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LIBRO TERZO
CAPITOLO IX

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Non fia lungo a narrare le vicende interiori della Sicilia da una rivoluzione ad un'altra. Ressela per venti anni, con titolo di emir, quel Sâlem-ibn-Rescid, lasciatovi alla partenza d'Abu-Sa'îd.397 Ma l'autorità era mutilata. Le fazioni in Terraferma, com'abbiam visto, si condussero per capitani mandati apposta d'Affrica; nelle quali, se talvolta andò Sâlem, fu da ausiliare.398 Il navilio siciliano, che diè tanta briga al Mehdi al tempo d'Ibn-Korhob, combatteva ora gli ortodossi sudditi degli Abbassidi in Egitto; i quali ben sapeano che i Siciliani ci andassero contro voglia. E però dopo la giornata navale che guadagnarono gli Abbassidi fuori Rosetta (919), menati a terra i prigioni, il popolo di Misr nè scevrò i Kotamii per ammazzarli; perdonò la vita ai Siciliani, Tripolitani e abitatori dell'Africa propria.399 Del novecentoventisette; venne d'Affrica a por taglie400 su la Sicilia, il figliuolo dell'emiro Sâlem, con due sceikhi401 detti il Belezmi e il Kalesciani402; e tornovvi del trentadue, con preposti nuovi: Ibn-Selma e Ibn-Dâia; i quali aggravaron la mano sul popolo, ma rappresentatisi a corte l'anno appresso, caddero in disgrazia del padrone;403 parendogli forse, che del camelo, com'ei solea dire, gliene avessero recato gli orecchi.404 Veggiamo infine che Sâlem accordava la tregua a Taormina e altre castella dei Cristiani dì Sicilia nella state del novecentodiciannove.405 Da tutto ciò è manifesto che il Mehdi adoperasse in Sicilia l'espediente tollerato dai pubblicisti musulmani del tempo: scindere l'emirato in due oficii, l'un di guerra e polizia, l'altro di azienda e giurisdizione;406 e che non contento a ciò, togliesse l'occasione e le forze da far la guerra. Un capitan generale della sbirraglia con l'antico titolo d'emir; un presidio di Kotamii o fanti poliziotti, com'or diremmo; pace coi Cristiani dell'isola, per lasciarvi disarmati i coloni; gli affari d'azienda e di guerra accentrati in Affrica: con questi ordini il Mehdi tenne la Sicilia. Usò modi somiglianti con le popolazioni arabiche d'Affrica. In generale serbò la pace con l'impero bizantino, e con le popolazioni berbere independenti. Meglio che la spada, amò la penna, i raggiri fiscali, gli artifizii da gran maestro, ai quali era stato educato. Condusse per man del figliuolo la guerra d'Egitto, saviamente ostinandosi a quel conquisto; ma non gli riuscì.

La morte del Mehdi, seguita il tre marzo novecentrentaquattro, si riseppe in Sicilia il venticinque agosto; poichè il figliuolo che gli succedette, Abu-l-Kasem-Mohammed, soprannominato El-Kâim-biamr-illah, la occultò quanto ei potè,407 temendo gli umori ostili degli Arabi d'Affrica, le sètte karegite dei Berberi e lo scompiglio che dovea recare nella setta ismaeliana la disparizione del semideo. A' dieci marzo del medesimo anno, fu morto dinanzi il palagio di Sâlem in Palermo, un Rendasc, governatore di Taormina:408 questo sol ne sappiamo; ma il nome greco ci porta a supporlo capitan del municipio cristiano che avesse infranto la tregua, e caduto in mano di Sâlem fosse mandato al supplizio. Il diciannove poi d'ottobre, ingrossati per piogge i torrenti delle montagne che circondano Palermo, calamità troppo frequente, si rovesciarono su la città, portaron via molte case fuori e dentro le mura, e v'annegò della gente.409 Corso poco più d'un anno, l'undici luglio del trentasei, soffiò sopra l'isola uno scirocco sì infocato, ch'arse le frutta in sugli alberi; nè quella stagione si potè far vendemmia.410

Ridestossi nel trentasette la rivoluzione a Girgenti; la quale città par che il governo fatemita non avesse disarmato nè imbrigliato al par di Palermo, in grazia, sia del sangue berbero, sia della pinta data a Ibn-Korhob. Ciò non togliea nè l'avarizia del fisco, nè i soprusi degli oficiali di Sâlem; sul quale piombò l'odio dei Girgentini, come d'ogni altro musulmano di Sicilia. Levatosi dunque il popolo, a' diciassette aprile, contro Ibn-'Amrân ch'era 'âmil, o, diremmo noi, delegato di Sâlem in Girgenti, lo andarono ad assalire in Caltabellotta, forte rôcca a trentadue miglia, ov'ei si tenea sicuro con suoi gendarmi;411 e, fatto impeto nella fortezza, il capo fuggì; gli sgherri furono svaligiati. Al quale annunzio Sâlem mandava Abu-Dekâk, Kotamio, con le genti di sua tribù, le milizie siciliane, e i fanti di Meimûn-ibn-Musa, che sembran altra caterva di gendarmi: e Abu-Dekâk s'era messo a stringere 'Asra, terra d'incerto sito,412 tra Palermo e Girgenti e rivoltata anch'essa, quando lo sopraggiunsero i Girgentini. Appiccata la zuffa il ventiquattro giugno, par che i soli a combattere tra i regii fossero stati que' di Kotama; poichè di lor soli si narra la sconfitta e la strage, nella quale cadde anco il capitano, e la prigionia dei rimagnenti. I vincitori marciarono sopra Palermo. Dove, o che il popolo non si fidasse per anco di levar la testa, o che il movesse l'antica nimistà coi Girgentini, si lasciò condurre da Sâlem e da Meimûn-ibn-Musa a combattere per gli oppressori. Scontrati i Girgentini, il due luglio, a Mesîd-Bâlîs,413 i Palermitani li ruppero dopo fiero combattimento, e li inseguiron fino a' mulini di Marineo.414 Se fosse lecito di ristorar a conghietture le memorie de' tempi, diremmo risolutamente che la nobiltà palermitana non proseguì volentieri la guerra contro i ribelli; che cercò di patteggiare col governo e resistergli, avendo di nuovo le armi alla mano. Certo, che la rivoluzione non fu repressa a Girgenti, e che a capo di due mesi divampò in Palermo.

Dove la domenica diciassette settembre sorgea contro Sâlem il popolo condotto da un Ibn-Sebâia e un Abu-Târ;415 ai quali l'emiro fe' testa, notandosi che gli fu ucciso nella zuffa un Abu-Nottâr, detto il Negro: qualche gran colonna della polizia al suo tempo. Nondimeno rimase l'avvantaggio a Sâlem, poichè ei faceva impalare parecchi ribelli il dì venti nell'arsenale. Più poderosi stuoli corsero alle armi, il sette ottobre; ritentarono la prova; e furono sconfitti di nuovo da Sâlem ed assediati nella città vecchia, ov'e' si ritrassero.416 Pure finì senza molto sangue. Avea Sâlem fin dai primi movimenti scritto al principe: tutta la Sicilia essere rivoltata; se non la volea perdere, mandasse rinforzi; e i notabili dell'isola, titubanti nella ribellione, aveano spacciato altre lettere nelle quali diceano voler obbedire al califfo, ma che non poteano sopportare quel tiranno di Sâlem. Donde Kâim, lor ne mandò un altro di tempra più fina; con possente esercito, nel quale contavansi parecchi condottieri,417 forse di soldatesche mercenarie. Il capitan supremo ebbe nome Abu-Abbâs-Khalîl-ibn-Ishâk-ibn-Werd. Nato in Tripoli di nobile famiglia arabica, s'era dato in gioventù agli studii, alla devozione, alle ascetiche fantasie dei sufì; poi s'era venduto ai Fatemiti, fattosi ministro d'espilazioni e di supplizi contro i proprii concittadini; rimeritato con oficii d'azienda, con governi di città; e n'abusò, sapendosi che pericolò la vita sotto l'avaro Mehdi, e che campò per intercessione di Kâim; il quale, salito al trono, lo fe' capitano della cavalleria d'Affrica, con giurisdizione sul giund e sul navilio.418 Questo suo fidatissimo deputò all'impresa di Sicilia. Sembra, che parte dell'armata fosse allestita in fretta a Susa. Poichè torna a tal tempo la leggenda affricana che, avendo i calafati svelto i cippi del cimitero di Susa per far puntello alle navi che si racconciavano per la spedizione di Sicilia, niuno osò toccare la pietra sepolcrale del devoto Iehia-ibn-Omar-ibn-Iusûf, dalla quale si vedea raggiare una portentosa luce.419

Khalîl, arrivato in Palermo a' ventitrè ottobre,420 fe' buon viso ai cittadini, che gli si appresentarono protestando lealtà al califo; ed ascoltò lor querele contro Sâlem; le quali furono ripetute con molte lagrime e strida dalle donne, uscite anch'esse dalla città, menando seco i fanciulli: doloroso spettacolo che commosse quanti il videro, scrive Ibn-el-Athîr, e ne piansero per pietà. Ripeteano tantosto le accuse contro Sâlem i deputati delle altre terre dell'isola, e i Girgentini medesimi che si sottomessero. Khalîl soddisfece in apparenza ai Siciliani con deporre d'oficio gli 'âmil di Sâlem: commedia ripetuta e applaudita in tutti i tempi. Quanto a Sâlem, nè andò via da Palermo, nè perdè il titol di emiro, nè par gli fosse tolta altra autorità, che il comando dell'esercito.421 Di che imbaldanziva tanto l'animo servile, da non sapersi frenare una volta che, abboccatosi coi deputati girgentini e punto forse da loro, rimbeccò: non ridessero poi tanto; aspettassero, e vedrebbero se il principe non avea mandato Khalîl a vendicare il sangue dei soldati uccisigli nella rivoluzione.422

Calmati che parvero i Siciliani, Khalîl diè opera al freno da por loro in bocca. Il palagio o castello degli emiri in Palermo giacea fuor la città vecchia, nel medesimo luogo ov'è adesso la reggia.423 Provano ciò le stanze dei soldati rimaste lì presso nel decimo secolo,424 e il portico, o, come lo chiamarono ai tempi normanni, la Via coperta, che dalla cattedrale riusciva a quel sito e che per certo, ai tempi musulmani, avea congiunto il palagio alla moschea giâmi'; sì come a Cordova,425 a Kairewân,426 e ad Algeri.427 Posto dunque ad un miglio dal mare, e standovi di mezzo città sì forte e popol sì contumace, il palagio non era bel soggiorno agli emiri negli spessi tumulti palermitani. Al contrario, la penisola in sul porto dove par si fosse accampato Abu-Sa'îd nell'assedio del novecento sedici,428 offeriva sito difendevole, aperto agli aiuti di fuori, ed acconcio a vietarne ai Palermitani. Khalîl vi gettò subito le fondamenta d'una cittadella cui diè nome El-Khâlisa, che suona “L'eletta;” e in vero dovea rinserrare il fior dei leali: l'emiro, i suoi mercenarii da spada e da penna; palagio, arsenale, oficii pubblici; prigione: tutta la macchina governativa; come una Mehdia in piccolo, circondata di mura, e molto bene afforzata.429 All'uso dei tempi, Khalîl risparmiò danari, sforzando la gente a lavorarvi;430 oltrechè fece abbattere le mura della città vecchia, e toglierne un'altra fiata le porte.431 I Palermitani fremevano, e non poteano dar crollo. Ma i Girgentini, addandosi che Sâlem avea ragione, vollero ripigliare le armi pria che Khalîl non architettasse qualche altra cittadella in casa loro.

Onde afforzan le mura alla meglio; fanno preparamenti di guerra: Khalîl, dal suo canto, accozzò grosso esercito, tra i Siciliani e le forze recate d'Affrica; coi quali movea di Palermo il nove marzo del novecentrentotto. Usciti i Girgentini allo scontro, vinsero per sanguinosa battaglia, nella quale cadeano due capi di gran nome tra i regii: Ibn-abi-Khinzîr, ch'è lo stesso casato dell'emiro del novecentoundici; ed Ali-ibn-abi-Hosein della tribù di Kelb, genero di Sâlem e ceppo della dinastia che poi regnò in Sicilia. Pur l'esercito regio, poderoso e condotto dalla volontà inflessibile di Khalîl, non ostante la prima sconfitta, continuò l'assedio per otto mesi; nei quali non passò giorno che poco o molto non si combattesse; finchè, sovrastando la stagione piovosa, Khalîl levò il campo a' ventidue ottobre. Svernò alla Khâlesa; fece venir d'Affrica altri Berberi, come il provano i nomi de' capitani Wasâmâ e Ibn-Modû;432 ed attese a levar novelli tributi su le popolazioni siciliane che gli ubbidivano. Onde, oppresse della gravezza, mosse dall'esempio e dalle istigazioni dei Girgentini, si chiarirono ribelli tutte le castella e il popol di Mazara, scrive Ibn-el-Athîr, particolareggiando molto i casi di cotesta guerra. E le castella si deve intendere del Val di Mazara; trovandosi tutti in quella provincia i nomi dei quali si fa ricordo; nè parendo da altro indizio che fossero per anco sparse le colonie musulmane a levante del Salso. “Misero in campo (continua Ibn-el-Athîr) loro gualdane; la ribellione fece passi da gigante; scrissero all'imperatore di Costantinopoli, chiedendo aiuti; il quale mandò navi con uomini e frumenti.” A tal partito si scorge la disperazione; ed anco all'insolito accordo che par sia stato tra gli Arabi e i Berberi dell'isola; ed alla ostinatissima resistenza: e vincean la prova, se Palermo voleva o potea tentare uno sforzo estremo; se i sollevati sapeano sottomettersi ad unità di comando; e se la carestia non combatteva anco pei Fatemiti. Khalîl, nella primavera del novecentrentanove, cominciò la guerra ai passi delle Madonie: espugnò Caltavuturo, Kalat-es-sirât,433 Sclafani; le quali non si ritrae che fossero state soccorse dai distretti meridionali. Assicurate così le spalle e le vittovaglie, volse a ponente; occupò Mazara;434 indi una penisola, ch'io credo il Capo San Marco, dove fu preso un condottiero bizantino o di schiatta siciliana, per nome Foca o simile, cui Khalîl fe' morire tra i tormenti:435 indi mosse con tutte le genti all'assedio di Caltabellotta. Ebbela a patti, dopo sanguinosa battaglia vinta il dieci luglio; nè potè fare altra impresa fino al settembre, quando messe il campo a Platani. La quale giaceva a dieci miglia in circa da Caltabellotta, una ventina da Girgenti e sei dal mare: antica fortezza d'un miglio in giro, su la cima del monte chiamato in oggi di Platanella, che sorge stagliato e dirupato d'ogni banda su la ripa destra del fiume di Macasoli e su la sinistra del Lico, il quale ha mutato il nome in Platani. La trovarono i Musulmani al conquisto; la tenner anco sotto i Normanni, formidabile e munita d'una rôcca; vi s'afforzarono nelle guerre civili al principio del regno di Federigo Svevo, quando par siano stati smantellati i ripari, e il villaggio conceduto coi terreni alla Cattedrale di Palermo. Tantochè nel decimosesto secolo ne avanzavan, dice Fazzello, mirabili rovine, ed oggi il nome di Calata attesta su le carte geografiche il sito della rôcca.436

Indarno travagliossi Khalîl contro Platani; anzi abbandonò o perdè Caltabellotta; a ripigliar la quale avendo spiccato parte de' suoi, i Girgentini una notte di novembre assalivano improvvisi l'uno e l'altro campo; sforzavano quel di Caltabellotta; lo saccheggiavano, metteano in fuga gli assedianti. Khalîl allora risolutamente lasciò anco l'assedio di Platani, per concentrar tutte le forze contro Girgenti, nodo principale della guerra; per chiudere quegli audaci entro lor mura, sì che non gli facessero altra vergogna, e che sentissero più crudelmente la fame.

La quale straziava tutta l'isola; prodotta non tanto da inclemenza di stagioni e da' guasti inevitabili della guerra, quanto da satanic'arte di Khalîl; il quale non mentì al certo quando vantossi d'avere spento di ferro e di fame centinaia di migliaia d'anime in Sicilia. Ormai tutta la strategia stava nel nudrire i proprii soldati, poichè i nemici sarebbero morti senza ferite: e il capitano computista d'Affrica, facendo rapir ogni maniera di cibo che potesse, conseguiva a un tratto la salute de' suoi e la distruzion de' Siciliani. La carestia ingombrò cittadi e campagne, scrive la cronica del paese; padri e madri mangiarono i cadaveri dei figli; abbandonate dagli uomini, rovinarono le castella; le terre coltivate rinsalvatichirono: una infinità di gente, aggiugne il Baiân, fuggendo la carestia e i sicarii di Khalîl, riparò qua e là nei paesi di Rûm, ch'è a dire Italia o Grecia; dove la più parte si fecero cristiani. Mentre seguia nell'isola cotesto scempio, Khalîl stava all'assedio di Girgenti: poi lasciovvi forte schiera con Abu-Kelef-ibn-Harûn, ed egli si ridusse in Palermo, certo ormai dell'esito. E di marzo del novecenquaranta, Platani inespugnabile s'arrendè; Girgenti tenne il fermo finchè i più savii o avventurati si salvarono con la fuga; i rimagnenti aprirono le porte a patto d'uscire salvi, il venti novembre: ma Khalîl, quand'ebbeli nelle sue forze, spezzando la fede menolli in Palermo. Le altre castella spaventate a questo eccesso s'affrettarono a chiedere perdono, sperando placare il tiranno: tutta la Sicilia tornò al nome dei Fatemiti. Khalîl mandava a Kâim in Affrica le caterve dei prigioni da vendere;437 nè andò guari che parendogli queta ogni cosa, s'imbarcò egli stesso per l'Affrica a' dieci settembre novecenquarantuno; lasciando al governo di Palermo due delegati, per nome Ibn-Kufi e Ibn-'Attâf della tribù di Azd;438 chè Sâlem era morto l'anno innanzi. Si tirò dietro in altro legno i notabili di Girgenti. E in alto mare comandò di sfondare la nave; sì che tutti perirono.439

Donde gli annalisti musulmani si scoton di loro aritmetica impassibilità, venendo a parlare di questo Khalîl; e chi l'infama d'aver ecceduto ogni limite di efferata barbarie, chi nota aver costui fatto in Sicilia ciò che niun altro Musulmano osò prima nè poi in alcun paese. Si narra che al ritorno in Mehdia, sedendo un giorno a brigata coi primi della città, caduto il discorso su la guerra di Sicilia, l'empio si millantava: “Non saprei giusto giusto quanti ve ne feci morire; non furono più d'un milione, non meno di secentomila.” E fatta breve pausa, ripigliò: “Sì, per Dio, passarono i secentomila.” E una voce s'alzò, del maestro di scuola Abu-abd-Allah, che gli rispose senza cirimonie:440 “Va, Abu-l-Abbâs, che ti basta un omicidio solo,”441 alludendo al grave peccato ch'era di sparger sangue per caso di maestà.442

Non andò guari che Khalîl n'ebbe il gastigo dalle mani degli uomini; Minacciata Kairewân dal ribelle Abu-Iezîd, e tentennando i cittadini tra la paura delle sfrenate sue moltitudini, e l'odio contro casa fatemita, Kâim vi mandò il gran sicario della dinastia con una banda di mille Negri a cavallo. Il quale, all'usanza vecchia, cominciò a velare e maltrattare, e tentava anco la cura della fame, spazzando il contado con orribile guasto; ma fe' contrario effetto, poichè i cittadini mormorarono, poi cospirarono, e, come minor male, chiamarono Abu-Iezîd. Appressandosi l'esercito ribelle (ottobre 944), Khalîl perdè l'animo: uscì alla battaglia quasi sforzato; fuggì pria che si venisse alle mani; e corse a chiudersi nel palagio di Kairewân. Dove preso dai ribelli, l'uccisero coi suoi sgherri, e appiccarono il cadavere a un palo, alla porta chiamata di Rebi'.443

397

Il Martorana, tomo I, p. 86 e 215, nota 115, seguito dal Wenrich, crede personaggi diversi Salem emiro del 917 e Salem del 937, fondandosi in su questo, che Nowairi aggiunga nel primo caso il nome patronimico Ibn-Ased; e Abulfeda nel secondo, Ibn-Rescîd. Tal supposto or si dilegua con l'autorità degli altri compilatori citati nel capo VII, p. 160, e soprattutto d'Ibn-el-Athîr, il quale scrive Sâlem-ibn-Rescîd sì nel 313 e sì nel 325 dell'egira.

398

Si vegga il Capitolo precedente, p. 170, seg., 176.

399

Eutichii, Patr. Alexandrini annales, tomo II, p. 508, 509. Questo scrittore, poco men che contemporaneo, è il solo che narri l'episodio dei prigioni risparmiati; tra i quali pone in primo luogo i Siciliani. Ei riferisce la battaglia al 307 dell'egira; ma Ibn-el-Athîr, MS. C, tomo IV, fog. 298 recto e verso, la scrive nel 306 (13 giugno 918 a 1 giugno 919); e la Cronica di Cambridge nota nel 6427 (1 settembre 918 a 31 agosto 919) la spedizione dei Fatemiti in Alessandria.

400

Taglieggiare è versione litterale del testo arabico. Donde sappiamo questo dazio insolito e gravoso, ma non di che natura el fosse.

401

Così la Cronica. Sceikh, vecchio, indi anziano, senatore, capo d'una frazione di tribù, capo d'un villaggio, o semplicemente preposto o dottore.

402

Cioè il primo di Belezma, città d'Affrica che abbiam citato altrove; il secondo, di Kalesciana a 12 miglia da Kairewân, della quale il Bekri, Notices et Extraits des MSS., tomo XII, 479.

403

Cronica di Cambridge, op. cit., p. 45.

404

Si vegga al Capitolo VIII, p. 172, 173.

405

Cronica di Cambridge, op. cit., anno 6427.

406

Si vegga il Capitolo I di questo Libro III, p. 3 in nota.

407

Confrontinsi: Cronica di Cambridge, op. cit., p. 46, anno 6442; Ibn-el-Athîr, anno 322, MS. B, p. 149, MS. C, tomo IV, fog. 321 verso; Baiân, tomo I, p. 216. Questi due ultimi dicono occultato il caso più a lungo.

408

Cronica di Cambridge, op. cit., p. 47, anno 6442. Il nome somiglia a quel di Randazzo, grossa città surta in Sicilia nel medio evo, che in Edrisi leggiamo Rendag. Sembra di origine greca, poichè la Storia Miscella, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte I, p. 150, ricorda un patrizio Sisinnio soprannominato Rendacium, sotto Leone Isaurico; e la Continuazione di Teofane nel regno di Romano Lecapeno, § 4, parla di un ‘Ρεντάκιος uom dell'Attica, e forse ateniese, parente del patrizio Niceta; il qual nome è scritto con le stesse lettere da Giorgio Monaco, e ‘Ρεντάκης da Simeone (ediz. Bonn, p. 399, 891, 732). Nulla toglie che il governatore di Taormina fosse appartenuto alla medesima famiglia, e che da lui o da altri fosse venuto il nome di Randazzo. Che il caso seguisse in Palermo non mi par dubbio, Quantunque la Cronica dica: “innanzi il palagio (Kasr) di Sâlem.” Non v'ha memona di terra in Sicilia chiamata Kasr Sâlem (il nome attuale di Salemi è corruzione dell'arabico Senem, idolo o statua); e la stessa Cronica, notando poi la morte dell'emiro, aggiugne che seguì nel suo kasr. Probabilmente il palagio vecchio, al quale rimase il nome di Salem, per essere stato l'ultimo emiro che vi soggiornò; tramutati poi gli ofici pubblici ecc. nella Khalesa.

409

Confrontinsi: Cronica di Cambridge, ann. 6443, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 47; Nowairi, op. cit., p. 14.

410

Cronica di Cambridge, l. c., anno 6444.

411

Il testo ha N rd barîn, che non dà significato. I primi editori lessero Brediaræos. Probabilmente è la voce persiana Bardadâr, guardie palatine.

412

Il nome non sarebbe molto diverso da Asaro, l'antica Assorus; ma l'a scritta con un'ain indica origine arabica; e il sito di Asaro presso Leonforte si allontana troppo a levante dalla via tra Palermo e Girgenti. Mancando di vocali il MS., questo nome si potrebbe leggere Osra, che significherebbe “asilo, riparo,” e sarebbe nome di luogo oggi sconosciuto.

413

La Cronica di Cambridge, la sola che fornisca questo e gli altri particolari della guerra, dà il secondo vocabolo in guisa da potersi anco leggere Tâlis, Nâlìs, Iâlis e Mâlis. Il primo è suscettivo della ottima lezione Mosciaiad, che significherebbe “edifizio, monumento.” Non mi sovviene di nomi topografici antichi o moderni di Sicilia che ci aiutino a trovare il vero nome e il sito preciso, che dovea essere molto vicino a Palermo. Ma Bâlîs è nome d'una provincia tra il Sind e il Segestân, Geografia d'Edrisi, versione francese, I, 444, 449. Bâlis o Bâles era picciola città su la sponda occidentale dell'Eufrate. Veggansi: Ibn-Haukal., MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 885, fog. 85 recto; Edrisi, op. cit., I, 335; Jakût, Merâsid, ediz, di Leyde, I, 122; Abulfeda, Geografia, testo arabo, ediz. di Parigi, p. 268. In Ispagna era città (Velez Blanco?) nella provincia di Begiâia e porto tra Alicante e Cartagena. (Edrisi, op. cit., tomo II, p. 14, 39.).

414

Lo stesso MS. ha M r nuh, Marineo, a 17 miglia da Palermo, sovrasta al fiume di Misilmeri, appunto su la strada per la quale doveano ritirarsi i Girgentini. Le due battaglie senza particolari di leggono in Ibn-el-Athîr, anno 325; e in Nowairi, presso Di Gregorio, p. 14, 15. Abulfeda, anno 325, dà appena un cenno della rivoluzione.

415

Così la Cronica di Cambridge. Il Nowairi ha invece Ishâk-Bostâni (ossia il giardiniere) e Mohammed-ibn-Hamw. Probabilmente son le medesime persone. Ibn-Sebâia potrebbe essere il nome patronimico d'Ishâk soprannominato Il Giardiniere; ed Abu-Târ, il soprannome di Mohammed. Quanto al nome patronimico di quest'ultimo, forse va corretto Hammoweih, e sarebbe d'origine persiana. Il Martorana, tomo I, p. 88, e con lui il Wenrich, arbitrariamente danno i due primi come capi del tumulto del 17 settembre, e i due secondi di quello del 7 ottobre.

416

Cronica di Cambridge, op. cit., p. 48, anno 6446, e ve n'ha un cenno in Ibn-el-Athîr, anno 325, e in Nowairi, op. cit., p. 15.

417

Ibn-el-Athîr e Nowairi, ll. cc. Il secondo, che par abbia copiato qui la cronica primitiva, dice: “con un esercito e parecchi kâid.” Perciò questa voce non sembra adoperata nel significato generale di capitani d'esercito, ma in quel di condottieri di corpi minori.

418

Confrontinsi: Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 104 recto; e Baiân, tomo I, p. 225, anno 325.

419

Riadh-en-Nofûs, fog. 60 recto. Iehia era morto verso il 290. Però ho supposto che si tratti di questa impresa o dell'altra del 916.

420

Così la Cronica di Cambridge, op. cit., p. 48, anno 6446. Nowairi, op. cit., dice alla fine del 325; il che torna allo stesso con poco divario.

421

Si vegga qui appresso, Lib. IV, Cap. 1, p. 236. Sâlem rimase al certo in autorità insieme con Khalîl. Senza questo non si può trovare ragione plausibile dell'abboccamento coi Girgentini, nè dell'essere lui rimaso in palagio vecchio; nè del titolo di emir che gli si dà alla morte.

422

Confrontinsi: Ibn-el-Athîr, Nowairi e Ibn-Khaldûn, ll. cc.

423

Fazzello, Deca I, lib. VIII, cap. II, scrive del palagio reale di Palermo: Hanc (arcem) a Sarracenis primum Panormum adeptis, super veteris arcis ruinis excitatam literæ in eo incisæ indicant. Ma nè egli dà, nè si è mai trovata la iscrizione, e però non allego tal testimonianza.

424

Ibn-Haukal, Description de Palerme, nel Journal Asiatique, IVe série, tomo V, p. 95.

425

Makkari, Mohammedan dynasties in Spain, versione di Gayangos, tomo I, p. 220; Edrisi, Géographie, vers. di Jaubert, tomo II, p. 58 seg.

426

Bekri, versione di Quatremère, Notices et Extraits, tomo XII, p. 473.

427

Bargès, descrizione della Moschea principale d'Algeri al 1830, nel Journal Asiatique, série IIIe, tomo XI, p. 182. Quivi non si dice in vero che di una porta di comunicazione col palagio del governatore.

428

Veggasi il cap. VII di questo Libro, p. 157, 158.

429

Ibn-Haukal, Description de Palerme, nel Journal Asiatique, série IVe, tomo V, p. 22, 23; Nowairi, Enciclopedia, ibid., p. 104, Edrisi, Géographie, versione di Jaubert, tomo II, p. 77.

430

Ibn-el-Athîr, anno 325, scrive che “la gente fu molto aggravata nella costruzione della cittadella.” I pubblicisti musulmani, principalmente Mawerdi, ci danno il comento. Veggasi il cap. I di questo Libro, p. 10, nota 4.

431

Cronica di Cambridge, Ibn-el-Athîr e Ibn-Khaldûn, ll. cc.

432

Cotesti nomi dalla sola Cronica di Cambridge. La sillaba wa entra in parecchi nomi berberi in vece dell'arabico ibn, figlio. Modû sembra dello stesso conio; non arabico al certo. Si trova in Edrisi con ortografia poco diversa il nome d'un castelletto tra Randazzo e Castiglione, che risponderebbe a Mojo d'oggidì.

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Risponde a Collesano d'oggidì secondo le distanze notate da Edrisi, il quale la dà con questo nome istesso di Kalat-es-Sirât.

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L'ordine delle operazioni militari di Khalîl è dato dalla Cronica di Cambridge e sta bene a martello. Il nome che scrivo Mazara è ””lb”ra, letto dai primi traduttori Kalbara, arbitrariamente nella prima sillaba. Correggendo Mazara non si viene ad alterare alcun dei tratti principali e si trova la importante città nominata da Ibn-el-Athîr. Quanto a Kalbara, o come che si legga la prima sillaba, non v'ha nome noto da potervisi adattare; e non è da pensare nè anco per ombra alla Calabria.

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Il fatto e il nome nella sola Cronaca di Cambridge, ove il secondo è scritto senza vocali Fkh e si potrebbe legger Foca, o con altra vocale che fu preferita nella version latina, e non è bello ripeterla in Italiano. Ancorchè Fikh significhi in arabico la scienza del dritto, qui è nome d'uomo e d'un luogo che il prese da lui; nè credo abbian gli Arabi tal nome proprio. Al contrario è noto ad ognuno nelle istorie bizantine il casato Foca, illustre in que' tempi: e ciò mi ha suggerito la prima lezione. Nondimeno il latino e (perchè no?) l'italiano potean anco fornire il soprannome d'alcun cristiano di Sicilia, il cui braccio avessero accettato i ribelli musulmani, sì come avean chiesto gli aiuti di Costantinopoli. E in vero presso il Capo di San Marco è un luogo detto Ficana. Questo appunto, e la coincidenza del sito presso Mazara e Caltabellotta, mi ha persuaso che si tratti della penisola del Capo San Marco. Ho interpretato penisola la voce gesîra del testo, che vuol dire anche isola.

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Si vegga pel XII secolo la geografia d'Edrisi; pel XIII e XIV, i diplomi accennati da Pirro, Sicilia Sacra, p. 136, e da Huillard-Breholles, Historia diplomatica Frederici II imperatoris, tomo I, p. 118, 194; Mortillaro, Catalogo dei diplomi della Cattedrale di Palermo, p. 90; e pel XVI, la descrizione di Fazzello, Deca I, lib. X, cap. III.

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La Cronica di Cambridge accennando sola questo fatto, usa la espressione sebi, che vuol dir propriamente le donne e fanciulli prigioni. Parmi qui adoperata in significato più largo.

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Il nome etnico di 'Attâf è dato dal solo Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 165.

439

Quest'ultimo periodo della rivoluzione si ricava in parte dalla Cronica di Cambridge, anni 6447 a 6450, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 48, 49; in parte da Ibn-el-Athîr, anno 325. Si veggano anche il Baiân, ediz. Dozy, tomo I, p. 223; Abulfeda, anno 325; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione, p. 164, 165. Il Nowairi, presso Di Gregorio, p. 15, accenna la venuta e la partenza di Khalîl, senza far motto della guerra. Il Rampoldi, Annali, tomo V, p. 213, 217, 221, 223, 230, anni 937, 938, 939, 940, 941, aggiugne di capo suo una ribellione in Palermo in questo secondo periodo, aiutata dai Bizantini; e che il governo d'Affrica mandasse grani in Sicilia.

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Era modo familiare il chiamare col keniel, ossia primo soprannome, anzichè col nome proprio o col titolo di dignità.

441

Confrontinsi: Baiân, l. c., e Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 104 recto.

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Peccato, poichè i pubblicisti più accreditati non permetteano di uccidere i ribelli presi con le armi alla mano, nè di tenerli in prigione finita che fosse la guerra, nè di prendere i loro beni, nè di far cattive lor donne e figliuoli. Veggasi Mawerdi, Ahkâm Sultanîa, ediz. Enger, p. 98 e seg.; The Hedaya, versione inglese di Hamilton, lib. IX, cap. IX, nel tomo II, p. 250. Nell'impero ottomano prevalsero poi dottrine più tiranniche, le quali si ricerchino in D'Ohsson, Tableau de l'Empire Ottoman, tomo VI, p. 253.

443

Confrontinsi: Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 104 recto; Baiân, tomo I, p. 223; Ibn-el-Athîr, MS. C, tomo IV, fog. 343 recto, anno 333.

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II

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