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IL ROMANTICISMO
II

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In Inghilterra, il movimento era molto più preparato. Si può anzi dire che l'Inghilterra fu l'unico paese che per arrivare al movimento romantico non ebbe bisogno di rivoluzione. Qui, come in tutto il resto, valse sopra tutto la tradizione. Tanto è vero, che, a differenza dagli altri popoli, gl'inglesi quando vollero innalzare il vessillo del romanticismo, non fecero che rinfrescare l'ammirazione di alcuni grandi scrittori inglesi, in cima ai quali poi splendeva la gloria di Guglielmo Shakespeare. Il falso Ossian, che rinfrescò l'antica voce poetica dei popoli antichi dell'Irlanda e della Scozia, anche il falso Ossian non avrebbe potuto effondere intorno a sè una influenza di entusiasmo e di imitazione così intensa e così vasta, se gli spiriti non fossero già stati preparati. Per cui, quando arrivano in Inghilterra i moderni romantici, i romantici – direi quasi – nel senso tecnico della parola, come lord Byron, lo Shelley e qualchedun'altro, questi sono sopra tutto dei continuatori e anche degli esageratori della vera tradizione della poesia inglese, la quale non si era mai discostata dallo studio diretto della natura. I nuovi venuti avevano solamente sgombrato quel po' di cipria che col regno degli Stuardi si era sostituito al gran vigore di creazione artistica con cui il regno di Elisabetta aveva riempito d'ammirazione il mondo.

E l'Italia? Anche noi abbiamo avuto un romanticismo – diciamo pure – avanti lettera, un romanticismo prima che fosse inventata e volgarizzata la parola. Fra noi la degenerazione dell'umanesimo era stata grande e aveva dato frutti veramente compassionevoli. Eravamo discesi giù giù fino alle inezie canore dell'Arcadia, fino alle cicalate, fino a tutto un lavoro di produzione sporadica, infeconda, amorfa, inconcludente. La letteratura e l'arte ormai in Italia non rappresentavano più nulla di vivo e di energico, perchè non erano più la significazione d'un aspetto vitale dello spirito del popolo italiano. Ma non per nulla fu detto che l'Italia è e sarà sempre il paese delle grandi eccezioni. Anche quando pare che tutto si oscuri e che tutto discenda fra noi, vi è sempre qualche spirito vigoroso che si sveglia e s'inalza sul livello comune e riscatta, per così dire, la universale mediocrità con qualche grande e luminosa iniziativa. Per non essere ingiusti verso noi stessi, dobbiamo riconoscere che mentre l'Arcadia dilagava, mentre la grullerìa e la nullaggine invadevano sempre da ogni parte, pure, ogni tanto, si faceva sentire in mezzo a noi qualche voce libera e potente. A buon conto, in Italia, diciott'anni prima che nascesse il Lessing, noi abbiamo un italiano, l'abate Antonio Conti, che percorre l'Europa, si affiata con Davide Hume, e messo a parte dei segreti di Isacco Newton, studia il genio letterario, artistico dei diversi popoli e fa suo tutto quello che gli pare buono e utilmente imitabile. Non si contenta di riconoscerlo in teoria, ma lo traduce anche in pratica. Compone tragedie, che – pei tempi – sono un documento singolarissimo di originalità e di audacia. Ammira Shakespeare, le letterature straniere in ciò che hanno di veramente ammirevole, combatte i vizi vieti e insostenibili della vecchia rettorica, combatte l'uso e l'abuso della mitologia; insomma è uno spirito nuovo, che si leva in mezzo alla supina sottomissione di tutti gli spiriti intorno a lui. E col Conti noi vediamo» il Baretti, lo stesso nostro mansueto Pietro Metastasio levare un poco il capo, scandagliare l'orizzonte, discutere questa tradizione classica, di cui non rimanevano ormai che formole vuote e documenti degenerati. Viene formandosi insomma una specie di tradizione, una specie di catena, i cui anelli si possono anche contare e distinguere l'uno dall'altro, e che costituiscono appunto quello che, anche per l'Italia, si potrebbe chiamare il nostro romanticismo avanti lettera. La schiera è più numerosa che di solito non sia avvertito. Il nostro Goldoni, per esempio; ma chi più uomo della natura, chi più libero artista del gran commediografo veneziano? E il nostro Parini che pel primo comincia a darci delle pitture mirabili, dei quadretti scintillanti di luce, freschi d'aria, pieni di verità; il Parini che per primo, in mezzo a tutto il lusso delle reminiscenze mitologiche, per primo nel suo Giorno vi descrive il mattino come ve lo potrebbe descrivere, anzi come ve lo potrebbe dipingere un grande paesista moderno, senza nessuna reminiscenza, senza nessuna maniera, senza nessun ingombro di vane immagini tolte dal prontuario dei vecchi poeti? E lo stesso Vincenzo Monti? Vincenzo Monti noi lo consideriamo come l'ultimo vessillifero dei classici intransigenti; e sotto un rispetto è vero, perchè egli fu l'ultimo che quasi sempre proceda poetando col porre il sentimento dell'animo suo in intimo contatto colle reminiscenze dei grandi poeti antichi. Bisogna anche ricordarsi che, dopo avere un momento vacillato dinanzi alla dottrina nuova che accennava dall'orizzonte, si ricordò il suo dovere di vecchio adoratore dei numi di Parnaso e lanciò il famoso sermone contro l'audacia della scuola boreale, la quale voleva bandire la mitologia e alle vaghe finzioni della Grecia e di Roma sostituire quello che egli disse col celebre verso:

L'arido vero che dei vati è tomba.


Eppure quanta vita, quanta modernità di vita anche nelle poesie di Vincenzo Monti! Egli accolse nei suoi poemi tutto ciò che fremeva, tutto ciò che ferveva intorno a lui. Leggete solamente la Mascheroniana, e voi ci troverete la cronaca contemporanea, viva, tumultuaria, urlante, stridente. Quei demagoghi, quegli arruffapopoli della Cisalpina sono descritti nella Mascheroniana con un accento di verità, diciamo la parola moderna, con una crudezza di realismo, quale non sarebbe stato possibile se anche l'animo goliardico di Vincenzo Monti non si fosse aperto all'alito dei tempi nuovi; se egli non avesse sentito che l'arte doveva lanciarsi verso un nuovo ideale: che troppo si era frivoleggiato, che troppo si era imitato, che la storia d'Europa e d'Italia veniva assumendo un aspetto troppo eloquente, troppo serio, perchè fosse ancora possibile il mantenere tra la storia umana e l'arte tutti quei moduletti di antiche reminiscenze classiche passati attraverso le degenerazioni dell'Arcadia.

Da questo e da altri esempi, che qui ometto per brevità, risulta che anche noi abbiamo avuto, in fatto di romanticismo, la cosa prima del nome, e, che in sostanza, anche da noi molto per tempo venne sentito e riconosciuto col fatto tutto quello che formerà poi la sostanza del movimento romantico.

La vita Italiana nel Risorgimento (1815-1831), parte III

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