia provato a scappare. Immagino, quindi, che abbia accettato la missione. Da oggi è ufficialmente un agente sotto copertura dell’SVR. Per prima cosa, come ogni buon agente che si rispetti, anche lei dovrà avere un nome in codice con il quale sarà riconosciuto e dovrà firmare tutti i suoi rapporti di intelligence. Per caso ne ha già in mente qualcuno?».

«Avevo pensato di firmarmi KIM», replicò asciutto Aleksej.

«Ah… ottima scelta, vedo che con Irina ha già fatto i compiti a casa. Spero che non faccia rimpiangere il buon Philby», sorrise sarcastico Petrov.

La sala cinque assomigliava a quella di un piccolo cinema. Un grande schermo bianco alla parete e comode poltrone di velluto rosso nelle quali i tre sprofondarono seduti.

“Iniziamo pure!”, ordinò perentoriamente Petrov, con la sua inconfondibile voce baritonale. Le luci si spensero lentamente e iniziò la proiezione di un film. Dalle prime immagini Aleksej capì subito che il protagonista era Luca.

«Ecco Maggiore. Cominci a memorizzare i luoghi che vede adesso. Questo, per esempio, è l’esterno del Defence College a Roma, dove suo fratello ha appena concluso l’Accademia. Dopo le forniremo la piantina dell’edificio, con l’ubicazione di tutte le stanze, compresa mensa, palestra e campo da calcio. Come vede qui non esiste il campo di hockey. Luca… a quanto ci risulta… è un vero appassionato di football. Lo pratica da dilettante. Gioca prevalentemente come centrale di difesa e la sua squadra del cuore è… naturalmente… la Roma. Come giocatore il suo idolo è Totti. Lei come se la cava con il football? Ci giocava con i suoi colleghi a San Pietroburgo?».

«Purtroppo no…. La mia vera passione è solo l’hockey. Lo pratico fin da bambino. Il football non mi è mai piaciuto. Ma per la riuscita della missione imparerò a memoria ogni informazione e farò ciò che riterrete necessario».

«D’accordo Maggiore Marinetto. Per facilitarle il compito le ho preparato un voluminoso dossier sulla vita di suo fratello… che avrà la diligenza di studiare a fondo. Entrambi parlate perfettamente tre lingue: russo, inglese e… naturalmente italiano. Ma dovrà migliorare il suo accento… magari aggiungendo qualche piccola inflessione locale e peggiorare leggermente il suo russo. Troppo perfetto per Luca!! Nei prossimi giorni si eserciterà insieme con Irina ma si ricordi… ha solo due settimane di tempo per trasformarsi in Luca Marinetto e capisce anche lei che… la somiglianza fisica… da sola… non è abbastanza.»

«Continuiamo con il film!!», ordinò Petrov.

«Quelli che adesso vede sono i posti frequentati assiduamente da suo fratello. Ah…, eccolo in compagnia di Irina. In questo potrà certamente esserle d’aiuto molto più di me. Verrà con lei a Sochi e poi a Roma. Ufficialmente è la sua fidanzata e lavora sotto copertura all’ufficio visti dell’Ambasciata russa. Tutti conoscono Irina. Luca l’ha presentata ad un gran numero di suoi amici e anche a qualche collega di Accademia. Ecco quello che succede quando un uomo è veramente innamorato».

«Fermi l’immagine!!», urlò Petrov di spalle e guardando in alto verso il proiezionista.

«Vede questo gruppetto? Lo osservi attentamente. Si tratta del ricevimento che ogni anno si svolge nel grande salone centrale del Defence College a Roma. Alla destra di suo fratello c’è il Maggiore Knud Pedersen, un cittadino danese molto amico di Luca. Studi minuziosamente il suo fascicolo perché è l’unica persona… insieme a suo padre… che potrebbe far saltare l’operazione e capire che lei è un impostore. Esattamente tra due settimane si terrà a Roma un grande evento e, al termine della serata, con una cerimonia solenne, verranno assegnati gli incarichi, con le rispettive destinazioni, agli ufficiali che hanno concluso brillantemente il corso in Accademia. Dalle informazioni in nostro possesso sappiamo che Knud Pedersen sarà assegnato al Nato Military Committee di Bruxelles. Aleksej, questo non deve assolutamente accadere!!», esclamò perentorio un accigliato Petrov.

Poi, assumendo un contegno che si addiceva più ad un professore universitario che ad una spia, riprese la sua lezioncina.

«Adesso osservi bene quell’uomo in alta uniforme alla sinistra di Luca. È il suo Comandante, il Generale Fabian Lefevre. La lista assegnazioni incarichi è in suo possesso!!».

Aleksej si girò verso Petrov annuendo con la testa, facendo intendere che aveva capito perfettamente la situazione.

«Bene… adesso veniamo al punto!! La sua missione sarà quella di sostituire la lista originale con una copia altrettanto perfetta che le forniremo noi al momento opportuno. Quella cerimonia sarà la sua unica e irripetibile occasione per scambiare le due liste. Troverà l’originale nella cassaforte del Defence College di Roma, che lei dovrà aprire con destrezza. Si trova all’ultimo piano, nella camera privata del comandante Lefevre. È posizionata dietro un quadro che raffigura la battaglia di Waterloo. Sono veramente dei romanticoni questi francesi, non crede?».

Aleksej lo interruppe bruscamente: «Devo scassinare una cassaforte? Ma non so proprio come potrò riuscirci. Non ho nessuna competenza e poi… in così poco tempo… è praticamente impossibile riuscirci. Sostituire mio fratello è un conto… ma una cassaforte…».

«Maggiore, lei non deve preoccuparsi di nulla. Sarà istruito a puntino, non tema. Noi abbiamo i migliori specialisti del settore e ne conosciamo la marca e il modello. Stia pur certo che non sarà quella cassaforte a fermarla. Se seguirà alla lettera le nostre istruzioni non le capiterà nulla di spiacevole… neppure alla sua famiglia».

Improvvisamente il volto di Aleksej diventò paonazzo. Era livido di rabbia e sembrava che la sua ira potesse esplodere da un momento all’altro. Desiderava prendere a pugni Petrov e spegnergli quello stupido sorrisetto di compiacimento che aveva stampato sulle labbra. Si trattenne con fatica, guardò negli occhi il suo avversario e con tono di sfida gli disse: «Petrov, questa è la seconda volta, in due giorni, che mi minaccia. Lasci in pace la mia famiglia. Lo ripeta ancora una volta e… spia o non spia… la uccido».

Aleksej era sul punto di alzarsi quando Irina intervenne stringendogli forte la mano e lo guardò preoccupata pregandolo di rimettersi a sedere. Aleksej sapeva di non avere altra scelta, cercò di calmarsi e scivolò lentamente sullo schienale della poltrona.

«Continuiamo pure!!», ordinò Petrov senza dare troppo peso a quella sfuriata improvvisa e il film riprese a scorrere esattamente dal punto in cui era stato interrotto.

Russian Spy. Operazione Bruxelles

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