Читать книгу Le avventure del Principe Amir – 3. Militaria - Роберто Борзеллино - Страница 3

Capitolo primo
L'ISOLA DEL GIGLIO BLU DEL NILO

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Un palazzo reale nessuno dei servitori si era accorto dell'assenza di Akhmed. Molti erano terrorizzati al solo pensiero di dover bussare alla sua porta e sentire le urla del principe, sempre scontento del loro servizio. Ormai quasi tutti avevano subito i suoi tremendi scherzi o, nel migliore dei casi, erano stati apostrofati con epiteti irripetibili. Era abbastanza prevedibile che nessuno si preoccupa della sua sorte; anzi, se fosse morto o scomparso definitivamente, in molti ne avrebbe gioito perché era il più tra i nobili e la servitù.

Ormai erano già passate le undici di sera ei tre amici si dirigevano, con passo veloce, verso il porto di Cora. Il principe era convito che sarebbe riuscito a procurarsi, con le buone o con le cattive, una barca veloce ma anche robusta tale da sopportare anche le correnti più pericolose. Con il suo occhio da esperto marinaio si diresse verso un piccolo veliero ad un albero dal nome profetico " Giglio magico ". Ne ispezionò il ponte e, controllato che non vi fosse nessun altro a bordo, invitò i suoi due amici, Marco e Igor, a fare in fretta ea nascondersi all'interno dell'imbarcazione. Quindi sciolse gli ormeggi e issò la vela… L'inizio era stato fortunato tanto che una forte brezza li aveva spinti velocemente al largo.

Su di un piccolo pezzo di un vecchio giornale Akhmed aveva scritto le coordinate geografiche che “Zio Carlo” gli aveva suggerito per raggiungere l'Isola del Giglio Blu del Nilo. La luna piena illuminava il loro percorso e, mentre il principe si preoccupava piedi di la giusta rotta, Igor e Marco, in a prua , si godevano quell'imprevisto e bellissimo spettacolo notturno. Il cielo era terso e con le teste rivolte all'insù i due inseparabili amici commentavano divertiti ogni qualvolta notavano la scia luminosa di una stella cadente.


Il Veliero "Giglio Magico"


«Voi due stupidi… idioti», li apostrofò con tono saccente Akhmed, «sembrate due innamorati in luna di miele. Ma vi ricordo che questa… probabilmente… sarà la nostra ultima avventura… un’avventura forse senza ritorno. Quindi… vi ordino… di guardare davanti a voi e di avvertirmi in caso di avvistamento dell’isola.»

Sui visi di Igor e Marco calò improvvisamente il gelo più intenso. Il loro ingenuo sorriso rimase soffocato sotto il peso delle pesanti parole pronunciate dal principe. Solo adesso, finalmente, cominciavano a rendersi conto che non si trattava di una semplice gita in barca ma si erano infilati in qualcosa di molto pericoloso. Con la loro partecipazione entusiasta avevano voluto dimostrare ad Akhmed che erano amici fedeli e coraggiosi. Ma il loro atteggiamento spavaldo, poco per volta, si stava trasformando in qualcosa che assomigliava più alla paura, al terrore.

Cosa avrebbero dovuto affrontare una volta giunti sulla spiaggia?

Era questa l’unica domanda che adesso li tormentava. Come difesa personale Igor aveva portato con sé il suo fidato coltello che, fin da piccolo, aveva imparato a maneggiare con destrezza grazie agli insegnamenti del padre. Marco, invece, non aveva portato nulla con sé perché, in simili circostanze, si era sempre affidato alla benda da pirata che portava sull’occhio. Questo suo aspetto minaccioso gli procurava un duplice vantaggio: da un lato terrorizzava i ragazzini più piccoli e dall’altro incuteva un certo timore e rispetto nei suoi compagni di scuola più grandi, che si guardavano bene dal provocarlo o sfidarlo. All’improvviso la barca cominciò ad incontrare una forte resistenza. Dalle profondità del mare risalivano, impetuose, delle fortissime correnti che facevano ondeggiare e sussultare l’imbarcazione.

«Ecco… ci siamo!!», esclamò il principe mentre stringeva con tutte le forze il timone per evitare di perdere la rotta.

«Aggrappatevi a qualcosa di solido altrimenti correte il rischio di finire in acqua. Sapete benissimo che non mi fermerò neppure un minuto per raccogliervi in mare», sentenziò Akhmed. Ma le forti correnti, così come all’improvviso erano arrivate, altrettanto rapidamente scomparvero senza lasciare traccia. Come se una forza, misteriosa e inquietante, era intervenuta a proteggere l’imbarcazione da qualsiasi pericolo.

«Terra… terra», urlò a squarciagola Igor, come se fosse stato morso da una tarantola. Un’eccitazione improvvisa s’impossesso di tutto quell’eterogeneo equipaggio fin quando la prua del piccolo veliero toccò il bagnasciuga della spiaggia. Dopo aver sistemato gli ormeggi, il gruppetto dei tre amici si diressero verso l’interno dell’isola e, nonostante stesse per sopraggiungere l’alba, l’oscurità era ancora l’assoluta padrona. Dalla cambusa della barca Marco prelevò alcune lampade ad olio che sarebbero servite ad illuminare il loro cammino. Una volta a terra i tre si resero subito conto che avrebbero dovuto superare un secondo problema.

Un enorme strapiombo si stagliava davanti a loro. È quella era l’unica strada che dalla spiaggia li avrebbe condotti all’interno dell’isola.

Ma qual era il modo migliore per superare quell’ostacolo?

La discussione tra i tre stava per trasformarsi quasi in rissa finché Igor si ricordò di un curioso particolare. Quand’era salito sulla barca e si era nascosto, aveva visto delle corde legate ad un piccolo rampino. Quindi si precipitò sul ponte dell’imbarcazione e si diresse verso la poppa. «Eureka!!», esclamò entusiasta, «ecco la soluzione a tutti i nostri problemi».

I tre si arrampicarono con difficoltà, anche a causa dei numerosi cespugli taglienti che, con attenzione, cercarono di evitare per non ferirsi. Giunti sulla cima un desolante spettacolo lì sorprese. Il posto era completamente deserto. Nessun albero né alcun fiore era visibile. Di tanto in tanto si avvertiva la presenza di qualche strano animale che, dopo aver lanciato un sibilo acuto, correva a nascondersi dietro un masso. Igor, prontamente, tirò fuori il suo enorme coltello mentre Marco rimase fermo, come impietrito dalla paura. In fondo per proteggersi aveva solo la sua benda da pirata e null’altro. Il principe, come al solito, non si perse d’animo e si addentrò verso l’interno dell’isola mentre i suoi due impauriti amici restavano fermi sulle loro posizioni. Akhmed si girò verso di loro e, dopo averli inceneriti con il suo tipico sguardo corrucciato, li apostrofò malamente.

«Voi due idioti… codardi… cosa siete venuti a fare se non avete nemmeno il coraggio di affrontare quattro lupi spelacchiati».

«Ma Akhmed», lo riprese Marco, «a me non sembrano affatto quattro lupi… io non ho mai visto in vita mia animali simili».

«Si… anch’io», si affrettò a sostenerlo Igor.

«O siete con me al 100% oppure tornate a nascondervi sulla barca!! Posso fare tutto da solo… non ho bisogno di codardi».

I due amici, colpiti nell’orgoglio, dopo un breve sguardo d’intesa, si affrettarono a raggiungere il principe. I tre proseguirono a piedi per quasi un chilometro senza essere ulteriormente disturbati da anima viva. Intanto, l’alba aveva preso il sopravvento sull’oscurità e di quegli strani animali si era persa ogni traccia.

«Lì… lassù… su quella piccola altura… un giglio blu… lo vedete anche voi… vero?», gridò Igor con tutta la forza che aveva in gola.

Akhmed, Appena raggiunto quell’unico fiore, si accorse che, poco distante, un’enorme voragine si apriva davanti ai suoi piedi.

«Portatemi le corde!!» esclamò impaziente, particolarmente incuriosito su quello che avrebbe trovato lì sotto. Ma prima volle accertarsi della profondità di quel buco enorme. Quindi lanciò all’interno una piccola pietra finché non ne sentì il caratteristico rimbombo. Fu il primo a calarsi nell’oscurità aiutato dalla piccola lampada che aveva assicurato alla cintura. Raggiunto il fondo invitò i suoi due titubanti amici a fare altrettanto.

«Allora… vi muovete… non abbiamo tutto il giorno. Presto a corte si accorgeranno della mia assenza e allora saranno guai. Non sopporterei un’altra ramanzina di mio zio Modaffer III».

Dal fondo della grotta Akhmed, con l’aiuto della luce della lanterna, provò ad illuminare le pareti facendo un lento giro su sé stesso. Tre grosse aperture si diramavano in direzioni diverse.

«Principe… ma quale strada dobbiamo seguire?», pronunciò sottovoce Marco per paura che qualcuno lo potesse ascoltare.

«Penso che noi tre dovremo separarci», propose Akhmed, «in modo che ognuno di noi potrà ispezionare ogni singola cavità…».

«Non credo proprio!!» lo interruppe Igor.

«Invece dobbiamo restare uniti perché ancora non sappiamo cosa o chi dovremo affrontare nell’oscurità».

«Fate un po’ come vi pare!!» replicò arrabbiato Akhmed, infuriato per essere stato ancora una volta contraddetto dai suoi irriverenti amici. «Sappiate che quando diventerò il sovrano dell’Isola di Cora riceverete dieci frustate per ogni volta che avrete contestato le opinioni del vostro principe».

«Ma Akhmed… noi siamo i tuoi soli e fidati amici… non è questo il modo di ringraziarci…», provò ad imbonirlo Marco.

Il principe non lo degnò nemmeno di uno sguardo e si avviò, in compagnia del suo bastone, verso l’entrata centrale della grotta, seguito da tergo dai suoi sempre più terrorizzati amici. Armati di lampade ad olio, che da un momento all’altro avrebbero potuto cessare di funzionare, i tre camminavano con passo lento e circostanziato attraverso il fondo di quel cunicolo, prestando molta attenzione alle pareti sporgenti e taglienti, ma tanto alte e larghe da poterci stare comodamente in tre.

«Questa grotta è abitata da giganti», profetizzò Igor, sempre più impaurito e titubante mentre la strada davanti a loro iniziava a diventare sempre più ripida e scivolosa.

Intanto dalla profondità si udiva un rumore dapprima impercettibile e poi, via via, sempre più forte, come se qualcuno o qualcosa stesse schiacciando con i piedi delle uova.

«Akhmed torniamo indietro… ti supplico… finché siamo ancora in tempo… ho un brutto presentimento… ho paura di quello che troveremo una volta arrivati in fondo», lo implorò in ginocchio Marco, mentre tentava di bloccarlo stringendo tra le sue mani l’orlo della giacca.

«Devo vedere cosa c’è lì sotto… ormai siamo arrivati fin qui… non farmi perdere altro tempo…» sentenziò il principe mentre, con un colpo secco inferto con il suo bastone lo colpì violentemente sulle mani, tanto da liberarsi immediatamente da quella morsa.

«Akhmed… fermati!», gli intimò a voce alta Igor, con quell’ultima goccia di coraggio che gli era rimasta in corpo.

«Zio Carlo ci ha raccontato che… fin dai tempi antichi… tutti quelli che si sono avventurati verso quest’isola… non hanno mai più fatto ritorno a Cora. Ci sarà un motivo… una ragione… se esperti navigatori…. coraggiosi avventurieri… non sono mai tornati a casa?

Come te lo spieghi tutto questo?

Come puoi pensare che tre semplici ragazzi come noi saranno in grado di trovare il tesoro e di tornare indietro sani e salvi? Come…».

Igor non riuscì a concludere la frase che un’intensa e gelida folata di vento li aggredì alle spalle e li spinse violentemente a terra facendoli dapprima rotolare su sé stessi e poi sempre più velocemente verso il basso. I tre cercarono di resistere a quell’inaudita violenza cercando di opporsi, con le mani e con i piedi, tentando di aggrapparsi gli uni con gli altri, ma ogni loro tentativo fu vano. Uno alla volta caddero di schiena sul fondo della grotta, restando così svenuti per diverso tempo.

Akhmed fu il primo a svegliarsi e, nella completa oscurità, cercò di alzarsi. Le gambe gli scivolarono all’indietro e ricadde sul fondo, provocando quel sinistro rumore di uova rotte che aveva precedentemente sentito. Nella caduta qualcosa lo aveva graffiato alla gamba destra tant’è che, istintivamente, provò a prenderlo in mano per analizzarlo al tatto. Immediatamente capì che quello strano oggetto non era affatto un guscio d’uova ma assomigliava, per forma e lunghezza, a ossa umane, come un braccio o una gamba. Si fece coraggio e riprovò ad alzarsi, questa volta facendo attenzione a non perdere l’equilibrio.

Con la mano si tastò il fianco destro come in cerca di qualcosa d’importante.

«Che fortuna!», esclamò il principe.

La lanterna, che al tatto sembrava ancora intatta, era rimasta attaccata alla cintura dei suoi pantaloni, nonostante la caduta. A quel punto venne assalito da un atroce dubbio.

«Come farò ad accenderla», pensò tra sé e sé.

«Marco dove sei? Marco svegliati», pronunciò sottovoce, ma con la netta sensazione che qualcun altro lo stesse ascoltando ed osservando.

«Eccomi!», esclamò Igor, tutto baldanzoso e felice per essere stato il primo ad aver acceso la sua lanterna.

«Sono qui mio principe», gli fece da contraltare Marco, anche lui con la lanterna in mano accesa e tutto contento per aver sconfitto il buio.

«Ma in quale orrendo buco siamo finiti?», lo riprese Igor mentre tentava di illuminare il pavimento completamente ricoperto di ossa bianche.

«Oh mio Dio!», proseguì sempre più impaurito, «qui c’è qualcuno o qualcosa che mangia gli esseri umani… persone vive come noi».

«Sss… parlate piano… non vi muovete… mantenete la calma… ci stanno osservando», replicò Akhmed a bassa voce.

«Chi? … dove? … in quale direzione?», provò a borbottare Marco, mentre la fiammella della sua lampada ad olio iniziava a dare segni di esaurimento. Anche la lampada di Igor si spense all’improvviso e nella caverna, di colpo, tornò il buio. Nel frattempo, intorno a loro, sei enormi occhi gialli iniziarono lentamente ma, inesorabilmente, a muoversi nella loro direzione.

Le avventure del Principe Amir – 3. Militaria

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