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LA RIFORMA DELLA CHIESA
SECONDO PAPA FRANCESCO

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MARCELLO SEMERARO

Obispo de Albano (Italia)

Secretario del Consejo de Cardenales

para la reforma de la Curia


La decisione di Francesco di avviare un processo di riforma della Curia romana ha avuto come effetto quello di risvegliare l’attenzione nei riguardi dell’idea stessa di «riforma»: un tema e, soprattutto, un termine per riconciliarsi con il quale la Chiesa cattolica ha dovuto attendere l’evento del Vaticano II. Citerò solo il decreto Unitatis redintegratio, dove al n. 6 si legge:

Cum omnis renovatio Ecclesiae essentialiter in aucta fidelitate erga vocationem eius consistat, ea procul dubio ratio est cur motus versus unitatem contendat. Ecclesia in via peregrinans vocatur a Christo ad hanc perennem reformationem qua ipsa, qua humanum terrenumque institutum, perpetuo indiget. Siccome ogni rinnovamento della Chiesa consiste essenzialmente in una fedeltà più grande alla sua vocazione, esso è senza dubbio la ragione del movimento verso l’unità. La Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno. Puesto que toda la renovación de la Iglesia consiste esencialmente en el aumento de la fidelidad a su vocación, por eso, sin duda, hay un movimiento que tiende hacia la unidad. Cristo llama a la Iglesia peregrinante hacia una perenne reforma, de la que la Iglesia misma, en cuanto institución humana y terrena, tiene siempre necesidad.

Emidio Campi, uno storico valdese, così brevemente commenta, in un saggio recentemente ristampato presso un’editrice italiana: «Dopo secoli di condanna o di dimenticanza, la reformatio ecclesiae ritrova dunque anche in ambito cattolico una valenza positiva e la sua piena legittimità. Oltre a essere concepita come necessaria epurazione di tutto ciò che rappresenta un allontanamento dall’essenza e dalla vocazione della Chiesa, essa è anche disposizione spirituale a operare per l’unità dei cristiano…» 1. A parte la ripresa dell’antico assioma sull’ecclesia semper reformanda, si è ormai convinti che «la riforma è una dimensione costitutiva della chiesa, di ogni chiesa, proprio perché si tratta della Chiesa di Cristo, il quale è la “forma” e il “formatore” della Chiesa, in un dinamismo spirituale che fa di lui un perenne ri-formatore della sua sposa» 2.

Qual è, ad ogni modo, il significato della parola riforma? Nella lingua latina al verbo reformare il Forcellini riconosce due significati fondamentali: uno è quello di tornare ad una forma primitiva, l’altro senso è quello di rendere migliore. Questi due fondamentali significati li conosceva molto bene Y. Congar, il quale vi fece ricorso in una sua notissima opera dedicata, appunto, alla «riforma» nella Chiesa 3. Esponeva al riguardo, tre idee di riforme: anzitutto quella dettata dagli abusi e, perciò, anzitutto una riforma morale che si realizza nell’ordine della vita della Chiesa, ma non ancora in quello della sua fondamentale struttura (e delle sue strutture). Un secondo tipo di riforma sarebbe quella che vuole intervenire proprio sui principi strutturali della Chiesa, ossia dei dogmi, dei sacramenti e della sua struttura gerarchica (quello, per intendersi, cui giunsero i riformatori del XVI secolo, i quali «hanno spinto la loro volontà di riforma fino alla “struttura” stessa della Chiesa». Il terzo tipo di riforma riguarda le strutture storiche e sociologiche ed è quello che a Congar stava maggiormente a cuore. Scriveva infatti: «Ah! Se si potesse rinnovare il volto umano della Chiesa e fare in modo ch’essa appaia meglio come Chiesa di Cristo! In poche parole, si ritengono necessari dei mutamenti in certe forme della vita e anche nelle “strutture” della Chiesa» 4.

Si potrebbe dire, allora, che la riforma è un’istanza fondamentalmente spirituale e costitutiva della Chiesa, che s’esprime anche in riforme 5. D’altra parte il nodo da sciogliere è tutto qui: nella coniugazione tra riforma/conversione personale ed esperienze di riforme che incidano nel corpo della Chiesa. Ci sono, d’altra parte, alcune strutture ecclesiali che invece di aiutare, possono ostacolare, oppure a condizionare un dinamismo evangelizzatore; le stesse buone strutture, peraltro, come disse Francesco nel Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2016, «servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica».

Veniamo, dunque, a Francesco e alla sua comprensione della «riforma». La prima cosa da affermare in proposito, tuttavia, è che egli non si sente propriamente un «riformatore»! Rispondendo a F. De Bortoli in un’intervista rilasciata per il Corriere della Sera del 5 marzo 2014, disse: «Io nel marzo scorso non avevo alcun progetto di cambiamento della Chiesa. Non mi aspettavo questo trasferimento di diocesi, diciamo così».

Il tema della «riforma», tuttavia, compare subito in quel programma di ministero petrino che è l’esortazione Evangelii gaudium. Lì troviamo già indicate e tracciate –senza ancora attendere l’importante discorso del 17 ottobre 2015 per il 50mo d’istituzione del Sinodo dei vescovi– alcune linee per quella «Chiesa sinodale» cui il presente seminario dedica la primaria intenzione. Lì, la sinodalità è anzitutto un

dinamismo di ascolto condotto a tutti i livelli della vita della Chiesa. Dinamismo de escucha llevado a todos los ámbitos de la vida de la Iglesia.

In Evangelii gaudium 223, la sinodalità è intesa come un

occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi […] Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci. Ocuparse de iniciar procesos más que de poseer espacios [...] Se trata de privilegiar las acciones que generan dinamismos nuevos en la sociedad e involucran a otras personas y grupos que las desarrollarán, hasta que fructifiquen en importantes acontecimientos históricos. Nada de ansiedad, pero sí convicciones claras y tenacidad.

In questa Introduzione al seminario, però, mi viene chiesto di individuare delle «chiavi» per comprendere la «riforma» secondo Francesco. Avendo già aperto l’esortazione Evangelii gaudium, rimanderei soprattutto al n. 26 dove si legge:

Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza «fedeltà della Chiesa alla propria vocazione», qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo. Hay estructuras eclesiales que pueden llegar a condicionar un dinamismo evangelizador; igualmente, las buenas estructuras sirven cuando hay una vida que las anima, las sostiene y las juzga. Sin vida nueva y auténtico espíritu evangélico, sin «fidelidad de la Iglesia a la propia vocación», cualquier estructura nueva se corrompe en poco tiempo.

Al n. 27 prosegue:

Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia[NOTA]. Sueño con una opción misionera capaz de transformarlo todo, para que las costumbres, los estilos, los horarios, el lenguaje y toda estructura eclesial se conviertan en un cauce adecuado para la evangelización del mundo actual más que para la autopreservación. La reforma de estructuras que exige la conversión pastoral solo puede entenderse en este sentido: procurar que todas ellas se vuelvan más misioneras, que la pastoral ordinaria en todas sus instancias sea más expansiva y abierta, que coloque a los agentes pastorales en constante actitud de salida y favorezca así la respuesta positiva de todos aquellos a quienes Jesús convoca a su amistad.

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Appare subito chiaro che la «riforma» ha per Francesco un’impronta missionaria. «La riforma è la conversone missionaria –personale, comunitaria, strutturale– di tutto il popolo di Dio», ha scritto C. M. Galli, richiamando sia l’espressione Chiesa in uscita missionaria di Evangelii gaudium 17, sia la convinzione di Bergoglio che questa riforma evangelica e missionaria della Chiesa «implica processi lunghi», comprende l’attivazione del sensus fidei di tutti i credenti e ad ogni livello, e si realizza attraverso «processi sinodali animati dall’utopia del regno di Dio inaugurato dalla Pasqua». «Francesco –conclude Galli– promuove una riforma evangelica ed evangelizzatrice dalle periferie delle povertà» 7.

Nel linguaggio di Francesco ricorre pure, benché in contesti diversi, l’espressione Ecclesia semper reformanda. Così il 9 novembre 2013, festa della Dedicazione della basilica Lateranense, nell’omelia in Santa Marta quando, commentando il vangelo della purificazione del Tempio (cf. Gv 2,13-22), disse che da esso dobbiamo trarre «l’icona della riforma della Chiesa: Ecclesia semper reformanda, la Chiesa ha sempre bisogno di rinnovarsi perché i suoi membri sono peccatori e hanno bisogno di conversione». La prima eco, dunque, che la parola «riforma» suscita nell’animo di Francesco è una riforma della propria vita.

Il tema della reformatio Ecclesiae Francesco lo riprese in modo informale (con riferimenti espliciti e impliciti alla riforma della Curia romana) nelle risposte alle domande dei giornalisti durante il viaggio di rientro dalla Terra Santa il 26 maggio 2014: «Ci saranno incongruenze, ancora ci saranno sempre –disse–, perché siamo umani, e la riforma deve essere continua. I Padri della Chiesa dicevano: Ecclesia semper reformanda. Dobbiamo stare attenti per riformare ogni giorno la Chiesa, perché siamo peccatori, siamo deboli e ci saranno i problemi» 8.

In un contesto più ufficiale, Francesco tornò a parlare di Ecclesia semper reformanda in occasione del V Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze il 10 novembre 2015 a Firenze:

La riforma della Chiesa poi –e la Chiesa è semper reformanda– è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività. La reforma de la Iglesia –y la Iglesia es semper reformanda– es ajena al pelagianismo. Ella no se agota en el enésimo proyecto para cambiar las estructuras. Significa, en cambio, injertarse y radicarse en Cristo, dejándose conducir por el Espíritu. Entonces todo será posible con ingenio y creatividad.

«Riforma», dunque, è ben più di un qualunque mutamento strutturale, ma ciò che è necessario perché nel fluire del tempo e nel cambiamento delle situazioni la Chiesa conservi la sua «sacramentalità», ossia la sua trasparenza nei riguardi di Dio che la fa esistere e in essa dimora 9.

Un altro luogo in cui sulle labbra di Francesco si ritrova l’espressione Ecclesia semper reformanda è il discorso natalizio alla Curia romana del 21 dicembre 2015, quando disse:

La riforma andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza, perché Ecclesia semper reformanda. La reforma seguirá adelante con determinación, lucidez y resolución, porque Ecclesia semper reformanda.

Quest’ultima, breve affermazione è importante anche per comprendere anche gli altri interventi negli analoghi discorsi natalizi. Sbaglierebbe chi pensasse che i rilievi e le questioni ivi emerse riguardassero esclusivamente la Curia romana. Aveva ragione V. M. Fernández quando, rispondendo alla domanda di un giornalista, disse con simpatica ironia: «Non credo che dovremmo concentrarci tanto sulla riforma della Curia romana. Non è un tema che toglie il sonno alle persone, come si usa dire […] la riforma della Chiesa va infinitamente più in là […] perché il suo fine è quello di farla tornare ad essere, in tutto il mondo, un migliore strumento di trasmissione del bene, di diffusione della luce del Vangelo, di creazione di una civiltà dell’amore, di comunicazione dell’amore di Dio che salva, guarisce, unisce, nobilita. Per portare a termine questa missione, è necessario che la Chiesa si trasformi in uno spazio di viva partecipazione dove tutti siano soggetti attivi grazie alla ricchezza dei propri carismi. Credo che la vera riforma debba andare in questa direzione» 10.

Su questa medesima strada l’ecclesiologo italiano S. Dianich auspica che si muova pure l’ordinamento canonico. Anch’egli rimanda alla teologia dei carismi (per la quale attinge in particolare dalla lezione di san Tommaso), nella convinzione che il carisma va fatto emergere nella vita del fedele dall’interno della sua particolare esperienza e dalle sue particolari competenze, perché il carisma non è un superadditum, ma è la sorgente di ogni qualità del cristiano 11.

Quando, dunque, Francesco parla della «riforma della Curia romana», egli non lo fa mai a prescindere dalla reformatio Ecclesiae. È ad essa, anzi, che guarda principalmente e questo mi pare importante al fine di, per usare una sua espressione, «recorrer parcelas pero avizorando pampas, mirar fragmentos pero contemplando formas» («percorrere cortili scorgendo praterie, guardare frammenti, ma contemplare forme») 12. In tal senso, allora, potrà rileggersi il discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2014, quando la paragonò al corpo umano e perciò, come ogni realtà umana esposto anch’esso «alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità». Si ricorderà che in quella circostanza il Papa elencò alcune probabili malattie curiali, e pure che nel successivo 2015, dopo avere rilevato che quelle malattie posso colpire «ogni cristiano, ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia e movimento ecclesiale», aggiunse un «catalogo delle virtù necessarie per chi presta servizio in Curia e per tutti coloro che vogliono rendere feconda la loro consacrazione o il loro servizio alla Chiesa». Si ricorderà pure che al termine dell’analogo discorso del 2016 donò ai presenti una traduzione in lingua italiana delle Industriae ad curandos animae morbos (Accorgimenti per curare le malattie dell’anima), opera scritta dal P. Claudio Acquaviva, S.J. (1543-1615), quinto preposito generale della Compagnia di Gesù, e destinata ai superiori della medesima Compagnia di Gesù. Ora è ben noto che la prospettiva «terapeutica» scelta da Francesco per trattare della riforma curiale ha un buon fondamento non soltanto nell’antica tradizione dei padri del deserto e nelle regole monastiche, ma pure nell’ecclesiologia patristica, ad esempio di san Giovanni Crisostomo e di san Basilio 13.

Un rimando alla reformatio Ecclesiae si può rintracciare anche in ciò che disse il 22 dicembre 2016 alla Curia romana: «Non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!». Le «rughe», infatti, possono essere il risultato di una età avanzata, laboriosa e feconda. L’affermazione potrebbe sembrare estemporanea, benché in linea col linguaggio di Francesco che spesso ricorre alle immagini; non è difficile, però, riconoscervi anche qui una radice patristica: Soltanto la conversione può restituire giovinezza alla Chiesa togliendo le sue rughe e rendendola di nuovo bella 14.

Alla luce di questi richiami (il cui elenco potrebbe allungarsi) si potrà convenire sul fatto che Francesco, quando parla di reformatio pensa certo ad una riforma delle strutture ecclesiastiche: in primo luogo, però, guarda ad una riforma che giunga a toccare la vita dei cristiani, sappia mutarla e trasformarla. «Le due cose –la vita interiore e la riforma esteriore– procedono insieme e contemporaneamente. L’idea di riforma propria di Francesco non è un ideale ma qualcosa di concreto. Senza dubbio egli pensa che una riforma esteriore delle strutture non sia sostenibile senza uno spirito e uno stile di vita adeguati» 15.

In tale contesto interpreta correttamente il pensiero di Francesco E. Bianchi quando scrive: «Papa Francesco coglie il prefisso ri-formare non solo come processo sempre da riprendersi, non solo come recupero di ciò che si è perso ma, in senso “responsoriale”, come risposta, come responsabilità nei confronti della vocazione del Signore. Se la riforma ecclesiale ha come criterio la carità evangelica ed è tale da impegnare tutti i membri, allora può anche essere riforma delle istituzioni. Di conseguenza, secondo Bergoglio, la riforma riguarda anche il papato come forma di esercizio del ministero petrino: ministero voluto da Cristo stesso, essenziale alla vita della Chiesa cattolica, certo. Ma la forma e lo stile del suo esercizio non solo possono ma devono essere riformate, affinché la Chiesa sia sempre più conforme alla volontà del suo Signore» 16.

Altro elemento da considerare per entrare nell’idea che ha Francesco della «riforma» è certamente la sua ispirazione ignaziana. Egli l’ha espressa nel discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2016 quando ha ripreso l’adagio deformata reformare, reformata conformare, conformata confirmare e confirmata transformare. Si tratta di passaggi progressivi che richiamano il percorso delle quattro settimane degli Esercizi spirituali, dove la prima corrisponde alla cosiddetta «via purgativa» (deformata reformare), la seconda a quella chiamata «via illuminativa» (reformata conformare), la terza e quarta settimana corrispondono alla «via unitiva» (conformata confirmare e confirmata transformare).

In questi passaggi la parola «forma», con le diverse accezioni denotate dai diversi prefissi, ha il significato di un lasciarsi plasmare da Dio, come in principio egli fece con Adamo. Gli esercizi spirituali, infatti, sono proprio questo: «Disporre l’anima a liberarsi da tutti gli affetti disordinati e, una volta che se ne è liberata, a cercare e trovare la volontà divina nell’organizzare la propria vita per la salvezza dell’anima» (ES 2) 17.

All’ispirazione ignaziana, A. Spadaro riferisce altri aspetti del pensiero di Francesco circa la reformatio. Anzitutto la dinamica del «discernimento» sicché la stessa riforma della Chiesa «non è un progetto, ma un esercizio dello spirito che non vede solamente bianchi e neri, come vedono coloro che vogliono sempre «fare battaglie». Bergoglio vede sfumature e gradualità: cerca di riconoscere la presenza dello Spirito nella realtà umana e culturale…». Qui il P. Spadaro mi sembra alludere al principio ignaziano del «cercare e trovare Dio in tutte le cose». Un altro aspetto è quello sviluppato alla luce del principio Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est, ch’è l’epitaffio composto per Ignazio di Loyola. Vuol dire che ogni grande progetto di riforma si realizza nel gesto minimo, nel piccolo passo. La riforma, poi, è un processo che affronta i limiti, i conflitti e i problemi che sono parte integrante di ogni cammino spirituale ed anche le tentazioni, poiché il discernimento è anche uno strumento di combattimento spirituale.

Prima di concludere, poiché il tema del seminario intende allargare lo sguardo da Paolo VI a Francesco, mi preme sottolineare un’ultima cosa ed è che nel suo modo d’intendere la riforma, Francesco si mostra molto vicino all’idea maturata in Paolo VI. Nell’Udienza generale del mercoledì 7 maggio 1969, egli disse: «Noi, che non meno d’alcun altro desideriamo la giusta riforma della Chiesa (cf. Ecclesiam suam), pensiamo che sia «un segno dei tempi», una grazia del Signore, la possibilità che oggi è offerta alla Chiesa di attendere alla sua propria riforma. Opera questa che deve sempre essere in atto di riconoscere la fragilità degli uomini, anche se cristiani, e di correggere le loro eventuali debolezze e le deformazioni del corpo ecclesiastico; inteso nel suo senso genuino, possiamo far nostro il programma d’una continua riforma della Chiesa: Ecclesia semper reformanda (cf. Congar, Vraie et fausse réforme dans l’Église. París, Cerf, 21969, pp. 409ss)». Ciò che Montini con queste parole criticava fortemente era un riformismo «estrinseco e polemico, semplicistico e facilone, frettoloso e iconoclasta» fondato su banali manicheismi, laddove, al contrario, è necessario avere a cuore «la riforma intellettuale e morale, la riforma interiore come fondamento del rinnovamento vero della Chiesa nel postconcilio […]. Doveva essere la novità di vita inaugurata dal Vangelo» 18.

En camino hacia una iglesia sinodal

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