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CAPITOLO SETTIMO

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“Riportatemi indietro!” Aurelle insisteva con il capitano del piccolo vascello che la stava trasportando fuori da Astare. “Ti prego, non posso lasciare Greave da solo. Morirà laggiù.”

Non faceva alcuna differenza, come tutte le altre sue suppliche. Il capitano era un uomo grande e grosso, dal viso di pietra che non lasciava trapelare granché, ma adesso sorrideva.

Morirà senza di te lì a proteggerlo?”

L’equipaggio intorno ad Aurelle rise e questo non fece che intorbidire ancora di più il disordine per il dolore, il lutto e la vergogna dentro di lei. Naturalmente, sapeva cosa vedevano quando la guardavano, la stessa cosa che era stata così attenta a proiettare fin dal momento in cui aveva incontrato Greave. I suoi capelli rossi potevano essere liberi di agitarsi al vento invece che essere raccolti in un’elaborata e nobile treccia, ma ogni cosa in lei era ingannevole: gli abiti nobili che la coprivano, la tagliente eleganza dei suoi lineamenti, la sua struttura sottile, tutto fino al semplice fatto che era una donna. Tutto ciò li portava a pensare che fosse qualcuno di debole e indifeso.

Arretrò da lui, cercando di trovare un modo per farlo, per tornare da Greave e spiegargli le cose. Tutto sarebbe andato al suo posto, se solo avesse potuto dimostrargli… se solo avesse potuto dimostrargli che lo amava.

Si aggrappò al parapetto della barca, cercando di capire se poteva in qualche modo tornare a nuoto da Greave, ma ormai era troppo lontano e, in ogni caso, le grandi navi del Regno del Sud l’avrebbero forse fermata prima che fosse giunta a metà strada.

Doveva trovare un altro modo e la Casa dei Sospiri gliene aveva insegnati infiniti.

Osservò i lavori sulla nave, cercando di capire se c’era un modo per farlo accadere per caso. Guardò una mezza dozzina di uomini che si muovevano in concerto per cercare di farla funzionare senza intoppi, ma era chiaro che non c’era modo di invertire la rotta senza il loro aiuto. Ma dopo, che cosa?

Aspettò il momento in cui il capitano si diresse sottocoperta per un minuto o due, poi si infilò nello spazio dietro di lui, seguendolo, cercando di giudicare il modo migliore per farlo. Cosa avrebbe fatto per tornare da Greave? O, più precisamente, cosa non avrebbe fatto?

“Sei qui per cercare di nuovo di convincermi a invertire rotta?” chiese il capitano mentre gli si avvicinava.

“Esatto,” replicò Aurelle. “Devo tornare dal mio principe. Farò qualsiasi cosa per tornare indietro. Qualsiasi cosa.”

Si avvicinò al capitano.

“Credi davvero che funzionerà?” chiese lui.

Aurelle estrasse un coltello e glielo premette contro la gola con un unico movimento fluido.

“Riportami indietro, subito,” gli intimò.

“Uccidimi e i miei uomini uccideranno te,” ribatté il capitano. La parte peggiore era che probabilmente era vero. Con abbastanza posti per nascondersi, Aurelle avrebbe potuto far fuori tutti gli uomini, ma nel piccolo spazio della barca, avrebbe combattuto frontalmente contro sei uomini. Anche un Cavaliere dello Sperone non ce l’avrebbe fatta, forse, e lei non era un cavaliere. Era sempre meglio conficcare un coltello nella schiena che combattere apertamente.

Anche se in qualche modo fosse riuscita a ucciderli tutti, non avrebbe saputo riportare indietro la barca. Aurelle non poteva pilotarla da sola fino al porto.

Perché non inverti rotta?” chiese lei.

Il capitano alzò le spalle. “Sono leale alla corona e sono leale quando mi pagano. Il principe Greave mi ha pagato per portarti fino a Royalsport, ed è quello che farò.”

“Ma morirà lì,” disse Aurelle. “Dobbiamo salvarlo. Io… io lo amo.”

“I miei uomini probabilmente non hanno sentito nulla di quello che tu e il principe vi siete detti,” replicò il capitano, “ma io sì. Io so chi sei. So cosa sei, mia signora, e non ho tempo per questo tipo di inganni. Ti riporterò indietro e sei fortunata che non ti tagliamo la gola e ti buttiamo in mare per aver tradito il principe.”

Tornò sul ponte e ci volle un attimo prima che Aurelle potesse seguirlo; lo shock del suo fallimento la tenne per un attimo inchiodata al suo posto. Era stata così sicura che avrebbe trovato un modo per far tornare indietro la barca, sicura che potesse trovare un modo per manipolare il mondo a suo piacimento. Ora, era bloccata e, con un sospiro, tornò sul ponte.

Lì, vide le banchine di Astare in fiamme.

“No!” gridò Aurelle a quella scena; le fiamme mangiavano le navi, il legno della parte anteriore del molo. Scorse una figura solitaria in piedi sull’estremità ardente di uno dei moli, e la vide precipitare in acqua, mentre il fuoco sembrava consumare il mondo che lo circondava. “No, ti prego, no.”

Aurelle guardò verso il capitano, ma lui alzò ancora la vela, allontanandosi da Astare il più veloce possibile. Non c’era modo che invertisse rotta adesso, non c’era modo che portasse la sua barca fra quelle fiamme che potevano consumarla, disobbedendo ai comandi impartitigli da Greave.

Mentre si aggrappava al parapetto del peschereccio, Aurelle sentiva il suo cuore spezzarsi. Sapeva di provare per Greave più di quanto avrebbe mai dovuto, più di quanto fosse sicuro o ragionevole, eppure questo… poteva fare tanto male perdere qualcuno se lo si amava più di ogni altra cosa al mondo. Almeno, Aurelle pensava che quello fosse il suo caso; non aveva mai amato nessuno in quel modo prima d’ora.

Nella Casa dei Sospiri, Aurelle si era sempre vantata di non essere mai stata toccata da qualcosa di così sciocco come il sentimento. Aveva visto tutti i modi in cui le persone cercavano di usarsi l’una con l’altra; era stata onesta sulle transazioni al centro di tutte le cose, anche quando altri avevano cercato di tessere stupide trame fatte di bisogni o sentimenti, che non facevano altro che essere d’ostacolo. Quando era stata scelta per spiare e agire nell’ombra, Aurelle l’aveva trovato facile. Non le era sembrato un tradimento quando non c’era stato amore.

Adesso, si sentiva una traditrice. Aveva tradito Greave spiandolo e aveva tradito tutto ciò che doveva essere, osando innamorarsi di lui. Aurelle non sapeva cosa fare.

Guardò il porto in fiamme e, proprio in quel momento, sentì il suo cuore ridotto allo stesso modo, andava a fuoco con una tale ferocia che presto non sarebbe rimasto nulla se non cenere. Aurelle suppose che quel tipo di danno potesse compromettere l’invasione del Regno del Sud, ma non era una consolazione. In ogni caso, la battaglia ad Astare si era tenuta e la città era loro.

La cosa peggiore era che i suoi datori di lavoro sarebbero stati probabilmente contenti per il modo in cui erano andate le cose. Poteva quasi immaginare il modo in cui il Duca Viris avrebbe sorriso, appena gli avesse detto che la biblioteca che conteneva la cura per la malattia a squame era stata bruciata, che il principe che l’aveva cercata era scomparso, insieme all’ultima pagina della ricetta.

Anche se avesse provato a dirgli che era accaduto tutto per caso e non per sua mano, il duca avrebbe forse supposto che fosse solo prudente e sarebbe stato più che contento di com’erano andate le cose. Aurelle poteva immaginare anche il modo in cui avrebbe voluto festeggiare, perché un uomo del genere non l’avrebbe mai vista come qualcosa di diverso da una cortigiana, nonostante quanto avesse fatto per lui.

Meredith… Aurelle sapeva che la maitresse della Casa dei Sospiri agiva sempre nell’interesse dell’equilibrio, del regno e della Casa, che cercava sempre di proteggere le donne e gli uomini che la servivano. Aurelle non poteva biasimarla per aver preso i soldi del duca, sapendo che se la missione fosse riuscita, la Casa dei Sospiri avrebbe acquisito una certa influenza su di lui.

Ma poteva dare la colpa al Duca Viris e a suo figlio. Probabilmente, lui pensava che Aurelle fosse stupida e incapace di capire i suoi piani. Il suo desiderio di destabilizzare la famiglia reale e, allo stesso tempo, di spingere Finnal sempre più in alto era così ovvio, visto cosa stava succedendo. Il fatto che uomini come lui così spesso la pensassero in quel modo, era almeno una delle ragioni per cui la Casa dei Sospiri era così brava in quello che faceva.

Greave era diverso… non l’aveva vista in quel modo, e quel pensiero bastò a far correre una nuova ondata di dolore attraverso Aurelle. Lui era stato l’unico ad averla amata per quello che era e non per quello che poteva fare per lui. L’unico ad averla mai amata, e ora se n’era andato.

Aurelle restò lì in piedi, sentendosi del tutto vuota, mentre Astare scompariva in lontananza. Non sapeva cosa avrebbe fatto ora, né dove sarebbe andata una volta tornata a Royalsport. Non voleva dire al Duca Viris che ci era riuscita, che tutti i suoi piani stavano andando a buon fine.

Capì quello che voleva fare invece; era stupido, pericoloso e probabilmente l’avrebbe fatta finire in più guai di quanti potesse sperare di superare. Se solo fosse tornata indietro e avesse finto di aver svolto il lavoro alla perfezione, sarebbe stata ben pagata e magari avrebbe anche acquisito una posizione di potere in tutto ciò.

Aurelle non voleva fare nulla di tutto questo. Non sopportava il pensiero di un mondo in cui Greave non c’era più, ma in cui Finnal era salito al potere mentre il Duca Viris sorrideva sullo sfondo; la faceva sentire come avesse delle unghie conficcate nella pelle che procedevano a squarciarla. Non sopportava quel pensiero… quindi perché non fare qualcosa al riguardo?

Quello che stava contemplando non avrebbe riportato indietro Greave. Non avrebbe disfatto nessuno dei danni che aveva contribuito ad arrecare al mondo, non avrebbe sistemato le cose, ma forse, solo forse, avrebbe reso il mondo un posto migliore.

Li avrebbe uccisi entrambi.

L’anello dei draghi

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