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UN PROGETTO DI INSEDIAMENTO IN SICILIA DELLA CORTE DI BENEDETTO XIII

Salvatore Fodale Università di Palermo

Il 21 novembre 1412 il papa, o antipapa, Benedetto XIII dette al nuovo re d’Aragona Ferdinando I l’investitura per anulum aureum del Regno dell’isola di Sicilia, come fu denominato, stabilendo che fosse unito per unione personale al Regno d’Aragona1. Un anno dopo, nel settembre 1413, in Sicilia dal parlamento riunito a Catania fu nominata un’ambasceria, che giunse a Saragozza nell’aprile 1414. Sottopose a Ferdinando le aspirazioni siciliane all’autonomia, rappresentate dalla richiesta di avere nell’isola un re separato, un proprio re, che fosse figlio del re d’Aragona. Congiuntamente l’ambasceria siciliana si occupò del riordinamento della confusa situazione ecclesiastica determinata in Sicilia dal lungo scisma2.

L’intrecciarsi delle complesse vicende politiche e istituzionali dell’isola con quelle ecclesiastiche relative allo scisma aveva determinato, dopo lo sbarco catalano-aragonese del 1392, una serie di condizioni per le quali uomini di chiesa di diversa obbedienza pontificia si erano contrapposti, potenziando la normale conflittualità, soprattutto di natura economica, che aveva pervaso e pervadeva il mondo ecclesiastico. Alla diffusione di situazioni reciprocamente considerate scismatiche si era accompagnata una parziale, ma significativa, catalanizzazione della Chiesa siciliana. Precise ragioni di carattere politico e militare ed interessi economico-finanziari avevano determinato tutti gli interventi di Martino d’Aragona, e del figlio omonimo re di Sicilia, a lui sempre subordinato, senza alcun piano generale di obbedienza pontificia unitaria del Regno siciliano. Subito abbandonato il velleitario progetto di adesione al papa avignonese Clemente VII, col quale l’accordo si era arenato per la difficoltà di risolvere il rapporto con Luigi d’Angiò, pretendente al regno napoletano, fortemente sostenuto dal papa, Martino l’Umano aveva preferito adottare con realismo, nella Sicilia in rivolta contro i catalani, e poi mantenere dopo l’ascesa al trono aragonese, nonostante l’avvenuta e condizionante adesione di Giovanni I a Clemente, una vantaggiosa politica ecclesiastica che non apertamente e dichiaratamente, ma sostanzialmente, benché segretamente e confusamente, richiamava in Sicilia l’indifferenza, apertamente dichiarata e abilmente praticata da Pietro il Cerimonioso in tutta la Corona d’Aragona3.

Invece Ferdinando I, coerentemente con l’investitura feudale ricevuta da Benedetto XIII, che era in Sicilia l’unica fonte di legittimità per il suo regno, il 3 aprile 1414 rinnovò agli ambasciatori siciliani, perché fossero applicate anche nell’isola, le disposizioni emanate il 22 gennaio per i territori della Corona, che imponevano a tutti i prelati l’abiura nei confronti degli altri due papi, Gregorio XII (il papa della linea romana, risalente ad Urbano VI) e Giovanni XXIII (il papa della linea più breve e recente del Concilio di Pisa), e la sottomissione di tutta la Sicilia a papa Benedetto. Mentre il grande scisma d’Occidente si avviava a soluzione con la convocazione imperiale del Concilio di Costanza, la Sicilia, dove tutte e tre le obbedienze pontificie erano confusamente, ma liberamente presenti, venne tardivamente e forzatamente allineata agli altri possedimenti della Corona nell’obbedienza unitaria a Pietro de Luna. Il fondamento del provvedimento di Ferdinando era costituito dalle risultanze dell’inchiesta di legittimità che suo padre Giovanni I nel lontano 1381 aveva promosso come re di Castiglia.

Poco prima che re Ferdinando prendesse tali provvedimenti, il 20 gennaio 1414 Benedetto XIII aveva già delegato pieni poteri al vescovo di Barcellona per tutto quanto riguardasse l’abbandono dello scisma nel Regno di Trinacria, come aveva continuato a denominarlo nel rispetto della tradizione della sede apostolica4. Città e terre, vescovi ed abati siciliani, priori e provinciali degli ordini religiosi sottoscrissero gli atti di sottomissione a Benedetto e di abiura verso gli altri due pontefici5. Secondo una relazione proveniente dalla sua curia6, il 13 giugno il papa Luna poteva finalmente ritenere con soddisfazione di avere ormai assicurata la piena obbedienza di tutto il Regno dell’isola di Sicilia7. In realtà a quella data il progressivo allineamento della Sicilia non era completo, come incerto era ancora il potere del re sull’isola. La stessa fonte riporta del resto il quadro dei conferimenti o riconferimenti successivi di cattedrali, abbazie e benefici da parte di Benedetto XIII, il quale il 21 agosto nominò un nunzio apostolico nel Regno di Trinacria, affidandogli la riscossione dei diritti spettanti alla Camera apostolica, da esercitare con molta discrezione e cautela: «prudenter et dulciter, sine scandalo». La dolcezza, applicata all’esazione delle imposte, è certamente rivelatrice da parte di un’amministrazione finanziaria di una situazione di estrema delicatezza8. Per quanto riguardava prelazie e benefici ecclesiastici ricevuti in precedenza da pontefici di un’altra linea, e ora riconcessi da Benedetto, si trattava di riscuotere per la seconda volta tasse che erano già state versate, anche se ad una diversa amministrazione finanziaria. Fu necessario che la Camera apostolica di Benedetto XIII ricorresse ampiamente alle transazioni con gli ecclesiastici siciliani, riducendo notevolmente le somme da pagare.

Agli ambasciatori siciliani arrivati nella primavera del 1414 per discutere una materia dibattuta nell’isola dalla morte nel 1409 del re Martino il Giovane, che nella sostanza atteneva al governo del Regno: la richiesta, che sarà mantenuta negli anni seguenti, di avere di nuovo in Sicilia un proprio re, con la sua corte, il papa aragonese prospettò il proprio trasferimento nell’isola.

La portata dell’intenzione manifestata da Benedetto XIII e l’effetto in grado di produrre sui siciliani vanno compresi, non solo alla luce delle vicende e difficoltà attraversate dal suo pontificato, che lo spinsero alla ricerca di un rifugio sicuro, ma anche riflettendo sia sulla storia dell’isola, che a partire dalla rivolta del Vespro aveva vissuto in un clima di combattivo ghibellinismo, sia sulle pretese, ormai di lunga durata, della Sede apostolica, per la quale in Sicilia il papa era al di sopra del re, suo vassallo, era il dominus territoriale, essendo l’isola terra Ecclesie. Si poteva immaginare o pretendere che la presenza di Benedetto XIII con la sua corte, di un papa così fermo e ostinato, che era stato appena riconosciuto come il vero papa, ma che nessun altro più riconosceva, avrebbe soddisfatto le richieste di autogoverno dei siciliani, i quali invece della presenza del re avrebbero addirittura ottenuto quella del papa, che sul Regno aveva l’alto dominio, e della sua corte? Delle reazioni siciliane non troviamo notizia, ammesso che il progetto pontificio riuscisse a vivere abbastanza da pervenire nell’isola.

Compiti speciali furono affidati da Benedetto XIII verso la fine di settembre del 1414 a due vescovi siciliani che avevano fatto parte dell’ambasceria, affiancati dal collettore che il papa aveva nominato per riscuotere i diritti, anche passati, della Camera apostolica. Comprendevano la predicazione in tutto il Regno di Sicilia dell’obbedienza al papa, da delegare a quattro frati mendicanti, e la riduzione forzata all’obbedienza dei siciliani pertinaci nello scisma.

In questo quadro si colloca l’invio nell’isola di un ecclesiastico, Antoni Caldés, rettore nella diocesi di Valencia della chiesa parrocchiale de L’Ènova, lo stesso personaggio che all’inizio del 1406 in un registro della Camera apostolica9 figura come uno degli esecutori testamentari del defunto cardinale Pere Serra, già amministratore dell’arcivescovato di Monreale, poi vescovo di Catania, e cancelliere del re di Sicilia come primogenito del re d’Aragona. Il Caldés aveva avuto uno stretto rapporto personale col Serra, del quale era stato il camerlengo e dopo il 1402 vicario generale a Catania, e possedeva quindi un’esperienza approfondita e una conoscenza diretta della situazione siciliana. Chierico della diocesi valenciana, nel 1378 era a Roma studente nello studium urbis. Bacallarius in decretis, nel 1397 era stato incaricato di trattare con Benedetto XIII la spinosissima questione della consegna dell’anello e del cappello cardinalizio al Serra, che il re non voleva assolutamente accompagnare con la tradizionale cerimonia pubblica. E altri delicati incarichi aveva svolto in seguito per conto di Martino e del cardinale presso il papa avignonese, col quale i rapporti del re furono a volte assai conflittuali, prima di passare alla curia pontificia dopo la morte del Serra10.

Il Caldés fu incaricato da Benedetto XIII di accertare quali fossero state le reazioni dei siciliani alla notizia, che riteneva dovesse essere stata diffusa, della imminente venuta del papa nel Regno11. Avrebbe dovuto registrare soprattutto le reazioni nelle quattro principali città, che erano prese in considerazione, oltre Palermo e Catania, anche Siracusa e Trapani, alla quale in verità non spettava il titolo di città, perché non era sede episcopale. In particolare avrebbe dovuto accertare quale tipo di accoglienza sarebbe stata riservata a Benedetto XIII e alla corte pontificia, se egli avesse deciso di stabilirsi a Catania o a Palermo (è da considerare che a Catania, città fortemente catalanizzata, più a lungo che a Palermo avevano risieduto i re della Casa d’Aragona e la corte nel corso del Trecento) e indagare se la venuta del papa nell’una o nell’altra città avrebbe incontrato il favore generale o di una parte soltanto. Non era comunque escluso che Benedetto e la sua corte potessero stabilirsi in un’altra delle città siciliane. Il Caldés avrebbe dovuto valutare quale fosse la città più adatta e meglio disposta ad ospitare il pontefice e la curia. Catania o Palermo sembravano comunque le residenze più probabili e l’indagine doveva rivolgersi soprattutto ad esse.

A Catania il papa avrebbe potuto risiedere per una parte dell’anno nel castello (il castello Ursino, residenza reale, ma pure dell’Alagona, vicario generale e dominus cittadino) e ne andava quindi accertata l’idoneità: «si lo castell és dispost per a estar e reposar-y algun temps del any», ma specialmente d’estate il papa avrebbe preferito una residenza situata più in alto, lungo le pendici dell’Etna, da dove avere la vista della città, dei giardini, dei dintorni e della marina: «com vulla tostemps, maiorment en l’estiu, de estar en loch alt, per veure la ciutat, la orta e les circumstàncies e marítima». Per le esigenze della corte pontificia, il Caldés avrebbe dovuto verificare l’esistenza a Catania di palazzi idonei ad alloggiare prelati di curia e cardinali («quins alberchs y ha per als senyors cardenals e prelats de cort»), e accertarsi se vi fosse per il papa un altro palazzo, che fosse notevole e vicino alla cattedrale, per le frequenti celebrazioni solenni che Benedetto XIII vi avrebbe tenuto («e si n’i ha algun notable per a la sua santedat prope la esgleya maior, per lo celebrar que fa in pontificalibus diverses vegades»).

Analoga indagine circa l’accoglienza che la città avrebbe riservato al papa e l’esistenza di alloggi idonei per cardinali e prelati, sopratttutto vicini alla cattedrale («maiorment prope la seu»), Antoni Caldés avrebbe dovuto svolgere anche a Palermo, dove si pensava che Benedetto XIII potesse risiedere non nel palazzo reale, ma nello Steri, il palazzo che era stato della famiglia Chiaromonte, come gli Alagona vicari generali del Regno, che avevano esercitato sulla città demaniale la loro signoria. Avrebbe dovuto verificare l’adeguatezza dello Steri come residenza pontificia e di quali addobbi avesse bisogno («se deuen pendre esment del Ester, hon nostre senyor lo papa haurà a posar, si y ha bona disposició per a estar-y nostre senyor lo papa, o no, e quins adops y hauria mester»), ma doveva anche informarsi dell’eventuale esistenza nella città di altre possibili sedi per la residenza del papa («si ha altra habitació dins la ciutat per a nostre senyor lo papa, sens lo dit Esteri»).

Oltre alla questione degli alloggiamenti per cardinali e curiali, che in passato aveva visto episodi anche drammatici, come per il trasferimento di Urbano VI nel piccolo castello di Nocera in Campania12, Antoni Caldés doveva esaminare l’altra questione cruciale dell’approvvigionamento della corte. Lo doveva fare particolarmente per Palermo, esaminando prezzi e mercati («quin mercat y ha, ne quals coses y són pus cares»), specificamente per l’acquisto di frumento, vino, carni, volatili («com és fornida la dita ciutat de forment, de civada, de vi, de carn, de volateria»), ma anche per ogni altro genere alimentare, ed inoltre per l’avena da biada, e la possibilità di fare acquisti in mercati fuori dal luogo di residenza («si faent provisions d’altra part a quin for les hauria la cort posades en la ciutat»).

Di ogni cosa il papa, per poter decidere, desiderava ricevere una particolareggiata relazione («de totes e cascunes de les dites coses saber, veure e considerar los partits per extensum»), accompagnata da una regolare e costante informazione e consultazione della Camera apostolica, utilizzando il flusso delle imbarcazioni da e per la Sicilia13.

L’analisi delle condizioni richieste per il trasferimento in Sicilia di Benedetto XIII e della sua corte era collegata al progetto matrimoniale tra l’infante Giovanni, secondogenito di re Ferdinando, e la regina napoletana Giovanna II d’Angiò Durazzo14, il cui contratto fu concluso a Valencia il 4 gennaio 1415. Il Caldés avrebbe dovuto anche accertare le opinioni e gli umori dei siciliani in merito al matrimonio, e più in generale rispetto alla politica nei confronti del regno napoletano (l’altro Regno di Sicilia). Le informazioni da raccogliere e trasmettere al pontefice avrebbero dovuto riguardare anche lo stato interno di quel Regno e le reazioni dei napoletani al matrimonio, comunicando chi si opponesse. Una volta che l’infante fosse giunto a Napoli, il Caldés avrebbe dovuto trovare il modo per continuare a tenersi al corrente sugli sviluppi della situazione napoletana15.

L’obbedienza al papa aragonese in Sicilia non era tuttavia ancora pacifica, se nel febbraio 1415 Messina propose a tutto il Regno di rifiutargliela, sicché i messinesi furono minacciati di essere considerati dei traditori, perché ritenere Benedetto un antipapa significava considerare il re un eretico, mettere in dubbio la legittimità del suo potere proveniente dall’investitura e negare che l’individuazione del papa legittimo spettasse soltanto al re16. Nel marzo 1415 Benedetto XIII prese la decisione di trasferirsi in Sardegna, nel castello di Cagliari, o in un altro luogo fortificato. Già a Cagliari suoi emissari ne preparavano l’arrivo su una galea provenzale, quando ne fu informato il re Ferdinando I, il quale prese misure concrete per evitare lo sbarco del papa17. In novembre trovò definitivo rifugio nel castello di Peníscola. All’inizio del 1416, poco prima che il re morisse, la Corona d’Aragona tolse formalmente l’obbedienza a Benedetto XIII18.

Il progetto di stabilirsi in Sicilia, annunciato agli ambasciatori ripartiti per l’isola nel 1414 e delineato nelle istruzioni senza data ad Antoni Caldés, si colloca nell’arco temporale compreso tra l’adesione della Sicilia al papa o antipapa aragonese, imposta da Ferdinando I, e la decisione del re di abbandonare Pedro de Luna, già maturata nell’incontro di Perpignano del settembre 1415. Nello stesso periodo l’inizio del Concilio di Costanza e i suoi sviluppi segnavano il destino dell’antipapa Benedetto XIII. In questa fase decisiva Pedro de Luna esaminò la possibilità di trasferire in Sicilia la corte pontificia, nella speranza di rafforzare la sua traballante posizione politica. Il collegamento di questo progetto con quello matrimoniale tra l’infante aragonese e la regina napoletana non stabilisce soltanto un termine cronologico, ma anche una condizione di più favorevole contesto politico per la realizzazione del trasferimento. Tale condizione non si realizzò, perché Giovanna II d’Angiò Durazzo già all’inizio del 1415 aveva intrapreso altre trattative che l’avrebbero portata al matrimonio con Giacomo di Borbone conte de la Marche. D’altro canto la Sicilia, la cui adesione a Benedetto XIII era recentissima e imposta, e ancora in corso di completamento, reclamava la sua autonomia nell’ambito della Corona aragonese, e dopo avere a lungo obbedito al papa di Roma ed essere stata teatro di una lunga ribellione anticatalana, tinta di motivazioni religiose e nazionalistiche, non offriva al papa alcuna garanzia di sicuro rifugio.

Sul fallimento del progetto siciliano di Benedetto XIII non sappiamo nulla, ma non è necessario pensare ad un veto del sovrano, in analogia al parallelo e più o meno contemporaneo progetto di trasferimento in Sardegna. L’ipotesi siciliana non era segreta, se era stata comunicata ufficialmente tramite l’ambasceria inviata dall’isola al re, e inizialmente era certamente nota e forse condivisa da Ferdinando. Il proposito di stabilire la residenza in una città siciliana, e contemporaneamente di allargare al regno napoletano l’area di influenza aragonese e presumibilmente l’obbedienza pontificia, era un disegno politico, non ancora un progetto di fuga. Il peggioramento della situazione fece forse preferire al papa l’ipotesi sarda, in cerca di un rifugio sicuro. Alla fine, di fronte all’ostilità del sovrano, che aveva accettato la logica conciliare dell’elezione di un nuovo papa, e alla conseguente impossibilità di realizzazione di ogni altro progetto il papa Luna si ridusse a Peníscola, in un castello splendidamente a picco sul mare, quasi un’isola. Anche le altre residenze prese in considerazione dominavano il mare: così la città castello di Cagliari, così Catania e Palermo, così anche Trapani e Siracusa, città protese nelle acque. A Catania avrebbe voluto una seconda residenza sulle pendici dell’Etna per dominare la vista del mare. A Palermo aveva scelto lo Steri, il palazzo più vicino al mare, da cui avrebbe visto tutto il golfo. Il mare, vicino e visibile, agevolava la difesa e favoriva la fuga. Forse dà l’immagine, anche fisica, dell’altero isolamento del solo tra i tre papi del grande scisma che ostinatamente non volle mai abdicare.

BIBLIOGRAFIA

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4. ASV, reg. Aven. 342, fos 14r°-v°.

5. PISTORIO, 1969.

6. Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Vat. Lat. 7110.

7. IMBRÒ, 2005, p. 217.

8. FODALE, 1986, p. 52.

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12. FODALE, 1973, pp. 104, pp. 97-151.

13. ASV, reg. Vat. 332, fos 49vo-50ro.

14. ID. 2008, p. 725.

15. ID., 1986, pp. 58-59.

16. Id., 2008, pp. 700 s.

17. BOSCOLO, 1954, pp. 143s.

18. Arxiu de la Corona d’Aragó, Canc., reg. 2400, f° 35r°.

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