Читать книгу Non Andare Mai Dal Dentista Di Lunedì - Ana Escudero - Страница 6
IV – Sette biglie
ОглавлениеAlexis si guardò intorno, soprattutto meravigliato. Non riconosceva il luogo dove si trovava, né si ricordava com'era arrivato fin lì. L'ultima cosa di cui si ricordava era il fatto di essere nello studio con suo padre ed essere uscito dopo il dottore. Il corridoio era costellato di biglie e lui si era chinato per prenderle e tenersele nella tasca dei pantaloni. Ne era sicuro perché un attimo prima aveva messo le mani nelle tasche e ora vedeva davanti ai suoi occhi una di quelle biglie colorate.
Sentì un rumore fuori dalla stanza. A sei anni non riconosceva molti rumori, per questo per un attimo non fu capace di identificarlo.
Si alzò e corse verso la porta, quindi girò il pomello per aprirla. La porta rimase chiusa.
– Papà, aprimi! Papà! Non posso uscire! Papà!!! – gridò così forte che sembrava di poterlo sentire a distanza di un chilometro.
Né suo padre, né nessun altro rispose alla disperata richiesta di Alexis.
Si guardò intorno istintivamente cercando una finestra. A un metro e mezzo da terra vide una finestrella sporca. Si avvicinò a essa e si allungò più che poté, ma non raggiunse neanche l'infisso inferiore. Alexis non era un bambino alto e ora ricordava sua madre che gli diceva:
– Alexis, mangia tutta la verdura. Devi crescere e diventare un uomo alto e bello.
Corse verso l'unica sedia che c'era nella stanza e la trascinò fino alla finestra. Si girò un attimo in direzione della porta e aspettò per vedere se sentiva qualche rumore da fuori.
Niente. Salì sulla sedia, si mise in ginocchio e guardò dalla finestra sporca. Passò la punta delle dita sul vetro, cercando di pulirlo per poter vedere meglio fuori. Non riuscì a fare granché, sicuramente erano secoli che non la pulivano. Sputò sul vetro, allungò la manica della felpa fino a nascondere la mano, nascondendo così del tutto il suo costume da supereroe e in seguito strofinò il vetro, facendo diventare la manica da grigia chiara a grigia scura.
Provò ad aprirla, ma fu inutile. Osservò i cardini, pieni di ruggine. Alexis li guardò senza sapere cosa fossero, ma capì che erano la causa per cui non poteva aprire la finestra.
Saltò giù dalla sedia e rimase a pensare qualche secondo. Cosa avrebbe dovuto fare ora?
La porta si aprì e davanti agli occhi di Alexis apparve Topolino con in mano una foto di un bambino dall'età di Alexis, ma con una tonalità di capelli un po' meno rossiccia, che stava osservando comparandola con il bambino che aveva davanti.
– Topolino! Topolino! – esclamò, mentre saltava da una parte all'altra.
Topolino osservò che la sedia era sotto la finestra. Si avvicinò ad Alexis e gli offrì una caramella al sapore di arancia.
Alexis non fece caso alla caramella. Cercava di mettersi dietro Topolino, ma quest'ultimo glielo impediva.
– Topolino, che ci facciamo qui? – chiese.
Quest'ultimo mise l'indice in mezzo alle labbra per indicare di fare silenzio. Alexis lo imitò e aspettò l'azione successiva del suo amico Topolino. Quest'ultimo gli tese la mano.
– Grazie, Topolino, ma non mi piacciono le caramelle all'arancia. Non mi piace per niente l'arancia.
Topolino mise via la caramella e ne tirò fuori un'altra al limone. Alexis lo guardò con occhi bramosi, ma una voce femminile risuonò nella sua testa, la voce di sua madre.
– Non prendere niente offertoti da uno sconosciuto. O meglio, prendi solo ciò che ti do io.
– No, grazie – disse Alexis ricordandosi anche che sua madre gli diceva che innanzitutto doveva essere molto educato.
Allora Topolino prese Alexis per mano e lo tirò verso di sé.
– Cosa vuoi? Mi porterai da mio padre?
Topolino annuì con la testa e gli indicò la porta che era rimasta aperta.
– Sei poco loquace. Non sarai mica Cucciolo travestito da Topolino?!
Quest'ultimo fece un gesto come per dire "Forse" e poi lo tirò verso la porta.
– Non so se dovrei venire con te. Non ti conosco. Tu mi conosci? Conosci i miei genitori?
Topolino sospirò. Non era un uomo molto fantasioso e non gli veniva in mente un buon motivo per fare uscire il bambino da quel buco. Lasciò andare la mano del bambino e uscì lasciando Alexis solo e rinchiuso un'altra volta. Alexis corse verso la porta e la picchiò varie volte, mentre gridava:
– Ascolti, signor Topolino, se n'è andato senza salutare!
Nessuno rispose ad Alexis e il bambino sentì il desiderio di piangere per la prima volta quella mattina. Ma a cosa serviva piangere se non lo vedeva nessuno? Lui non piangeva mai se era da solo. Ora doveva raggiungere un pubblico, aveva solo bisogno di un'idea. Si guardò intorno cercando un'ispirazione. L'ispirazione che cercava arrivò in fretta, forse influenzato dai suoi geni paterni. L'idea non era una delle più intelligenti. Prese una delle biglie che aveva addosso e la lanciò contro la finestrella, causando un leggero suono tintinnante quando essa rimbalzò sul vetro e fece dei piccoli salti sul pavimento. Però quel suono non fu abbastanza intenso per essere sentito dall'esterno. Prese la biglia e ci riprovò, stavolta usando tutta la sua forza. L'effetto fu proporzionale alla forza esercitata e la piccola biglia rimbalzò di nuovo, seppur stavolta andando in pezzi una volta caduta sul pavimento, di sicuro come conseguenza di una microscopica breccia che attraversava parte della biglia. Alexis rimase paralizzato e un attimo imbarazzato di fronte al fatto che aveva rotto qualcosa che in realtà non gli apparteneva. Questa sensazione scomparve velocemente quando mise la mano nella tasca dei pantaloni e osservò il resto delle biglie nella sua mano.
<<Sette biglie sono più di una biglia>>, pensò. <<Sette biglie fanno più rumore di una sola>>.
Le soppesò leggermente facendole saltare sulla mano probabilmente per stimare il loro peso e l'effetto che avrebbero potuto esercitare sbattendo contro il vetro della finestra. Portò la sua mano all'indietro per lanciare le biglie mentre emetteva un grido. Le biglie si alzarono per un breve istante alla stessa altezza, ma presto si separarono e alcune rimasero più in alto delle altre durante il loro viaggio aereo, un viaggio che si concluse in pochi secondi, quando sbatterono contro qualcosa col risultato che quelle palline colorate rimbalzarono. Varie biglie sbatterono tra loro, alcune in aria, altre già sul pavimento e quelle che non trovarono il duro pavimento al loro ritorno andarono invece contro il tenero corpo di Alexis. Quest'ultimo gridò di nuovo, ma stavolta indolenzito dal picchiettio di quelle biglie sulla sua testa, sulle sue braccia e sul suo petto.
– Ahiaaaaaaa! Ahiaaaaaaa!
Ma Alexis non cambiava idea facilmente, quindi raccolse le biglie dal pavimento per lanciarle di nuovo, senza rendersi conto che insieme alle biglie aveva raccolto un diamante e che proprio in quel momento la porta che lo stava tenendo rinchiuso si riaprì. Ma invece di vedere entrare Topolino, vide tra le lacrime entrare un personaggio che lo fece rabbrividire, un personaggio non così incantevole come il buon Topolino, con le braccia sui fianchi e un'aria arrabbiata.
– Si può sapere cosa significa tutto questo rumore? – chiese in un tono che non ammetteva nessun capriccio.
Alexis si asciugò le lacrime, spaventato dal personaggio che aveva davanti a sé, mentre stava mettendo nelle tasche le mani e con loro le biglie e il diamante. Batman continuò a guardarlo come se stesse aspettando.
– Mi dispiace, Batman. Non mi rinchiudere nella Batcaverna – disse Alexis a voce bassa.
– Dobbiamo andare. O vieni a piedi o dico al mio amico di portarti nel suo sacco.
Alexis pensò di chiedere dove dovevano andare, ma rifletté sul fatto che forse a Batman non sarebbe piaciuta la domanda. Così rimase in silenzio, mentre usciva dalla stanza con Batman. Salirono in macchina in compagnia di Topolino. Quest'ultimo rimase in silenzio, mentre aiutava Alexis a sedersi correttamente.
– Grazie. Andremo molto lontano?
– Più lontano di quanto tu non sia mai andato – rispose Batman.
– Vomito sempre quando viaggiamo molto lontano – affermò.
– Guai a te se vomiti nella mia macchina – gli disse Batman in tono severo.
– Sì – rispose Alexis con un filo di voce, pur sapendo che era impossibile.
Alexis notò per la prima volta i finestrini della macchina, che non lo lasciavano vedere fuori non perché erano opachi, ma a causa della sporcizia che li ricopriva dall'esterno.
– È davvero la sua macchina? – chiese.
Né Batman, né Topolino risposero alla domanda.
Venti minuti dopo Alexis esclamò:
– Devo fare la pipì!
Aspettò qualche secondo e ripeté la richiesta a voce ancora più alta.
– Devo fare la pipì, devo fare la pipì, devo fare la pipì! – Sembrava che non si stancasse di ripeterlo una volta dopo l'altra.
Batman iniziò ad arrossire, mentre la sua respirazione diventava sempre più agitata a ogni grido di Alexis e mentre il suo compagno provava a tranquillizzarlo con gesti gentili e allo stesso tempo cercava di mantenere la calma. Alla fine Batman frenò così bruscamente che fece cadere Alexis dal sedile.
Topolino guardò con prontezza alle sue spalle. Doveva verificare che il bambino stesse bene nonostante la caduta. Nel frattempo Batman protestò a voce bassa con un "Bambino rompipalle". Alexis stava bene, aveva visto qualcosa che stava attirando tutta la sua attenzione non per essere una novità, ma perché lui in passato aveva già posato lo sguardo su quell'oggetto e persino le sue mani ci avevano giocato. Si contorse sotto il sedile per modificare la postura del suo corpo in modo da poter stendere meglio le braccia e poter così appoggiare le dita sull'oggetto pregiato. All'improvviso si accorse che era tornato su e che era seduto.
– Allaccia la cintura del bambino – ordinò Batman a Topolino.
Quando Alexis fu legato e Batman mise in moto il motore, Alexis aprì la mano e guardò. Non capiva perché quel giocattolo, perché di questo si trattava, si trovasse in quell'auto. Richiuse la mano osservando il giocattolo tra le dita.