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CAPITOLO OTTAVO

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L’acqua sbatteva Renard, scaraventandolo a destra e a sinistra come un marito che era tornato prima del previsto, cosicché sembrava rimbalzare fuori dall’acqua stessa. Era un uomo grande e grosso, ma la corrente lo lanciava come un giocattolo, spostando il suo peso come se fosse nulla.

Si impigliò nel mantello che indossava, facendolo diventare un peso di piombo intorno alle sue spalle. Sbrindellò l’indumento, togliendoselo di dosso, ma la fibbia si impigliò nel rosso dei suoi capelli, tenendolo in posizione mentre si lacerava contro una roccia. Si strappò una ciocca di capelli chiari e si liberò, spinto in avanti dalla corrente.

Lottò per tornare in superficie, cercando di ricordarsi perché gli era sembrata una buona idea gettarsi in acqua. Venne su, riuscì a prendere fiato e ricordò tutto quando vide la grande massa rossa del drago che indugiava in lontananza. Rispetto a essere bruciato vivo, cos’era un po’ d’acqua?

Il fiume rispose, trascinandolo di nuovo sotto, spingendolo con una velocità maggiore di quella che Renard avrebbe mai potuto raggiungere fuggendo a cavallo. Urtò delle rocce, sentendole sbattere contro le sue costole, e dovette usare le braccia e le gambe per allontanarsi dalla peggiore di esse prima che potesse inciderlo.

L’unica consolazione era che peggio di così non poteva andare.

Tornò in superficie e si pentì subito anche solo di averlo pensato. Davanti a lui, l’acqua cedeva il passo a spruzzi e schiuma, mentre il fiume sembrava semplicemente scomparire al di là degli spuntoni di alcune rocce. Una cascata o una diga giaceva davanti a lui, e Renard non voleva davvero scoprire passandoci sopra quale delle due fosse.

Nuotò verso la riva, non volendo affrontare il fiume in maniera diretta, ma trascinandosi in posizione angolare. Si rese conto, grazie a due primi colpi, che non avrebbe funzionato. Il fiume era troppo forte e lo trascinava troppo velocemente. Adesso, Renard doveva scegliere se rischiare di andare oltre il bordo oppure schiantarsi contro le rocce che poteva vedere; ma, del resto, di recente, sembrava che tutta la sua vita fosse diventata un bivio fra due scelte di quel tipo.

Renard intuì che la maggior parte delle persone avrebbe scelto le rocce, cercando di aggrapparsi a esse per evitare di affrontare la cascata. Probabilmente, come risultato, sarebbero stati colpiti a morte da esse, ma Renard non era mai stato fra quelli che si aggrappavano all’opzione sicura. Nuotò verso il passaggio tra esse, si prese un momento per osservare il precipizio che si estendeva per un centinaio di metri o più fino al fiume sottostante, e poi stava cadendo.

Trasformò la caduta in un’immersione come meglio poteva, ma nonostante ciò, l’eleganza non aveva molto a che vedere con il modo in cui cadde nelle acque che lo aspettavano. Laggiù c’era una piscina circolare, e doveva solo sperare che fosse abbastanza profonda, o la sua caduta sarebbe finita all’improvviso.

Allungò le mani, dividendo l’acqua a metà mentre la colpiva con un impatto che gli fece stridere le ossa. Inarcò la schiena, cercando di rendere la sua immersione più debole, ma anche così, colpì il fondale della piscina con una forza sufficiente a togliergli il respiro.

Sopra, Renard vedeva la superficie come un cerchio di luce che sembrava troppo lontano per allungare una mano e poterlo toccare. Gli stavano già iniziando a bruciare i polmoni e dovette lottare per non prendere fiato mentre si avviava verso la luce.

Sembrò volerci un’eternità per arrivarci. La sua vista cominciò a oscurarsi e la pressione ad accumularsi nella sua testa, fino a quando sembrò potesse esplodergli. Presto avrebbe ripreso a respirare, che lo volesse o no, e questo avrebbe significato che l’acqua gli si sarebbe riversata dentro, affogandolo…

Renard irruppe in superficie, ansimando in cerca d’aria. Alzò lo sguardo e vide la cascata fragorosa che svettava sopra di lui; da laggiù sembrava ancora più alta di come gli era parsa nella caduta. L’acqua precipitava violenta intorno a lui e, in quel preciso momento, gli sembrava la cosa più rinfrescante del mondo, perché significava che era vivo.

“Sono vivo!” gridò al mondo, forse in una mossa stupida, dato che aveva già stabilito con sua soddisfazione che gli dei si stavano divertendo un sacco a tormentarlo. Partì a nuoto verso il bordo della piscina.

Quando lo raggiunse, si trascinò fuori dall’acqua e su una sponda rocciosa, inzuppato fino alla pelle ed esausto. Rimase sdraiato lì per quella che parve un’eternità, mentre il sole batteva così forte da fargli sembrare che l’acqua evaporasse da lui.

Controllò i suoi averi, cercando di capire cosa fosse sopravvissuto al viaggio fino alla valle del fiume. Non aveva una spada, ma aveva ancora un lungo coltello legato all’anca. Il suo sacchetto di monete era sopravvissuto, il che significava che aveva ancora un bel po’ di soldi grazie all’amuleto che aveva venduto a Geertstown.

Renard sapeva senza guardare che l’amuleto era ancora lì. Poteva sentirlo tirare ai margini della sua esistenza e succhiargli la vita a poco a poco. In quel momento, si sentiva ammaccato e ferito, esausto e a malapena in grado di riprendere fiato. Tuttavia, riusciva a sentire qualcosa di molto più insidioso sotto a tutto ciò, mentre l’amuleto gli toglieva la vita.

Perché non era già morto? Renard non era qualcuno che in condizioni normali si sarebbe posto una domanda del genere, perché sembrava solo un invito per il peggio, ma in quel momento non poteva fare a meno di chiederselo. Non poteva fare altro che riflettere, dato che nonostante fosse consapevole che vi fosse un drago da qualche parte in lontananza, che forse lo perseguitava, era troppo esausto per muoversi in quel momento.

Il ricettatore a cui aveva venduto l’amuleto era morto nel giro di neanche un’ora, così prosciugato da sembrare a malapena umano. Sì, l’uomo era vecchio, ma Renard non riusciva a credere che questo potesse bastare a fare una simile differenza. C’era qualcos’altro che non capiva.

Alla fine, riuscì a spingersi in posizione seduta e poi in piedi. Sapeva senza che gli venisse detto cosa doveva fare, lo sapeva dal momento in cui aveva rubato l’amuleto a Geertstown: gli serviva l’aiuto di uno stregone.

Il problema era sempre lo stesso. Gli stregoni erano tutt’altro che comuni, e trovare qualcuno che sapesse abbastanza di magia da trattare con un amuleto di cui anche gli Invisibili, nonostante il loro terribile potere, avevano paura… Come poteva sperare di trovare un uomo che potesse farlo?

Renard cominciò a camminare, con i vestiti che gocciolavano a ogni passo. Aveva fatto una dozzina di passi prima di realizzare da che parte stava andando. La posizione del sole gli diede la risposta. Stava andando verso est, in direzione di Royalsport.

Sapeva che era una mossa stupida, perché tutte le voci a Geertstown sostenevano che la guerra stava dilaniando l’est. Una città piena di ladri e contrabbandieri appariva adesso un rifugio sicuro, rispetto a quello che stava avendo luogo nel resto del regno.

Certo, una discreta parte di Geertstown era adesso in fiamme, a causa del drago che era andato a cercare l’amuleto.

Renard lo estrasse, fissandolo. Un frammento di squama di drago giaceva al centro di una montatura ottagonale e ogni lato esibiva una gemma di colore diverso, che brillava alla luce del sole.

“Avrei dovuto lasciarti indietro,” disse Renard all’amuleto. “Ma quando ho mai fatto la cosa giusta?”

In questo caso l’aveva fatta, però. Se l’era ripreso a causa di tutti i danni che avrebbe altrimenti potuto provocare, e perché l’alternativa era che qualcosa di così potente finisse nelle mani degli Invisibili. Quella motivazione era stata già di per sé sufficiente a far fare a Renard il doppio gioco con le persone che potevano farlo a pezzi con la magia.

Un viaggio a Royalsport per trovare uno stregone non era niente in confronto a questo. Sapeva di chi aveva bisogno, perché c’era solo un uomo che poteva aiutarlo in una cosa del genere: lo stregone del re, il Maestro Grey. Doveva andare da lui, anche se questo significava intrufolarsi in qualsiasi violenza vi fosse là fuori, a est, e chiedergli aiuto.

Questo, oppure mettergli in mano l’amuleto e scappare, sperando che bastasse a spezzare la connessione e che il mago sapesse cosa fare.

Ad ogni modo, Renard continuò a camminare, lungo quel terreno roccioso; proseguì nella speranza di trovare una strada. Quando individuò un sentiero, lo seguì fino al punto in cui sfociava in una strada più ampia e proseguì ancora.

Giunse al villaggio successivo prima di permettersi di guardare indietro; fu il pensiero di ciò che poteva essere in agguato lì a fargli tenere gli occhi incollati in avanti così a lungo. Alla fine, però, Renard non poté farne a meno. Si guardò alle spalle, guizzando con gli occhi dalla terra al cielo.

Non passò molto tempo prima che trovasse ciò che cercava. Non era più grande di un puntino adesso, ma c’era; e Renard comprese che non si sarebbe fermato in quel villaggio, né in qualsiasi altro, più a lungo di quanto ci avrebbe messo a rubare un cavallo.

Il drago era sospeso in lontananza, volava lento sulla sua scia, e Renard sapeva che se non avesse raggiunto lo stregone al più presto, lo avrebbe provato di nuovo a carbonizzare, guerra o non guerra.

L’anello dei draghi

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