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LIBRO TERZO
CAPITOLO V
ОглавлениеNon bastando ormai alla storia il classico quadro dei fatti e delle passioni umane, se non siano anco divisati gli ordini e le opinioni che nascono da sorgenti assai remote, forza è ch'io interrompa nuovamente la cronica di Sicilia, e torni addietro parecchi secoli, per rintracciare in Asia le cagioni del mutamento di dinastia che s'apparecchiava alla morte d'Ibrahim-ibn-Ahmed. Lo apparecchiava la setta ismaeliana, della quale mi fo ad esporre l'origine, l'indole, i progressi.
L'autorità dell'impero musulmano, si come portava sua natura mista, fu combattuta da tre maniere di nemici: le fazioni politiche, gli scismi religiosi, e le sètte partecipanti dell'uno e dell'altro. Fazioni chiamo quelle che agognavano a mutare il principe non le leggi; onde nè impugnarono durante la lotta, nè toccarono dopo la vittoria, quegli assiomi teologici e civili che costituivano l'islamismo ortodosso; cioè la fede che parea diritta al maggior numero. Parecchi Stati in fatti continuarono a rispettar come pontefice il califo, cui disubbidivano come principe. Fino gli Omeîadi di Spagna, con lor pretensioni di legittimità, esitarono per un secolo e mezzo a ripigliare il sacro titolo di Comandator dei Credenti, usurpato, dicean essi, dalla casa di Abbâs, ma pure assentitole dalla più parte dei popoli musulmani.
Al contrario nacquero di molte eresie, i cui settatori non si proposero dominazione politica, nè vollero sostener le opinioni con la forza delle armi; ma la ragione o l'errore, la coscienza o la superbia dell'intelletto, li spinsero a propagar, dottrine diverse dalle sunnite; affrontando spesso la crudeltà dei principi, il furor della plebe, i disagi delle persecuzioni, la fatica d'una continua lotta, il pesante biasimo delle moltitudini. Svilupossi tal movimento tra la metà del primo e la metà del terzo secolo dell'egira, nella Mesopotamia e province persiane; nelle quali regioni e nel qual tempo la schiatta arabica, venendo a contatto con genti più incivilite, apprese le speculazioni dell'umano intelletto accumulate per sessanta secoli da panteisti, politeisti, dualisti, unitarii, razionalisti. Dettero materia agli scismi maomettani quelle tesi che gli uomini in tutti i tempi han proposto sì facilmente e poi sonvisi avviluppati come in laberinto di spine: la natura dell'Ente supremo; la influenza di quello sopra le azioni umane e però predestinazione, libero arbitrio, grazia; il merito della Fede e delle opere; i gastighi serbati, a chi peccasse nell'una o nelle altre; e via discorrendo. Su cotesti argomenti l'autorità sunnita s'era appigliata sovente al partito più ripugnante alla ragione. Basti in esempio il domma ortodosso della eternità del Corano, negata dai Motazeliti; i quali furono perseguitati; finchè, persuaso alcun califo abbassida, a lor volta divennero persecutori. Ma gli scandali, i tumulti, il sangue sparso per questa e altre liti teologiche, non portarono a rivolgimenti politici. Dei settantadue scismi che novera la storia ecclesiastica dei Musulmani, una ventina si mantenne entro i detti limiti della disputa; come i Kaderiti sostenitori del libero arbitrio; i Geberiti dell'opera passiva dell'uomo; i Motazeliti che faceano eterna la sola sostanza della divinità; i Sefetiti che le accomunavano nella eternità i suoi accidenti o qualità; i pigri Morgii affidantisi tutti nella Fede; i Nizâmiti che negavano la libera volontà di Dio, e s'accostavano ai filosofi materialisti; e altre sètte i cui nomi e opinioni sarebbe superfluo a ripetere.198
Avviati ch'e' furono a libero esame, i pensatori musulmani non poteano trattenere il piè, che dalle eresie non passassero ai razionalismo. A ciò li condusse la serena luce della scienza greca, la quale cominciò a splendere nell'impero dei califi più presto che non si crederebbe. Qualche libro di filosofia era stato voltato in arabico dal greco e dal copto verso la fine del settimo secolo dell'era cristiana, primo dell'era musulmana, per opera di Khâled-ibn-Iezîd-ibn-Moa'wia, principe del sangue omeîade, soprannominato il filosofo della casa di Merwan.199 Ma accelerato l'incivilimento dai Persiani che esaltarono la casa di Abbâs,200 si diè mano a volgarizzare i pochi libri che avanzavano in Persia della letteratura indiana e nazionale dei tempi sassanidi; si pose maggiore studio a interpretare i libri scientifici dei Greci: immenso beneficio che la civiltà riconosce dai califi Mansûr (754-755) e Mamûn (813-833), e da' costui ministri della schiatta persiana di Barmek. Le scienze greche penetrarono allora nella società musulmana per triplice via: di Siria, di Persia e dell'impero bizantino; perchè in quelle due province dei califi se ne serbavano le tradizioni e qualche scritto; e dalle province bizantine s'ebbero moltissimi libri per richiesta che ne fece Mamûn agli imperatori di Costantinopoli
Così fiorivano nella capitale abbassida, e poscia in altre città dell'impero, gli studii di medicina, astronomia, geografia, matematiche, storia naturale, logica, metafisica; e correano per le mani dei dotti le opere degli antichi filosofi, massime di Aristotile.201 Vo dir di passaggio che quelle di Empedocle d'Agrigento o d'alcun suo discepolo furono anco studiate in Oriente; e che nei principii del decimo secolo un Musulmano di Spagna tentò di fondare con tai dottrine una scuola, la quale non resse alle persecuzioni.202 La filosofia greca da una mano diè armi agli eresiarchi musulmani dei quali abbiam detto di sopra; dall'altra mano fe' nascere varie scuole di liberi pensatori che combatteano, più o meno apertamente i principii d'ogni religione. Tali i Bâteni che presero il nome dal significato latente, o vogliam dire allegorico, supposto da loro nei libri sacri; ma alcuni arrivavano a pretto ateismo; per esempio, il cieco Abu-l-'Ala da Me'arra in Siria, il quale, in versi che parrebbero di Lucrezio, sferzava insieme Giudei, Magi, Cristiani, Musulmani; e conchiudea che l'uman genere va spartito in due: pensatori senza religione, e devoti senza cervello.203 Le denominazioni delle scuole razionaliste furono sempre confuse appo i Musulmani, tra per cautela degli adetti, sforzati a nascondersi sotto i misteri e gli equivoci di sètte men radicali, e tra per la ignoranza della comune degli uomini e la pronta calunnia dei devoti. Appiccaron costoro malignamente a tutti i liberi pensatori l'appellazione di zindîk, perch'era abborrita in persona dei comunisti persiani e fatta sinonimo d'empio, com'or si dirà. Quando poi suonarono sì terribili in Oriente i nomi d'Ismaeliani, Karmati, Drusi, Assassini, novelle sètte miste aiutantisi con le spiegazioni allegoriche, i devoti colsero il destro di gridarli a gran voce Bâteni; mettendo i filosofi a fascio con loro. E così è pervenuta la storia agli eruditi europei del nostro secolo; i quali, con loro preoccupazioni politiche e religiose, o non si sono accorti di quegli errori o non si sono affrettati a chiarirli. Indi si è esagerata la parte ch'ebbe la filosofia greca nelle sètte più odiose. Indi si è supposta tra varie sètte quell'analogìa di modi è d'intenti che di certo non ebbero.204 E però è mestieri ch'io tratti questa materia più minutamente che non si addica a quadro generale; ma tra due scogli mi par meno male la digressione che l'errore.
Gran tratto innanzi i dissentimenti speculativi, s erano mostrate nell'islamismo le sètte miste d'eresia e di fazione; i due ceppi delle quali, suddivisi in rami secondo le opinioni accessorie, si chiamarono Khâregi e Sciiti. Il nome dei primi s'intese quando il califo Othmân cominciò a falsare la democrazia musulmana. Difenditori della democrazia, i Khâregi eran uomini di schiatte arabiche, e non pochi tra loro rinomati per virtù, sapere e pietà.205 Collegaronsi con gli ottimati religiosi206 e coi partigiani di Ali; e tutti insieme spensero Othmân: se non che l'accordo di tre fazioni, sì diverse negli intendimenti loro, si ruppe alla esaltazione di Ali, prima che fosse abbattuto il terribile nemico comune, ch'era l'antica nobiltà, capitanata da Mo'awia-ibn-abi-Sofiàn. La parte più turbolenta degli ottimati religiosi levossi contro Ali; fu sconfitta nella giornata che chiamarono del Camelo; e i Khâregi tuttavia seguirono il vincitore su i campi di Seffein, ov'ei si scontrò con Mo'awia. Ma posate le armi per lo noto compromesso, i Khâregi spiccavansi da Ali, vedendolo sospinto da' suoi partigiani alla monarchia assoluta di dritto divino. A rintuzzare sì pericolosi principii d'usurpazione, i Khâregi immantinente bandiscono non necessario nella repubblica musulmana il califo; se talvolta il popolo creda espediente di nominarne, possa sceglierlo di qualunque schiatta e condizione, coreiscita o no, libero o schiavo; sia tenuto il califo a governare secondo certi patti fondamentali; declinando lui dalle vie della giustizia, il popolo possa deporlo, combatterlo, metterlo a morte. Quanto ad Ali, per rispondere all'apoteosi che ne faceano i suoi, i Khâregi a dirittura lo incolparono di peccato per l'accettato compromesso; e poco stante, per cagion di questo o d'altri atti di governo, lo chiarirono infedele in religione; alfine pubblicamente lo maledissero, per avere, combattendo contro di loro, messo a morte gli uomini da portar arme, fatto bottino dei beni e menato in cattività le donne e i fanciulli: crudel rigore di guerra, lecito solo contro Infedeli e non usato da Ali verso gli altri nemici musulmani. Quest'ultimo fatto prova che Ali tenne i Khâregi non solo ribelli, ma sì eretici. E veramente quei loro assiomi sì precisi di sovranità del popolo, tornavano a scisma secondo le idee musulmane; e a scisma tornava, secondo le idee di tutti i popoli, il dichiarar peccatore e infedele un pontefice, e affermare che le peccata gravi portassero a infedeltà.207 Del resto ognun vede quanto semplice, e, direi quasi, pratica sia stata cotesta eresia, nata dalla schiatta arabica, al paragon delle sottilità straniere. Sursero poi novelle sètte kharegite più feroci in lor teorie rivoluzionarie e più speculative e audaci in punto di eresia; come portava da una mano la rabbia della persecuzione e la coscienza della propria debolezza, dall'altra il miscuglio coi forastieri. Ognun sa che Ali cadea sotto il pugnale dei Khâregi e che due altri despoti in erba ne campavano a mala pena. Il ramo kharegita detto dagli Azrâkiti, che poi levò tanto romore in Oriente, disse infedele chi dissimulava in parole o in opere trovandosi in pericolo, e chi non correva alla guerra sacra, quella cioè di lor setta contro ogni altra; e fe' lecito di uccidere fin le donne e bambini dei dissidenti; ma altri rami non arrivarono a tali estremi. Quanto alle leggi estranee alla contesa politica, gli Azrâkiti abolirono la pena di morte per stupro; altri permessero il matrimonio con la figliuola della propria figlia e con la figlia di fratello o sorella, e alsì il matrimonio di Musulmana con uomo infedele; nei quali punti di scisma traspariscon le dottrine persiane. Altre sentenze teologiche e casuistiche tolsero or dai Motazeliti or da altri eterodossi.208 Segnalaronsi le sètte kharegite per indomito ardire contro la tirannide, sì nel campo e sì in faccia al supplizio. Per due secoli accesero atrocissime guerre nelle province orientali e in Affrica; e molte dure scosse dettero allo Impero; ma alla fine gli eserciti dei califi trionfaron di loro. Tanto ardua impresa ella era di ristorare la democrazia di Abu-Bekr e di Omar tra masse di popolo eterogenee, ignoranti, superstiziose; e tanto nocquero all'intento quei mezzi rabbiosi ed efferati, che al certo discreditarono e assottigliarono i Khâregi più che non li rinforzassero col terrore.
A un tempo con quei campioni della libertà erano comparsi i settatori più frenetici che abbian mai sostenuto l'autorità, gli Sciiti o Scî'i, come si dovrebbe scrivere, e significa Partigiani. L'erano di Ali. Teneano: il pontificato non procedere dalla comunità musulmana, nè potersi conferire da uomini; essere fondato su dritto divino, che il Profeta stesso non ebbe autorità di cancellare nè modificare; tramandarsi il pontificato per successione di sangue e designazione del predecessore; appartenere evidentemente ad Ali e sua schiatta. In ciò si accordavamo a un di presso tutti i rami di setta sciita. Dissentivano su l'ordine della successione d'Ali. Inoltre i Kaisaniti, ramo sciita, compendiavano stranamente la religione nella assoluta obbedienza al pontefice.209 I Gholâ, altro ramo,210 scoprirono nei pontefici alìdi non so che ipostasi divina, non so che spirito trasmigrante da persona a persona, e vi fu chi sostenne, dopo la morte di Ali, ch'ei fosse salito in cielo per tornare al mondo quando che fosse a ristorar la giustizia, e che aspettasse passeggiando su i nugoli; e sentian la sua voce nel tuono; e vedean guizzare nelle folgori la frusta dell'immortal cavaliero. Principii filosofici, miti, pensieri, imagini, estranei tutti alla schiatta arabica; nei quali non è chi non raffiguri il sogno indiano delle incarnazioni, la superstizione tibetana del pontefice Iddio, e la trasmigrazion delle anime, e l'aspettativa del Messia, e un mito eroico di vero conio indo-europeo. Coteste merci straniere entrarono nell'impero musulmano coi liberti che avean prima professato magismo, sabeismo, giudaismo, cristianesimo, o alcuna setta di esse religioni; e veramente un liberto di Ali per nome Kaisân diè origine e nome al ramo sciita ricordato di sopra; un Giudeo rinnegato, per nome Abd-Allah-ibn-Saba, fu il primo dei Gholâ; e, vivendo Ali, aveva osato dirgli “Tu sei tu” che volea significar “sei Dio.”211 I barattieri che cercavano un capo di parte e gli sciocchi sì correvoli ad ogni maraviglia, avean trovato bello e pronto il soggetto del mito: Ali, cugino, fratello elettivo, genero, compagno dall'infanzia, e impavido difensore di Maometto; il guerriero dalla spada a due tagli, il quale mai non combattè uomo che nol vincesse; il novello Sansone che all'assalto di Khaibar avea schiantato la porta dai cardini e fattosene scudo; Ali nobilissimo, caritatevole, liberale, e con ciò ambizioso e leggiero. Indi l'apotéosi presto fu compiuta. Ali, che in su le prime avea lasciato fare, s'accorse della empietà alla quale il tiravano, e sbandì il giudeo Ibn-Saba;212 poi, incalzandolo altri adoratori; inorridito, accese il fuoco e chiamò Kanbâr, come dicea poetando egli stesso, per significar che gli avesse fatto uccidere e ardere i cadaveri da quel suo liberto.213 Ma la superstizione non si dileguò a tal esempio; non alla morte del semideo. La stirpe di Ali, atrocemente proscritta, forniva alla leggenda altre pagine spiranti tragica pietà: Hasan, avvelenato dagli Omeîadi per man della propria moglie, le perdona dal letto di morte; Hosein con un pugno di uomini fa testa a un esercito e cade, ultimo dei combattenti, tra i cadaveri dei congiunti, con un fanciullo figliuol suo trafittogli nelle braccia; i discendenti si segnalano, quali per dottrina o valore, quali per pietà e rassegnazione, e per lo più son vittima anch'essi dei sospetti di Stato; il glorioso nome di Ali per sessant'anni è maledetto nella pubblica preghiera dell'impero. Pertanto la compassione dei popoli accresceva e infocava i partigiani della sacra schiatta, i quali le attribuivano novelli miracoli, e correano al martirio per ristorarla in sul trono; ma prevalendo sempre sopra di loro le armi dei califi, si ordinarono alfine in società segreta. Fuori da quella congrega, continuò il fanatismo delle moltitudini ad esaltare gli eroi di casa alida; sfogossi in sedizioni contro i Sunniti; e fino a questi dì nostri ardentissimo si manifesta in Persia e nelle popolazioni musulmane dell'India.
La società segreta che raccolse le forze popolari e le adoprò ad esaltare in Affrica i veri o supposti discendenti di Ali, ebbe origine da sodalizii più antichi. Esaminando i due elementi dei quali necessariamente si componea, cioè le dottrine e gli ordini, si trovano entrambi nella schiatta persiana. Le dottrine nacquero, o a dir meglio, presero forma propria e novella, nei principii dell'era volgare e in Persia; ove il magismo avea già cominciato ad ascoltare le teorie buddiste dell'Asia centrale, le avea trasmesso insieme con le proprie nell'Asia anteriore, e questa gli avea rimandato le une e le altre modificate dal cristianesimo. In fatti il gran riformatore della setta sciita, quegli che la ordinò in società segreta, seguiva tuttavia la scuola d'un eresiarca del secondo secolo, rimaso incerto tra il magismo e il cristianesimo, Ibn-Daisân, o Bardesane, come chiamasi con forma siriaca: dottore ascetico e dualista, il quale immaginò l'uomo mediatore tra la Luce e le Tenebre.214 Ma i Daisaniti sono stati confusi spesso coi Manichei, setta analoga che levò assai maggior grido. Mani, come ognun sa, non contento di recar da mero profeta un libro dettato dal Cielo, osò affermare con idea buddista e linguaggio cristiano ch'ei chiudesse in petto lo spirito paracleto o divin consolatore del vangelo; predicò in Persia, Tartaria e India una novella religione accozzata di varie altre, soprattutto di magismo e cristianesimo; dove, tra molte assurdità teologiche e molti ottimi principii di morale, insegnò aver tutti gli uomini uguale diritto al godimento dei beni e piaceri del mondo.215 Spento Mani dai monarchi sassanidi (272), e costretti i discepoli a rifuggirsi nella Transoxiana, ricomparvero dopo il conquisto musulmano in Khorassân e altre province dell'impero, e fino a Bagdad; ove se ne contava trecento nella seconda metà del decimo secolo. Or ignorati or perseguitati, e una volta (908-932) tollerati per intervenzione dei principi dell'Asia centrale,216 i Manichei dell'impero musulmano ordinarono una gerarchia occulta, la cui sede era per Io più in Babilonia e nei tempi difficili la trasportavano ove poteano.217
Surse anche sotto i Sassanidi Mazdak,218 sacerdote e teologo di scuola manichea; il quale, speculando novità su la teoria socialista del maestro, talmente la allargò, che ne venne a bandire il comunismo dei beni e delle donne e la licenza di soddisfare a ogni desiderio che non nuocesse alla persona altrui: esortando, del resto, i proseliti alla beneficenza, all'ospitalità, ad astenersi dall'uccisione e afflizione corporale degli uomini e fin degli animali. Per trent'anni (498-531) Mazdak sconvolgea l'ordine costituito in Persia: e. arrivò a impadronirsi della autorità pubblica e mettere in pratica alcuna di sue dottrine; finchè il principato e la nobiltà, uniti insieme, lo spensero con uno spaventevole eccidio de' seguaci.219 Le teorie, che sopravvissero, divamparon di nuovo, due secoli appresso, in quelle medesime regioni signoreggiate ormai dai Musulmani.
Perchè le sètte dell'antica religione dei Persiani, incoraggiate dall'antagonismo nazionale contro i vincitori, tentarono una serie di movimenti religiosi a insieme politici e sociali; nei quali apparisce sovente il lavoro di società segrete, e sempre vi primeggia la superstizione indiana dell'ipostasi. Volle dapprima un Khawâf, verso la metà dell'ottavo secolo, innestare il manicheismo sull'islam; e, denunziato, com'e' pare, da una setta rivale, fu messo a morte dal governatore musulmano a Nisapûr: se non che i suoi proseliti lo vider salire in cielo sopra un bel cavallo baio dorato, e lungamente poi aspettarono che tornasse giù a far vendetta.220 Nel medesimo anno o poco innanzi, Abu-Moslim,221 anch'egli del Khorassân, metteva in trono gli Abbassidi con una cospirazione, tramata sotto forme di società segreta: il quale ucciso poi a tradimento dagli Abbassidi (754), moltissimi uomini del Khorâssan lo tennero non morto nè mortale; e formarono un novello ramo di setta Mazdakiana, che fa detto degli Abumuslimiti.222 Un altro ramo si chiamò dei Rawendi; i quali pensarono adorar come iddio il califo abbassida Mansûr (758), ed egli molti ne imprigionò; gli altri apertamente sollevaronsi contro il nuovo lor nume.223 Non andò guari che Mokanna, come l'appellarono gli Arabi dall'uso di andar coperto d'una maschera di metallo, spacciava in Khorassân che lo spirito di Dio, trasmigrando di profeta in profeta, e, poc'anzi, in persona d'Abu-Moslim, fosse venuto per ultimo ad albergare in lui; e raggirava i proseliti con tiri da saltimbanco; accendeali di fanatismo; resisteva alle armi del califo; ridotto allo stremo in una fortezza (776), dava la morte a sè e ai compagni.224 Le quali repressioni non interruppero la propaganda occulta di tutte queste sètte del magismo, dei Zindîk, come furono detti, con voce generica che credesi derivata dal noto nome di Zend. Mehdi, di casa abbassida, fieramente li perseguitava (784-785); istituiva contro di essi un magistrato speciale detto il Preposto degli Zindîk,225 e, nell'atto di mandarne alcuno al supplizio, esortava il figliuolo Hadi a continuare la proscrizione, succedendogli nel califato, per essere i Zindîk, com'ei diceva, Manichei, scellerati che vietavano di mangiar carne, viveano in ippocrita astinenza, credeano a due principii Luce e Tenebre, praticavano schife abluzioni, permetteano il matrimonio con le figliuole e sorelle, e andavano rubando i bambini altrui per educarli al culto della Luce.226 Il poeta Besciâr-ibn-Bord, cieco e vecchio di novant'anni, era stato messo a morte da Mehdi (782) nella medesima persecuzione, la crudeltà della quale par consigliata da sospetto di Stato, più che da fanatismo religioso.227 Poi un Giân dewân228 aspirò agli onori divini; tenne la fortezza di Bedsds229 nell'Aderbaigiân; ebbevi adoratori e soldati; e spianò la via a Babek oriundo di Medâin, assai più terribile impostore. Perchè alla morte di Giân dewân, la moglie attestava ai partigiani aver visto raccogliere dal giovane Babek il soffio divino reso dal moribondo; ed essi, avendo mestieri d'un capo, credean queste e tante altre favole. Babek seguì necessariamente i dommi della trasmigrazion delle anime e della divinità dei ciurmadori antecedenti; seguì le dottrine comuniste di Mazdak, trascorrendo sino all'incesto; ma a quel vergognoso epicureismo aggiunse i furori dei Khâregi, il dovere di far guerra, la licenza di commettere guasti, rapine, omicidii sopra i seguaci d'altre credenze. La loro fu chiamata dagli Arabi la religione del libertinaggio, e ai settatori dieron anco il nome di Khorramii, o diremmo noi gli Sfrenati. Traendo alle bandiere di Bâbek uomini rotti ad ogni scelleratezza, costui per venti anni (816-836) affrontò e sovente sconfisse gli eserciti abbassidi nelle regioni settentrionali della Persia, ove si dice abbia fatto incredibili carnificine. In ultimo, presagli la cittadella di Bedsds, inseguito, raggiunto in Armenia, condotto a Bagdad, messo ad orribili supplizii, li durò fino alla morte con fortezza da eroe.230
Non guari dopo cotesti estremi sforzi della schiatta persiana, veggiamo cominciare il movimento con altre forme nella schiatta arabica. Ne fu autore un Abd-Allah-ibn-Meimûn, detto il Kaddâh ossia l'Oculista, della gente di Kuzeh231 presso Ahwâz nel Kuzistân, uom di setta deisanita al par che il padre, come sopra accennammo.232 Meimûn avea promosso un novello ramo che prese nome da lui. Il figlio salì in maggior fama, per arte d'indovino e prestigii di fisica e destrezza di mano;233 imbeccando alla gente che gli bastava l'animo di passare in un baleno da un capo all'altro del mondo; e s'indettò con astrologi e intriganti e con qualche tardo discepolo di Babek e altri rottami delle sètte dei magi:234 che par leggere le memorie di Cagliostro a quel congegno di scienze naturali, imposture d'ogni maniera e cospirazioni; a quel sì lontano scopo politico, pazientemente apparecchiato ai figli dei figli. Lo scopo di Abd-Allah sembra di far ubbidire, se non a sè medesimo almeno a sua gente e a sue dottrine, la schiatta vincitrice, invano combattuta con le armi persiane da Mokanna e da Babek. Perciò volle impadronirsi della fazione sciita, sì grossa e zelante e fin allora disordinata; volle innestar su quel robusto ceppo gli ordinamenti misteriosi dei Persiani; onde i capi della setta lo sarebbero stati anche di una gran parte della società arabica, e avrebbero rivoltato lo impero e mutato la dinastia. Tra gli Sciiti, come accennammo, si notavano varii rami, ciascun dei quali tenea legittima una diversa linea di imâm, o vogliam dire califi, del sangue di Ali; chi i successori di Mohammed figliuolo di Ali e di Hanefia; chi quelli di Hasan e chi di Hosein figli di Ali e di Fatima; e nella discendenza di Hosein si correa d'accordo infino a Gia'far, detto il Verace (a. 765), ma poscia altri riconoscea Musa, quarto figliuolo lui, altri i figli d'Ismaele, secondogenito premorto a Gia'far: onde i partigiani di cotesta linea furon chiamati Ismaeliani.235 Costoro par non avessero in pronto chi mettere in trono, poichè o spacciavan vivente tuttavia Mohammed figlio d'Ismaele, o favoleggiavano in sua stirpe una serie di imâm mestûr, o, diremmo noi, pontefici nascosi, che il volgo non dovea saperne nè anco i nomi. Per la comodità di tal mistero o per altra cagione che fosse, lo straniero Ibn-Kaddâh elesse a suoi disegni questo ramo della fazione sciita.
Dalla Persia meridionale venuto a Bassora, Ibn-Kaddâh comínciavi sue mene; scoperto indi e costretto a fuggire, tramutasi in Selamîa presso Emesa; vi compera poderi, e, infingendosi d'attendere all'agricoltura, va spacciando qua e là dâ'î, o vogliam dire missionarii, un dei quali, nel distretto di Cufa, indettava Hamdan-ibn-Asci'ath, soprannominato il Kirmit, uom di schiatta arabica, che parve ottimo strumento ad Abd-Allah. Ma l'Arabo, rubatagli l'arte, si fe' capo d'una setta novella che da lui si addimandò dei Karmati, o meglio direbbesi Kirmiti.236 Dopo venti anni (899) levaron la testa in Bahrein, provincia d'Arabia, ove la setta s'era agevolmente propagata tra fiera e libera gente, che poco temeva il califato lontano. Negli ordini loro si scerne il miscuglio delle superstizioni e dottrine persiane col genio independente della schiatta arabica: da una mano la ipostasi dello imâm, e novelle pratiche religiose, manichee anzi che musulmane; dall'altra qualche eccesso di comunismo mazdakiano e tutte le virtù e i vizii della democrazia kharegita. Sembrami error manifesto degli eruditi di noverare i Karmati tra gli Ismaeliani, coi quali non ebbero altra comunanza che le pratiche condotte e poi spezzate tra il Kirmit e Ibn-Kaddâh; nè altra somiglianza che di qualche forma e qualche mistero. Del rimanente correano per due vie opposte e come a due poli del mondo. Gli Ismaeliani, ritennero gli ordini di associazione segreta quando non n'era mestieri, dopo la esaltazione cioè della dinastia fatemita (910), e dopo la ribellione di Hasan-ibn-Sabbah ad Alamût (1090); nè disdissero mai il nome maomettano; e s'abbian promosso il dispotismo e la superstizione lo mostrano i lor discepoli Drusi e Assassini. I Karmati al contrario, non contenti di calpestare l'islamismo, si risero d'ogni domma e rito, e si tediarono di star nelle tenebre dell'associazione occulta: costituirono uno Stato libero e forse licenzioso; ebbero non principe semideo, ma capo politico, non altrimenti chiamato che Kabîr, ossia superiore; e talvolta, in luogo d'uno, ubbidirono a sei magistrati con titolo di sâid che suona signori, come que' della Mecca avanti Maometto e delle nostre repubbliche del medio evo.237 Ognun sa che i Karmati, per tutto il decimo secolo, fieramente combatterono dall'Arabia fino all'Egitto il califato abbassida e poi anco il fatemita; che sparsero fiumi di sangue; che presero la Mecca, e portaron via la sacra pietra nera della Caaba, per rivenderla a carissimo prezzo ai devoti Musulmani; e che da lor venne, in parte, la rovina dello impero musulmano.
La società segreta degli Ismaeliani per una trentina d'anni lenta camminò, sotto parecchi gran maestri della schiatta di Abd-Allah-ibn-Kaddâh, succeduti l'uno all'altro fino a Sa'îd-ibn-Hosein (874-883) il quale incalzò la propaganda in Persia, Arabia, Siria,238 e par abbia compiuto l'ordinamento. Era stretta gerarchia: un dâ'î supremo, o gran maestro che noi diremmo; sotto di lui altri dâ'î di provincia e altri di distretti, città, villaggi, che ciascuno eleggeva il subordinato e non conosceva altri che costui e l'immediato superiore. I dâ'î affiliavano. Una contribuzione forniva il danaro ai bisogni della associazione de' capi; e quando gittavan la maschera, teneano apparecchiata una fortezza, “Casa del Rifugio” la chiamavano in lor gergo; e quando regnarono, apriron adunanze pubbliche in una “Casa della Sapienza” ove il dâ'î leggea sermoni su i misteri e la morale. Tanto si ritrae con certezza storica. Sembra che abbiano avuto varii gradi d'iniziazione; dicono nove, dal primo vestibolo ai penetrali di un ultimo mistero, o piuttosto fin di mistero; cioè svelar che imami e religione e morale, tutto fosse una burla. Il dâ'î cominciava a tentare il neofito con dubbii sopra alcuni punti dell'islamismo; si facea giurar segreto e ubbidienza; lo conducea successivamente fino al grado di che gli parea capace: passando dalla confermazione dei dommi e precetti dell'islamismo, alla eredità dello imamato negli Alidi e nella linea d'Ismaele; alla dottrina dell'imam nascoso, noto al dâ'î supremo; alla spiegazione allegorica del Corano: e le allegorie si assottigliavano a mano a mano, e in ultimo si dileguavano nella incredulità. Ma quest'ultimo stadio parmi quello del Gran Maestro, il quale spacciando di tenere in serbo un Messia non potea veramente credere all'islamismo nè a religione che fosse al mondo. Gli altri gradi d'iniziazione delineano esattamente la piramide che si volea fabbricare: tutti i Musulmani alla base; sovrappostivi gli Sciiti; a questi i partigiani d'Ismaele; ad essi i dottori in miti manichei; e sul vertice la famiglia persiana d'Ibn-Kaddah.239
Sa'îd-ibn-Hosein, di questa gente, tenea la fila della gran trama in Selamîa, quando Ibn-Hausceb, dâ'î del Iemen, pensò mandar nell'Affrica Settentrionale chi dissodasse il terreno, come diceasi nel gergo della setta. Lavoraronvi prima un Ibn-Sofiân, indi un Holwâni; alla morte del quale, Ibn-Hausceb gli surrogò uomo di maggior polso, che per antonomasia fu detto lo Sciita. Ebbe nome Abu-Abd-Allah-Hosein-ibn-Ahmed, da Sana'a nel Iemen; ardente partigiano degli Alidi; stato una volta Mohtesib, ossia magistrato di polizia, degli Abbassidi presso Bagdad; audace, dotto e pratichissimo d'ogni via coperta ed obbliqua. Con danari della setta, costui si reca (893) dal Iemen alla Mecca, a far proseliti tra gli Affricani che vi attirava il pellegrinaggio; e adòcchiavi, uno sceikh della gente di Kotâma e l'onorevole brigata che lo seguiva. Facendo le viste d'imbattersi per caso tra costoro, Abu-Abd-Allah si insinua, li tenta e comincia a fare e ricever visite; e conosciutili Ibaditi, setta kharegita, come dicemmo, a poco a poco si scopre anch'egli nemico dei califi: aver lasciato il servigio loro perchè nulla v'era di bene; voler vivere ormai spiegando il Corano ai giovanetti; amerebbe a farlo in Occidente, ove non gli parean disperate le sorti del popolo musulmano. Tra lusinghe e dotto parlare e apparenza di pietà, austerità e liberi sentimenti, si cattivò gli animi di quegli stranieri, sì bene che il pregavano di accompagnarli in Affrica ed aprirvi scuola; ma non rispose nè sì nè no, lasciandosi trarre, quasi contro voglia, alle capitali dello Egitto e dell'Affrica; ove indagò profondamente le condizioni delle tribù berbere; e Kotâma gli parve proprio il caso. Allor, come vinto da' preghi dei Kotamii, accetta la ospitalità e gli oficii di imâm d'una loro moschea e di pubblico professore; ma ricusa lo stipendio; fa vedere ai più intrinsechi un gruppo di cinquemila dinâr; accenna alla sorgente misteriosa e inesauribile di quell'oro; alla sacra schiatta d'Ali; alle migliaia di migliaia che cospiravano per essa in tutta musulmanità; ai premii maravigliosi che dovea aspettarsi in questa vita e nell'altra chiunque aiutasse alla esaltazione del pontefice nascoso. Le quali pratiche non piacquero a tutti tra quella gente ibadita e però nimica all'autocrazia di Ali; ma il maggior numero odiava mille volte più Ibrahim-ibn-Ahmed vivo, che Ali sepolto da secoli; più la dominazione straniera, che il dispotismo; e il giogo stesso del dispotismo tanto lor parea duro a portarlo sul collo, quanto comodo e piacevole a metterlo addosso altrui. Ebbe dunque gran séguito Abu-Abd-Allah; gli proffersero avere e sangue; i misteri quanto più assurdi, tanto più furibondo accendeano lo zelo; un capo uccise di propria mano il fratello che andava gridando impostore Abu-Abd-Allah. A capo di sette anni, correndo il novecento dell'era volgare, costui cominciava a scoprirsi240 presso Setif, nei monti detti di Ikgiân, sede d'una tribù della gente di Kotâma.241
La gente di Kotâma tenea la più parte della odierna provincia di Costantina: un quadrilatero da Bugia e Bona su la costiera, a Belezma e Baghaia nella catena degli Aurès: territorio montuoso, dove coltivato dalle tribù stanziali, dove abbandonato a pascolo e corso dalle tribù nomadi della medesima gente. Si distinguea questa dagli altri Berberi per non so che divario di tradizioni, usanze, dialetto; tanto che gli eruditi vi trovarono appicco a consanguineità con la schiatta arabica. Che che ne fosse, i Kotamii non si affratellarono punto coi vincitori, nè lor ubbidiron altrimenti che di nome, nè si piegarono a tributo, non che smettere lor costumi aborigeni. Com'ogni altra nazione berbera, i Kotamii par sian vissuti in rozza confederazione, vincolo di schiatta più che di legge; il quale se non bastava a campar le tribù loro dalla guerra civile nè dalla dominazione straniera, potea stringerle insieme ad un tratto in brevi ma gagliardi sforzi. Allo entrar del decimo secolo, fortissima era la nazione kotamia per numero totale degli uomini o relativo degli armati; poichè la tradizione esagerando portò che ne andassero trecentomila ad assalire Kairewân; e da più certi ricordi sappiamo quanti eserciti kotamii corsero in quel secolo fino all'Atlantico e oltre il Nilo sotto le bandiere dei Fatemiti: nelle quali imprese la nazione kotamia si dissanguò; si trovò menomata a quattromila uomini verso la metà del duodecimo secolo; nel decimoquarto, qualche tribù che ne rimanea soffriva il giogo di Tunis, e in oggi se n'è dileguato il nome.242 Non primeggiava per vero nella confederazione la tribù stanziata a Ikgiân. Ma la mente di Abu-Abd-Allah, l'accentramento e ardore della setta ismaeliana le dettero tal vigore, da soggiogare qualche tribù rivale, tirarsi dietro le altre, e unire la nazion kotamia, anzi una gran parte della schiatta berbera, contro i vincitori Arabi. Ibrahim-ibn-Ahmed dal suo canto aveva arato quel terreno più che i mistici agricoltori ismaeliani; fin avea liberato la nazione kotamia del disagio che le davano i bellicosi Arabi di Belezma.
Ed egli stesso gittò la prima scintilla. Risaputo dal governator di Mila come l'oscuro professore d'Ikgiân osasse accusare d'eresia Abu-Bekr e Omar, mandò ad ammonirlo di frenare la lingua; e, se no, vedrebbe. Abu-Abd-Allah, invece di rispondere, si mostrò in campo (901) con giusto esercito, con simboli non più visti, scritti su le bandiere, nei suggelli delle lettere e nel marchio dei cavalli; ordinò gli oficii d'amministrazione militare; afforzò la casa del rifugio a Ikgiân; diè il motto di guerra “In sella, cavalieri di Dio;” apertamente bandì la rivoluzione politica e religiosa. Così la società ismaeliana, compiuti i lavori a suo bell'agio tra genti guerriere e luoghi inaccessibili alla vigilanza dei governanti, uscia dalle tenebre improvvisamente in sembianza di Stato antico che facesse guerra, non di moltitudine tumultuante e confusa. Sbigottì Ibrahim a quel terribil segno. Comprese che la viva forza da lui sciupata si stoltamente, ormai non bastava contro la ribellione sciita: pertanto si provò a suscitar la guerra civile tra i Kotamii; a calmare gli altri popoli con le riforme; e si affrettò all'abdicazione. Scendendo dal trono raccomandò al figliuolo che non assalisse mai primo gli Sciiti, si difendesse, e abbandonato dalla fortuna si ritraesse in Sicilia.243
198
Per cotesti fatti notissimi non occorrono citazioni. I particolari si possono vedere in Sciarestani e nelle altre opere che mi occorrerà in breve di ricordare.
199
Questo fatto mi è occorso per la prima volta nel Kitâb-el-Fihrist, MS. di Parigi, tomo II, fog. 75 verso. Molti di quei libri trattavano di veterinaria; e forse l'amor dei cavalli fu la prima cagione che conducesse gli Arabi nel santuario delle scienze greche.
200
Veggasi il Libro I, cap. VI, p. 141, 142 del 1º vol.
201
Veggansi in generale Hagi Khalfa nei Prolegomeni; Pococke, Specimen historiæ Arabum; Wenrich, De auctorum græcorum versionibus etc. Il Kitâb-el-Fikrist, MS. di Parigi, tomo II, fog. 67 verso, seg., fornisce dati importanti a chi voglia approfondire questa epoca della storia intellettuale dell'umanità.
202
Tarîkh-el-Hokemâ, MS. di Parigi, Suppl. Ar. 672, p. 13. L'autore, che visse nel XII secolo, afferma aver veduto in una biblioteca di Gerusalemme, tra i libri provenienti dal lascito dello sceikh Abu-l-Feth-Nasr-ibn-Ibrahim di Gerusalemme stessa, un trattato di Empedocle contro la immortalità delle anime, del quale ei non dà il titolo, e nota soltanto che Aristotile l'avesse confutato, e che altri avesse voluto scusar Empedocle supponendo allegorico il suo linguaggio; ma l'autore aggiugne non vedervi punto allegoria. Hagi-Khalfa, ediz. Flüegel, tomo V, p. 144, 152, ni 10,448 e 10,500, attribuisce ad Empedocle: 1º un “Libro della Metafisica,” così intitolato al par di quello notissimo d'Aristotile, e 2º un “Libro su la resurrezione spirituale e su l'assurdo che le anime risorgano come (si rinnovano) i corpi.” Ma il Wenrich, De auctorum græcorum versionibus etc., p. 90, li crede apocrifi entrambi, non trovandoli in Diogene Laerzio.
Che che ne sia di questo argomento negativo, par che appartengano ad Empedocle, o almeno ad alcun di sua scuola, i libri col nome del filosofo agrigentino, dei quali gli Arabi possedeano le versioni. Penso così perchè le opinioni fondamentali attribuite ad Empedocle dal Kitâb-el-Hokemâ, e più distintamente da Sciarestani, testo arabico, p. 260, seg., ben si accordano col panteismo che ritraggiamo dai frammenti di questo filosofo e dalle notizie che ce ne danno gli scrittori antichi. Al dir de' due eruditi arabi, la Divinità d'Empedocle era l'astrazione della scienza, volontà, beneficenza, potenza, giustizia, verità ec.; non già un essere reale dotato di dette qualità e chiamato con que' varii nomi. La nota dottrina di Empedocle su l'amore e l'odio, ossia l'attrazione e repulsione, si vede anco chiaramente nella cosmogonia che gli attribuisce Sciarestani.
Il filosofo spagnuolo che al dire del Kitâb-el-Hokemâ tolse sue dottrine da Empedocle, ebbe nome Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-Mesarra-ibn-Nagîh, nato in Cordova l'883 e morto il 931. Costui, dopo avere studiato alla scuola del proprio padre e di due altri dotti spagnuoli, fu perseguitato come zindîk, per troppo zelo di spargere le dottrine d'Empedocle; talchè si rifuggiva in Oriente. A capo di lunghi anni, tornato in Spagna, ricominciò a insegnare la stessa filosofia più copertamente e cadde di nuovo in sospetto d'empietà.
Un compendio di quest'articolo del Tarîkh-el-Hokemâ si legge in Ibn-abi-Oseibi'a, MS. di Parigi, Suppl. Ar. 673, fog. 22 recto, e Suppl. Ar. 674, fog. 40 verso.
203
Abulfeda, Annales Moslemici, an. 449 (1057), notando la morte di questo gran poeta, inserisce senza scrupolo i versi che cito.
204
Sciarestani, Kitâb-el-Milel “Libro delle sètte,” testo arabico, p. 147, seg., nota la differenza che correa tra i Bâteni antichi, ossia filosofi razionalisti, e i Bâteni moderni, sètte miste, chiamate con varii nomi in varii paesi.
205
Makrizi, presso Sacy, Exposé de la religion des Druses, tomo I, p. XIII, attesta questo fatto. La origine arabica si vede anche dai nomi dei capi di parte riferiti da Sciarestani.
206
Veggasi il Libro I, cap. III, p. 69 del 1º volume.
207
Sciarestani, Kitâb-el-Milel, testo arabico, p. 85, seg. L'autore nota tra i principii comuni alle sètte kharegite che il peccato grave porti infedeltà, ma nol ripete tra le opinioni particolari dei primi Khâregi del tempo di Ali.
208
Sciarestani, op. cit., p. 87 a 102.
209
Sciarestani, op. cit, p. 108, 109.
210
È plurale dell'aggettivo Ghâli, che significa “eccedente, smoderato.”
211
Sciarestani, op. cit., p. 109, 132, 133; il quale rintracciando il cammino di coteste opinioni, e ignorando l'origine indiana della incarnazione (Holûl) la attribuisce ai Cristiani. Si vegga anche Makrizi, presso Sacy, Exposé de la religion des Druses, tomo I, p. XIII-XIV.
212
Quest'ultimo fatto da Sciarestani, op. cit., p. 132.
213
Makrizi, presso Sacy, Exposé de la religion des Druses, tomo I, p. XIII.
214
Su le sètte del magismo ci danno molto lume Mohammed-ibn-Ishak, autore del Kitâb-el-Fihrist, e Sciarestani ricordato di sopra; i quali vissero l'uno nel decimo, l'altro nell'undecimo secolo, ebbero alle mani gran copia di materiali persiani, ed erano entrambi uomini da saperne cavare costrutto. Ciò non ostante mancaron loro le cognizioni che a noi fornisce lo studio del buddismo, il quale ebbe tanta influenza su le varie sètte dei magi. Per quella d'Ibn-Daisân si vegga il Kitâb-el-Fihrist, MS. di Parigi, Suppl. Ar., 1400, tomo II, fog. 194 recto, e 211 recto e verso; e Sciarestani, op. cit., p. 194, 196. Il Kitâb-el-Fihrist porta il cominciamento dell'eresia d'Ibn-Daisân una trentina d'anni dopo quella dei Marcioniti, ai quali assegna il primo anno d'Antonino imperatore (138), e alla eresia di Mani il secondo anno di Gallo (252).
215
Questa teoria sociale è attribuita a Mani nella compilazione turca della cronica di Tabari, uno squarcio della quale, tradotto in inglese, è uscito alla luce nel Journal of the American oriental Society, tomo I, p. 443, New-Haven, 1849. Si trova altresì nelle compilazioni orientali che compendiano Tabari e si copian tra loro. Io presto fede a tale tradizione per la condizione politica della Persia al tempo di Mani, e perchè Mazdak, predicatore del comunismo in Persia, seguiva la sua scuola. Nondimeno debbo avvertire che non ne fan motto il Kitâb-el-Fihrist, tomo II, fog. 192 verso a 212 verso, nè Sciarestani, op. cit., p. 179 a 196, in lor dottissime analisi della religione manichea.
216
Confrontinsi il Kitâb-el-Fihrist e Sciarestani, ll. cc. Questo passo del Kitâb-el-Fihrist è stato tradotto dà M. Reinaud, Géographie d'Aboulfeda, Introduction, p. CCCLXI.
217
Kitâb-el-Fihrist, tomo II, fog. 203 verso e 209 recto. Quivi si dice del Râís, ossia capo, e della Raîsa, o vogliam dire direzione centrale, de' Manichei a Bâbel, sotto Walîd I (705-715).
218
Secondo il Kitâb-el-Fihrist tomo II, fog. 216 verso e 217 recto, v'ebbe due personaggi nominati Mazdak. Del primo non si dice l'epoca, ma solo ch'ebbe séguito nel Gebâl, Aderbaigian, Armenia, Deilem, Hamadân e Fars. I suoi settatori furon detti Khorramii. Il secondo Mazdâk è quelle di cui si conosce la istoria, e i settatori presero il nome di Mazdakiani.
219
Confrontisi: Procopio, De Bello Persico, lib. I, cap. V; Tabari, compilazione turca, versione del barone De Hammer, nel Journal Asiatique, ottobre 1850, p. 344; Kitâb-el-Fihrist, l. c.; Sciarestani, op. cit., p. 192, seg.; Mirkond, presso Sacy, Antiquités de la Perse, p. 353, seg.; Mogimel-et-Tewârikh, versione di M. Mohl, nel Journal Asiatique di luglio 1852, p. 117, e di maggio 1853, p. 398. Nella Introduzione al Solwân d'Ibn-Zafer, io ho toccato questo punto di storia, mettendo in forse i racconti dei cronisti sul comunismo di Mazdak; e penso tuttavia ch'ei non abbia mandato ad effetto tutte le sue teorie nel tempo che tenne lo Stato. Ma la licenza di quelle teorie non si può negare dopo l'autorevole testimonianza del Kitâb-el-Fihrist, nel quale si cita un trattato speciale di Thelgi su questo argomento.
220
Sciarestani, op. cit., p. 187.
221
Veggasi il Libro I, cap. VI, p. 140 e 141 del 1º volume.
222
Confrontinsi: il Kitâb-el-Fihrist, tomo II, fog. 220 recto, e Sciarestani, op. cit., p. 194. Entrambi noverano la setta di Abu-Moslim tra quelle derivate da Mazdak.
223
Ibn-el-Athîr, anno 141, MS. C,. tomo IV, fog. 125 verso; e Abulfeda che lo copia, Annales Moslemici, an. 141.
224
Ibn-el-Athîr, anni 159 e 161, MS. C, tomo IV, fog. 148 verso e 150 verso; Abulfeda, op. cit., an. 163. Ma seguo la cronologia d'Ibn-el-Athîr.
225
Ibn-el-Athîr, an. 168, MS. A, tomo I, fog. 29 verso.
226
Ibn-el-Athîr, an. 170, MS. A, tomo I, fog. 39 verso.
227
Abulfeda, Annales Moslemici, an. 166.
228
Questo soprannome, al dire d'Ibn-el-Athîr, significa “L'Eterno.” Il nome patronimico era Ibn-Sahl.
229
Così nel Merâsid-el-Ittila'. I cronisti la scrivono con l'articolo. Dando alla lettera dsal il valore di semplice d si pronunzierebbe Bedd, o El-Bedd.
230
Confrontinsi: Kitâb-el-Fihrist, MS. di Parigi, tomo II, fog. 217 recto, seg.; Ibn-el-Athîr, anni 201, 220, 221, MS. C, tomo IV, fog. 191 recto, 203 verso, 205 recto, seg.; Abulfeda, Annales Moslemici, anno 226.
231
Questo nome si trova nel solo Kitâb-el-Fihrist, nè son certo della lezione di quel mediocrissimo manoscritto.
232
Così il Kitâb-el-Fihrist, che toglie ogni dubbio. Makrizi, credendo patronimico il nome di Deisâni, scrisse Meimûn figlio di Deisân; e M. De Sacy sospettò qualche errore nel noto Bardesane; ma nol chiarì. Veggasi la sua Chrestomathie Arabe, tomo II, p. 88 e 94. Ho detto della setta deisanita a pag. 109.
233
Nel Kitâb-el-Fihrist si legge Sce'âbîds, che significherebbe “giochi di mano” o di prestidigitation, come dicono i Francesi. Mi par che qui si debba prendere in senso più generale.
234
I varii racconti che correano su la origine della setta ismaeliana si leggono, più distintamente che altrove, nel Kitâb-el-Fihrist, MS. di Parigi, tomo II, fog. 5 verso a 9 verso, dove l'autore cita un trattato speciale sopra questa setta, scritto per combatterla, da Abu-Abd-Allah-ibn-Zorâm (o Rizâm). Non ostante la diversità delle tradizioni, date come dubbie nel Kitâb-el-Fihrist, mi par che molto ben si connettano insieme e che si possa accettare il grosso di tutti que' fatti. Si veggano altresì Makrizi, presso Sacy, Chrestomathie Arabe, tomo II, p. 88; Sacy stesso, Exposé de la religion des Druses, tomo I, p. LXIII e LXX, seg. – Makrizi sostiene, e M. de Sacy ripete con incredibile semplicità, che Abd-Allah-ibn-Meimûn fabbricasse questa gran macchina, non ad altro fine che di propagare l'ateismo e il libertinaggio!
235
Senza moltiplicare le citazioni mi riferirò al solo Sciarestani, op. cit., testo arabico, p. 15, 16, 127.
236
Kitâb-el-Fihrist, volume citato, fog. 6 recto e verso. Il nome proprio Hamdan è dato da Ibn-el-Athîr. La pronunzia di Kirmit è determinata da Sefedi, Dizionario biografico, MS. di Parigi, Suppl. Ar., 706, articolo sopra Soleiman-ibn-Hasan. Varie etimologie si danno di questo soprannome che al dir del Kitâb-el-Fihrist si riferisce a un castello. Su i fatti si vegga anche Makrizi, presso Sacy, Chrestomathie Arabe, tomo II, p. 89.
237
Ibn-el-Athîr, anno 278, MS. C, tomo IV, fog. 269 verso, dà un lungo ragguaglio su la origine, dottrine e riti dei Karmati; del qual capitolo la parte meno importante fu trascritta dal Nowairi e tradotta dal Sacy, vol. cit., p. 97. Veggasi ancora il Sacy, pag. 126 di esso volume. Il mio giudizio, formato su la tendenza diversa degli Ismaeliani e Karmati, si conferma coi particolari d'Ibn-el-Athîr. Notò anche questa differenza il Taylor nell'opera, The history of Mohammedism and its sects, p. 172, quantunque ei non abbia avuto alle mani tutti i fatti da poterla provare. L'analogia dei Karmati con gli Ismaeliani era stata sostenuta da M. De Sacy, Exposé de la religion des Druses, p. LXIII, seg., e da M. De Hammer, Histoire de l'ordre des Assassins, p. 47, 48, su la fede degli autori musulmani citati da loro. Il Baiân, che allor non si conoscea, contiene a pag. 292, seg., del 1º volume, un racconto sugli Ismaeliani e Karmati; ove si replicano con molti particolari i fatti già noti, e tra gli altri lo scandalo della notte lor festiva detta della Imamîa, e il nome, troppo significativo, di figliuoli della fraternità, dato ai fanciulli che nasceano da que' baccanali.
238
Kitâb-el-Fihrist, MS. di Parigi, tomo II, fog. 6 verso.
239
Su l'associazione ismaeliana si veggano Sacy, Esposé de la religion des Druses, Introduzione; Quatremère, Mémoires historiques sur les Fatimites, nel Journal Asiatique, agosto 1835, e le autorità musulmane citate da essi. Merita molta attenzione il racconto di Makrizi, presso Sacy, Chrestomathie Arabe, tomo II, p. 140, seg., su gli ordini della setta trionfante nel regno dei Fatemiti.
240
Confrontinsi: Warrâk, cronista spagnuolo del X secolo, citato nel Baiân, tomo I, p. 117-118; Makrizi, presso Sacy, Chrestomathie Arabe, tomo II, p. 111, seg.
241
Su questo sito si consulti una nota di M. Cherbonneau, Journal Asiatique, décembre 1852, p. 509.
242
Confrontinsi: Edrisi, Geografia, versione francese di M. Jaubert, tomo I, p. 246; Ibn-Khaldûn, Storia dei Berberi, versione francese di M. De Slane, tomo I, p. 291; Cronica di Gotha, presso Nicholson, An account of the establishment of the Fatemite Dynasty, p. 88.
243
Confrontinsi: Baiân, tomo I, p. 118; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione di M. Des Vergers, p. 145-147; Makrizi, presso Sacy, Chrestomathie Arabe, tomo II, p. 113, seg.; Ibn-Hammâd, MS. di M. Cherbonneau, fog. 1 verso.