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LIBRO PRIMO
VI

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A Charing Cross Valeria e Edith, graziose, snelle e timide, li aspettavano.

Valeria, alla vista del suo vecchio zio Giacomo, gli si gettò con latina espansività tra le braccia; mentre la anglosassone Edith, bionda e rigidetta, cercava di non vergognarsi troppo delle voci alte e degli abbracci senza ritegno che prodigavano i nuovi arrivati, incuranti della gente che li guardava sorridendo.

Più tardi, quando furono tutti e quattro installati nel treno che li portava a Wareside, nell'Hertfordshire, Edith si abbandonò interamente al piacere di osservare i gesti dello zio Giacomo e gli occhi del cugino Antonio, che Valeria chiamava « Nino ». Egli disse ad Edith che lo chiamasse Nino anche lei, e le parlò in una lingua che egli chiamava « banana-english ».

Ed egli era così divertente che Edith rise e rise, finchè le venne la tosse, e tossì e tossì fino alle lagrime. Allora tutti dissero che non si riderebbe più. Fu un viaggio delizioso.

Quando il treno si fermò alla placida stazione campestre di Wareside, scesero e trovarono la signora Avory colla piccola Nancy ed il nonno ad aspettarli.

E vi furono nuovi saluti e nuovi abbracci. E quando, in due carrozze, arrivarono al portico della Casa Grigia, ecco sul limitare anche Fräulein Müller ad accoglierli, tutta rossore e ritrosia, col suo vocabolario italiano sotto il braccio.

Presero il thè molto allegramente, tutti parlavano in una volta, anche il vecchio nonno, che continuava a domandare: « Ma chi è questa gente? Ma chi sono queste persone? » rivolgendo la sua domanda soprattutto allo zio Giacomo, il quale, del resto, non comprendendo una parola d'inglese, gli sorrideva, rispondendo: « Yes. »

Verso sera la piccola Nancy, eccitata e piangente, dovette essere mandata a letto; e anche la signora Avory si ritirò col mal di capo. Ma Fräulein sostenne una conversazione animata collo zio Giacomo; e Nino sedette al pianoforte e cantò delle canzoni napoletane a Valeria ed Edith, che tenendosi abbracciate coi visi vicini, lo ascoltavano rapite.

Seguirono giornate incantevoli; giornate di tennis e di golf, di croquet e di « garden-parties », con le belle ragazze dello Squire e gli impacciati figli del Vicar. La signora Avory vedeva appena alla sfuggita Valeria ed Edith, che uscivano correndo la mattina, e rientravano in fretta e furia a cambiarsi le vesti e a prendere racchette o « golf-sticks ».

Lo zio Giacomo frattanto girellava pel giardino, con la Fräulein, dandole dei consigli sul modo di coltivare i pomodori, e meravigliandosi che gli inglesi non mangiassero mai maccheroni.

– Nè « Knoedel », – diceva Fräulein.

– Nè risotto, – diceva lo zio Giacomo.

– Nè « Leberwurst », – diceva Fräulein.

– Nè cappelletti al sugo, – diceva lo zio Giacomo. E a tale pensiero egli si sentiva struggere di nostalgia.

Un giorno anche Valeria ebbe un accesso di nostalgia, di nostalgia acuta e straziante. Era precisamente il giorno del torneo di tennis – una giornata d'oro e d'azzurro che rammentava l'Italia. Nino, guardando Edith, le aveva detto:

– Il cielo è un plagiario. Ha copiato sfrontatamente il colore degli occhi di Edith… Non ti pare, Valeria?

E Nino, rivolto alla cugina, aspettava sorridendo la risposta.

– Sì, – rispose Valeria.

– Sono occhi che ricordano il lago di Como, – aveva continuato Nino. – Che limpidezza azzurrina!… Non è vero, Valeria?

– Sì, è vero, – disse Valeria.

Al tennis Edith, diafana e leggiera, volava come una saetta, giocando all'impazzata, ridendo tra i flavi capelli scomposti; ed aveva le guancie rosate – diceva Nino – come il cuore di una conchiglia.

Alla sera Edith si abbandonò in una seggiola a dondolo, ed era pallida e dolce, che pareva una farfalla stanca.

– Non è vero, Valeria? – disse Nino. E Valeria disse:

– E' vero.

E fu allora che Valeria sentì una grande nostalgia. Che altro poteva essere lo struggimento che provava? Certo, certo era di nostalgia che soffriva: aveva bisogno di vedere il sole d'Italia, di udire delle voci italiane, di trovarsi in mezzo a gente dai gesti facili, dagli occhi neri, dai capelli neri. Ah! sopratutto dai capelli neri! Non poteva più vedere queste capigliature bionde… le facevano male agli occhi. E Valeria si coprì il viso, con un piccolo singhiozzo soffocato.

All'indomani, il secondo del torneo, la nostalgia crebbe ancora; divenne insopportabile. Si prendeva il thè nel giardino del Vicar; Valeria aveva per vicino un giovane che, offrendole dei biscotti, le diceva che per il mese d'aprile faceva abbastanza caldo; e che l'anno scorso a quest'epoca faceva più freddo.

Intanto, di là del prato, Valeria vedeva Nino, che rideva, rideva suonando su una chitarra che gli avevano prestato, degli accordi col cucchiaino da thè.

Edith e due altre giovinette gli stavano vicino: le loro tre teste bionde splendevano al sole.

A un tratto Valeria sentì che odiava l'Inghilterra, che odiava la gente che le stava attorno, e che le conversazioni sul tempo, sul thè, sul tennis la farebbero impazzire. I suoi occhi neri si posavano su Nino e su quelle tre teste bionde inclinate verso di lui, splendenti in tre diversi toni d'oro. Ardenti lacrime le punsero gli occhi.

Quella sera, mentre lei ed Edith si svestivano nelle loro camere, ch'erano attigue, Edith chiacchierava garrula e gaia.

– Dio, come è bello il mondo! Come tutto è divertente!

E la fanciulla si tolse le forcelline dal capo e scosse la chioma, che le si svolse come un serpe di luce sulle spalle.

– La vita è una deliziosa istituzione. Non trovi, Valeria?

Dalla camera vicina non giunse risposta, e Edith, un po' sorpresa, s'affacciò a guardar dentro. Valeria giaceva sul letto con la faccia nascosta nel guanciale. Era ancora vestita del suo abito rosa della serata.

– Valeria! cara! che cosa è accaduto? – domandò Edith, chinandosi a baciarla.

– Oh! io odio tutto! ho orrore di tutto! – singhiozzò Valeria, – quello stupido tennis, quelle stupide ragazze, che sempre ridono, ridono, ridono…

– Ma, mi pare che abbiamo riso anche noi, – disse Edith. – A me par di aver riso tutto il giorno. E anche Nino non ha fatto altro!

– Già, Nino! – E Valeria si rizzò, lagrimosa e sdegnata. – Anche lui è stupido, anche lui ride per niente… In Italia – singhiozzò – non rideva mai! In Italia non si ride così, stoltamente, per far vedere i denti e fingere di essere vivaci.

Edith, attonita e muta, rimase a lungo contemplando la sconsolata figura di Valeria. E rifletteva. Poi d'un tratto si chinò, e baciando la cugina disse:

– Cara, non piangere, non piangere più.

Valeria, che aveva già smesso di piangere, ricominciò da capo. E pianse più forte quando, alzando gli occhi, vide il fuoco pallido della chioma di Edith, scintillante intorno al dolce viso, e i due piccoli laghi di Como soffusi di limpido pianto. Si baciarono ripetutamente, appassionatamente, e ciascuna disse di sè che era sciocca e che non piangerebbe più, eppoi ripiansero; e si ribaciarono; e andarono a letto.

E Valeria si addormentò.

Ma Edith, nel buio pensava.

Edith si alzò prestissimo l'indomani, e condusse Nancy a cogliere le primule nei boschi. Fu così che Nino e Valeria dovettero andare soli al tennis. Una ragazza grassa e torpida prese il posto di Edith nel torneo. Valeria rise tutta la mattina.

Edith e Nancy arrivarono in ritardo per il « lunch »: tutti erano già a tavola. Quando comparvero, la signora Avory diede un'esclamazione di sorpresa alla vista di Edith: e anche Nino la guardò, meravigliato.

– Ma, Edith mia, – disse sua madre. – Che cosa hai fatto? Come ti sei conciata?

– Conciata? – disse Edith ridendo. – Ma come? se questa è la famosa pettinatura « à la Klaus » che si usa nella Germania del Nord! Vero, Fräulein? E' Fräulein che me l'ha insegnata.

Valeria si era fatta rossa e disse con voce un po' tremante:

– Ma, Edith, non dovevi lasciarti tirare indietro i capelli a quel modo. Non so cosa pare…

– Pare una torta, – disse la piccola Nancy. – E a me piace molto.

La signora Avory sorrise.

– Ma cosa ti viene in mente, Edith? E perchè ti sei messa quell'orrido vestito color tabacco, che ti ho detto di non portar più?

Ma Edith, invece di rispondere, parlò della passeggiata nel bosco; e poi Nino raccontò del tennis…

E così Edith adottò la pettinatura della Germania del Nord. Non volle più andare al tennis perchè le faceva venire un dolore in una spalla; e andò ogni giorno, sola con Nancy, a fare delle lunghe passeggiate.

La piccola Nancy era un'adorabile compagna. Poco a poco Edith si trovò ad aspettare con lieta impazienza l'ora della passeggiata giornaliera; le piaceva sentire la calda dolcezza di quella manina fidente stretta alla sua, e la garrula voce di allodoletta al suo fianco.

Nancy faceva poche domande. Preferiva non sapere tante cose. Non le piacevano più i fuochi d'artifizio da che, una volta, ne aveva visti di giorno, avvolti in carta dentro ad una cassetta. Ma come! Non erano dunque i bambini delle stelle?

Tutte le definizioni di cose e di fenomeni che Fräulein le faceva, urtavano la sua fantasia quanto l'accento tedesco di Fräulein le feriva l'orecchio.

Se Nancy diceva: « Che belle nuvole rosse! » Fräulein subito cominciava:

– Sai che cosa sono le nuvole?

– No, no! – gridava Nancy. – Non so, e non voglio sapere. – E correva via per non sentire.

Ma i diciassette anni di Edith e le otto primavere della piccina s'accordavano armoniosamente: l'aurora dell'anima di Nancy, avvivata da presaga fiamma, urgeva a più rapido mattino; mentre la breve giornata di Edith, già oscurata da un invisibile gelo, volgeva alla sua fine prima ancora di giungere al meriggio.

Così le due anime fanciulle s'incontravano, e il loro amore saliva concorde come l'unirsi vivido e puro di due fiamme.

Fu la domenica di Pasqua che Fräulein apparve, in ritardo e senza Nancy, al lunch. Fräulein si scusò.

– Nancy non viene. E' in giardino a scrivere una poesia. Dice che non vuol mangiare.

La signora Avory rise, sorpresa. Nino disse:

– Si può sapere di che cosa tratta la poesia?

– Ma mi pare – disse Fräulein – che si tratti della sua bambola spezzata e del suo canarino morto.

– Ma come? Il canarino è morto? – esclamò Valeria. – Bisognava dirmelo.

– E la bambola è rotta? Ma gliene compreremo subito un'altra, – disse la signora Avory, molto agitata.

– Ma non è… non sono… non è vero… – spiegò Fräulein confusa. – Soltanto Nancy dice che non può scrivere poesie su cose che non siano spezzate e morte.

Il vecchio nonno, che ora parlava di rado, alzò il capo e disse lugubremente:

– Spezzate e morte… spezzate e morte…

E continuò, durante tutto il pasto, a ripetere cupamente quelle parole. Ci vollero alla fine molte sgridate e carezze per farlo smettere.

Quando apparve Nancy tutti vollero sapere della sua poesia, e, ridendo ed arrossendo, la bimba tolse dalla tasca un foglietto e lo diede a Edith.

Edith lesse ad alta voce e con molta commozione i tre brevi versi. Valeria ne improvvisò una traduzione italiana per lo zio Giacomo e per Nino; poi volle leggerli forte Valeria, e poi vennero letti di nuovo con molta espressione da Edith; e ancora una volta da Valeria. Poi da Fräulein. Poi di nuovo da Edith, e ancora una volta da Valeria. Tutti risero e piansero, e Valeria abbracciò tutti.

Nancy era un genio! Già, lo avevano sempre detto! Lo zio Giacomo sostenne che l'ingegno poetico proveniva dalla famiglia di suo fratello; cosa che parve offendere molto la dolce signora Avory. Edith, per cambiar discorso, chiese a Nancy:

– Ma come t'è venuto in mente di scrivere dei versi?

E Valeria esclamò:

– Oh Dio! e se non potesse scriverne mai più? Ho sentito dire che è capitato una cosa simile ad un poeta, che poi non è diventato poeta, perchè appunto…

Ma Nancy non parve preoccupata di ciò.

– Potrei scriverne subito degli altri, – disse disinvolta e gaia.

Fu un coro di acclamazioni.

– Scrivi, – disse Edith, – e di' come hai fatto a fare la poesia di stamattina!

Allora la piccola Nancy, ridendo e arrossendo, nervosa ed incantevole, improvvisò sul taccuino di Fräulein:

This morning in the orchard

I chased the fluttering birds:

The winging, singing things I caught —

Were words!


This morning in the garden

Where the red creeper climbs,

The vagrant, fragrant things I plucked —

Were rhymes!


This morning in the…


A questo punto Nancy alzò gli occhi, mordendosi il labbro.

– « This morning – in the what? » Non trovo la parola.

– « In the garden », – suggerì Valeria.

– L'ho già detto! – - E Nancy aggrottò le ciglia.

Lo zio Giacomo suggerì « kitchen », e gli venne intimato di tacere.

Edith disse:

– « Woodland », – e questa parola venne adottata.

Ma poi Nancy scoprì che voleva una cosa tutta diversa, e che aveva bisogno di una rima per la parola « verse. »

– « Terse », – disse Edith.

– « Curse », – disse Nino.

– « Disburse », – disse Fräulein.

– Oh, – esclamò la piccola poetessa, – « that is not poetic, but rather the reverse! »

– « Purse », suggerì Nino.

– « Hearse », – pronunciò il nonno cupamente.

– « We go from bad to worse », – esclamò Nancy, ridendo, e tutte le fossette le si incavarono rosee nelle guancie. – State zitti un momento!

And if I cage the birdlings…


– Che « birdlings? » – disse Fräulein.

– Ma i « birdlings » sono le parole… l'ho già detto, – disse Nancy.

Tutti avevano l'aria vaga e incerta.

– Ma sì, non vi ricordate? « The winging singing things I caught, were words », – spiegò Nancy.

– Ma perchè li vuoi mettere in gabbia? – chiese Fräulein, che aveva una mente ordinata.

– Ma perchè… perchè… – fece Nancy affrettatamente, fabbricando le sue ragioni mentre le spiegava, – le parole non si devono lasciar volare attorno, come vogliono; si devono prendere, e rinchiudere nei versi… nelle righe… Non so come dirlo…

– Vuoi dire nel ritmo? – disse Edith.

– Che cos'è il ritmo? – chiese Nancy.

– La misura, il tempo… come nella musica.

– Sì, sì, così voglio dire, – esclamò Nancy. – Le parole vanno imprigionate nel ritmo, come degli uccelletti in gabbia.

And if the flowers I nurse…


– I fiori sono le rime, s'intende, – spiegò Nancy, colle guancie vermiglie e brandendo la matita con gesto trionfale:

And if the flowers I nurse

The rambling, scrambling things I write —

Are verse!


– Ma brava! Ma splendido! Ma magnifico! – gridarono tutti. E lo zio Giacomo e Nino applaudirono battendo le mani lungamente, come se fossero a teatro.

Quando smisero, la signora Avory disse:

– Quelle ultime righe mi piacciono meno. Non si capiscono bene. Ma naturalmente, in poesia questo non importa.

E tutti furono d'accordo con lei, che per la poesia tutto va.

La signora Avory era anche del parere di far venire da Londra tutti i giorni un poeta che desse lezione sul serio a Nancy; e Fräulein si dilungò in molti particolari riguardo alle Case Editrici che pubblicavano dei versi, e poi non li pagavano. Aveva sentito dire che spesso in Germania gli editori facevano così. E anche in Italia…

Da quel giorno in poi l'ispirazione di Nancy fece legge in casa. Quando essa entrava in una stanza tutti tacevano per non turbare le sue idee. Anche la colazione e il pranzo dovevano aspettare finchè Nancy non assicurasse tutti che aveva finito di pensare.

Quando Nancy aggrottava le ciglia, e si passava con un piccolo gesto rapido che le era famigliare una mano sulla fronte, Edith in punta de' piedi andava a chiudere porte e finestre, perchè nessuno venisse a disturbare la piccola poetessa, o a far prendere il volo a una sola farfalla della sua fantasia. Valeria in estatica ammirazione si aggirava pianamente all'intorno, per lo più seguita da Nino. E Fräulein Müller, seduta in biblioteca, leggeva ad alta voce dei lunghi brani di Dante allo zio Giacomo, non curandosi che egli dormisse o no; lo faceva, come essa stessa scriveva nel suo giornale « a) per esercitarmi nell'italiano – b) perchè aleggi sempre in casa lo Spirito della Poesia. »

Soltanto il nonno che non capiva perchè ci fosse tanto silenzio e tanta irregolarità nei pasti, vagava lugubremente per la casa, e si era messo in mente che qualcuno era morto. Lo si vedeva girare nei corridoi, aprire le porte e guardare nelle stanze per vedere chi fosse. E faceva venire i brividi freddi alla signora Avory, domandandole ogni tanto all'improvviso:

– Chi c'è di morto in questa casa?

I divoratori

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