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CAPITOLO 3

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Preparate orsù le pinze e tenaglie roventi, dopo accenderemo il rogo.

( Tomás de Torquemada)

Le guardie, riconoscendo Lucia e consce della sua autorità, non ebbero il coraggio di sbarrarle il passo. La contessina, paonazza in viso, entrò come una furia nel Torrione di Mezzogiorno. Si ritrovò in un androne deserto. Ogni tanto delle grida femminili, soffocate e attutite dalle spesse mura, giungevano alle sue orecchie. Di certo già stavano torturando Mira. Non sapendo dove fosse la sala delle torture, e non riuscendo a capire da dove provenissero le urla della ragazza, spalancò la prima porta che trovò. Il giudice Uberti era seduto dietro una scrivania, assorto a esaminare scartoffie. Sopra il tavolo spiccava un libro dall’elegante copertina e dal titolo scritto in caratteri cubitali “Malleus Maleficarum”.

«Nobile Dagoberto Uberti! Cosa significa tutto ciò? Avevate promesso di giudicare voi la mia ancella, e di essere clemente con lei. Perché, or dunque, consegnarla agli inquisitori? Avete ascoltato a suo tempo la mia testimonianza. Mira si è difesa, mio zio la stava aggredendo, e forse l’avrebbe uccisa. Lei lo ha solo ferito, e in maniera non grave. Il fatto che sia precipitato dal balcone è stato un caso, una fatalità, indipendente dalla volontà della ragazza. Ve lo ho detto e ripetuto: Mira merita una punizione, ma non la morte!»

Il Giudice Uberti, rispetto a qualche anno addietro, ai tempi del processo contro Andrea Franciolini, era visibilmente invecchiato. Profonde rughe solcavano il suo viso, la schiena si era incurvata e, per camminare, doveva aiutarsi con un bastone di legno di noce. Una grave forma di artrosi, testimoniata dalla deformità delle articolazioni delle mani, lo affliggeva. Anche la vista gli era calata notevolmente e per la lettura si aiutava con una lente di vetro montata su un supporto metallico. A quel tempo erano pochi, infatti, coloro che possedevano degli occhiali, che dovevano giungere da Venezia ed erano assai costosi. Sollevò la testa dalle carte e rispose a Lucia con voce pacata, quasi rassegnata.

«Vedete, mia Signora, ho studiato bene il caso, e mi sembra che ci siano molte, troppe incongruenze. Voi siete l’unica testimone, quindi dovrei fidarmi di quello che mi dite. Purtroppo, gli stessi fatti, raccontati da voi e raccontati da Mira, sono in netto contrasto. Voi asserite che vostro zio abbia sorpreso la vostra ancella a rubare nel suo studio. Ma, a parte i libri, lì c’era ben poco da rubare. E notoriamente, Mira non sa neanche leggere. Oltre tutto so bene che vostro zio teneva denari e preziosi in ben altre stanze. Credo invece che Mira sia entrata di proposito nello studio del Cardinale, sperando che, offrendogli il proprio corpo, sarebbe stata ben ricompensata.»

«Cosa volete insinuare, Giudice?»

«Non voglio insinuare niente. Cerco solo di ricostruire come sono andate le cose, e credo di essermi fatto bene il quadro della situazione. Vedete, abbiamo fatto esaminare da esperti il corpo di vostro zio, prima di ricomporlo per la sepoltura. A parte il fatto che non indossava le calze braghe, il Cardinale aveva il membro completamente ricoperto di una sostanza oleosa, un unguento. A detta degli esperti, trattasi di una sostanza a base di essenze vegetali, che solo le streghe sanno preparare. Ma veniamo al sangue di vostro zio. Voi dite che Mira lo aveva ferito in maniera leggera con un coltello, anzi, con un tagliacarte. Ma di sangue ce n’era in abbondanza, sparso per tutto lo studio, e poi intorno al cadavere, tanto che sembra che il Cardinale, più che per la caduta, sia morto dissanguato. Una sola ferita, ma che ha raggiunto in maniera precisa un importante vaso sanguigno. E quello che è strano è che Mira sarebbe dovuta essere molto più sporca di sangue di quanto non l’abbiamo trovata. Aveva sì i vestiti sporchi, ma se aveva colpito con tale precisione, doveva avere mani e braccia lorde di sangue. E invece così non era! E i vestiti? Non erano propriamente i vestiti di un’ancella, erano vestiti di più importante fattezza.»

«E da tutto questo cosa ne avete dedotto?», chiese Lucia, con la voce che iniziava quasi a tremare, per il timore che l’Uberti stesse per snocciolare la storia che la incolpava della morte del suo zio.

«Vedete», e il Giudice mise una mano sopra il Malleus Maleficarum. «Questo libro, fornitomi da Padre Ignazio Amici, mi ha illuminato. Scritto da due inquisitori tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Insitor Kramer, qualche decennio fa, esso indica come riconoscere le streghe, a prescindere dai loro poteri. Tutte possono essere riconosciute da un segno indelebile che portano sulla pelle, un neo, una macchia, una voglia o una cicatrice, spesso nascosto dai peli delle ascelle, del pube, o magari dai capelli. Ecco perché gli Inquisitori, come prima cosa, fanno denudare la strega e le fanno rasare tutti i peli, per poter evidenziare questo segno. Ma per Mira questo non è stato neanche necessario. Lei ha un evidente neo in corrispondenza del labbro superiore, proprio sotto il naso, sopra il quale addirittura crescono dei peli. Padre Ignazio afferma che quello è un segno inequivocabile, e io, dopo aver letto questo testo, convengo con lui.»

«E tutto questo cosa avrebbe a che fare con la morte di mio zio?»

«Ne ha a che fare, più di quanto voi, anche come testimone, possiate immaginare. Il fatto che Mira sia una strega è confermato non solo dal neo, ma anche dalle vesti che indossava quel giorno. I soliti esperti che abbiamo interpellato ci hanno confermato che quelli sono abiti che indossano le streghe più potenti, abiti tramandati da generazione in generazione, da madre a figlia. E veniamo dunque alla ricostruzione dei fatti, come ormai è chiaro siano realmente avvenuti. Mira, forte dei suoi poteri, entra nello studio del Cardinale, con la chiara intenzione di sedurlo e di ammaliarlo. Lo scopo è quello di ottenere denari, molti denari, in cambio della prestazione amorosa. Il Cardinale ci cade, si lascia sedurre, si toglie le calze braghe e si prepara a giacere con la vostra ancella. Ma lei vuol aumentare ancor di più l’appagamento dei sensi della sua vittima, e usa l’unguento, per indurlo a un maggior piacere, e di conseguenza a una maggiore elargizione in denaro. Solo che quell’unguento, in dosi giuste aumenta il piacere della carne, ma in dosi eccessive provoca allucinazioni e visioni. No, Mira non vuole uccidere il Cardinale, è l’ultima delle sue intenzioni: non si uccide la gallina che produce le uova d’oro. Ma la situazione ormai le è sfuggita di mano. Chi ha impugnato il coltello per primo? Forse il Cardinale in preda all’obnubilazione, magari per fingere di minacciare la ragazza in un crescendo di gioco erotico. E lo usa anche per tagliarle le vesti al fine di denudarla. Ed ecco che allora la strega, sentendosi troppo a rischio, fa appello ai suoi poteri. Non tocca il coltello, ma lo guida con la forza magica dei suoi oscuri poteri. Solo con la forza del suo pensiero lo lancia contro la spalla del Baldeschi, in un punto ben preciso. Una sola ferita, ma mortale.»

«E poi?»

«E poi, il tocco finale. Apre la finestra e fa precipitare il Cardinale giù dal balcone, addirittura inducendolo a credere che fosse in grado di volare. E quindi, come giudicare questa donna? Quale punizione merita? Non è stata, come dite voi, semplice difesa. Sia pure che all’inizio non era sua volontà, ha ucciso, e lo ha fatto a ragion veduta. Per di più, grazie all’uso di poteri non comuni a tutti, ma specifici di donne che noi chiamiamo streghe. STREGHE! La morte è la meritata fine per un’assassina come lei. La decapitazione. Ma se è una strega, sappiamo bene che la fine che merita è un’altra.»

«No!», esclamò Lucia, che sentiva il cuore batterle forte nel petto al solo pensiero di vedere Mira agonizzante al di là di un muro di fiamme.

Proprio in quel momento, un grido più forte, proveniente dalla sala delle torture, giunse alle sue orecchie.

«Basta così, giudice! Conducetemi immediatamente nella stanza dove stanno torturando quella poveraccia. Quest’orrore deve avere termine subito!»

«Non ve lo consiglio, non è un bello spettacolo a cui assistere. Padre Ignazio e i suoi torturatori non si faranno certo intimidire dalle parole di una donzella, per quanto nobile sia…»

«È un ordine. Conducetemi nella sala delle torture!»

Il Giudice, intuendo che la giovane sapeva il fatto suo e che poteva avvalersi dei poteri che gli spettavano di diritto, per essere la discendente del Cardinal Baldeschi, nonché la promessa sposa di colui che ufficialmente sarebbe dovuto essere designato Capitano del Popolo, abbassò la testa e obbedì a Lucia. Guidò la giovane per scale e corridoi semibui, fino a raggiungere una possente porta, davanti alla quale due energumeni armati di lance sbarravano il passo a chiunque. Le grida di Mira erano ora vicinissime. A un cenno del giudice, i due sgherri si misero di lato e aprirono la porta. A Lucia sembrò di essere giunta all’inferno. La sua ancella Mira era stata legata sopra un tavolaccio, completamente nuda, con le braccia e le gambe divaricate a formare il disegno di una croce di Sant’Andrea. I peli del pube e delle ascelle le erano stati rasati e ora, mentre uno dei torturatori tirava le catene legate ai polsi e alle caviglie della ragazza mettendo in tensione le articolazioni di gambe e braccia fin quasi a slogarle, un altro, con delle grosse forbici, le stava tagliando i capelli, gettandoli in un braciere acceso. Nello stesso braciere, che emanava un fumo pestilenziale, erano stati messi diversi arnesi di tortura perché si arroventassero. Lucia, nonostante lacrimasse sia a causa del fumo che dello spettacolo cui si era trovata improvvisamente ad assistere, scorse Padre Ignazio Amici prelevare dal braciere una grossa tenaglia e avvicinare le branche incandescenti di quest’ultima a uno dei seni di Mira. Se non l’avesse fermato in tempo, le avrebbe afferrato il capezzolo con la pinza, arrivando fino a staccarglielo.

«Pervertito di un prete che non siete altro. Fermatevi. Che state facendo?», e gli afferrò il braccio che reggeva la pesante tenaglia.

Il Domenicano si girò e, con un sorriso sadico stampato in viso, riconobbe la giovane Lucia Baldeschi.

«Ah, mia Signora. Siete venuta ad assistere alla confessione della vostra ancella? Benvenuta! Ci siamo quasi, ancora poco e ammetterà tutte le sue colpe. In fin dei conti, siete voi che l’avete accusata ed è giusto che siate presente nel momento in cui si condannerà da sola.»

Visto che il Domenicano si era fermato, il torturatore che aveva tagliato i capelli all’inquisita, aveva preso in mano un affilatissimo rasoio, con l’intenzione di rasare la testa della malcapitata.

«Fermatevi, fermate tutto. Slegatela, vestitela e riportatela in cella. Non posso tollerare che una donna sia trattata in questa maniera.»

Il tono di Lucia era autoritario e tutti si fermarono. Anche Mira cessò di gridare. Ma Padre Ignazio la guardò con aria di sfida.

«Qui dentro sono io che comando. Lasciatemi finire il mio lavoro. Dobbiamo scoprire tutti i segni che Mira ha sul suo corpo e che dimostrano che è una strega. E poi dobbiamo ascoltare dalle sue labbra la sua piena confessione. Con quale autorità voi, contessina, volete intromettervi nelle questioni che riguardano la Chiesa e la Santa Inquisizione?»

«Con l’autorità che mi spetta di diritto e che in questo preciso momento reclamo!», gridò Lucia, con una forza d’animo che neanche sospettava di possedere. «Da questo istante sono il vostro Capitano del Popolo, e come tale ho il diritto di decidere anche sulla sorte di questa donna. Voi, carcerieri, eseguite subito quanto vi ho poc’anzi ordinato: slegate Mira, datele dei vestiti e riportatela in cella. Voi, invece, Padre Ignazio Amici, seguitemi nello studio del Giudice Uberti. Debbo parlarvi in privato.»

Lucia, scendendo le scale che riportavano verso la stanza in cui fino a poc’anzi era stata a colloquio con il Giudice Uberti, per cercare di calmarsi ripeteva a se stessa, nella sua mente, gli insegnamenti ricevuti dalla nonna e, in tempi più recenti, da Bernardino.

Conosci te stessa per prima cosa, comprendi l’Arte sin qui misteriosa. Sii disponibile ad imparare, con molta saggezza usa il sapere. Il tuo comportamento sia equilibrato, e il tuo parlare sia ben ordinato. E pure in buon ordine tieni il pensiero…

E sì, doveva ben ponderare le parole e tenere in ordine i suoi pensieri, per non aggredire il Domenicano a male parole e passare dalla parte della ragione a quella del torto. Prima di entrare nella stanza fece due respiri profondi, poi chiese al Giudice di lasciarla sola con Padre Ignazio. Uberti obbedì, anche se titubante, e uscì, chiudendo la porta dietro di sé.

Lucia infisse i suoi occhi nocciola in quelli celesti, quasi acquosi, del sacerdote, a volergli dimostrare che non aveva affatto timore di lui.

«Ministro di Dio, avete la presunzione di chiamarvi? È così che siete testimone del messaggio di Nostro Signore? Gesù è sceso in terra per salvare i peccatori. O mi sbaglio? E voi, invece di predicare l’amore, cosa fate? Godete nel gettare fango sulla povera gente o, peggio, nel vederla morire tra atroci sofferenze. Passino le vostre omelie domenicali in cui accusate presunte streghe di diffondere, con le loro pratiche, il morbo che sta decimando la nostra popolazione. Passi la vostra arroganza nel negare i conforti religiosi agli appestati in punto di morte. Passi anche il fatto che abbiate negato una degna sepoltura a dei cristiani, con la scusa di evitare la diffusione della peste. Ma torturare così una giovane indifesa è troppo. Vergognatevi, e fate ammenda!»

«È Santa Madre Chiesa che vuol questo. Dobbiamo combattere le eresie e il demonio, in qualsiasi forma essi si manifestino», le rispose Padre Ignazio, senza distogliere lo sguardo, a far capire a Lucia che stava accettando la sfida. «Io agisco per perseguire un preciso intento, far rispettare la Regola e le Leggi! Dal momento che attualmente, in questa città, nessun altro si prende la briga di farlo…»

«L’unico intento che perseguite, Padre Ignazio, sapete qual è? Quello di soddisfare i vostri porci comodi. Non crediate che abbia dimenticato quello che stavate per fare a me. Anche se mi avevate ridotto uno straccio, somministrandomi le vostre maledette droghe, ero perfettamente cosciente. Se quel giorno, nella mia stanza da letto, non fosse entrato mio zio, non avreste esitato ad abusare del mio corpo!»

Il Domenicano, colto nel vivo, arrossì in volto e abbassò lo sguardo. Poi cercò di difendersi.

«Non è così, mia Signora. I vostri ricordi sono offuscati. Io stavo solo cercando di fare un esorcismo, che alla fine riuscì. Ed è proprio grazie al mio intervento se siete qui e non siete salita su un rogo anche voi, perché ho esorcizzato il demonio che albergavate!»

«Balle! Tutte balle! Voi siete un falso, un bugiardo, e per di più un opportunista. Mi fate schifo. Sapete cosa penso di voi? Che siete un pervertito. E che siete un impotente! Già, un impotente, che si eccita solo vedendo la sofferenza. Ecco perché godete nell’assistere alle torture, perché solo assistendo a certe scene il vostro membro si erge!»

«Cosa dite, Madonna? State usando un linguaggio che non si addice di certo a una nobile damigella come voi! Vi assicuro che non è così. Il mio unico scopo è quello di far rispettare le leggi, quelle divine e quelle degli uomini. E non sono un impotente, seguo solo la regola del mio ordine, che mi impone la castità.»

Lucia aveva capito, dal tremore della voce del suo interlocutore che stava avendo la meglio, e così decise di lanciare l’affondo finale. Si slacciò il fiocco che stringeva al collo la sua camicetta e, con un gesto repentino e improvviso, l’aprì sul davanti, mettendo a nudo i suoi seni.

«E così, non siete impotente. Orsù, dunque, volevate il mio corpo! Prendetelo ora, che ve lo offro di mia volontà. E dimostrate di essere un uomo che sa amare dolcemente una donzella.»

Padre Ignazio, conscio della trappola in cui lo stava attirando la contessina, arretrò. Lì dentro erano loro due da soli. Sapeva bene che la giovane non si sarebbe fatta scrupolo di accusarlo di aver cercato di abusare di lei, anche con la violenza. E sarebbe stata la parola sua contro quella di lei.

«Copritevi, per favore! Non è corretto da parte vostra cercare di indurmi così in tentazione. Ditemi cosa volete che io faccia, e lo farò», disse con un filo di voce e la testa bassa.

«Lo sapevo che eravate un impotente», continuò Lucia, prendendo dal candelabro sopra la scrivania una candela accesa e porgendogliela. «Perché non provate a versare sui miei seni della cera bollente? Forse così inizierete a eccitarvi, e poi avrete finalmente voglia di possedermi. Ma no, vedo che ancora indietreggiate, vi allontanate da me. Oltre che un impotente, siete anche un vigliacco!»

«Basta, vi prego! Ve lo ripeto: ditemi quello che volete io faccia e lo farò!»

Il sacerdote vide con sollievo Lucia riporre la candela e riallacciarsi la veste, per poi proseguire il suo discorso. Sentiva il sudore imperlargli la fronte e scendere copioso lungo la schiena.

«Volete sapere la verità? Tanto siete un vigliacco e non avrete il coraggio di riferirla a nessuno. Non è Mira la responsabile della morte di mio zio, ma io. Sono stata io a ferirlo e provocarne la caduta dal balcone. E adesso che avete saputo, vi dico quello che voglio che facciate. Proscioglierete Mira dalle accuse di stregoneria. Direte che erano accuse infondate e riconsegnerete la mia ancella al Giudice Uberti. Fatto questo, iniziate a preparare i bagagli. Vi voglio lontano da Jesi, il più lontano possibile. Domani stesso manderò un messaggero al Santo Padre, ad Adriano Sesto, consigliando il vostro trasferimento in Alta Savoia. Lassù le eresie imperversano e un inquisitore come voi saprà bene il da farsi per combatterle. C’è bisogno di voi, in quelle terre di confine, per ricondurre all’ovile le pecorelle smarrite!»

«Il nuovo Santo Padre?», replicò Padre Ignazio, ora impallidendo visibilmente, sentendo tutte le sue certezze venir meno.

«Siete stato così indaffarato a servire la vostra Santa Madre Chiesa, da non essere neanche venuto a conoscenza del fatto che il soglio pontificio è stato occupato dal Vescovo Adriano Florensz da Utrecht, più di quattro mesi or sono? Dopo la morte di Leone Decimo, il conclave ci ha messo parecchio a eleggere il nuovo pontefice. Ma alla fine, ha scelto, e non il Vescovo di Firenze, Giulio De’ Medici, come forse voi vi aspettavate.»

«E quindi, la Chiesa è governata ora da un uomo vicino ai Riformatori? E il nostro legato pontificio? Quando giungerà in sede?» Padre Ignazio era del tutto scosso dalla notizia.

«Come siete mal informato, mio caro! Il Cardinal Cesarini è giunto da Roma già alla metà dello scorso mese di marzo, ma sembra che Jesi non sia una sede che abbia incontrato le sue grazie. Ha lasciato un suo vicario, ritornandosene ben presto in quel di Orvieto. Considerando la sua perenne assenza, le autorità civili ne hanno richiesto la sostituzione. Ma aspetteremo notizie da Roma, che di certo non tarderanno ad arrivare. Datemi ascolto, preparate i bagagli, prima che tutto il male che avete fatto si ritorca contro di voi. Ancora siete sotto la protezione di quell’abito che portate, ma credo proprio che quei panni, ben presto, vi saranno stretti.»

Padre Ignazio, non avendo più nulla da replicare, si diresse a testa bassa verso la porta, uscì passando accanto al Giudice Uberti senza neanche degnarlo di uno sguardo, e si dileguò per i meandri del torrione. Certo, in quei mesi era stato tanto concentrato nel dimostrare che Mira fosse una strega, che aveva perso del tutto il contatto con la realtà!

Ancora frastornata dal colloquio appena conclusosi e immersa nei suoi pensieri, Lucia neanche si era accorta che il Giudice era rientrato nella stanza, aspettando con pazienza che gli rivolgesse la parola. Sentì la frase uscire dalle proprie labbra come se fosse qualcun altro a parlare.

«Le accuse di stregoneria nei confronti di Mira sono cadute. Tocca a voi giudicarla. Siate clemente con lei!»

«La sua colpevolezza nell’essere stata responsabile della morte del Cardinale è ormai ampiamente dimostrata. E, per un assassino, la condanna è la morte. C’è poco da discutere. L’unica clemenza che posso riservarle è quella di un’esecuzione veloce e senza pubblico che assista. Mira verrà decapitata domattina all’alba. Non renderò pubblica la notizia. Sarà una questione tra lei e il boia.»

«L’unica cosa che chiedo è che non soffra», replicò Lucia, stringendosi nelle spalle.

«Un colpo netto, ben assestato, e la testa della giovane rotolerà sul selciato della Piazza della Morte. Mira non farà neanche in tempo a rendersi conto di non avere più la testa attaccata al collo.»

Lucia sentì le lacrime che stavano per prorompere dai suoi occhi, ma le ricacciò, avvertendo il loro sapore salato in gola. I suoi truci pensieri furono interrotti da un insolito clamore, che giungeva alle finestre dall’esterno, dalla Piazza del Palio e dalle vie limitrofe. Una folla di persone, provenienti dal contado, armate di forconi, coltelli e altri rudimentali attrezzi, stava entrando in città da Porta Valle e si dirigeva minacciosa verso la parte alta della città.

«A Palazzo. Raggiungiamo la Curia vescovile!»

«A morte il vicario del Cardinal Cesarini!»

«A morte il ladro, a morte l’usurpatore!»

Lucia, sentendo quelle frasi capì cosa stava per accadere, e capì che la situazione era davvero grave. Doveva far qualcosa per fermare quella gente e per evitare un inutile spargimento di sangue.

Una rivolta popolare, in questo momento, significherebbe la fine per questa città. Devo evitare che questi villani trasformino il centro in una carneficina. La popolazione è già stata decimata dalla peste, ci mancano solo le lotte intestine tra cittadini per ridurre Jesi al lumicino.




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