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Capitolo Quattro

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Matt si svegliò di colpo. Intensi raggi di sole filtravano da due finestre scure, illuminando una stanza vuota. La polvere danzava nei fasci obliqui e l’odore di chiuso permeava ancora l’ambiente, pesante malgrado lui e la donna vi avessero trascorso la notte.

E non una donna qualunque.

Molly.

Alzandosi, si scrollò di dosso la sonnolenza e uscì con passo determinato. La vide all’istante, che camminava sul fianco di una collina poco lontana dalla casa. Sollevato, tirò un profondo respiro. Una parte di lui aveva pensato che fosse andata via.

E in quel caso, sarebbe stato chiaro che era un’impostora. Ma il fatto che fosse rimasta confermava dunque l’ipotetica identità? Matt davvero non sapeva come procedere. Il suo istinto, però, gli diceva che da quel momento in poi la sua vita non sarebbe più stata la stessa.

Sistemò il cappello in modo da ripararsi gli occhi dal sole, quindi la raggiunse. Era l’esatto posto in cui l’aveva lasciata quella sera di dieci anni prima, l’ultima volta che l’aveva vista viva.

«Qualche problema?» chiese.

Lei si spostava avanti e indietro, fissando il terreno. «No, non proprio.» Con le mani sui fianchi, sospirò. «Non è che ricorderesti dove l’ho nascosto?»

«Di che cosa staremmo parlando?» rispose lui, ancora determinato a non cedere di un’oncia.

«Il mio occorrente per la sopravvivenza.» Guardandolo con occhi socchiusi, avvicinò le mani a formare una scatola.

Matt le fissò, affascinato dalle dita lunghe e femminili scurite dal sole.

«Ricordi? La stavo seppellendo quella sera, quella dell’attacco. Era una scatola di metallo con… non so più neanch’io quello che ci misi dentro.»

«Già, chissà perché» ribatté lui ad alta voce, subito pentendosene. Era davvero tanto idiota? Avrebbe dovuto chiederlo a Nathan. Solo lui gli avrebbe detto le cose come stavano.

La giovane lo congedò con un gesto della mano e si voltò, disgustata. «Va’ via, Matt. Non sei per niente d’aiuto, qui.»

Lui sbuffò, sforzandosi di chiamare a raccolta alcune delle buone maniere che per anni sua madre aveva provato a inculcare in lui e in suo fratello. «Perché non provi vicino all’arbusto di quercia?»

Lei lo fissò, poi andò verso il cespuglio irregolare. Afferrò una grossa pietra e prese a scavare, così come aveva fatto proprio quella sera di dieci anni prima.

Abbandonando di soppiatto la festa, era andata lì a nascondere la sua scatola. E lì Matt l’aveva trovata, con il grazioso vestitino giallo sporco di terra e i boccoli castani, raccolti con un nastro dello stesso colore dell’abito, che ricadevano in avanti mentre china sulla buca continuava a scavare con una pietra, proprio come adesso. Gli aveva detto che seppelliva la scatola in caso di un attacco indiano – i Comanche erano stati una minaccia costante, ma sua madre aveva temuto anche i Kiowa a nord e persino i Tonkawa a sud, tanto da generare una leggera ossessione nelle figlie.

Matt sapeva già allora che suo padre e gli altri proprietari di ranch si erano molto prodigati per una convivenza pacifica con gli indiani della zona, tuttavia non era mai riuscito a convincere Molly. E, alla fine, aveva avuto ragione lei. Una consapevolezza che lo feriva come un pugnale nelle viscere.

La pietra colpì qualcosa di solido.

«Non avrei mai creduto di trovarla ancora qui.» Tirò fuori la scatola dal suo nascondiglio nella terra, spolverò la superficie, quindi sollevò con cura il fermo e la aprì.

Lui conosceva già il contenuto – glielo aveva mostrato Molly quella sera prima di seppellire il tutto – ma gettò comunque un’occhiata curiosa oltre la spalla della giovane. Una bussola, una bottiglia vuota per l’acqua, un coltello, dei fiammiferi, un pezzo di stoffa in caso di ferite e sul fondo la vecchia fionda ormai usurata. «Scricciolo» sussurrò lei, sollevandola. Spinse da parte gli altri oggetti ed estrasse un foglio di cartapecora piegato, quindi ripose la fionda.

«E quello che cos’è?» chiese lui.

La giovane chiuse la scatola, la infilò sotto il braccio e si rialzò, con la pergamena sbiadita in mano. «Solo una lettera che a suo tempo pensai di dover nascondere.» Avviandosi verso il ranch, la spiegò e prese a leggere.

Non si accorse che Matt la seguiva e nel voltarsi di scatto gli finì contro.

«Avete mai scoperto chi uccise i miei genitori?» chiese, seria in viso.

«No.» Lui, sua madre, suo padre, gli aiutanti del ranch e gli altri proprietari terrieri che si erano uniti nella ricerca di Molly e degli assassini di Robert e Rosemary Hart avevano incontrato non poche difficoltà. In qualche modo, i sospetti erano riusciti a sfuggirgli.

«Neanche un piccolo indizio?» insistette, speranzosa.

«Seguimmo le tracce degli uomini che vi attaccarono e portarono via te» disse lui «ma senza successo.»

«Quando gli indiani ci assalirono, però, alcuni di quegli uomini furono uccisi.»

«I corpi non furono mai trovati. Avesti modo di riconoscere i rapitori?»

Lei scosse la testa, poi sembrò esitare.

«Che c’è?» chiese lui.

«Non credi neanche alla mia identità. Perché dovrei parlarti dei miei sospetti?»

Matt la guardò, dritto in quegli occhi dall’azzurro intenso… non vi era dubbio: erano quelli di Molly Hart. Il come e il perché non quadravano, ma adesso che la osservava, sotto il brillante cielo texano, ecco che tornavano i sussurri del passato – i loro come pure quelli di migliaia di anni di vite e lotte in quella landa sterile – a echeggiare nella mente e nel cuore, a ricordargli quello che aveva provato il giorno in cui credette di averla persa.

Il corpo di Molly era stato recuperato e avvolto nella coperta in cui giaceva, ai piedi del gruppo di uomini e ragazzi che erano andati a cercarla. I resti testimoniavano crudeli violenze. Stordito, Matt si era allontanato a piedi dalla valle in cui era situato il ranch degli Hart, fermandosi infine in cima a una collina per fissare il tramonto. Le vaste pianure del Texas si estendevano a perdita d’occhio e il crepuscolo gettava sulla terra ombre scure accompagnate da un forte vento.

Sembrava che il soffio imponente gli attraversasse il corpo. La mente, il cuore, i sogni… ogni parte di lui abbracciava quanto restava di Molly.

Aprì la mano e fissò la croce d’oro sulle dita callose. Il dolore che si sforzava di ignorare lo travolse e la tensione nelle viscere si sciolse in maniera tanto rapida che le gambe vennero meno.

Cadde in ginocchio, con il corpo scosso da incontrollabili singhiozzi. Inveì contro Dio, contro i Comanche, contro Robert Hart per aver portato le tre giovani figlie in quel luogo deserto, ma più che gli altri, maledisse se stesso. Se solo non si fosse mosso dal suo fianco quella sera, forse sarebbe rimasta viva.

Ed era viva.

«Ma io ti credo» disse brusco «e mi spaventa a morte.»

«Perché?»

«Perché avrei dovuto trovarti. E ancor più, perché se fossi rimasto con te allora non saresti mai stata rapita.»

Il viso di lei esprimeva sorpresa. «Ma tu non ne hai colpa.»

«Non avrò colpa dell’accaduto, ma delle mie azioni sì. Non riesco a immaginare quello che devi aver sopportato in questi dieci anni. È un miracolo tu sia ancora viva.»

«Ho smesso di credere ai miracoli molto tempo fa» rispose la giovane in un soffio. «È già difficile sopravvivere giorno per giorno.»

«Ti aiuterò come posso.»

Lei gli lanciò un’altra occhiata confusa. «Io non mi aspetto il tuo aiuto.»

«Che cosa vuoi fare? Dove hai intenzione di andare?»

Con espressione rassegnata, lei sedette su un masso lì vicino. «Non lo so. Non ci ho ancora pensato.»

«Mia madre può aiutarti a contattare le tue sorelle.»

«Sì, mi piacerebbe» rispose lei, giocherellando con la pergamena sbiadita nelle sue mani.

«Che c’è scritto?»

Mordendosi il labbro inferiore, ignorò la domanda. «È ancora vivo Davis Walker?» chiese, invece.

«Sì. Gestisce il suo ranch da queste parti.»

Lei annuì e gli porse la lettera.

Cara Rosemary,

non puoi respingermi in eterno. Lo so, mi hai detto di stare lontano ma non ne sono capace, ho bisogno di vederti. Devo sapere perché non vuoi incontrarmi. Che cosa nascondi?

Davis

Matt guardò Molly, sbalordito. «Davis? E tua madre?»

«Così sembra.»

«Come l’hai avuta?»

«Davis venne qui un pomeriggio. Io giocavo fuori e quando lo vidi mi nascosi. Era arrabbiatissimo, bussava e bussava alla porta, ma mia madre aveva portato Mary ed Emma a far visita a Sarah e suo marito. Ti ricordi di Sarah? Aiutava mamma a occuparsi di noi. Alla fine, Davis smise, ma prima di andarsene spinse questa sotto la porta.» Piegò la pergamena con cura. «So che non avrei dovuto, eppure entrai dal retro e la lessi. Ero giovane, ma neanche tanto, questa lettera significava guai. Decisi di seppellirla così che nessuno, e men che meno papà, potesse mai trovarla.»

«Non pensi che abbiano continuato a vedersi di nascosto, vero?»

Molly si strinse nelle spalle. «Non lo so. Ma c’è dell’altro. Quando mi portarono via, quella sera, ricordo chiaramente che gli uomini nominavano Davis Walker.»

«In che senso?»

«Non so bene, ero così confusa. Ma…»

«Pensi che dietro l’attacco alla tua famiglia ci sia Davis?» concluse Matt nel vederla esitare. «Perché non tollerava il rifiuto di tua madre?»

«Da quando ho saputo della morte dei miei genitori, qualche settimana fa, mi sono tornate in mente così tante immagini dell’infanzia che… sì, l’ho pensato.»

A Matt quell’ipotesi non piaceva. Davis Walker era amico di suo padre, così come lo era stato di Robert Hart. Il pensiero che dieci anni prima potesse essere stato responsabile della distruzione di tutte le loro vite lo avviliva.

«Devo trovare Claire» disse lei, alzandosi. «Ieri, per farmi un favore, è andata a dare un’occhiata al Walker Ranch.»

«E dopo che cosa intendi fare?»

«Scoprire se dietro questa faccenda c’è davvero lui» rispose in tono risoluto.

«E se così fosse?»

«Gliela farò pagare.»

Lo Scricciolo

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