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1. Posizione di Socrate nella storia della religione greca.

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Uno dei lati meno intesi, e meno approfonditi della storia della coscienza ellenica è quello che concerne lo sviluppo del sentimento religioso, ed il processo del concetto della divinità, dalle forme più semplici del mito, fino agli ideali etici e metafisici, nei quali lo spirito, con maggiore consapevolezza, riuscì ad obbiettivare le esigenze di una spiegazione dell'universo, poichè s'era liberato dalle arbitrarie ed accidentali associazioni psichiche, che sono il primo ed unico fondamento della mitologia popolare[52]. Per intendere insomma, come, sotto l'influenza di una nuova motivazione, la coscienza di Eschilo di Pindaro di Sofocle e via dicendo, senza punto elevarsi all'orizzonte filosofico, e conservando tutto lo schema della tradizione mitica, sia divenuta produttrice d'un nuovo concetto della divinità, le indagini sono poco progredite; per non dire che, salvo rare eccezioni, la più parte dei critici, o non ha ancora avvertita la natura speciale del problema, o ha cercato trattarlo con vedute estranee ed incongruenti al soggetto. Ora noi abbiamo una storia della filosofia e della coltura greca, ed una mitologia, ma ignoriamo ancora il preciso sviluppo della religione greca; e quando riuscirà di determinarlo, molti fatti, fin ora classificati in un'altra categoria, verranno naturalmente a prendere il loro posto nella storia del sentimento religioso, ove solamente possono toccare una soddisfacente spiegazione. La storia stessa della filosofia deve slargare l'orizzonte delle sue indagini, e non partire dal presupposto assoluto, che la riflessione scientifica sia riuscita in dato momento ad isolarsi dalla religione popolare, contrapponendosele nella coscienza dei suoi motivi, perchè solo così può veramente intendere e valutare i pochi elementi scientifici della filosofia antesocratica. La religione popolare è invece da considerare in tutta la larghezza del suo sviluppo, come quella che, approfondendosi sempre di più, ed acquistando maggiore intimità e valore etico, venne a costituirsi e fermarsi in una ricca immagine del mondo morale, che sollecitò la ricerca scientifica all'indagine su la natura dell'uomo, ed a fare una metafisica che fosse spiegazione etica dell'universo[53]. Platone stesso, benchè sia innegabile che poggi con sicurezza su l'elemento logico del sapere, non è fuori di questa storia religiosa, anzi ne segna l'estremo confine: e tutto quello che in lui s'è chiamato misticismo, ed entusiasmo poetico, sebbene deva essere studiato con cautela, perchè non faccia perdere di vista il valore schiettamente filosofico della sua ricerca, non può neppure mettersi da banda, quasi fosse un fuor d'opera, o un adornamento artistico, come non raramente hanno pensato gli espositori moderni.

La più grave difficoltà di questo studio è riposta appunto in uno dei tratti più caratteristici di quel processo religioso, che è l'apparente uniformità delle sue manifestazioni; perchè le rappresentazioni comuni delle divinità popolari rimasero lungamente come vaga espressione delle nuove esigenze, senza che si avvertisse la incongruenza delle nuove idee alle antiche forme, sicchè il movimento intrinseco non dovette riflettersi in un pratico tentativo di riforma.

Socrate occupa un posto importantissimo nella storia della religione greca[54]. La immediatezza religiosa è un fatto innegabile nella sua coscienza, e costituisce il personale presupposto di tutte le sue indagini; quello mercè il quale la sua capacità e virtù ricercativa si trovò naturalmente determinata alla cognizione etica ed alla pratica pedagogica. E appunto perchè i limiti della sua ricerca sono precisati dal concetto di quello ch'egli riteneva come termine d'ogni umana conoscenza, la chiara ed evidente consapevolezza della propria destinazione, non si può ammettere, che tutti gli altri postulati e tutte le altre esigenze che troviamo espresse nelle sue affermazioni, non siano altro che un fuor d'opera rispetto all'elemento dottrinale; e fa d'uopo ridare loro l'originale significazione immediata e religiosa.

Tutto quello, che trascende in Socrate la sfera limitata del sapere etico, corrisponde al largo campo che per noi forma l'oggetto delle indagini metafisiche. Raccogliendo da Senofonte i pronunziati autentici di Socrate sul concetto della divinità, su la sua efficacia creativa, sul valore etico dell'uomo in relazione con l'ordine della natura, noi ci avvediamo che quell'immagine concreta del cosmo, per quanto possa rivelare le tracce di una intenzionale subordinazione alle esigenze logiche, non è il risultato di un cosciente lavoro di deduzione scientifica, ma l'espressione di una esigenza religiosa più profonda di quella che s'appagava della mitologia tradizionale; e che essa quindi occupa un posto intermedio fra gl'ideali etici e religiosi, che la coscienza artistica aveva già espressi nel dramma e nella lirica, e i primi tentativi di una comprensione metafisica del mondo morale.

La sfera dell'attività umana è nettamente definita dalla consapevolezza, della quale siamo forniti, per la scelta dei mezzi che ci conducono al conseguimento del benessere[55]. In questa perfetta congruenza del sapere col fine dell'attività umana, che esclude da un canto ogni intervento miracoloso e straordinario e preclude dall'altro la via ad ogni indagine su tutto quello che è fuori dei limiti della nostra pratica destinazione[56], è segnato il limite normale del valore della vita, e il termine assoluto ed impreteribile della perfezione e della felicità. Socrate, in questa guisa, mentre era inteso ad escludere come empia ed irreligiosa ogni ricerca su l'origine delle cose naturali, riusciva a fermare recisamente la natura e i limiti della vita etica, ed a determinare approssimativamente il mondo della libertà umana; perchè la chiara coscienza ch'egli s'avea della perfezionabilità dell'uomo era riposta nella certezza, che il nostro sapere è perfettamente congruente a tutti i fini, che siamo destinati ad attuare. Il termine comune di tutti questi svariati fini è l'εὐδαιμονία, al cui conseguimento ci ha disposti l'ordine intero della natura, che nella sua bellezza ed armonia ha come ultimo scopo l'umana felicità: ma questo fine non si raggiunge per caso o per fortuite circostanze, nè la sua misura sta in arbitrio dell'uomo, perchè il conseguimento n'è coordinato alla esatta cognizione della propria capacità in relazione con l'ingenito bisogno del benessere, ed il limite n'è predeterminato dalle reali condizioni della vita.

Tutte queste vedute raggiungono il loro punto culminante nel concetto della divinità, come intelligenza autrice e reggitrice del mondo, la cui presenza nell'ordine naturale è rivelata dalla perfezione con la quale tutte le cose sono disposte, in una serie di perfetta finalità. E qui di nuovo il sapere e l'attività sono congruenti; perchè la natura, che è inaccessibile alla scienza umana, è conosciuta solo da Dio, che ha potenza di produrla.

Questa nuova intuizione della divinità, che è determinata dal concetto del valore etico della sua attività nel mondo, non può intendersi come semplice prodotto di una volontaria reazione contro le tendenze speculative e affatto meccaniche dei filosofi precedenti; perchè l'elemento precisamente individuale della esigenza religiosa, che v'è così evidente, non troverebbe più alcuna spiegazione, e quei pronunziati perderebbero ogni valore storico. Socrate ebbe tanto poca consapevolezza del valore filosofico di queste sue vedute, e le tenne per così opposte ad ogni indagine su l'origine e la natura del mondo, che, mentre poneva l'intelligenza come principio dell'universo, e fissava un nuovo punto di partenza ad ogni ulteriore progresso nelle indagini speculative, rigettò come empia la filosofia naturale; e, nel modesto concetto che aveva di sè medesimo, e della natura umana in generale, fece atto di rassegnazione alle intime esigenze di un convincimento che a lui non appariva qual risultato di una pruova teoretica, ma qual termine assoluto di una religione perfetta. E di questa esigenza stessa egli non fece qualche cosa di distinto dalla religione tradizionale, anzi tutto il nuovo fu da lui appercepito nella forma antica; e di qui procede, che, mentre il concetto monoteistico, in virtù di tutto il progresso della coltura ellenica, tendeva a chiarirsi[57], ed a riassumere in sè le forme politeistiche, Socrate credette di stare pienamente d'accordo con la tradizione, e stimò non allontanarsi da nessuna delle credenze accettate. Le riserve infatti, o per dir meglio le distinzioni che egli introduceva nella pratica religiosa, se all'occhio volgare poteano sembrare lesive del valore letterale del culto e del rito, non aveano in se stesse niente che accennasse a tendenze eretiche, o ad innovazione pratica delle forme tradizionali. E quando Socrate diceva, che non bisogna vivere nell'illusione che la divinità ignori quello che teniamo celato nell'intimo dell'animo[58], e che il sagrificio non ha valore se la coscienza non è pura[59], e pronunziava altre somiglianti opinioni, che avevano l'intento di rilevare l'intrinseco valore della coscienza, egli non dicea cosa affatto nuova, e che ogni colto Ateniese non avesse, più o meno direttamente, potuto apprendere dalle sentenze di Eschilo, di Sofocle, o di qualunque altro poeta, su la cui pietà religiosa non s'era mai sollevato dubbio alcuno. La grossolana rappresentazione delle divinità, come di persone finite e limitate, potea forse trovarsi in contradizione con questa nuova veduta, e stimarla empia e profana: ma ciò non vale a persuaderci, che Socrate non sia stato davvero quale Senofonte ce lo presenta, persuaso cioè, che le sue convinzioni non fossero affatto divergenti da quello che legalmente era riconosciuto come religione dello Stato[60]. Confutare l'opinione di coloro, che in tutto questo non vogliono veder altro che lo sforzo apologetico di Senofonte, o la sua incapacità filosofica, non crediamo sia nè conveniente nè necessario[61].

Sotto questa nuova luce l'attività socratica ci apparisce più chiara, e l'efficacia pratica di che fu capace acquista una maggiore evidenza. La sua importanza nella storia generale della coltura greca è appunto riposta in questa ricchezza di motivi istintivi ed immediati, che avevano tanta relazione con tutto lo sviluppo della coltura artistica contemporanea, e riflettevano i bisogni e la sociale agitazione di quell'epoca profondamente creativa. Se noi prescindiamo, non solo da tutte le moderne investigazioni sul valore metafisico della causa, del fine ecc., ma anche dalla mediazione logica, in cui questi ed altri analoghi concetti appariscono nella filosofia greca da Platone in poi, misurando l'intuizione socratica alle condizioni della coltura dell'epoca periclea, l'indole sua affatto immediata e religiosa diviene assolutamente innegabile. Quei concetti infatti, che abbiamo di sopra accennati, non appariscono ancora come gli estremi termini d'un procedimento metafisico, e molto meno come le conclusioni induttive di un'analisi psicologica; ma sono lì tutti ad un tratto, nella loro armonia e perfetta trasparenza; e, mentre sono il risultato di un lavoro interno di purificazione dell'animo, la loro obbiettivazione è istantanea, e plastica, non discorsiva e dimostrativa. E quando le esigenze logiche del dialogo vengono a collocarli nel termine estremo di una pruova, allora si vede chiaro, quanto il nuovo motivo della dimostrazione sia inferiore all'esigenza pratica del convincimento religioso[62]. Fare di Socrate un astratto concettualista è un'opinione tanto erronea, quanto quella che lo riteneva per un moralista popolare[63]; ed una simile supposizione menerebbe di certo a trovare incongruente ed inconseguente del tutto la caratteristica di Senofonte.

Socrate avea il fermo convincimento di adempiere il dovere di una missione divina; e la finezza del suo giudizio, congiunta all'abito costante dell'osservazione morale, gli avea fatto avvertire la prossimità del divino, nella forma speciale di una personale relazione[64]. Correggere, rettificare, ed esaminare le opinioni altrui eragli imposto dalle religiose esigenze dell'animo, che non ammettevano esercitasse l'arte della parola come espressione di un dilettantismo dottrinale. Il divieto della divinità, che lo tenea lungi dalle faccende dello Stato, gl'imponea una completa rassegnazione alle inevitabili conseguenze della sua missione. Ma erano queste opinioni il risultato di una fantastica considerazione del mondo, ed assumevano esse forse il carattere di un'arbitraria pretensione di riformare ad ogni costo l'ordine stabilito della società, per modellarlo secondo i dettami di una speciale rivelazione? Nulla di tutto questo. Socrate visse sempre in pieno accordo con tutti, e non mancò mai di adempiere nè i doveri del culto, nè le pratiche della legale εὐσέβεια; le sue massime non l'indussero mai, durante la lunga vita di 70 anni, ad entrare in una guerra dichiarata con le forme tradizionali, come avevano fatto Diagora ed Anassagora, Gorgia e Protagora, suoi contemporanei. Il suo Dio era qualche cosa di affatto etico; ma già altri prima di lui, senza destare sospetti, e nella massima buona fede, avevano introdotto tacitamente nelle forme religiose mitico-tradizionali una nuova motivazione; ed Eschilo, Pindaro, Sofocle, ecc. aveano incarnato nei nomi di Zeus, Apollo, le Eumenidi ecc. un nuovo concetto del divino, della pena, dell'espiazione, della legge e della coscienza morale[65]. Socrate insomma non fece che obbiettivare, nei limiti molto oscillanti, e nelle forme riconosciute della patria religione, un processo psicologico ed etico affatto individuale; la quale libertà in tanto era possibile, perchè, mancando ai Greci un ordine speciale di uomini destinati a conservare i veri religiosi, ed essendo già la tradizione mitica passata attraverso alle molteplici alterazioni, che furono conseguenza della varietà delle stirpi e dello sviluppo della coltura, il difetto di una chiesa e di una dommatica rendea difficile il criterio dell'ortodossia e della eresia[66]. E se vuol dirsi, come altri ha fatto, che il figlio di Sofronisco fu un eretico[67], bisogna allargar tanto questo concetto, da far sparire ogni misura di religione tradizionale presso i Greci; la qual cosa quanto sia infondata può vedere ognuno, che abbia una conoscenza esatta dei loro monumenti letterari. Anzi, noi siamo tanto lungi da una simile opinione, da credere, che Socrate con le sue vedute si avvicini di molto a quella profonda reazione religiosa, che, cominciata in sul mezzo della guerra del Peloponneso, finì per guardare come pericolosa tutta la scienza che avea divagato in ricerche arbitrarie ed individuali, e che non è improbabile abbia trovata una espressione artistica nelle ultime produzioni di quell'Euripide[68], il quale già prima avea tanto lavorato ad accrescere l'influenza della irreligiosità sofistica. E che questa nostra opinione non possa essere invalidata con l'argomento dell'accusa di Meleto, può intendersi di leggieri da chiunque rammenti, di quanti equivoci dello stesso genere offra esempi la storia.

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