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I – La messa in moto

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– Peter, ricordati che oggi devi portare Alexis dal dentista.

Peter annuì con la testa, anche se non ne aveva nessuna voglia.

– E non dimenticare di passare dal supermercato a comprare il cibo per Sultán – continuò a dare istruzioni Vivian.

Peter lanciò un'occhiata al suddetto, che stava riposando vicino al camino. Non si mosse, fece solo un lieve movimento con le orecchie sentendo la parola cibo.

– Tu dove andrai, Vivian? – chiese, anche se sapeva già la risposta.

– Sai già che ho delle faccende da sbrigare, dei debiti da riscuotere. A proposito, quando mi restituirai tutto quello che mi devi ancora? Gli anni passano e gli interessi aumentano.

– Ma non era già stato tutto pagato? – chiese Peter.

– Perché ci siamo sposati?

– Sì, non era questo il patto?

– Davvero? Non mi ricordo. Comprendimi, il nervosismo per il matrimonio mi ha obbligato a dire cose che non pensavo davvero.

Peter si ricordò di quel giorno, era passato tutto così velocemente, lui credette che l'avrebbero ucciso.

Vivian si alzò dalla sedia, si avvicinò a Peter, gli diede un bacio per poi rivolgersi a suo figlio, che stava giocando con Sultán tirandogli le orecchie.

– A più tardi – salutò —. E non fate tardi, Peter. Non ho intenzione di cambiare l'ora un'altra volta.

Peter vide che sua moglie se ne stava andando e non gli fece pena, era prepotente e lui faceva fatica a condurre una vita con così tante regole. Era contro il suo modo di essere.

– Alexis, vai a vestirti e non dimenticare di prendere la felpa, sennò la mamma ti rimprovererà se rovini i vestiti. Quando usciremo dal dentista, andremo dove vorrai.

– Sì, paparino. Dove vorrò, vero?

– Sì, ovunque. – Secondo Peter si sarebbe meritato una ricompensa per essere andato dal dentista.

Venti minuti dopo tutti e due uscirono dalla porta accompagnati da Sultán.

Lo studio del dentista non era vicino, c'era da camminare per più di mezz'ora, quindi Peter commentò:

– Ti va di prendere l'autobus, Alexis?

– Sì! E Sultán?

– Sultán viene con noi, è chiaro.

Alexis rimase a pensare, c'era qualcosa che non gli quadrava, ma decise di dare retta a suo papà. Tutti e tre si avviarono verso la fermata dell'autobus. Peter e Alexis erano davanti, invece Sultán, in retroguardia, più che camminare sembrava che si trascinasse.

Mentre stavano arrivando, Peter osservò che c'erano parecchie persone ad aspettare l'autobus.

– Non mi piace andare a piedi – disse —. Vieni, Alexis. Saliremo per primi.

Sultán scosse la testa e abbaiò in segno di disapprovazione, ma non fece nient'altro, non aveva più l'energia di prima.

Da lontano apparve un autobus, mentre una macchina lo stava sorpassando con destrezza. Il semaforo rosso diede il tempo a Peter di arrivare e sistemarsi.

La macchina si fermò e il conducente suonò il clacson un paio di volte. Quasi tutti lo guardarono. Sultán abbaiò allegramente e Alexis applaudì, mentre Peter guardava spaventato il conducente.

– Salve, salite? – invitò.

– Non ce n'è bisogno, possiamo cavarcela benissimo con il bus – rispose Peter.

Il bus avanzò e diverse persone richiamarono la sua attenzione affinché si fermasse. Peter strattonò suo figlio, mentre chiamava Sultán e si dirigeva verso l'autobus pronto a salirci. Ma Sultán non si mosse, stava comodamente seduto sul sedile posteriore della macchina.

– Papi, guarda Sultán. È salito sulla macchina di quel tizio – commentò Alexis spiegando quello che era evidente.

Peter si girò per verificare quello che aveva detto suo figlio, mentre l'autobus si fermava.

La gente iniziò a salire, alcuni colpirono lievemente quelli che avevano di fianco con l'idea di salire per primi per riuscire a trovare un posto libero.

Appoggiato sul cofano, l'Esattore arrotolò una sigaretta aspettando che Peter si decidesse.

– Se ci pensi tanto, arriverete tardi al vostro appuntamento – disse l'Esattore.

– D'accordo, ma guido io.

L'Esattore fece una battuta come solo lui sapeva fare, con una risata tenebrosamente oscura che scosse nel profondo Peter.

– Sto per prendere la patente – protestò senza far notare che era il suo ventesimo tentativo.

L'Esattore rise di nuovo, se quello che emetteva poteva chiamarsi risata.

– Dai, sali. Guarda, tuo figlio è già di fianco a Sultán.

– Papà, sali, altrimenti la mamma si arrabbierà di nuovo con noi – disse Alexis.

Salirono tutti e due e l'Esattore mise in moto la macchina.

– Dove andiamo? – chiese.

– In via dell'Arrivista, 150.

– E cosa andate a fare là?

– Lo sai già, andiamo dal dentista.

– Io? Come faccio a saperlo, fratellino?

– Mi sa che stai invecchiando. L'Alzheimer ti sta facendo dei brutti scherzi.

– Come sei spiritoso, fratellino! Ti piacerebbe che io perdessi la memoria.

– Mi preoccupo per te. Sono un sacco di anni che ci conosciamo. Quanti anni hai?

– Quarantadue, direi.

– Solo? Sembri più vecchio. Questo tuo lavoro ti fa invecchiare velocemente – commentò Peter —. Guardami, di recente ho compiuto trent'anni e guarda che pelle – concluse.

– Sì, sei ancora un bambino, fratellino. Bene, sarà meglio che ci mettiamo in moto, altrimenti tua moglie darà una lavata di capo a tutti e due. – E l'Esattore girò il volante della macchina, pronto a introdursi nel traffico.

Più si avvicinavano alla meta, più Peter si agitava, mentre Alexis si divertiva a guardare le macchine.

– Senti, una domanda. Come ti chiami? Esattore? Zio? Quando ti nomina, mio papà dice "quello" o altre parole che la mamma dice che non devo ripetere a voce alta.

– Ha, ha, ha – rise l'Esattore —. Mi puoi chiamare Esattore, come tutti.

– Ok, zio Esattore.

– Perché vai dal dentista, Alexis?

– Mia mamma dice che è perché ho mangiato troppe caramelle. Dice anche che è colpa di papà.

– Quanti anni hai?

Alexis sollevò una mano e distese le cinque dita, poi sollevò l'altra mano e ne distese uno.

– Sei. Ma hai ancora i denti da latte. Dai retta a tua madre, Alexis.

– Non capisco, zio. Che vuoi dire con questo? Io obbedisco sempre alla mamma. È la mamma che comanda in casa.

– A proposito, sei molto elegante vestito così – lo complimentò, poiché poteva vederlo in parte, dato che il bambino aveva la chiusura lampo della felpa aperta a causa del caldo che regnava nella macchina dell'Esattore.

– Grazie. Sono Eridanus – disse senza sapere cosa stava dicendo, ma orgoglioso di ricordarsene.

Peter non stava ad ascoltare, aveva la testa altrove, molto lontano da lì. Come sarebbe stato felice su una spiaggia della California!

– È quell'edificio lì? – chiese l'Esattore senza ottenere risposta —. Peter, Peter, Peter!

– Eh? Che succede?

– Dov'eri? Ti sto chiedendo se è lì – disse indicando un immobile con su scritto Clinica Dentale.

– Non lo so, non ho mai guardato fuori e non ho fatto caso alla strada che abbiamo fatto.

– Non so perché sto a chiedere – disse a se stesso l'Esattore. Aguzzò la vista per leggere il numero.

Scesero tutti dalla macchina, dato che era l'indirizzo giusto.

– Puoi andare. Ciao, Esattore.

– A presto, fratellino. – Qualche secondo dopo svoltò l'angolo con la sua macchina.

Molto triste, Sultán vide la macchina allontanarsi e poi andò alla porta dell'edificio.

Padre e figlio si diressero alla clinica dentale. Il padre, trascinando i piedi e il figlio, era allegro e saltellante.

Non Andare Mai Dal Dentista Di Lunedì

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