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VII

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Al medesimo

Si lamenta che gli sia stato risposto oscuramente circa la questione esposta nel sonetto che precede.

Messer Dotto frate, Meo Abracciavacca salute di bono amore.

Da lume chiaro di natura prende scuro, e non da scuro chiaro lume, perché nond'abisogna vostro mandato. Credo che assai prova intelletto vostra operazione; perciò temendo parlo. Dico che ogni opera umana solo da volontá di posa move, e mai per omo in esto mondo non trovare si pò; e ciò è la cagione che 'l core non si contenta. Poi dico che ogn'altra criatura naturalmente in esto mondo tanto trova sua posa; e, se omo maggiormente nobile creatura fo formato, come non sovra l'autre criature have perfezione di posa avere? Nente ragion lo vòle che lo 'ntelletto posi ned aggia affetto u' non è sua natura, e ch'elli non è creato come corpo si crea in esso loco; ma have del sommo e perfetto compimento, cusí pur di ragione altra vita intendo, ove intelletto posi e sia perfetto. E voi, intendo, siete omo razionale, ch'avete presa via di ritornar al perfetto principio per fina conoscenza. Se volontate varia per istati diversi, non vari operazione d'avere verace spera, venendo a fine fine. In ciò che mandasteme lettera e sonetto, perché risposta avete di mio sentire, rispondo; e, se vostra intenzione non si pagasse, riputatene il poco saver mio, che volontá pur aggio di sodisfare ad onne piacer bono: per compimento volontá prendete. A frate Gaddo e a Finfo, come imponesteme, il mostrai e diei scritto.

Parlare scuro, dimandando, dove

risposta chiere veder chiaro l'orma,

non par mistero che sentenzia trove,

ma del sentir altrui volere norma.

A ciò che 'ntendo dico mezo sove

di primo fine, e di fine storma

qual nel mezo difetto fine strove:

dunqua per fine ten piú vizi a torma.

Cosí bono tornare pregio chine

di monte 'n valle del prefondo male,

a ciò bisogna di ragione cura.

Voi conoscete da la rosa spine,

seguir convene voi a fine tale,

che 'l primo e 'l mezo di lod'agi'altura.

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