Читать книгу I divoratori - Annie Vivanti - Страница 10

LIBRO PRIMO
IX

Оглавление

Nella Casa Grigia a Wareside, Fräulein Müller leggeva ancora la Divina Commedia all'inconscio zio Giacomo. I fiori dei meli oscillavano nella mite aria primaverile. Le farfalle passavano come fiori alati sul capo di Edith che giaceva in un seggiolone al sole, troppo stanca per muoversi e troppo svogliata per leggere. La piccola Nancy correva per il giardino, coi ricci scompigliati, inseguendo i pensieri e le parole che le balzavano innanzi o le cantavano nella fantasia; e pensieri e parole si dividevano in strofe, si accoppiavano in rime, come fanciulli che danzano.

Sedute nell'ombra le due madri vegliavano; la signora Avory non distoglieva gli occhi dal volto di Edith se non per leggerle qualche libro, di cui presto la fanciulla si stancava. Valeria – placida e pietosa se Nancy era lontana – stringeva le labbra, fosca negli occhi, appena udiva Edith chiamare la piccina; e se questa correva all'appello, subito Valeria la chiamava, e la circondava con braccia gelose.

Allora il volto della madre di Edith si faceva duro e il suo cuore era invaso dall'amarezza. Si alzava rapida, e avvicinandosi ad Edith si chinava su di lei con parole incoerenti, cercando di distrarla, per non lasciarla accorgere delle crudeli paure di Valeria.

Sopra le inconscie teste delle loro figlie gli sguardi delle due donne si incrociavano, ostili e duri, ognuna proteggendo la propria creatura, ognuna accusando l'altra.

– Edith è ammalata, – dicevano gli occhi della signora Avory, – ma non voglio che lo sappia.

– Edith è ammalata, dicevano gli occhi di Valeria, – non voglio che Nancy le stia vicino.

– Non bisogna affliggere Edith, – dicevano gli occhi della signora Avory.

– Non bisogna esporre Nancy al pericolo, – rispondeva lo sguardo di Valeria.

– Mamma, – trillava all'improvviso la limpida voce di Nancy, – credi tu che Maggio sia una fanciulla?

– Cosa vuoi dire, cara?

– Ma sì! il mese di Maggio! non ti pare che sia una ragazza, bionda e inghirlandata, che passa correndo leggiera leggiera sui prati? e dove tocca le siepi col dito fioriscono!

– Sì, sarà così, gioia mia, – rispondeva sua madre, distratta.

– O credi piuttosto che sia un fanciullo, un ragazzo capriccioso e prepotente, coi ricci che gli cadono sugli occhi… Mi pare di vederlo correre all'impazzata per la campagna, scotendo i rami per far guardar fuori le foglioline spaurite e lanciando traverso il cielo gli uccelletti felici e sbalorditi.

– Sì, cara, sarà proprio così…

– Oh! mamma, non dài retta a niente, – rise Nancy, e corse via pel prato, improvvisando nell'andare:

Says May: « I am a girl!

May is short for Margaret,

Margaret or Daisy.

The petals of a jessamine

No boy's hand could unfurl! »

Says May: « I am a girl ».


Says May: « I am a boy!

May is short for.... »


– « For what »? – pensa Nancy, rabbuiandosi, impaziente colla parola ribelle che non viene quando si vuole. Poi salterellando attraverso l'erba:

Says May: « I am a boy!

May is short for Marmaduke,

As all the world should know!

I taught the birds their trills and shakes,

No girl could whistle so! »


So May the girl, and May the boy, they quarrel all day long

While the flowers stop their budding, and the birds forget their song,

And God says: « Now to punish you, I'll hang out the new moon

And take and bundle both of you into the month of June ».


– Veramente, – riflettè Nancy, – « May » non è affatto il vezzeggiativo di « Marmaduke ». Ma come fare? Ci deve essere per la poesia un Mago che tiene tutti i pensieri chiusi in una stanza buia e tutti i vestiti dei pensieri – che sono poi le parole! – chiuse in un'altra. E la difficoltà sta nel trovare i vestiti giusti per i pensieri… Qualche volta esce dalla stanza buia un pensiero bello, alto, chiaro come un arcangelo! e si va a cercargli un vestito, e non si trovano che degli straccetti che non gli stanno. E qualche volta si ha un pensiero storto, insignificante, un rospiciattolo di pensiero! e gli si trova una gran veste a strascico d'argento. Quando sarò un grande poeta, – sospirò Nancy, – spero di non condurre attorno dei rospi di pensiero vestiti d'argento…

Nella sua seggiola al sole Edith aprì gli occhi.

– Nancy! dov'è Nancy?

Valeria balzò in piedi.

– Vuoi qualche cosa, Edith cara?

– No, niente; vorrei Nancy! mi piace tanto vederla. E sono proprio troppo pigra per correrle dietro.

– La chiamerò io, – disse Valeria.

A quella risposta inaspettata, la signora Avory alzò gli occhi sorpresi e grati, e sorrise a sua nuora.

Valeria trovò Nancy che declamava dei versi agli alberi del frutteto. S'inginocchiò sull'erba ad allacciarle la scarpetta sciolta, e disse senza alzare il viso:

– Nancy vai da Edith. Ma… senti… cara, non devi baciarla.

– Oh! è stata cattiva?

– No, gioia, no. – Valeria ancora in ginocchio cinse col braccio la piccina. – La povera Edith è malata, – disse lentamente.

– Allora la bacierò il doppio, – disse Nancy facendosi rossa.

– Bimba mia! bimba mia! cerca di capire! – scongiurò Valeria. – Edith è ammalata; come lo era il tuo papà… povero caro papà! – che è morto. Ed è lo stesso male che avevano le sue sorelle – e sono morte. E se tu la baci, oh, anima mia, adorata mia! potresti ammalarti anche tu, e morire. Pensa, pensa che ogni volta che tu baci Edith, è come se tu prendessi una spada per trafiggere il cuore di tua mamma.

Vi fu una lunga pausa.

– Ma se rifiuto di baciarla, non sarà una spada che trafigge il cuore a lei?

– Forse, – sospirò Valeria.

– E se una spada trafigge il cuore di Edith, non sarà trafitto anche il cuore della nonna?

– Sì, – disse Valeria.

Un'altra lunga pausa. Poi Nancy disse:

– Dunque c'è una spada per ogni cuore… credo che potrei fare una poesia su questo pensiero…

I suoi larghi occhi non vedevano più nulla, nè sua madre, nè Edith ammalata; vedevano un gigantesco cuore, il cuore del mondo, trafitto e sanguinante: e quel sangue lo sentiva già fluire e scorrere in versi, e il ritmo le pulsava nella mente…

– Santa Vergine, assisteteci, – sospirò Valeria. – Vai! vai da Edith, che ti aspetta.

E Nancy andò: e baciò Edith, perchè aveva già scordato tutto ciò che la sua mamma le aveva detto.

Poco dopo comparve lo zio Giacomo, che veniva rapidamente a loro con una lettera in mano. Era una lettera di Nino; e l'ira dello zio Giacomo non aveva limiti. Nino era un mostro, era uno scemo, era un cretino, era un imbecille e figlio di imbecille!… E Valeria era una stupida e insensata creatura, che avrebbe potuto trattenere Nino e tenersi Nino e sposarsi Nino perchè Nino era un angelo e nessun marito avrebbe potuto essere più angelo di lui; e ora invece quel triplice estratto di insensata imbecillità, se n'era scappato con una attrice – una perfida, linguacciuta vipera senile, che lo aveva seguito in Inghilterra e perseguitato e instupidito!… E tutto era colpa di Valeria e di Fräulein! Sì, di Fräulein! Di quell'assurda ed esaltata persona tedesca che aveva fatto di lui, zio Giacomo, un idiota e un buono a nulla, coll'ululargli nelle orecchie, da mattina a sera, i pazzeschi canti dell'Inferno di Dante.

Fräulein pianse, e Valeria pianse; ma ciò non servì affatto allo zio Giacomo.

E neppure fece tornare Nino da San Remo, dove passeggiava sotto le palme con la Villari. E la Villari sospirava languida e beata, sciolta nell'angoscia deliziante della sua « cotta » novella.

I divoratori

Подняться наверх