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CAPITOLO QUARTO
Sochi

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Sdraiato sul lettino, a bordo piscina, Aleksej non riusciva a rilassarsi ma cercava di elaborare una strategia, trovare una via d’uscita al casino in cui, volente o nolente, era andato a cacciarsi.

La settimana al «Covo» era stata istruttiva sotto molti punti di vista.

Aveva finalmente imparato ad aprire una cassaforte (o almeno, così gli sembrava) e apprezzato l’allenamento con le arti marziali (anche se il suo istruttore, a causa del poco tempo, si era concentrato solo su alcuni colpi difensivi particolarmente efficaci). Infine, la curiosità e la pratica per un piccolo aggeggio, poco più grande di un pacchetto di sigarette, gli consentiva di poter fotografare e filmare qualunque documento, anche quelli riservati e top secret.

Petrov aveva notato i suoi incredibili progressi fatti in una sola settimana di addestramento intensivo e, soddisfatto, l’aveva spedito a Sochi, sul mar Nero, in compagnia di Irina e Skubak, i suoi angeli custodi.

Ora alloggiavano al Rodina Grand Hotel, nello stesso albergo a cinque stelle dove aveva soggiornato Luca, anche se solo per pochi giorni. Alla reception non avevano fatto alcuna fatica a riconoscerlo e quello era stato il primo test a cui si era sottoposto volentieri.

Al personale dell’Hotel aveva giustificato la sua improvvisa partenza raccontando delle sue fantastiche escursioni sulle montagne intorno a Sochi, in compagnia della sua bella fidanzata. Raccontò di aver approfittato del bel tempo di giugno per raggiungere in treno Sebastopoli ed ammirare da vicino la Flotta russa del Mar Nero. Adesso lui e Irina erano ritornati a Sochi per assistere alla regata velica di fine giugno: tra i partecipanti figurava un loro caro amico russo ed erano l per fare un gran tifo.

A Yuri, il simpatico ed efficiente concierge dell’albergo, chiesero se fosse stato possibile riavere la loro vecchia suite. Furono subito accontentati e Yuri li accompagnò personalmente alla camera 107, al secondo piano, con vista sul mare. Gli disse che erano stati fortunati perché a giugno, periodo di bassa stagione, i clienti facoltosi erano ancora pochi, ma prevedeva una buona affluenza di turisti per quel fine settimana, richiamati dal fascino della regata velica.

Aleksej e Irina gli lasciarono una congrua mancia, disfecero i bagagli e, dopo essersi rifocillati, andarono in giro per le stradine di Sochi. Passeggiarono mano nella mano, come una vera coppia di innamorati, cercando di farsi notare come semplici turisti occasionali. Fino a quel momento tutto era filato liscio. Aleksej era stato riconosciuto come Luca e sul lungomare avevano fatto amicizia e scambiato alcune frasi in inglese con altre coppie in vacanza, per lo più di turisti tedeschi e inglesi.

Quando raggiunsero lo splendido Mareport non poterono fare altro che ammirare i mega yacht super lussuosi che qualche riccone russo, di Mosca o San Pietroburgo, vi aveva ormeggiato.

Aleksej, conversando amichevolmente con Irina di politica, le aveva manifestato tutta la sua delusione per com’erano cambiate velocemente le cose in Russia. La caduta del muro di Berlino lo aveva fatto sperare in un futuro migliore per il popolo russo. Di poter godere, finalmente, della libertà di esprimere apertamente le proprie idee, di contestare partiti e governo senza correre il rischio di essere incriminati e condannati per reati d’opinione. In quel momento non parlava da militare ma si sentiva un comune cittadino ed esternava sinceramente i suoi valori, gli ideali che mamma Maria gli aveva trasmesso fin da piccolo.

Purtroppo, oligarchi e militari erano riusciti a conquistare il vertice del potere e solo qualche parvenu, che si era arricchito con oscuri traffici, aveva provato ad arrampicarsi li dove non doveva, ma era stato subito rimesso in riga. Tutti gli altri, soprattutto quelli che si ostinavano a combattere il sistema, erano stati costretti ad espatriare o languivano chissà dove, in qualche cella umida e buia, a ripensare alle loro scelte avventate.

Ma non confidò ad Irina quello che serbava veramente nell’animo. Era quasi certo che questo nuovo centro di potere si serviva dell’apparato dell’SVR anche per scopi illeciti e che, pur di raggiungere gli obiettivi prefissati, non si sarebbero fatti scrupolo ad uccidere altri cittadini russi. Se qualcuno avesse indagato o semplicemente protestato avrebbero opposto il segreto di Stato e sbandierato la scusa della sicurezza per la Patria.

Aleksej sospettava che dietro l’SVR si nascondesse un’elite di poche persone e aveva intenzione di scoprirne i nomi. Probabilmente ne faceva parte anche qualche generale, amico personale di suo nonno Andrej, a cui avrebbe chiesto aiuto per mettersi sotto la sua ala protettiva. Pensò che quello fosse l’unico modo per mettere al sicuro sé stesso e la propria famiglia dalle mire omicide di Petrov. Ma fino a quel momento non aveva fatto sensibili passi in avanti e quelle idee erano rimaste semplici congetture, fantasiose supposizioni. Tra l’altro, Irina si era dimostrata un’alleata poco collaborativa e ancora non era riuscito a mettersi in contatto con suo nonno.


13


Un improvviso scroscio d’acqua lo inzuppò quasi completamente. Proveniva dall’interno della piscina. Aleksej reagì istintivamente scattando in avanti fino a sedersi con le gambe divaricate sul lettino. Era stato uno scherzo di Irina che adesso lo invitava a tuffarsi in acqua per fare il bagno insieme. Da qualche tempo il Maggiore la guadava con occhi diversi.

Avevano fatto l’amore innumerevoli volte e aveva la sensazione che, in altre circostanze, avrebbe potuto innamorarsene follemente, così come era successo a suo fratello Luca. Era una donna di una bellezza sconvolgente, tanto bella da togliere il fiato. Se ne stava li ferma, sorridente, appoggiata con entrambi i gomiti sul bordo della piscina, immersa nell’acqua fin al collo. Era quasi impossibile resistere ai suoi splendidi occhi color verde smeraldo. Capiva di non essere immune al suo fascino ma cercava di frapporre una certa distanza affettiva, allontanarsi quel minimo necessario per evitare di farsi travolgere dai sentimenti e dalla passione. Sapeva fin troppo bene che Irina era una spia spietata, forse la più spietata di tutto l’SVR, e che non avrebbe esitato neppure un attimo a farlo fuori, se e quando Petrov le avesse dato l’ordine.

«Allora pigrone, ti butti in acqua oppure no? Non abbiamo mica tutto il giorno… sbrigati che dobbiamo andare in un posto. Skubak ci aspetta tra un’ora al porto. Ci porta a fare un giro con la sua barchetta a vela… sai è un vero fanatico del mare… non sai quello che ha dovuto fare per farla arrivare fino a Sochi. Con la scusa della gara velica ha convinto Petrov che sarebbe stata un’ottima copertura ed ora è quasi sempre giù a Marport a lucidarla. Sembra quasi che tenga più a quella cosa che a qualsiasi altra donna con la quale l’ho visto uscire insieme durante tutti questi anni in cui abbiamo lavorato all’SVR».

«Skubak ha una barca a vela? Non finite mai di stupirmi voi due».

Aleksej si tolse la maglietta bianca con il logo e la scritta Nike stampata al centro e mise in mostra i suoi possenti muscoli, frutto di anni di allenamenti come giocatore di hockey. Irina lo guardò estasiata, ammirata. Poi entrambi si avvinghiarono immergendosi completamente e sfidandosi a chi tra i due avrebbe resistito più tempo sott’acqua, trattenendo il respiro. Entrambi si sentivano attratti come due calamite e facevano fatica a staccare i loro corpi come se appartenessero l’uno all’altra.

Giorno dopo giorno quella finzione si stava trasformando in una realtà troppo pericolosa.

Dopo un ultimo bacio decisero che fosse giunto il momento di risalire in camera e qui la loro passione riprese il sopravvento. Saltarono il pranzo, fecero una doccia veloce e scesero mano nella mano nella hall dell’albergo. Sembravano una vera coppia di innamorati, teneri e affiatati. Avevano dalla loro la giovane età, la bellezza e la prestanza fisica e difficilmente potevano passare inosservati.

«Come arriviamo al porto?», chiese Aleksej riluttante, «facciamo una passeggiata di cinque chilometri o mi porti in spalla?».

«No. Andiamo con quella!!».

Irina indicò il piazzale dov’era parcheggiata una Harley-Davidson 883 Sportster Custom, di colore nero e tutta cromata.

«Prendi questo casco e metti in moto. Vediamo come i giovani di San Pietroburgo sanno far divertire una bella ragazza moscovita», aggiunse ironicamente.

Aleksej la guardò divertito, Irina riusciva quasi sempre a metterlo di buon umore. Salirono entrambi in sella, allacciarono i caschi e partirono a spron battuto per le strade di Sochi. Erano entrambi impazienti e curiosi di incontrare Skubak per vederlo all’opera a bordo della sua barca a vela. Al loro primo incontro non gli era sembrato affatto un lupo di mare ma Aleksej, dopo aver frequentato per qualche tempo l’SVR, aveva imparato a non stupirsi più di nulla.

«Quella è la Cattedrale dell’Arcangelo Michele», gridò Irina nella speranza di farsi sentire da Aleksej e di superare in decibel il rumore del motore Harley che la sovrastava. Questi con un cenno della testa fece segno di aver capito e diede gas costringendo Irina ad abbracciarlo ancora più forte temendo di cadere sull’asfalto. Ebbero il tempo di girare quasi tutta Sochi. Arrivati a Marport (il porto di Sochi) si avviarono a piedi sulla banchina costeggiando una lunga fila di piccole e grandi imbarcazioni.

«Irina… Aleksej… sono qua… venite… da questa parte…».

Skubak si sbracciava per farsi notare dai due che, nel frattempo, si erano fermati ad ammirare da vicino uno splendido yacth super lussuoso. Il mare era leggermente ondoso e spirava una buona brezza mattutina ma non faceva ancora troppo caldo come in estate e la temperatura era piacevole. Quel posto meritava sicuramente la sua fama e per i russi era un ideale luogo di villeggiatura.

Skubak li accolse con un grande sorriso.

«Prego signori… toglietevi pure le scarpe e… accomodatevi sulla mia modesta barchetta. Nulla in confronto a quella che avete ammirato prima, ma fa pur sempre la sua bella figura con quelle della sua classe».

Quindi salirono sulla barca a vela, una Rivetto di circa 7,5 metri, con a poppa un piccolo motore Suzuki da 4hp. Aleksej rimase di sasso quando lesse il nome sulla barca. Si chiamava «Maria», esattamente come sua madre, ma non ebbe il tempo di profferire parola che Kostja già lo interrogava con aria divertita: «Sei appassionato di mare o di montagna?».

«Ma… non saprei… magari entrambi» rispose Aleksej a quell’insolita domanda, indirizzando lo sguardo verso una perplessa Irina.

Kostja, imperterrito, li incalzò con altre domande: “Vedete tutte quelle montagne che circondano Sochi? Ci si possono costruire i migliori impianti sciistici e un giorno qui si disputeranno le olimpiadi invernali…». Questa inaspettata previsione futuristica suscitò l’ilarità degli ospiti.

Aleksej, mentre ancora rideva divertito, lo interruppe bruscamente: «In un posto di mare le olimpiadi invernali? Sei veramente un tipo strano Kostja… sei completamente matto».

«Vedrete… vedrete… un giorno mi darete ragione e allora ricorderete queste miei profetiche parole. Ma ora mettetevi comodi che vi mostro quello che sa fare la mia barchetta». Accese il motore e lentamente si diresse verso l’uscita del porto. Giunto in mare aperto spiegò le vele e si mise al timone. Irina, intanto, si era sdraiata a prua, approfittando di quella relativa calma per farsi cullare dalle onde del mare. Si era svestita quasi completamente ed era rimasta solo con reggiseno e mutandine di pizzo bianco trasparente. Skubak, appena si rese conto di non poter essere visto dalla collega, fece segno ad Aleksej di avvicinarsi e gli passò rapidamente un bigliettino.

Poi, con una scusa, gli chiese di scendere nel pozzetto a prendergli la carta nautica. Aleksej rimase per un attimo perplesso, insospettito da quell’insolito comportamento amichevole, ma decise comunque di attenersi alle sue istruzioni.

Scese nel pozzetto, aprì il bigliettino e ne lesse il contenuto con un misto di curiosità ed eccitazione.

«TUO NONNO TI ASPETTA QUESTA SERA ALLE 20. CATTEDRALE DELL’ARCANGELO MICHELE. MI OCCUPERO» IO DI IRINA. GETTA IL BIGLIETTO IN MARE».

Aleksej era raggiante. Finalmente nonno Andrej era riuscito a mettersi in contatto con lui.

La prima volta che aveva conosciuto Skubak non gli aveva fatto una buona impressione e nella settimana in cui avevano frequentato insieme il «Covo» il loro rapporto era andato progressivamente peggiorando, fin quasi a detestarsi a vicenda. Adesso, inaspettatamente, riceveva il suo aiuto.

Durante la gita in barca Aleksej si comportò nervosamente. Si chiedeva qual era il vero ruolo di Skubak in tutta quella faccenda.

Doveva considerarlo un amico o un nemico? Faceva il doppio gioco e voleva farlo cadere in trappola oppure era sinceramente intenzionato a dargli una mano?

Ma nonostante le incertezze e i troppi dubbi era comunque deciso ad andare fino in fondo; doveva recarsi all’appuntamento con il nonno e capire se poteva aiutarlo.

Dopo circa due ore Skubak invertì la rotta e fecero ritorno al porto di Sochi.

«Ragazzi, spero che il giro in barca vi sia piaciuto. Sabato ci sarà la regata velica e mi auguro che entrambi sarete al porto a fare il tifo per me e la mia Maria».

“Certamente Kostja, non vedo come potremmo mancare”, disse Irina con tono conciliante, soddisfatta per essere riuscita finalmente ad abbronzarsi un poco.

«Aleksej… prima di andare… che ne diresti se questa sera passiamo insieme qualche ora nel locale qui in centro. Irina ti dispiace se te lo rubo per un po’. Mi occuperò personalmente del nostro amico».

Aleksej fece un cenno di assenso con la testa e gli disse: «Certo Kostja, molto volentieri, così potrai raccontarmi com’è nata la tua passione per le barche a vela».

«Va bene», ribatté indispettita Irina, «ma ricordatevi che abbiamo ancora una missione da concludere e non restate in piedi fino all’alba ad ubriacarvi. Domani abbiamo molte cose da fare. Aleksej sei ancora indietro con i meccanismi di apertura di quella fottuta cassaforte. In ogni caso farò rapporto a Petrov».

«Bella e dannata», sentenziò Skubak strizzandole l’occhiolino e per nulla intimidito dalla sua velata minaccia.

«Maggiore, ti aspetto alle 19.30 nella hall dell’albergo», disse ad Aleksej prima di scomparire all’interno del pozzetto della barca.

Irina, furiosa, si avviò da sola verso l’uscita di Marport, seguita da tergo da Aleksej. Salì in sella della Harley-Davidson intenzionata, questa volta, a guidarla e a non fare da passeggera. Non indossò il casco perché desiderava godere del piacere del vento tra i capelli. Aleksej si accomodò dietro, la strinse forte e dopo averle appoggiato le labbra sul collo cominciò a stuzzicarla con teneri e piccoli baci.


14


All’ora prefissata Aleksej scese nella hall. Si era vestito in modo impeccabile, tipico per una serata mondana da trascorrere con un amico.

Trovò Skubak già lì ad aspettarlo seduto su di un divanetto mentre sorseggiava un the. Si era presentato con largo anticipo e la tensione tra i due era palpabile. Salirono su un’Audi A4 SW di colore argento e si diressero con andatura moderata verso il centro città. Irina, nel frattempo, aveva assistito a tutta la scena dal balcone e quando perse la visuale dell’auto rientrò in camera e cercò di mettersi in contatto con Mosca.

Desiderava comunicare con Petrov per avere nuove istruzioni.

Il suo istinto le consigliava di non fidarsi di Skubak. Il collega stava deliberatamente contravvenendo ad un esplicito ordine di Petrov: Aleksej doveva essere controllato a vista solo da Irina, quella era la sua missione. Era stato affidato a lei, a lei soltanto, e se fosse capitato qualcosa ad Aleksej ne avrebbe pagato di persona le conseguenze. A Sochi Skubak aveva solo un ruolo marginale, nulla di più.

Russian Spy. Operazione Bruxelles

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