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LIBRO TERZO
CAPITOLO III

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Contro lo scellerato signore s'era levata la colonia siciliana, Arabi e Berberi al paro; e da quattro anni tenean fermo, succedendo a lor posta i tumulti d'Affrica, quando, l'ottocento novantotto, non so per qual ribollimento di sangui o magagna d'Ibrahim, tornarono i Berberi ad assalire il giund. Vedendo fitti i coloni nell'assurdo intento di scuotere il giogo senza cessare di straziarsi l'un l'altro, Ibrahim, ridendosene, entrò di mezzo: scrisse ad ambe le fazioni ch'ei perdonerebbe, se tornassero alla ubbidienza, e che sarebbe contento a gastigare i capi soli; ch'erano, dei Berberi un Abu-Hosein-ibn-Iezîd, coi figliuoli; e del giund un Hadhrami, oriundo, come lo mostra tal nome, dell'Arabia meridionale. Affrettaronsi i sollevati a consegnarli di peso alle soldatesche affricane, di presidio, credo io, a Mazara: dalle quali furono imprigionati, imbarcati per l'Affrica, e quivi dati al supplizio. Il Berbero, per fuggirlo, bevve un veleno che di presente lo fe' morire; talchè non rimase ad Ibrahim che d'appiccare il cadavere al patibolo e scannare i figliuoli del suicida. Sfogò con nuovo argomento di tortura sopra l'Hadhrami. Fattoselo recare innanzi, disse a un carnefice pien di facezie, come tanti ve n'ha, che tentasse il condannato con motteggi e buffonerie: e quando il misero cominciava a sperarne salvezza e gli spuntava il riso in faccia, “No,” proruppe Ibrahim, “non è ora da burle:” e fe' cenno al manigoldo; il quale a colpi di bastone lo ammazzò.136

Mandava poi Ibrahim a reggere la Sicilia un uom di sangue aghlabita, statovi emiro, com'e' sembra, una ventina d'anni innanzi, per nome Abu-Mâlek-Ahmed-ibn-Omar-ibn-Abd-Allah.137 Con la riputazione del casato sperava il tiranno lusingare o tenere in rispetto i popoli; e con la imbecillità della costui persona si fidava governar la colonia a suo piacimento dall'Affrica. Ma le due inveterate discordie che sopra toccammo, non si poteano comporre sì di leggieri; e per giunta gli sdegni, i rancori, i rimproveri, che tengon dietro ad una rivoluzione repressa, fecer nascere nuove scissure. Donde l'anno ottocento novantanove, tante piccole fazioni, confusamente combattendo, empiean la Sicilia di sangue.138 Per ovviare alla debolezza di Ahmed, dicon le croniche, o piuttosto per domare la Sicilia nel solo modo che si poteva, Ibrahim vi mandò un esercito poderoso, capitanato dal proprio figliuolo Abu-Abbâs-Abd-Allah, vincitor dei ribelli d'Affrica.139

Salpò costui con centoventi navi da trasporto e quaranta da guerra, il ventiquattro luglio del novecento; arrivò a Mazara il primo d'agosto;140 donde movea all'assedio di Trapani. A ciò l'esercito palermitano, ch'era uscito a far guerra contro que' di Girgenti, si ritrasse immantinente alla capitale; e inviò al campo affricano il cadi e parecchi sceikhi, a protestare obbedienza verso il principe, e scusarsi, bene o male, dello assalto sopra Girgenti. Vennero al medesimo tempo messaggi di cotesta città a dolersi dell'esorbitanza dei Palermitani: e sufolarono all'orecchio di Abd-Allah, non si fidasse di quel popol contumace, senza legge nè fede, nè di sua simulata e frodolenta sommessione; e che, se volea pescare al fondo della magagna, chiamasse di Palermo il tale e il tale, e se ne chiarirebbe. Ed ei sì chiamolli: ma ricusarono; e tutta la città dichiarò che non andrebbero. Abd-Allah, a questo, ritien prigioni gli oratori palermitani, rilasciato il solo cadi; e poco appresso mandavi, a portar forse orgogliosi comandi, otto sceikhi affricani. Gli Arabi di Palermo a lor volta li imprigionavano; e risolveansi a tentar la sorte delle armi. Fu capo in questo periodo di rivoluzione un Rakamûweih, uom di nome persiano. Fu emir degli stolti, dice amaramente Ibn-el-Athîr che visse tre secoli appresso: contemporaneo del gran Saladino, scrittor non servile, incapricciatosi d'Ibrahim-ibn-Ahmed, per quella sua feroce severità. Perciò doveano parere savii ad Ibn-el-Athîr coloro che di queto si lasciasser divorare dalla tigre; perciò l'annalista metteva in non cale i dritti dei Musulmani, le sacre franchige calpestate da Ibrahim, valorosamente difese dal popol di Palermo!

Lascio indietro, perchè sembra error di compilazione, l'episodio narrato da un altro storico:141 che i Girgentini, dopo di avere stigato Abd-Allah, si unissero coi Palermitani contro di lui. Movea di Palermo il dì quindici agosto, alla volta di Trapani, lo esercito capitanato da un Mesûd-Bâgi.142 L'armata d'una trentina di vele uscì non guari dopo: fu colta da una tempesta nella breve e difficile navigazione ch'è da Palermo a Trapani, onde la più parte dei legni perì; quegli scampati, senza potere altrimenti offendere il nemico, si ridussero a casa. L'oste intanto assaliva il campo affricano sotto Trapani: si combattea fieramente da ambo le parti con gran sangue, e rimaneva indecisa la vittoria. Ma il ventidue agosto, rappiccata dai Palermitani la zuffa, mantenuta con uguale fortuna infino a vespro,143 prevalse in ultimo la esperienza di guerra di Abd-Allah, o il numero degli Affricani che arrivava al certo a quattordici o quindici mila nomini, se si risguardi ai centoventi legni che li avean portato. Abd-Allah, usando la vittoria, prese la via di Palermo su le orme del nemico; indirizzò a Palermo l'armata che aveva ormai libero il mare, e poteva assaltare la città e molestar anco l'oste che si ritraea. Lenti e minacciosi ritraeansi i Palermitani, come quelli che sapean difendere patria e libertà; sì che fecero far al vincitore una sessantina di miglia in quattordici giorni; e al decimoquinto, che fu l'otto settembre, gli presentaron la terza battaglia. Pugnarono dieci ore continue dall'alba a vespro, in una delle due valli, credo io, che sboccano nell'agro palermitano a dritta e a sinistra di Baida.144 Alfine menomati, rifiniti, sopraffatti, sbaragliaronsi fuggendo verso la città vecchia: gli Affricani da vespro a sera ferono orribil macello di loro; occuparono i sobborghi; saccheggiaronli,145 a spreto della legge che vietava di por mano nella roba e nel sangue dei ribelli musulmani. Con tuttociò non si fa ricordo di enormezze come quelle di Tunisi, dalle quali rifuggia l'animo alto e gentile di Abd-Allah. Gli increbbe anco della battaglia, se ci apponghiamo al sentimento di tre versi, che improvvisò in Sicilia, forse quel dì stesso; nei quali, disgustato delle stragi, incendii e distruzioni, quel prode, sospirando, pensava a qualche giorno tranquillo, vivuto nei giardini di Rakkâda, in mezzo alle sue donne e figliuoli.146

Palermo ingrossando di quartieri suburbani, stendeasi in questo tempo dalla parte di scirocco infino alla sponda dell'Oreto; da ponente ne saliva una catena di abituri per due miglia e più infino al villaggio di Baida, ossia alle falde dei monti: sobborghi sì importanti che racchiudeano da dugento moschee e però vi si debbon supporre a un di presso due quinti di tutta la popolazione palermitana.147 Su quel vasto aggregato di ville da diletto ed umili case della gente industriale, torreggiava la città antica, afforzata di bastioni e di lagune, il Cassaro come l'appellarono gli Arabi, spaziosa cittadella di figura ovale che tenea quasi il mezzo dell'odierna città.148 Occupati i sobborghi dal nemico, i cittadini si difesero nel Cassaro per dieci giorni e stipularono un accordo; onde furono schiuse le porte ad Abd-Allah, il diciotto settembre. Per patto, o innanzi che si fermasse, grandissimo numero di cittadini con lor donne e figliuoli andavano a rifuggirsi in Taormina; Rakamûweih e i più intinti nella rivoluzione facean vela chi per Costantinopoli, chi per altri paesi di Cristianità, ove mai non potesse arrivare il braccio d'Ibrahim. Dopo lo sgombro, rimase pure uno stuolo di ottimati sospetti che Abd-Allah inviava al padre in Affrica; forse di quelli cui non v'era pretesto ad uccidere, poichè le croniche non parlan di supplizio loro. Così riluce per ogni verso la umanità del vincitore.149

Sì lunghe discordie non poteano ignorarsi dai Cristiani. Que' di Val Demone le aveano usato nella tregua dell'ottocento novantacinque, nella quale sembra entrato, allora o poi, lo stratego di Calabria; atteso che Giovanni Diacono di Napoli dice provocata da cotesto accordo la guerra di Abd-Allah in quella provincia.150 Nel medesimo tempo Sant'Elia da Castrogiovanni, ancorchè ottuagenario e infermo, si apprestava a ripassare in Sicilia, lusingato, forse richiesto, dall'imperatore Leone il Sapiente: Elia da Castrogiovanni, stato ausiliare di Basilio Macedone nel tentato racquisto dell'isola venti anni innanzi; e il vedremo tra non guari incoraggiare, a modo suo, all'estrema difesa il popolo di Taormina.151 Vedrem anco novelli sforzi dei Bizantini: un patrizio e un presidio mandati a Taormina; grand'oste adunata a Reggio; armata venuta di Costantinopoli a Messina. I quali fatti mostrano ad evidenza che l'impero fe' disegno nelle guerre civili dei Musulmani e nel bisogno che avea di lui la colonia ribelle. Dopo la occupazione di Palermo, l'impero armò un poco; suscitò al riscatto le popolazioni cristiane dell'isola, alla guerra quelle di Calabria; trascinato egli stesso dai Musulmani rifuggiti a Taormina, a Costantinopoli e in Calabria, i quali speravano gran cose al certo e molte più ne diceano.

Abd-Allah, sapesse o no coteste pratiche, dovea combattere la guerra sacra, per dare sfogo agli agitati animi dei Musulmani di Sicilia, per soddisfare a sè stesso, alla opinione pubblica, al padre. Non tardò dunque a uscir di Palermo; cavalcò il contado di Taormina; svelse le vigne; molestò il presidio con avvisaglie; e come l'inverno s'innoltrava, sperando ridurre più agevolmente Catania, città in pianura, la assediò; ma indarno. Perlochè, tornato in Palermo a svernare, apparecchiò più poderosi armamenti, e, abbonacciata la stagione, fe' salpare il navilio a' venticinque marzo del novecento uno. Egli con l'esercito andò a porre il campo a Demona; piantò i mangani contro le mura; le battè per diciassette giorni; ma risaputo d'un grande sforzo di genti che i Bizantini adunavano in Calabria, lasciò stare il presidio di Demona buono a difendersi e non ad offendere; e volò con l'esercito a Messina. Par che l'armata vi fosse ita innanzi, e che la città si fosse di queto sottomessa. Abd-Allah passava immantinenti lo stretto. Trovata l'oste sotto le mura di Reggio, un'accozzaglia dei presidii bizantini dell'Italia meridionale e di Calabresi che li abborrivano, i Musulmani la sbaragliaron col solo terrore, dice Giovanni Diacono. Mentre i fuggenti correano da ogni banda per la campagna, Abd-Allah irruppe senza ostacolo in città il dieci giugno. Le feroci genti sue cominciarono una strage indistinta: poi l'avarizia consigliò di far prigioni; che ne ragunarono diciassettemila, tra i quali fu tratto in carcere, come scrive Giovanni, il venerando vescovo dal crin bianco e dalla faccia colorita, spirante dolcezza. Immenso il cumulo della preda: oro, argento, suppellettili; rigorosamente custodito dai vincitori, continua il medesimo autore, e ben si riscontra con la legge musulmana che vieta di scompartire il bottino in territorio nemico. Vi si aggiunsero i tributi e presenti delle città vicine, le quali si affrettavano a mandare oratori chiedendo l'amân; poichè Abd-Allah avea dato voce di volere stanziare a Reggio. Ma improvvisamente ei ripassa lo stretto, sapendo arrivata da Costantinopoli a Messina un armata greca; e la coglie nel porto; le prende trenta legni; fa diroccar le mura della città, per gastigo o cautela. Intanto traghettavano continuamente da Reggio a Messina le navi da carico, zeppe di roba e schiavi. Abd-Allah condusse di nuovo l'armata su le costiere di Terraferma; combattè altri nemici, forse gente dei duchi Franchi di Spoleto e Camerino, condotti ai soldi dell'imperatore di Costantinopoli. In questa impresa il principe aghlabita occupò, il venti luglio, una città di cui non ben si legge il nome, forse Nardò;152 e si ridusse alfine con tutte le genti in Palermo, donde mandò nunzii al padre col racconto delle vittorie e il meglio del bottino. Fino alla primavera del novecentodue, quando andò a trovarlo ei medesimo in Affrica, Abd-Allah soggiornò nella capitale della Sicilia, reggendo i popoli con giustizia e bontà.153

Corse fama in Italia che Ibrahim, intendendo dai messaggi del figliuolo la impresa di Reggio, prorompesse in rampogne: “Non esser suo sangue, no, tener dalla madre, questo svenevole che s'impietosiva dei Cristiani e tornava addietro, principiate appena le vittorie! Se ne venisse dunque a poltrire in Affrica, chè egli, Ibrahim-ibn-Ahmed, andrebbe a mostrare ai nemici di Dio e degli uomini il valor vero della schiatta d'Aghlab.” A queste parole d'ira s'aggiugneano romori contraddittorii: che Abd-Allah segretamente sopraccorresse a corte per falso avviso della morte del padre; che Ibrahim vistoselo accanto, in luogo di incrudelire, gli rinunziasse il regno e ponessegli al dito il proprio anello.154

Così tra le fole si risapea la verità. Al dir d'una cronica araba, la verità era che richiamatisi i Musulmani di Tunis appo il califo abbassida Mo'tadhed-Billah delle enormezze che aveano a sopportare, e mostratogli che certe schiave che Ibrahim gli avea mandato in dono, fosser le mogli e figliuole loro, Mo'tadhed inorridito si risovveniva d'essere pontefice e imperatore. Facea dunque sentire in Affrica, la prima volta da un secolo, i voleri del successor del Profeta. Significavali per un messaggiero; al quale Ibrahim volle farsi incontro in attestato di riverenza, contenendo i superbi movimenti dell'animo, con sì duro sforzo, ch'ei ne fu colpito di malattia biliosa, e costretto a sostare alla sibkha, o vogliam dire stagno salmastro di Tunis. Abboccatosi quivi segretamente con l'ambasciatore, promesse di ubbidire al califo; il quale per bocca di costui, senza comando scritto, gli ingiugnea di risegnare il governo al figliuolo Abd-Allah e rappresentarsi in persona a Bagdad.155 Tanta modestia civile d'Ibrahim si comprenderà meglio, considerando ch'ei già sentiva crollare il trono aghlabita. Una sètta politica, delle tante che ne covavano sotto la teocrazia musulmana, s'era appresa alla forte tribù berbera di Kotâma; e scoppiava già in aperta ribellione, minacciando al paro il principato d'Affrica e il califato. In Affrica, Arabi e Berberi, ortodossi e scismatici, nobiltà menomata dai supplizii e plebe spolpata sotto pretesto di farle giustizia contro i nobili, a una voce tutti maledivan l'Empio, come il chiamarono per antonomasia.156 Minacciavalo di più, dall'Egitto, la dinastia dei Beni-Tolûn, potentissimi di ricchezze e d'ardire, imparentati col califo, usurpatori che per far più guadagno s'offrian sostegni alla legittimità. Sovrastandogli dunque novella guerra civile, complicatissima, spaventevole, senza speranze di uscirne vincitore, ei riformò il governo e abdicò, fingendo d'ubbidire al califo. Notevole è che un altro cronista, copiato o abbreviato nel Baiân, senza far parola del messaggio di Mo'tadhed, attribuisce a dirittura le riforme d'Ibrahim ai movimenti della tribù di Kotâma, e dice che allora ei volle farsi grato all'universale, e riguadagnare gli animi degli antichi partigiani di casa d'Aghlab.157

Pose il nome d'anno della giustizia al dugentottantanove dell'egira (16 dicembre 901 a 4 dicembre 902) che incominciava tra quelle vicende; abolì le gabelle; disdisse le novazioni nel modo di riscuotere le decime;158 rimesse agli agricoltori un anno di tributo fondiario; liberò i prigioni di stato; manomesse i proprii schiavi; cavò dalli scrigni grosse somme di danaro e dielle ai giuristi e notabili di Kairewân per dispensarle ai bisognosi; ma ebberle, aggiugne un cronista, quei che men le meritavano e furono scialacquate.159 Con ciò premurosamente scriveva ad Abd-Allah di venire in Affrica; il quale, lasciato l'esercito in Palermo ai proprii figliuoli Abu-Modhar e Abu-Ma'd, andò in fretta con cinque galee sole.160 Arrivato ch'ei fu, Ibrahim, del mese di rebi' primo (13 febbraio a 14 marzo 902), gli risegnava il principato. Quanto a sè, non potendo rimanere in Affrica nè volendo ire a Bagdad, scrisse al califo ch'ei si metteva in pellegrinaggio per la Mecca. Poi pretestò che convenia passare per l'Egitto, e che ei nol potea senza azzuffarsi coi Beni-Tolûn; onde inviò a Bagdad un'altra lettera: che ad evitare spargimento di sangue musulmano, vedi s'egli era contrito, e a compiere insieme i due precetti del pellegrinaggio e della guerra sacra, piglierebbe la via di Sicilia.161 Forse agitava in mente il pazzo disegno di andare alla Mecca per a traverso i territorii di Cristianità, il Bosforo e l'Asia Minore, poich'egli non avea rinunziato al figliuolo la signoria di Sicilia, e pensò al certo al conquisto d'Italia, e in Italia parlò di quel di Costantinopoli.162 Che che ne fosse, Ibrahim, sceso dal trono, parea rifatto altr'uomo. Dissepolti i suoi tesori e armerie, indossò a mo' degli anacoreti un cilicio tutto rattoppato; andò a Susa a bandire la guerra sacra. Di lì il sedici di rebi' secondo (30 marzo) parte per Nûba, castello in su la marina tra Susa e Iklibia (Clypea); ove fa la mostra dei volontarii; li provvede d'armi e cavalli; dispensa venti dinâr a ogni cavaliero e dieci a ogni fante; e con loro fa vela per la Sicilia.163

136

Confrontinsi: il Baiân, tomo I, p. 124, anno 285 (27 gennaio 898 a 15 gennaio 899), e il Chronicon Cantabrigiense, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 43, anno 6406 (1º settembre 897 a 31 agosto 898). Supponendo precise quelle due date, l'avvenimento si ristringe ai sette mesi che corsero dalla fin di gennaio a quella d'agosto 898. Si noti che il Baiân non spiega chi fosse il capo dei Berberi, e chi degli Arabi. Ma vi supplisce il nome di Hadhrami; poichè l'Hadramaut è regione a levante del Iemen. Se tuttavia rimanesse dubbio, lo toglie la Cronica di Cambridge dicendo che i Berberi, dopo assalito il giund, consegnarono agli Affricani Abu-Hosein e i suoi figliuoli. Quegli era dunque il lor capo. Ho corretto secondo la Cronica di Cambridge il soprannome di costui, che nel Baiân si legge Abu-Hasan.

137

Veggasi il Libro II, cap. IX, p. 390 del 1º vol., nota 4. Ho scritto il nome come si trova in Ibn-el-Athîr, anno 287, MS. A, tomo II, fog. 167 recto; e MS. di Bibars, fog. 123 recto. Il Nowairi, Storia di Sicilia, presso di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 11, dà il nome di Abu-Malek-Ahmed-ibn-Iakûb-ibn-Omar-ibn-Abd-Allah-ibn-Ibrahim-ibn-Aghlab. Questo compilatore, che in tutto merita minor fede, dice che Ahmed governò la Sicilia per ventisei anni (correggasi 28), dal 259 al 287 (872 a 900); dimenticando che nella Storia d'Affrica egli stesso avea nominato in quello spazio di tempo due altri emiri di Sicilia. Perciò suppongo che Ahmed fosse stato scambiato una prima volta, e rieletto, dopo molti anni, verso il 287.

138

Chronicon Cantabrigiense, presso di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 43. La versione stampata porta: Anno 6407 commissum est prælium in Franco Forth. Le due parole del testo, nelle quali parve di ravvisare questo nome geografico, sono sbagliate nelle edizioni di Caruso e Di Gregorio; poichè nel MS. originale, secondo la collazione che me ne ha fatto il cortese signor Power bibliotecario dell'università di Cambridge, si legge chiaramente la seconda voce mofâreka; e la prima, mancante di punti diacritici, si compone delle seguenti lettere: 1º f, ovvero k; 2º r; 3º b, t, th, ovvero i, n; 4º h, g, ovvero kh; 5º a. Badando alle sole radicali, non esito a dire che siano f, r, g con che si scrive il verbo fereg, “scindere, fendere;” e son certo che questa parola mal copiata o piuttosto male scritta in arabico dall'autore, greco di Sicilia, sia il plurale irregolare di un vocabolo che significasse “scissura;” proprio il greco σχῖσμα. Non lascia luogo a interpretarla altrimenti la voce precedente mofâreka, che si accorda grammaticalmente con questa, e che è l'aggettivo feminino cavato dalla terza forma del verbo ferek, “separare, disgregare.” Si corregga dunque la versione: “L'anno 6407 varie fazioni guerreggiaron tra loro.”

Occorre di aggiugnere che il nome di Francoforte o altro simile non poteva esistere in Sicilia avanti i Normanni; e che non v'ha in oggi, nè v'è mai stato. Il comune attuale di Francofonte, e non Francoforte, fu fondato nel XIV secolo.

139

Ibn-el-Athîr, anno 287, MS. A, tomo II, fog. 167; MS. di Bibars, fog. 123 recto. Il Nowairi, nella Storia di Sicilia presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 11, senza fare menzione delle guerre che seguirono, dice Abd-Allah eletto emir di Sicilia il 287; e nella Storia d'Affrica data da M. De Slane in appendice a Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, p. 431, lo fa andare in Sicilia il 284, sbarcare nel mese di giumadi primo (giugno 897), espugnare Palermo, e accordare poi l'amân. Da ciò si conferma la incertezza delle sue compilazioni.

140

La Cronica di Cambridge dice che Abd-Allah “passò” di Affrica a Mazara il 24 luglio; Ibn-el-Athîr che “arrivò” in Sicilia il primo di scia'bân, che risponde al primo agosto.

141

Questi è Ibn-Khaldûn, nella Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 57 del testo, e 134 della versione di M. Des Vergers. Non so donde abbia cavato tal particolare l'autore, che nel resto del racconto compendia Ibn-el-Athîr.

142

Nei due MSS. di Ibn-el-Athîr si trova il secondo nome senza punti diacritici. Credo vada letto Bâgi. Questo, a detta del Lobb-el-Lobbâb di Sojuti, edizione del Veth, può esser nome di famiglia persiana, o nome etnico derivato da Bâgia, chè così addimandavasi una città della penisola spagnuola (Beja in Portogallo); un villaggio in Affrica (Bedja nell'odierno reame di Tunis, città dentro terra a poca distanza da Tabarca); e un villaggio presso Ispahan in Persia.

143

Traduco “vespro” la voce 'asr che indica una delle ore della preghiera, e risponde a ventun'ora, secondo l'antico modo italiano, cioè nei primi di settembre, e in Palermo, alle tre e mezza dopo mezzodì. Veggansi le tavole delle ore delle preghiere musulmane alla latitudine del Cairo, presso Lane, Modern Egyptians, tomo I, p. 302.

144

Il Baiân dice combattuta la giornata “alle porte della città;” il che si deve intendere fuori i sobborghi, poichè Ibn-el-Athîr dice occupati questi dopo la vittoria. È da ricordarsi che la strada da Trapani a Palermo infino alla metà del XII secolo, e forse più oltre, passava per Carini, come il mostrano gli itinerarii di Edrisi. Però dovea correre per una delle valli che fiancheggiano Monte Cuocio, e uscire alla pianura, sia tra Bocca di Falco e Baida, sia tra questa e la montagna di Petrazzi, lungo la linea della nuova strada da ruota di Torretta.

145

Riscontrinsi: Ibn-el-Athîr, anno 287, MS. A, tomo II, fog. 167, seg.; e MS. di Bibars, fog. 123 recto, seg.; Baiân, tomo I, p. 125; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 132, seg.; Chronicon Cantabrigiense, p. 43; Giovanni Diacono di Napoli, Traslazione del corpo di San Severino, presso Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 60, ripubblicato da Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte IIª, p. 269. È maraviglioso lo accordo di Giovanni Diacono coi cronisti musulmani intorno la importanza dei fatti; e della Cronica di Cambridge, di origine greca, con Ibn-el-Athîr, su la data della battaglia di Palermo, che l'uno porta il 10 di ramadhân, e l'altro l'otto di settembre, che è appunto il riscontro del calendario cristiano col musulmano.

146

Questi versi sono trascritti da Ibn-el-Athîr nella notizia biografica di Abd-Allah, anno 289, MS. A, tomo II, fog. 172 recto; MS. C, tomo IV, fog. 279 recto; e MS. di Bibars, fog. 129 verso; e con qualche variante da Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 33 verso. Mettendo nell'ultimo verso un punto diacritico sotto la h della voce b hâr e leggendola bigiâr, che vuol dire accanto, in vicinanza, traduco così:

“Bevo la salutar bevanda, in terra straniera, lungi da' miei e dalla mia casa:

“Ahi! soleva altre volte appressarla a'labbri, quand'io tutto olezzava di muschio e d'aloe;

“Ed or eccomi in mezzo al sangue, tra i vortici del fumo e il polverio.”

Ho reso “salutar bevanda” la voce dewâ, medicamento, farmaco.

147

Iakût nel Mo'gim el-Boldân, MS. di Oxford, articolo Palermo, trascrive uno squarcio della descrizione d'Ibn-Haukal, nel quale si dà questo numero di moschee e si ripete quel di 300 del resto della città, che si conoscea secondo la descrizione da me pubblicata. Quel passo va or corretto secondo Iakût, la cui aggiunta ne compie la sintassi che rimanea sospesa.

148

Oltre ciò che ho detto su la topografia di Palermo nei capitoli precedenti, veggasi Ibn-Haukal, Description de Palerme, da me pubblicata nel Journal Asiatique, IV série, tomo V, p. 94, 95; e nell'Archivio Storico Italiano, appendice XVI, p. 22. I nomi delle porte della città antica che troviamo in Ibn-Haukal, ci permettono di fissare il perimetro. Movendo dalla odierna parrocchia di Sant'Antonio saliva verso libeccio per l'altura ov'è il monastero delle Vergini, continuava per la strada del Celso fino a Sant'Agata la Guilia, volgeasi a scirocco lungo una linea che or si tirasse dalla cattedrale allo Spedal grande, e, ripiegandosi verso greco, toccava gli attuali monisteri dei Benfratelli e Santa Chiara, Università degli studii, Uficio della Posta, Monistero di Santa Caterina, donde tornava alla chiesa di Sant'Antonio. Figura ellittica, il cui asse maggiore coincidea con la strada del Cassaro d'oggi presa dalla cattedrale a Sant'Antonio. A quest'asse correan quasi paralelle, d'ambo i lati, due strade che agevolmente oggi si riconoscono, anguste e serpeggianti come tutte quelle del medio evo; l'una dal Monastero delle Vergini alla Beccheria vecchia (Ocidituri); l'altra dal Palagio Comunale al monastero di Santa Chiara. Non si badi molto alla pianta del Morso, Palermo antico, che si riferisce ai tempi normanni, e d'altronde è inesattissima.

149

Riscontrinsi: Ibn-el-Athîr; il Baiân; e Ibn-Khaldûn ai luoghi citati nella nota 2 della p. 67 del presente vol. Il Baiân dice espressamente che Abd-Allah entrava dopo accordato l'amân il venti di ramadhân.

150

Johannis Diaconi Neapolitani, Martirio di San Procopio presso il Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 60; e presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte IIª, p. 269.

151

Vita di Sant'Elia, presso il Gaetani, op. cit., tomo II, p. 73.

152

Si trova nel solo Ibn-el-Athîr, in un passo di cui abbiamo tre MSS. con tre lezioni diverse: Bartibûa, Iartînûa, e nel MS. ordinariamente più corretto, Bartanobûa. Facendo astrazione delle vocali non accentuate, il nome si riduce a sette lettere, alcune delle quali posson variare secondo i punti diacritici. Le lettere sono: 1ª b, i, n, t, th, e può anche rispondere alle nostre p e v; 2ª r, ovvero z; 3ª t; 4ª e 5ª stesse lettere che la prima; 6ª w, ovvero û; 7ª a, la quale potrebbe esser muta, onde la finale è anche incerta tra û e wa. Combinando le consonanti con varie vocali, la migliore lezione sembra Neritînû, che risponde al nome dato dai geografi antichi ai popoli di Neritum in terra d'Otranto. Neritum, oggi Nardò, città poco lontana dal mare, fu assai importante nel medio evo, fatta sede vescovile nel XV secolo. Ma la mia conghiettura è tanto più incerta, quanto sappiamo assai vagamente la regione di cui si tratti, come diremo nella nota seguente.

153

Riscontrinsi: Ibn-el-Athîr, anno 287, MS. A, tomo II, fog. 167 verso; e MS. di Bibars, fog. 123 recto, seg.; ed anno 261, MS. A, tomo II, fog. 92; MS. C, tomo IV, fog. 246 verso; e MS. di Bibars, fog. …; Johannes Diaconus, Translatio corporis Sancti Severini, presso Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 60; e presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte IIª, p. 269, seg.; Baiân, tomo I, p. 123, anno 288; Chronicon Cantabrigiense, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 44; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione di M. Des Vergers, p. 137, 138; e il cenno che ne fa Nowairi, con errore di data, nella Storia d'Affrica, in appendice alla Histoire des Berbères, par Ibn-Khaldoun, versione di M. De Slane, tomo I, p. 431; Chronicon Vulturnense presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte IIª, p. 415.

Più che ad ogni altro si badi a Ibn-el-Athîr, e Giovanni Diacono. Nei MSS. A e di Bibars si legge che le navi musulmane tornavan da Reggio a Messina cariche di roba e dakík, che vuol dir farina, ma credo vada corretto rakîk, schiavi. La battaglia di Reggio è riferita da Ibn-el-Athîr al mese di regeb (21 giugno a 20 luglio 901), e dalla Cronica di Cambridge precisamente al 10 giugno; e questa data io ho seguito, ma forse è erronea, e si dee correggere 10 luglio, mutando una sola lettera nel testo arabico, e leggendovi iuliu in vece di iuniu. Il Baiân in luogo di Ríwa (Reggio) ha z la, che si potrebbe supporre Scilla, ma è alterazione del primo di questi nomi. Ibn-Khaldûn, per errore, credo io, di memoria, frettolosamente compendiando questi annali, scrisse che Abd-Allah, andato da Taormina a Catania, e trovandola ostinata alla difesa, se ne tornò per ripugnanza a spargere sangue musulmano. Ciò non si legge in ibn-el-Athîr; nè è probabile che Catania a questo tempo fosse già divenuta colonia musulmana. Anzi, la espugnazione del vicino castello di Aci nel 902, ch'era tenuto dai Cristiani, li fa supporre signori anco di Catania.

Adesso debbo allegar le testimonianze di quell'ultima impresa di Abd-Allah, dopo la distruzione delle mura di Messina. Ibn-el-Athîr, abbozzando sotto l'anno 261 una biografia di Ibrahim-ibn-Ahmed, dice che proponendosi costui il pellegrinaggio e la guerra sacra, andò a Susa l'anno 289 (902) “e indi passò col navilio in Sicilia, e pose il campo a Demona, Assediatala per diciassette giorni, andò a Messina, e passò a Reggio, ove s'era adunata gran gente dei Rûm. Ei li combatteva alle porte della città; li sbaragliava; e prendea Reggio, con la spada alla mano, del mese di regeb. Saccheggiatola, fece ritorno a Messina, di cui abbattè le mura; e, trovando in porto le navi arrivate da Costantinopoli, ne prese trenta. Andò poi a Neritînû (Bartîbû etc.), e se ne insignorì alla fine di regeb. Ei diè esempi di giustizia e di buona condotta verso i sudditi. Andò poi a Taormina etc.,” seguendo a narrare la espugnazione di questa città nel 902. Or lo squarcio che ho messo in carattere corsivo è compendio esatto, e in molti luoghi trascrizione, di quello che contiene le imprese di Abd-Allah del 901, il quale si trova sotto l'anno 287; se non che in quest'ultimo manca la impresa di Neritînû. E evidente dunque che Ibn-el-Athîr, o il copista, replicò nella guerra d'Ibrahim parecchi fatti di quella di Abd-Allah dell'anno precedente. È evidente, dico, per lo assedio di Demona, vittoria di Reggio, presura delle navi greche a Messina, e distruzione delle mura di questa città. Mi pare probabile per la occupazione di Neritînû.

E ciò perchè Ibn-Khaldûn, il quale compendiava gli annali di Ibn-el-Athîr, e un'altra cronica più antica, dopo tutte le imprese di Abd-Allah come noi le abbiamo narrato, fino alla distruzione delle mura di Messina, continua: “Indi tragittò nella vicina parte d'Italia (così va resa la denominazione di a'dwet-er-Rûm); combattè con popoli Franchi d'oltre il mare; e tornò in Sicilia.” La città dunque il cui nome leggiam sì male in Ibn-el-Athîr, par che giacesse nella regione vagamente chiamata a'dwet-er-Rûm, che non si può intendere del solo stretto di Messina, ma di tutta la costiera che guarda la Sicilia, se si ricordi il valor della denominazione analoga di Berr-el-A'dwa in Affrica. I Franchi combattuti da Abd-Allah non poteano esser che le genti dei duchi di Spoleto e Camerino condotti ai soldi di Leone il Sapiente. Ritraggiamo infatti ch'egli nel 904 abbia mandato danaro ai Franchi per rinforzare l'esercito destinato contro la Sicilia. Veggasi il cap. IV del presente Libro, p. 87, 89.

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Johannes Diaconus Neapolitanus, l. c.

155

Nowairi, Storia d'Affrica, MS. di Parigi 702 A, fog. 53 verso; e traduzione di M. De Slane, in appendice a Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, tomo I, p. 431; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione di M. Des Vergers, p. 138 e 139. Avvertasi che M. De Slane ha saltato il luogo del Nowairi, ove si dice della malattia che colpiva Ibrahim in questo momento. Quanto alla tradizione, sembra che il Nowairi l'abbia tolto da Ibn-Rekîk; al par di Ibn-Khaldûn, il quale lo attesta espressamente. Egli è vero che Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 35 recto, riferisce aver letto nella Storia d'Ibn-Rekîk, che Mo'tadhed minacciò di deporre Ibrahim e surrogargli, non il figliuolo, ma il cugino Mohammed; ma questo si dee tenere come fatto diverso, seguito appunto nell'896, prima della uccisione del detto Mohammed, della quale abbiam fatto parola nel Capitolo precedente, p. 58. Debbo avvertire che secondo una variante proposta dal prof. Fleischer nel testo di Nowairi, invece di “malattia biliosa” si dovrebbe tradurre “gli si fece incontro con vestimenta negre.” Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 451, e Introduzione, p. 63. Ma non n'è certo quel dotto orientalista; nè io.

156

El-Fâsik. Questo soprannome si legge in Ibn-Abbâr, op. cit., fog. 32 verso.

157

Baiân, tomo I, p. 125 e 126.

158

Veggasi nel Capitolo II del presente libro la nota 2 a p. 55.

159

Riscontrinsi: il Baiân, l. c.; e Nowairi, Storia d'Affrica, nell'op. cit., p. 432.

160

Ibn-el-Athîr, anno 287, MS. A, tomo II, fog. 167 verso; e MS. di Bibars, fog. 123 recto, seg.

161

Riscontrinsi: Nowairi, l. c.; Ibn-el-Athîr, anno 261, MS. A, tomo II, fog. 92 recto; e MS. C, tomo IV, fog. 246 verso; Baiân, tomo I, p. 126.

162

Johannes Diaconus, Translatio corporis S. Severini, presso Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 62; e presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte IIª, p. 209, seg.

163

Ibn-el-Athîr e Nowairi, ll. cc. Nella versione di M. De Slane la data della partenza per Nuba è posta per errore di stampa in vece del 16 il 22 di rebi' secondo, che tornerebbe al 5 aprile.

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II

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