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I.

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Se, passando da piazza della Signoria, alzate gli occhi a guardare le armi dipinte sotto il ballatoio di Palazzo Vecchio, ne vedrete una, che porta uno scudo azzurro col motto Libertas, ed era l'insegna del magistrato de' priori: la stessa parola si legge scritta sullo stemma di Bologna e d'altri comuni; e si trova ad ogni passo nei bandi delle autorità, nei discorsi degli oratori, nei versi dei poeti, durante i secoli XIII e XIV. Ma la libertà che amavano e bramavano gli uomini di quei tempi, e per la quale erano pronti a dare fino all'ultima goccia di sangue, era la libertà di regolare le cose del Comune opprimendo ferocemente le consorterie e le fazioni avversarie, e di tener soggette le terre vicine, anche taglieggiandone gli abitanti. Alle menti medievali, il diritto politico si rappresentava come un privilegio, e le attribuzioni dello Stato come franchigie; quel che chiamavasi Comune era quasi sempre il governo d'una fazione; le sue leggi e i suoi statuti, anche in materia civile e amministrativa, miravano a difesa o ad offesa partigiana; e le sue giustizie medesime apparivano vendette. Abbattuti i feudatari e costretti i più di questi a venire dentro le sue mura, il Comune s'era sostituito nelle loro ragioni, e le esercitava, con non minor vigore, a carico dei vassalli, sotto le due alte e mal definite potestà della Chiesa e dell'Impero; potestà intorno alle quali s'aggira tutta la storia dell'evo medio, e che combatterono tra loro le ultime grandi battaglie appunto fra il 1226 e il 1268, cioè fra il principio della seconda Lega lombarda e il supplizio di Corradino. Laonde rimase all'Italia una funesta eredità di odî, di divisioni e di rovine e le si apparecchiò, pel futuro, uno stato d'impotenza e di dipendenza politica, confortato soltanto dal sogno della duplice supremazia universale.

Non vanno accettate a chius'occhi le meravigliose descrizioni che ci lasciarono poeti e cronisti del beato vivere nelle prime età dei Comuni. Presto incominciarono le guerre coi vicini e anche le discordie

Tra quei che un muro ed una fossa serra.

E la parte che v'ebbe senza dubbio la diversità di schiatta non appare dai documenti raccolti sia stata così preponderante nè così universale come afferma qualche moderno storico; mentre, a buon conto, le stesse gare di fazioni nemiche, le stesse violenze pubbliche e private si ritrovano nei luoghi dove non penetrarono nè si stanziarono invasori germanici. Si può tenere per vera l'opinione del Balbo che la fusione delle razze era omai compiuta al tempo della pace di Costanza, nel 1183; e già di lunga mano si era andata operando in seno alle moltitudini. Avvalorata da varie cause accessorie, la esaltazione delle forze individuali congregatesi in molteplici compagnie, fu causa d'ogni bene e d'ogni male, di precoci fortune e di non meno precoci calamità, pei popoli della penisola che sorgevano rigogliosi a vita nuova in sul principiare del secolo XII.

La vita italiana nel Trecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1891

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