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2. La politica a Roma ai tempi di Sallustio
ОглавлениеIl primo secolo avanti Cristo ha visto un acuirsi delle lotte politiche con conseguenze disastrose per la popolazione del mondo romano di allora che si espandeva lentamente dalle Gallie fino all’Egitto. Battaglie tra politici ce ne sono sempre state e ce ne sono ancor oggi ma le rivalità, le nascoste alleanze e le guerre aperte di quest’epoca della storia romana sono diventate proverbiali e formano la materia di tanta letteratura (erudita e popolare). Chi non ha sentito delle lotte tra Mario e Silla, tra Cesare e Pompeo, tra Antonio e Ottaviano? Ma anche personaggi meno guerreschi, scrittori come Cicerone e Sallustio, per esempio, hanno dato il loro contributo a questi conflitti con violenti attacchi verbali, calunnie e intrighi di ogni sorta: Cicerone contro Cesare, Cicerone contro Antonio, Sallustio contro Cicerone e Sallustio dalla parte di Cesare.
Come si può aver successo in politica? La ricetta è – allora come oggi – con denaro e alleanze. Chi disponeva di un sostanzioso patrimonio familiare poteva considerarsi fortunato. Ma la mancanza di mezzi propri non poteva frenare le ambizioni dell’uomo politico in-spe; una soluzione si trovava sempre: si poteva per esempio cercar di sposare una ricca vedova, oppure si facevano debiti. Nell’antica Roma il mondo della finanza era già molto progredito: a causa delle enormi ricchezze che venivano trasportate nell’Urbe dalle province, non c’era mancanza di mezzi finanziari che cercavano uno sbocco.
Roma non poteva controllare soltanto con le armi un territorio che nel frattempo era cresciuto enormemente. Una brillante qualità della politica di Roma era la capacità di integrare i sovrani locali nel controllo dei loro popoli. Gli storici romani (non escluso Sallustio) vorrebbero farci credere che i popoli del Mediterraneo e dell’Oriente non desiderassero altro che diventare sudditi di Roma. È vero che la fama della cultura romana esercitava una grande attrazione su queste genti ma era soprattutto il più solido argomento della supremazia militare che costringeva i regnanti locali a cooperare. In fondo era un buon affare per tutti: i sovrani locali potevano continuare ad esercitare la loro autorità come riflesso della potenza romana e i romani godevano delle ricchezze di questi paesi con lo sfruttamento delle miniere d’oro e con l’esazione di balzelli onerosi. Roma è diventata famosa per la competenza militare e per le opere d’ingegneria (acquedotti! strade!) ma un’arte nella quale i romani erano veramente maestri era nel tirar fuori tributi dalle tasche dei popoli vinti. Già allora lo stato aveva scoperto i vantaggi della privatizzazione: invece di metter su un’enorme burocrazia, si affidava la riscossione delle tasse al settore privato. I contratti di appalto erano messi all’asta e schiere di affaristi cercavano di vincere questi lucrativi contratti. Per aumentare la loro efficacia i publicani si organizzavano in società finanziarie, le societates publicanorum.
Gli abitanti delle province venivano salassati senza pietà; specialmente nell’Oriente la fonte di ricchezze era pressoché inesauribile. Plutarco ci racconta che la provincia d’Asia
era afflitta da un’incredibile calamità: gli esattori delle tasse e gli usurai depredavano e asservivano i cittadini che erano costretti a vendere i loro nobili figli e le loro vergini figlie, le città dovevano vendere i doni sacri, i quadri e le statue degli dei.
Ma ce n’era per tutti: gli esattori, gli amministratori romani e i senatori a Roma che facevano finta di non vedere; tutti si servivano alla stessa tavola. Ma a volte si trovava un proconsole come Lucullo che ordinò una moratoria dei debiti:
Prima di tutto si potevano mettere in conto soltanto interessi che non superassero l’uno per cento al mese. In secondo luogo annullò gli interessi che superavano l’ammontare del debito e come terza misura, la più importante, stabilì che il creditore poteva esigere soltanto fino a un quarto del reddito del debitore.
Erano soprattutto i popoli dell’Oriente dai quali si succhiava la più grande quantità di ricchezza. Ma ogni tanto il sovrano locale riusciva ad avere la meglio sui romani e non tralasciava l’occasione per impartire loro una solenne lezione. Uno di questi sovrani era Mitridate, re del Ponto. Egli ci fa sapere chiaro e tondo in una lettera riportata da Sallustio nelle sue Historiae:
I romani hanno un solo motivo per portare la guerra su tutti i popoli e i re e cioè una sete insaziabile di potere e di ricchezza. ….Essi prima lusingano i re con la loro amicizia, li fanno guardiani del loro stesso popolo e poi li degradano con umiliazioni e spoliazioni sicché da re diventano i più miserabili schiavi.
Roma dovette vedersela in tre guerre con questo sovrano finché a Pompeo riuscì di eliminarlo nel 63 a. C. Ma nella seconda guerra il legato Manio Aquillio cadde nelle mani di Mitridate il quale mise in scena uno spettacolo molto educativo per i romani, che poteva avere per titolo “Senza parole”. Egli fece trascinare il povero Aquillio per le strade di Pergamo tra il sollazzo della folla urlante e poi, come apice della manifestazione, gli fece versare in gola oro fuso. Aquillio era, per così dire, rimasto soffocato dall’oro.
Può sorprendere quanto la letteratura latina sia pervasa da storie di debiti: giovani romani con brillanti prospettive che cadono nelle mani degli strozzini, suicidi a causa di debiti non pagati, perdita di posti lucrativi per via di eccessivi indebitamenti – reali o supposti. Nella storia delle elezioni a Roma la corruzione di coloro che si trovavano con l’acqua alla gola a causa dei debiti gioca un ruolo importante. Anche Sallustio, come vedremo, ha avuto problemi di debiti.
Ma nella politica non si raggiuge granché se non si hanno solide alleanze. Oggi un uomo politico può contare sulla quantità dei sostenitori: chi ha esperienza nei mezzi di comunicazione di massa può far marciare migliaia di persone per le strade e portare anche milioni di elettori alle urne. Allora la qualità stava in primo piano: bisognava trovare sostenitori provenienti da una ricca famiglia, che preferibilmente avesse già dato alla patria qualche console e che potesse mobilitare anche un certo numero di clientes. Anche allora bisognava metter insieme un partito e nell’organizzazione di un partito Cesare era senza dubbio un maestro.
Nei critici decenni tra Silla e Augusto (all’incirca dall’80 fino al 30 a. C.) i protagonisti della politica a Roma furono Pompeo, Catone, Cesare e Cicerone; Sallustio ha avuto un ruolo secondario ed ha avuto a che fare soprattutto con gli ultimi due, per lo meno stando a quel po’ che si deduce dalle scarse notizie degli storici. Diamo uno sguardo alle carriere di questi tre personaggi che hanno avuto ruoli molto diversi nella vita politica di allora.
Sallustio e Cicerone ci presentano un curriculum abbastanza simile. Ambedue erano rampolli di famiglie benestanti del Centro-Italia che però a Roma non erano molto note e ambedue si sono conquistati un posto nella migliore società solo grazie alle loro qualità personali. I due sono oggi conosciuti per le loro opere letterarie ma avrebbero certo desiderato di diventare famosi anche per qualche atto di coraggio volto a salvare la repubblica. Cicerone fu effettivamente salutato come “salvatore della patria” per aver debellato la congiura di Catilina ma in seguito riuscì solo a infastidire il padrone di turno (che sia Cesare o Ottaviano) con i suoi appelli per una forma di governo ideale che non andava a genio a chi voleva semplicemente esercitare il potere. Nessuno dei due era un eroe, anche se Sallustio partecipò a diverse campagne al fianco di Cesare. I nostri poterono esercitare le loro eccezionali abilità retoriche ma, quando si trattava di afferrare il potere, dovettero cedere le armi alle vere volpi della politica.
Cicerone era nato nel 106 a.C. ad Arpino, una cittadina della Ciociaria. Questa regione al sud-est di Roma, da dove proveniva anche mia madre, ha preso il suo nome odierno dalle “cioce”, le calzature che i contadini portavano ancora qualche decennio fa. (Le “cioce” consistono in una suola di cuoio, o anche ritagliata da copertoni di pneumatici, fissata al piede e alla gamba da lacci). Cicerone lottò per tutta la vita per un ideale classico della repubblica, una repubblica come la sognavano parecchi romani ma che non è mai esistita nella realtà. Le sue ambizioni politiche gli procurarono a volte importanti incarichi (fu console nel 63) ma un’influenza duratura sulla politica non l’ha avuta.
Cesare invece veniva da tutt’altro mondo. Era un rampollo della famiglia dei Julii, un’antica stirpe patrizia che si vantava di discendere da Enea. L’istinto politico e la spregiudicatezza di Cesare sono diventati proverbiali; già al principio della sua carriera aveva scoperto le due chiavi per ottenere e mantenere il potere: soldati e denaro. In tutte le sue attività politiche e nelle campagne militari la sua preoccupazione era di mettere insieme un esercito forte e leale fino alla morte e di arraffare quante più ricchezze possibili. Neanche le suppellettili e le statue dei templi potevano considerarsi al sicuro. Aveva bisogno di somme immense per mantenersi la lealtà delle truppe e per oliare gli ingranaggi a Roma. Lo storico Cassio Dione analizza dettagliatamente la filosofia cesariana del potere:
Faceva tutto questo non per malevolenza ma perché doveva finanziare spese ingenti e voleva assicurarsi i mezzi per le sue legioni, i trionfi e tutto quello che serviva a soddisfare il suo orgoglio. In breve: diventò un arraffatore di denaro. Egli si giustificava dicendo che ci sono due cose che garantiscono la conquista e il mantenimento del potere: soldati e denaro e le due sono interdipendenti; infatti un buon approvvigionamento della truppa mantiene la lealtà e viene assicurato dalle armi. Se manca uno dei due fattori anche l’altro si dilegua.
….egli metteva le mani su quanto denaro e ricchezze poteva, in parte come regalie, in parte come “prestiti”, come lui diceva. Infatti usava questa espressione “prestiti” per tutti quegli accaparramenti di denaro per i quali non si poteva trovare una parola più blanda. E dichiarava che egli aveva speso il suo patrimonio personale per il bene comune e perciò doveva ricorrere a prestiti. Per questo, quando il popolo lo supplicò di concedere una moratoria dei debiti, non si lasciò intenerire e rispose: “Anch’io sono pieno di debiti”.
Sallustio è noto per le sue opere storiche La congiura di Catilina , La guerra contro Giugurta e i frammenti delle Historiae ma ha raccontato poco di se stesso. Invece il suo rivale Cicerone ha lasciato una larga scia d’informazioni con le sue quasi ottocento lettere e innumerevoli orazioni dove ci informa non solo sugli avvenimenti politici del primo secolo avanti Cristo ma anche sulla sua vita e i suoi sentimenti, sull’arredamento e sulla biblioteca della sua villa al Tuscolo, sulle sue preoccupazioni per l’amata figlia Tullia o per il fratello Quinto. I biografi di Sallustio non hanno un compito così facile anche perché parecchie informazioni che ci sono giunte su Sallustio derivano da opere che sono, con molta probabilità, dei falsi. Una “invettiva” contro Sallustio è presentata come un`orazione di Cicerone davanti al senato ma è probabilmente un falso; per questo l’ignoto autore viene indicato come “Pseudo-Cicerone”. Era uso che i retorici si esercitassero componendo un`orazione come se fosse stata pronunciata da un avvocato famoso, per esempio Cicerone. Ciò non significa però che le informazioni contenute in questa invettiva siano false; per lo meno riflettono quello che allora i Romani pensavano di Sallustio. L’“Invettiva contro Sallustio” è probabilmente una risposta ad un`altra invettiva, questa volta di Sallustio contro Cicerone. Alcuni passaggi di queste “invettive” riportano fatti realmente accaduti e così queste fonti ci danno un quadro generale della vita di Sallustio anche se non affidabile al cento per cento.
Altri spezzoni di biografia possiamo ricavarli dagli scritti di altri storici come Cassio Dione, Appiano, Asconio e i padri della chiesa Eusebio e Girolamo. Da quest’ultimo apprendiamo che Sallustio era originario di Amiternum nella terra dei Sabini (oggi San Vittorino vicino l`Aquila) una regione montagnosa dove il clamore e il fasto di Roma giungevano molto smorzati. Le sue opere sono piene di moraleggianti ideali ma è per lo meno dubbio che egli ci si sia attenuto. Egli stesso ammette – anche se con una certa reticenza – di non esser rimasto sempre integro nel fosco ambiente della politica romana. Apprendiamo dallo “Pseudo-Cicerone” che egli dovette vendere la casa del padre, quando questo era ancora in vita, per pagare i debiti.
Sallustio si unì presto al partito dei populares al fianco di Giulio Cesare e così si trovò spesso in conflitto con Cicerone che rappresentava la frazione degli optimates. Negli anni tra il 62 e il 52 a. C. la politica a Roma fu caratterizzata dalla faida tra Cicerone e il tribuno Clodio. Sallustio, come rappresentante dei populares, favoriva Clodio contro Cicerone. L’inimicizia tra Publio Clodio Pulcro (della famiglia dei Pulchri, i Belli) e Cicerone cominciò nel 62 quando Clodio, travestito da donna, s’intrufolò nella casa di Cesare, dove le matrone romane, sotto la guida della madre di Cesare, celebravano i misteriosi riti della Bona Dea. A questi riti erano ammesse solo donne e così erano un po’ il contrappunto al culto di Ercole all’Ara Massima, dove erano ammessi solo uomini. Lo zelo “femministico” in questi riti arrivava al punto che si coprivano con veli perfino le immagini di animali maschi. Clodio aveva forse una relazione con la moglie di Cesare oppure voleva semplicemente permettersi uno scherzo ma fu scoperto da una serva e lo scandalo fu grande anche perché a quel tempo Cesare ricopriva la più alta carica religiosa, quella del pontifex maximus. Ci fu un processo, dove Cicerone testimoniò contro Clodio ma questo fece circondare la corte dalle sue bande armate e la sentenza dovette essere rimandata di due giorni. I giudici vennero corrotti con l’aiuto finanziario di Crasso e Clodio fu assolto. Lo scandalizzato Cicerone riporta:
Come suprema ricompensa per la loro corruttela vennero procurate (mio Dio che costumi!) per le notti di alcuni giurati certe matrone e alcuni nobili giovinetti. ….Ciononostante si trovarono venticinque giurati che preferirono rischiare la morte piuttosto che lasciar andare tutto in malora. Furono solo trentacinque quelli che si lasciarono guidare più dalla fame che dal loro onore.
Cesare voleva che tutta la faccenda fosse dimenticata e decise di non deporre; però ripudiò sua moglie. Da questa occasione deriva il detto: “La moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto”. Cesare pensò ovviamente che, dal momento che la sua fama era già pesantemente intaccata, non fosse il caso di aggiungervi altro materiale negativo a causa della moglie.
Nel 59 a. C. Clodio rinunciò al suo stato di patrizio e si fece adottare da un plebeo perché solo così poteva essere eletto a tribuno della plebe e acquistare una maggiore influenza sul popolo minuto. Clodio si rivelò un intrigante e un manipolatore di primo grado che, sostenuto dal favore popolare, voleva realizzare a tutti i costi i suoi fini politici, anche con la violenza. Gli riuscì di far esiliare Cicerone sotto il pretesto che, all’epoca dell’affare Catilina, Cicerone aveva fatto condannare a morte i congiurati senza un regolare processo. Le bande armate di Clodio misero a fuoco la casa di Cicerone che si era allontanato da Roma senza attendere una deliberazione finale e Clodio fece installare sul terreno una statua della Libertas, in modo da impedire a Cicerone, nel caso fosse tornato, di costruirsi di nuovo la casa su quel terreno “consacrato”. Nel 57 uno dei tribuni propose il ritorno di Cicerone ma Clodio fece di tutto per impedirlo. Con le sue bande di gladiatori ostacolava le riunioni del senato; alla fine di gennaio fece una carneficina nel foro e in quest’occasione il fratello di Cicerone, Quinto, si salvò per miracolo nascondendosi sotto i corpi degli uccisi. Cicerone descrive a fosche tinte:
il Tevere era pieno di cadaveri, le cloache rigurgitavano e il foro fu lavato con le spugne dal sangue.
Cicerone poteva contare sul sostegno dei tribuni Publio Sestio e Tito Annio Milone che però si servivano degli stessi metodi di Clodio e organizzavano bande armate per tenerlo a bada. Ma alla fine Cicerone fece ritorno a Roma e il 4 settembre fu accolto da una massa giubilante.
Nell’anno 55 Sallustio divenne questore, una carica amministrativa con la quale i giovani romani iniziavano la carriera politica. Il 18 gennaio del 52 un omicidio sconvolse la società romana: questo delitto segnò il culmine delle lotte tra i due intriganti Clodio Pulcro e Tito Annio Milone. Sulla via Appia s’incontrarono, forse per caso, i due con le loro bande e nella colluttazione che seguì Clodio venne ucciso. In aprile cominciò il processo contro Milone. Conosciamo i dettagli dall’orazione di Cicerone (“Pro Milone”) e dai commenti di Asconio. Quest’ultimo ci dà un’idea delle rivalità tra Sallustio e Cicerone:
I tribuni Quinto Pompeo Rufo, Gaio Sallustio Crispo e Tito Munazio Planco furono i primi a organizzare assemblee popolari che erano estremamente ostili a Milone e cercavano di istigare animosità contro Cicerone.
Dal canto suo Cicerone ci fa sapere:
Alcuni….sostengono che è vero che l’omicidio sia stato perpetrato dallo stesso Milone però sotto istigazione di qualcuno più potente di lui. Mi sembra che queste persone abiette e spregevoli cerchino di farmi passare per un bandito e un assassino.
Per coloro che non sapessero di chi si parlava, Asconio chiarisce:
Cicerone si riferiva ai tribuni Quinto Pompeo Rufo e Gaio Sallustio.
Milone venne condannato e andò in esilio. Quello che accadde dopo lo apprendiamo da Cassio Dione: Sallustio fu cacciato dal senato nel 50, apparentemente per condotta immorale. Si sapeva della sua avventura con Fausta, la figlia di Silla, e di come i due furono sorpresi dal marito di lei, proprio Milone. Solo dopo una buona porzione di legnate e dopo aver pagato un’“ammenda” Sallustio riuscì a scappare. A rincarare la dose si fece avanti il grammatico Leneo, un liberto di Pompeo, che forse per vendicarsi dell’atteggiamento ostile di Sallustio verso Pompeo, apostrofò lo storico come “canaglia, mangione e individuo abietto”. Ma il fatto che Sallustio appartenesse al partito di Cesare giocò sicuramente un ruolo in questa vicenda e inoltre gli optimates volevano vendicarsi della sconfitta subita nel caso Milone. Quando Cesare ritornò al potere nominò Sallustio di nuovo questore e così lo fece rientrare nel senato. All’inizio della guerra civile tra Cesare e Pompeo troviamo Sallustio al fianco di Cesare come comandante di una legione che operava in Illiria ma che fu battuta dai pompeiani.
Neanche la successiva “operazione militare” di Sallustio ebbe molto successo. Le truppe di Cesare erano stazionate in Campania nel 47 e si preparavano alla prossima campagna in Africa. Stavolta Cesare non fu in grado di mantenere le promesse che aveva fatto alle truppe, che si ammutinarono. Cesare inviò Sallustio in Campania per cercar di calmare le acque ma, come riferisce Cassio Dione,
….ci mancò poco che i soldati lo uccidessero. Quando gli riuscì di sottrarsi alla loro ira e s’incamminò verso Roma per riferire a Cesare molti dei soldati ribelli lo inseguirono e non risparmiarono nessuno sulla loro strada uccidendo anche due senatori.
Arrivati a Roma, i ribelli vollero parlare con Cesare e si lamentarono degli innumerevoli strapazzi e pericoli ai quali si erano esposti per lui e pretesero non solo che versasse loro la promessa ricompensa ma anche che li congedasse. Cassio Dione:
….ma non volevano veramente tornare a vita privata – questo era lontano dalle loro intenzioni poiché si erano da tempo abituati ai vantaggi della vita militare – in realtà pensavano di esercitare pressione su Cesare e così di poter vedere realizzate tutte le loro richieste: l’occasione era propizia perché Cesare era in procinto di partire per la sua campagna in Africa.
Ma Cesare conosceva bene i suoi uomini; fece finta di accondiscendere e disse:
“Avete ragione, cittadini. Voi siete esausti e pieni di ferite!” e li congedò tutti sul posto come se non avesse più bisogno di loro.
I soldati non erano preparati a questa svolta e si sentirono particolarmente offesi perché li aveva chiamati “cittadini” e non “soldati”. Alla fine la maggioranza si decise per la continuazione del servizio sotto Cesare e la sua armata si trasferì in Africa dove, dopo le prime difficoltà, poté sconfiggere i pompeiani. In questa campagna Cesare conquistò per Roma la Numidia (parte delle odierne Algeria e Tunisia) cui fu dato il nome di Africa nova. Sallustio combatté in queste battaglie al fianco di Cesare e riuscì con un colpo di mano ad asportare ingenti quantità di grano per l’approvvigionamento della truppa dall’isola di Cercina (oggi Kerkennah). Per il suo contributo Sallustio fu lautamente ricompensato; di nuovo Cassio Dione:
…. [Cesare] gli consegnò i Numidii come sudditi, non tanto per governarli quanto per derubarli in grande stile. In ogni caso questa persona si fece corrompere, si appropriò di tante ricchezze e si rese colpevole di tanti ladrocinii che fu accusato e dovette subire parecchia vergogna: infatti, nonostante avesse formulato tanti scritti contenenti amare considerazioni sulle “sanguisughe”, non si comportò secondo le sue parole.
Non era raro che i proconsoli si arricchissero a scapito delle province da loro governate ma nel senato romano era ancora presente un resto di onestà e spesso al loro ritorno questi signori erano portati davanti al giudice. Nel caso di Sallustio sappiamo da diverse fonti che egli fu processato ma anche che Cesare, ora assoluto padrone di Roma, stese una mano protettrice su di lui, si dice dietro un adeguato “kick-back”. Era l’anno 45 a. C. Un anno dopo Cesare fu assassinato.
Dopo la morte di Cesare Sallustio non vide più possibilità di affermarsi nella giungla della politica romana e si ritirò a vita privata nella sua villa. Egli stesso ci fa sapere – all’inizio della Congiura di Catilina:
….quando dopo tante sofferenze e contrarietà mi rimisi in pace ed ero fermamente deciso a passare il resto della mia esistenza lontano dagli affari di stato, non era mia intenzione di sprecare il tempo con ozio inutile oppure di dedicarmi per sempre all’agricoltura o alla caccia, come fanno gli schiavi. Niente affatto; io mi volsi alla mia vecchia passione, dalla quale una volta la mia smania di onori mi aveva distolto, e decisi di scrivere alcune parti della storia del popolo romano….
Al contrario di Sallustio, dopo la morte di Cesare, Cicerone ritenne che la grande occasione fosse finalmente arrivata per giocare un ruolo importante nella politica di Roma. Cercò di spingere Ottaviano al conflitto con Antonio e tenne diversi discorsi infuocati (le “Filippiche”) contro Antonio. Cicerone provocò Antonio continuamente finché questo gli mandò dietro i suoi sicari. Il giovane Ottaviano, non ancora “Augusto”, si era nel frattempo rappacificato con Antonio e non fece nulla per proteggere Cicerone che cercò scampo nella fuga verso il porto di Gaeta, ma fu raggiunto prima di arrivarvi. Allora Cicerone fece posare a terra la lettiga e sporse fuori la testa che gli fu tagliata dai sicari di Antonio.
Suggerimenti bibliografici
(Per una più completa bibliografia vedi: http://www.hortisallustiani.de/ )
Gaio Sallustio Crispo, Opere, a cura di Paolo Frassinetti e Lucia di Salvo, UTET, Torino (eBook).
Ronald Syme, Sallustio, Paideia, Brescia, 2000.
Ronald Syme, La rivoluzione romana, Piccola biblioteca Einaudi, Torino, 2014.
Marco Tullio Cicerone, Lettere ad Attico, a cura di Carlo Vitali, Zanichelli, Bologna, 1960.
Cassio Dione, Storia romana, 8 volumi, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano (in particolare Libri 40-49).