Читать книгу Frammenti Di Cuore - Alyssa Rabil - Страница 9
ОглавлениеCapitolo Tre
Al Sicuro
“Dove vivi?” chiese Silas.
Aaron si premette le mani sugli occhi. “Vai a casa tua. Tornerò alla mia da lì.”
“C'è qualcuno che può prendersi cura di te?”
Aaron deglutì a fatica. Robert doveva essere a casa, a meno che non fosse rimasto ancora al bar. Se davvero c'era un Dio in paradiso, lo avrebbe fatto rimanere ancora a lungo fuori casa per impedirgli di assistere alla caduta di Aaron.
“Lo prendo come un no,” disse Silas.
Aaron doveva aver impiegato troppo tempo per rispondere.
“Mio padre,” disse. “Vivo con mio padre.”
“È sicuro?” domandò Silas. “Si prenderà cura di te?”
“Non preoccuparti.” Si spostò sul sedile e il culo gli inviò una fitta. Il fantasma della mano di Ralph gli toccò la carne martoriata. “Accosta,” farfugliò.
“Che succede?”
Aaron si afferrò lo stomaco. “Accosta e basta,” ringhiò. Silas rallentò e fermò l'auto sul ciglio della strada.
Aaron spalancò di colpo la portiera e si sporse fuori. Aveva voglia di vomitare ma non c'era più niente da buttare fuori. Rimase chinato in avanti, ansimando in cerca d'aria.
Silas gli toccò una spalla e Aaron sussultò così forte che quasi cadde a terra.
“Aaron,” mormorò piano l'uomo.
“Non toccarmi,” ansimò Aaron. Sentiva le mani di Ralph ovunque sul proprio corpo.
'Bravo ragazzo.'
Aaron scese barcollando dall'auto, una mano ancora stretta intorno alla portiera. L'erba fresca e bagnata di rugiada gli accarezzò le ginocchia. Sentì la portiera dal lato del guidatore aprirsi e poi richiudersi.
Silas si inginocchiò in modo da avere gli occhi alla stessa altezza dei suoi. “Penso che dovresti andare al pronto soccorso,” mormorò.
Il pronto soccorso. Non era un'emergenza. Non era stato violentato. Si stava solo comportando come un bambino. Aveva soltanto bisogno di calmarsi. Aveva soltanto bisogno di smettere di tremare. “Sto bene,” rispose. Il suo stomaco sussultò di nuovo.
“Hai bisogno di farti vedere da un dottore.”
“Non posso farlo.”
Non posso permettere a nessuno di vedermi così. E che io sia maledetto se rischierò di farmi riconoscere da qualcuno all'ospedale.
“Allora lascia che ti porti a casa mia,” disse Silas gentilmente. “Ero un medico, una volta. Ma capisco se non ti fidi di me.”
Aaron finalmente riuscì ad alzare lo sguardo dal terreno.
Le sopracciglia di Silas erano aggrottate dalla preoccupazione. La sua espressione in qualche modo faceva sentire ancora più dolore ad Aaron.
“Ho bisogno di sapere cos'è successo – se ti hanno drogato e in che modo ti hanno picchiato – ma non voglio metterti a disagio.”
“Mi ha solo messo alcune dita nel culo e schiaffeggiato un po',” borbottò Aaron. “Ecco tutto. Non mi ha violentato.” Barcollò leggermente e strinse la presa sulla portiera. “Non è un grande problema. Sto solo reagendo in modo esagerato. Ogni tanto lo faccio. Probabilmente per attirare l'attenzione. Ignorami e basta.”
“Aaron.” La voce di Silas era ancora dolce ma adesso conteneva anche una punta di autorità. “Questo è un grosso problema.”
“Non lo è,” ribatté Aaron. Aveva la vista offuscata dalle lacrime e stava per piangere di nuovo, dannazione. Non si meritava di tornare a casa. Non si meritava suo padre o suo fratello.
“Riesci a rientrare in auto?” domandò Silas.
Aaron chiuse gli occhi e annuì.
“Hai bisogno di aiuto?”
Scosse la testa. Il minimo che poteva fare era riuscire ad alzarsi da solo. Si sollevò, sentendo le ginocchia tremare con forza, e si rimise seduto. Silas gli chiuse la portiera e prese di nuovo posto dietro il volante.
“A casa mia?” domandò.
“Sì,” mormorò Aaron.
Silas guidò velocemente. Quando raggiunse il quartiere in cui viveva, fece più volte il giro dell'isolato, dicendo che era il modo migliore per assicurarsi che nessuno li stesse seguendo. Dopodiché, si fermò in un vialetto e parcheggiò la macchina.
“Aaron,” lo chiamò, con voce ancora gentile, “ho bisogno che tu prenda le chiavi e ti sieda al volante con le portiere bloccate. Vado a controllare la casa e il giardino per assicurarmi che siamo davvero soli.”
“Non dovresti andare da solo,” disse Aaron.
Silas sembrava quasi offeso. “Ti giuro che andrà tutto bene.” Gli consegnò le chiavi e prese la pistola. “Se vedi qualcosa di sospetto o qualcuno che non sono io avvicinarsi, non aspettarmi: guida il più lontano possibile e il più velocemente possibile, senza guardarti indietro.”
Col cazzo che lo farò.
“Va bene,” rispose comunque.
Silas annuì, anche se non sembrava del tutto tranquillo. Chiuse la portiera e aspettò che Aaron le avesse bloccate tutte prima di andarsene. La sua figura scomparve rapidamente nell'ombra e Aaron lo perse di vista. I dieci minuti successivi si trascinarono in modo estremamente lento.
Quando la luce del portico si accese, Aaron rilasciò un respiro che non si ricordava neanche di aver trattenuto. Silas ricomparve nel suo campo visivo, alzando un pollice in direzione dell'auto.
Aaron afferrò in fretta i vestiti e la borsa e scese. Silas si offrì di portarlo di nuovo in braccio ma Aaron rifiutò, la sua dignità era stata già calpestata abbastanza per un solo giorno. Silas lo condusse in soggiorno e gli disse di mettersi comodo sul divano mentre andava a chiudere la macchina e il garage.
Pochi minuti dopo era di ritorno. “La tua macchina è al sicuro. Il sistema di allarme è inserito e tutte le porte e le finestre sono bloccate. I sensori in giardino sono attivi e lascio la luce del portico accesa, quindi sarà difficile sgattaiolare in casa senza venire scoperti. Sei al sicuro, qui.”
“Porno attore, dottore, esperto di sicurezza…” elencò Aaron.
“Sono un ex-militare,” gli spiegò Silas.
“Oh. Non ci avevo pensato. Esercito?”
“Una cosa del genere.”
Quello spiegava molte cose. “Eri un medico nell'esercito?” domandò Aaron.
“Sì.” Silas fece il giro del divano. “Posso avvicinarmi?”
“Certo.”
Silas si avvicinò, la testa inclinata e le sopracciglia aggrottate. “Vorrei darti un'occhiata,” disse. “Ma non so se ti aiuterei o peggiorerei la situazione. Sono abituato a trattare i traumi fisici. Con quelli psicologici non ho molta esperienza.”
Aaron appoggiò la testa contro l'imbottitura del divano. Era ancora avvolto nel giubbotto di Silas, e si stringeva il borsone e i vestiti contro il petto. Gli avvenimenti delle ultime ore stavano sul serio iniziando a pesargli addosso. Si sentiva in bilico tra intorpidimento e pazzia. Aveva voglia di urlare.
“Non voglio vomitare sul tuo divano,” disse.
“Penso che il tuo stomaco sia completamente vuoto,” rispose Silas. “Quando è stata l'ultima volta che hai mangiato?”
“Non ne sono sicuro,” mormorò Aaron. “L'altro ieri?”
“Gesù,” sospirò Silas. “Hai bisogno di mangiare… niente di pesante, ovviamente, ma il tuo corpo ha bisogno di energie. Ti consiglio di farti una doccia, o un bagno se ti senti troppo debole, poi vorrei visitarti e dopo ancora darti da mangiare.”
“Va bene.”
Silas lo guardò. “Posso accompagnarti in bagno?”
“Sì.”
'Sì, signore.'
Aaron si coprì il viso con le mani. Trenta docce non sarebbero state sufficienti neppure per iniziare a lavare via quello che era successo. Era sporco. Ma avrebbe dovuto imparare a conviverci.
Permise a Silas di trascinarlo in piedi e di accompagnarlo in bagno.
“Doccia o vasca?” domandò Silas.
“Doccia,” rispose subito Aaron. “Non voglio rimanere immerso nella sporcizia.”
Silas fece scorrere lentamente il pollice sulla spalla di Aaron, poi aprì l'acqua e controllò la temperatura. “Hai bisogno di aiuto per lavarti?”
Aaron guardò il pavimento piastrellato e sentì come se la sua testa fosse diventata troppo pesante per poter essere sollevata. “No,” borbottò.
“Sei sicuro? Ho già aiutato molti pazienti a lavarsi. Non ti farò del male.”
Aaron trattenne un singhiozzo. Avrebbe dovuto dare ascolto a Silas quando gli aveva detto che Ralph era rude. Avrebbe dovuto insistere per restare con Silas. Non avrebbe dovuto dare ascolto alla propria avidità. Avrebbe dovuto accontentarsi della riduzione di denaro ma stare bene.
“La safe word non ha funzionato,” sussurrò Aaron, con lo sguardo sempre rivolto al pavimento. “L'ho detta, ma…” Trattenne un altro singhiozzo. Il rumore della doccia in sottofondo gli rendeva più facile parlare, faceva sembrare la sua voce più leggera e distante.
“Sono dei mostri,” disse Silas. “Non avrei dovuto lasciarti solo con loro.”
“Come puoi lavorare con persone del genere?” chiese Aaron. Si pentì delle proprie parole appena le ebbe pronunciate. Silas non era un mostro. Non avrebbe dovuto accostarlo a loro.
“Ho lavorato con loro per due settimane,” rispose Silas. “Questa è stata la prima volta che li ho visti fare qualcosa di così brutto. Anche se probabilmente sparare al regista e al Dom di turno mi farà ricevere una lettera di licenziamento molto presto.”
Aaron rise. Quella risata lo fece sentire un po' meglio, come se gli avvenimenti di quel giorno avessero fatto un piccolo passo indietro.
Alzò lo sguardo su Silas, che gli rivolse un mezzo sorriso venato di tristezza prima di dire: “Devo confessare che sono in parte, se non del tutto, responsabile di quello che ti è successo.”
“Come può essere colpa tua?”
“Ripicca,” rispose Silas. “Dicono che ci metto troppo tempo e che le mie scene non sono convincenti. Ti hanno punito per punire me.”
“Ne dubito,” lo contraddisse Aaron. “Farley era già piuttosto incazzato prima che tu entrassi nella stanza.”
Silas sospirò. “Mi dispiace così tanto averti lasciato da solo con loro. Sapevo che non avrei dovuto farlo, ma l'ho fatto lo stesso.”
“Non è colpa tua,” disse Aaron. “Ti ho detto io di andartene.”
Me la sono cercata. È stata colpa mia.
Aaron tornò a fissare il pavimento.
La mano di Silas era ancora appoggiata sulla sua spalla. “Non gli permetterò di farti ancora del male.”
Aaron annuì, ma si allontanò dal suo tocco.
Silas lo lasciò andare. “Chiamami se hai bisogno di aiuto.”
“Lo farò.”
Senza aggiungere altro, Silas si voltò e lasciò la stanza, chiudendosi la porta del bagno alle spalle.