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A. COSSA — LA CHIMICA DEL VINO

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(Conferenza tenuta la sera del 16 gennaio 1880).

La composizione del sugo dell'uva, i cambiamenti che esso subisce per la fermentazione e le principali e più dannose sofisticazioni del vino sono gli argomenti che io dovrei sviluppare nella conferenza di questa sera. — Ho detto sviluppare, ma questa parola non è propria perchè il limite di tempo concessomi non è sufficiente alla trattazione completa degli argomenti annunciati. Pertanto dovrò limitarmi ad una esposizione compendiosa ed elementare, e per quanto è in me chiara ed ordinata, dei fatti più salienti della chimica del vino. — Le cose che esporrò non sono nuove, ma se la qualità dell'uditorio e la scarsa mia abilità didattica mi impediscono di pronunciare l'indocti discant, non rinuncio all'invocazione che voi vorrete accogliere benignamente: ament meminisse periti.

Esaminando gli acini dell'uva nei differenti periodi del loro sviluppo, si osserva che l'aumento graduale di peso e di volume ed il cangiamento del loro colore sono accompagnati da una modificazione pure progressiva della qualità del sugo che essi contengono. Questa modificazione consiste principalmente nella diminuzione della sua acidità e nell'aumento dello zucchero, come potete rilevare dalla tabella che vi presento, dove sono registrate le determinazioni fatte da me nel 1874 sopra una qualità d'uva detta Aramont, raccolta in diverse fasi della sua maturazione:

EPOCA DELLA RACCOLTAACIDITÀZUCCHERODENSITÀ del sugo a + 15°
in un litro di sugo
26luglio187436,005,501,0182
4agosto»31,876,941,0204
13»»30,0015,601,0218
22»»29,9228,701,0323
1settembre20,1057,501,0333
10»»17,7796,201,0477
30»»9,82119,001,0583

Le materie che rendono acido il sugo dell'uva sono di varia natura, e si è convenuto di indicare l'acidità complessiva di queste materie riferendola unicamente all'acido tartarico, perchè questo è l'acido predominante. Così, per esempio, quando si asserisce che l'acidità di un mosto è di 9 per mille, si intende di dire che in mille centimetri cubici, cioè in un litro, di questo mosto si trovano tante materie acide da corrispondere a 9 grammi di acido tartarico.

L'aumento progressivo dello zucchero nel sugo dell'uva s'arresta quando esso ha raggiunto un certo limite oltre il quale l'uva, come succede di tutte le sostanze organizzate, infracidisce; cioè i suoi componenti, e tra questi lo zucchero, si cambiano in altre sostanze che diventano gradatamente meno complesse, finchè si risolvono in acqua, acido carbonico ed ammoniaca.

Non succede dell'uva quanto si verifica in altri frutti saccarini nei quali aumenta lo zucchero, cioè possono maturare, anche dopo che furono spiccati dall'albero. È cosa conosciutissima che per ottenere dei vini liquorosi si usa di far appassire su graticci l'uva, la quale dopo un certo tempo acquista un sapore più zuccherino. Questo fatto sembra provare il contrario di quanto ho asserito; ma la contraddizione è solamente apparente, perchè nell'appassimento dell'uva non cresce la quantità assoluta dello zucchero, e se essa riesce più dolce è perchè concentrandosi il sugo per l'evaporazione la quantità di zucchero va sempre più accumulandosi in una minore quantità di liquido. Anzi durante l'appassimento, come venne sperimentalmente dimostrato dal prof. E. Rotondi, la quantità assoluta di zucchero contenuta nell'uva diminuisce. Nell'uva lo zucchero è segregato dalle cellule del parenchima degli acini; invece nelle mele, e nel frutto proverbiale che matura col tempo e colla paglia, lo zucchero continua a formarsi per l'azione degli acidi sull'amido di cui questi frutti sono riccamente forniti.

L'epoca in cui nell'uva trovasi raccolta la massima quantità di zucchero varia nelle diverse qualità di vitigni, ed in uno stesso vitigno a seconda della natura del terreno, del clima, delle vicende atmosferiche e dei metodi di coltivazione. Siccome dei componenti dell'uva lo zucchero è quello che essenzialmente prende parte alla metamorfosi del mosto in vino, è logico il ritenere che l'epoca più conveniente per la vendemmia dovrebbe essere quella della perfetta maturazione dell'uva, epoca che coincide appunto colla sua massima ricchezza in zucchero. Ma, come in altre industrie, così anche in quella della fabbricazione del vino non si seguono sempre pratiche razionali. In alcuni luoghi per soddisfare al gusto depravato di bevitori che si compiacciono d'un vino aspro, si raccoglie l'uva ancora acerba. Altrove l'epoca della vendemmia è stabilita dall'autorità comunale con danno di coloro ai quali converrebbe di anticiparla o di ritardarla per le qualità o per l'ubicazione dei loro vigneti. A ciò si aggiunga un altro guaio; quando in una regione un proprietario ha iniziato la vendemmia, accade ben spesso che gli altri sono costretti loro malgrado a seguirne l'esempio per non esporsi al pericolo di vedere decimato il raccolto da animali, dei quali forse non parlerà il collega prof. Lessona nella futura sua conferenza sui nemici della vite, quantunque siano qualche volta terribilmente devastatori.

Riconosciuta la convenienza di raccogliere l'uva quando essa è perfettamente matura, ci si presenta spontanea la domanda di un metodo facile e pronto per determinare la quantità di zucchero contenuta nel sugo dell'uva. Questo metodo ci viene suggerito dall'esame delle cifre poste nella tabella che vi ho indicato poc'anzi dove trovansi eziandio indicate le densità del mosto nei diversi periodi dello sviluppo dell'uva. Come voi vedete questa densità va aumentando di pari passo collo zucchero, in modo che invece di dosare separatamente lo zucchero, operazione relativamente difficile, se ne può determinare con sufficiente esattezza la quantità in relazione della densità del liquido che lo contiene disciolto. Si eseguisce prontamente la determinazione della densità di un liquido mediante degli aereometri a galleggiante la cui costruzione ed uso sono basate sul noto principio di Archimede.

Per rendere questa determinazione ancora più pronta, si costruiscono dei pesa-liquori speciali, detti gleucometri, di cui vi presento un campione, nei quali invece delle densità sono indicate le quantità di zucchero corrispondenti sciolte in un litro di mosto[II-1]. Immergo il pesa-liquore in questa soluzione di zucchero d'uva, di cui voglio conoscere il grado di concentrazione; vedo che l'istrumento discende nel liquido fino al punto che corrisponde al grado 36,5 della scala di cui è munito; e da questa lettura imparo che ogni litro del mio liquido tiene in soluzione grammi 36,5 di zucchero d'uva.

Con questa semplicissima operazione non solo si può riconoscere quando l'uva ha raggiunto il culmine della sua ricchezza zuccherina, ma pei motivi che saranno più avanti ricordati, si può eziandio prevedere la forza alcoolica che avrà il vino fatto col mosto dell'uva esaminata. Pertanto non si esagera dicendo che il gleucometro può arrecare all'industria enologica servigi congeneri a quelli che arrecano alla bachicoltura il termometro ed il microscopio.

I più importanti componenti del sugo dell'uva matura (mosto) sono: acqua, zucchero, alcuni acidi, materie albuminoidi, sostanze grasse, tannino, materie coloranti, sostanze minerali.

L'acqua è il componente predominante del mosto giacchè la sua quantità varia tra 70 ed 80 per cento.

Lo zucchero contenuto nell'uva si chiama glucosio; esso è simile ma non identico allo zucchero che si ricava dalla canna indica e dalle barbabietole (saccarosio) dal quale differisce per una minore solubilità e per alcune proprietà ottiche. Si può preparare artificialmente il glucosio trattando l'amido contenuto nelle farine dei cereali o la fecola di patate con l'acido solforico. Il bel campione di glucosio che vi presento proviene da una fabbrica di Germania dove lo si prepara in quantità considerevole per uso di coloro che fabbricano il vino coi metodi Pétiot e di Gall. — Il mosto contiene ordinariamente dal 15 al 20 per cento di glucosio.

Le principali sostanze che impartiscono l'acidità al vino sono gli acidi malico e tartarico. Il primo di questi predomina nel sugo dell'uva acerba e di mano in mano che questa va maturandosi diminuisce in quantità e si cambia in acido tartarico. Il chimico nel suo laboratorio può con particolari processi di ossidazione cambiare l'acido malico in acido tartarico e da ciò si arguisce che molto probabilmente i fenomeni della maturazione dell'uva consistano in un lavorìo di ossidazione. L'acido tartarico poi si trova nel mosto in due stati, cioè libero e combinato alla potassa nel cremore di tartaro (bitartrato potassico). — L'acidità complessiva del mosto riferita all'acido tartarico oscilla tra 0,8 e 0,9 per cento.

Le sostanze albuminoidi, così chiamate perchè hanno una composizione simile a quella dell'albumina contenuta nelle uova e nel siero del sangue, contengono dell'azoto e servono alla nutrizione del fermento che è causa della trasformazione dello zucchero in alcool durante la fermentazione.

Nelle buccie dell'uva, nei graspi, ma più specialmente nei semi (vinaccioli), si trova del tannino, cioè una materia simile a quella che si estrae dalle galle della quercia e dal sommacco e che serve, come è noto, nell'industria della conciatura delle pelli. Nei vinacciuoli il tannino è associato ad una materia grassa oleosa che in molti luoghi viene estratta colla torchiatura per trarne profitto come olio da bruciare.

La materia colorante contenuta nelle buccie dell'uva ricevette il nome di enocianina. Questo pigmento trovasi in quantità relativamente abbondante in quelle varietà di uva contraddistinte appunto per questo motivo coi nomi di uva colore, tintorino, raisin tinturier, ecc. L'egregio professore A. Carpené di Conegliano ha recentemente suggerito un metodo per estrarre industrialmente l'enocianina dall'uva, la quale potrà essere razionalmente adoperata nella colorazione artificiale dei vini invece di ricorrere, come si fa generalmente per ottenere l'istesso scopo, ad altre materie coloranti estranee all'uva, delle quali alcune possono riuscire dannose alla salute.

Se si riscalda fortemente in contatto dell'aria il residuo dell'evaporazione del mosto, esso abbrucia, si carbonizza e finalmente rimane una quantità (circa 0,6 per cento) di cenere che rappresenta le materie minerali del mosto, delle quali le più importanti sono la potassa e l'acido fosforico. — Lo zucchero, il tannino, le materie coloranti ed albuminoidi, l'acido tartarico sono combinazioni di carbonio, idrogeno, ossigeno ed azoto che la vite può assimilare dall'aria; ma le materie minerali che pur sono non meno delle altre indispensabili allo sviluppo di questa pianta derivano esclusivamente dal suolo. Perciò quanto più un terreno sarà ricco di queste materie minerali sotto forma facilmente assimilabile tanto più esso si presterà alla coltivazione della vite. La grande feracità dei vigneti di alcune plaghe vesuviane dipende anche da ciò che in quei luoghi il terreno deriva dalla decomposizione di una lava leucitica molto ricca di potassa.

Voi comprenderete facilmente che colle continuate vendemmie si impoverisce il terreno delle sostanze minerali contenute nell'uva e che perciò è assolutamente necessario di restituire alla terra le materie sottratte se si vuole che la vite continui a crescervi rigogliosa. Le nostre raccolte sono ora decimate da malattie che si palesano colla comparsa di piccole piante o di animali parassiti; ma è opinione molto accreditata quella che ritiene che lo svilupparsi di muffe o di insetti nocivi non sia altro che la conseguenza di uno stato di marasmo delle piante prodotto dall'esaurimento a cui con sistemi poco razionali di coltivazione si condanna il terreno, pretendendo ch'esso contenga in quantità indefinita i materiali nutritivi necessarii alle diverse colture. E qui riesce opportuno l'osservare che per concimare razionalmente un vigneto non basta gettare nel terreno qualunque siasi rifiuto di materie organiche, quasichè ogni sostanza che non può servire ad alcun altro uso debba necessariamente avere la prerogativa d'ingrassare le piante. La qualità delle materie che si adoperano come ingrassi deve essere scelta in relazione alla qualità del terreno ed alla natura dei principii minerali che predominano nelle piante che si coltivano. Applicando queste considerazioni generali alla vite, si riconosce come i concimi ad essa più convenienti saranno i sali potassici ed i fosfati, perchè, come abbiamo già accennato, la potassa e l'acido fosforico sono le materie minerali che predominano nelle ceneri del mosto.

Esaminiamo ora brevemente i principali fenomeni che si manifestano durante la fermentazione del mosto.

Il mosto dell'uva lasciato in contatto dell'aria ad una temperatura che sia compresa tra i 5 ed i 30 gradi del termometro centigrado a poco a poco e spontaneamente si intorbida; si svolgono da tutta la sua massa delle bollicine di un gaz irrespirabile (acido carbonico); la sua temperatura si innalza al disopra di quella dell'ambiente; diventa gradatamente meno zuccherino ed acquista invece un sapore spiritoso. Dopo un certo tempo lo sviluppo di gaz va gradatamente diminuendo finchè cessa affatto; le materie sospese si depongono sul fondo del recipiente, il liquido riacquista la primitiva sua limpidezza; la fermentazione è terminata ed il mosto trovasi cangiato in vino.

Osservando col microscopio una goccia di mosto in fermentazione si vede che la materia che lo rende torbido è costituita da un ammasso di esseri organizzati formati da cellule ovoidali, aventi un massimo diametro di poco superiore ad un centesimo di millimetro. Questi organismi sono vegetali crittogami e furono detti saccaromiceti, cioè funghi dello zucchero. I saccaromiceti si moltiplicano in modo prodigioso e si nutrono delle sostanze albuminoidi; uno degli atti della loro energia vitale consiste nella decomposizione dello zucchero in alcool ed acido carbonico. Secondo le accurate ricerche del Pasteur da cento parti in peso di zucchero d'uva, per l'azione del fermento del vino, derivano i prodotti seguenti:

Acido carbonico46,7
Alcool48,5
Glicerina3,2
Acido succinico0,6
Cellulosa1,0

L'acido carbonico si svolge allo stato di gaz ed è ad esso che devonsi attribuire la malsania delle tinaie durante la fermentazione, e l'effervescenza di alcune qualità di vini.

L'alcool (alcool comune, alcool etilico, alcool del vino) si accumula nel vino dal quale può essere facilmente separato per distillazione, avendo esso un punto d'ebollizione inferiore a quello dell'acqua. È appunto su questa proprietà che è basato l'uso del piccolo alambicco di Salleron che voi vedete funzionare avanti i vostri occhi e che serve per determinare la ricchezza alcoolica del vino.

La glicerina è una materia liquida, incolora, più densa dell'acqua, di un sapore dolciastro, e forma uno dei componenti di tutte le sostanze grasse vegetali ed animali. È la glicerina contenuta nel vino che gli imparte quella qualità difficilmente definibile e che i pratici designano col nome di corpo o sostanza del vino.

L'acido succinico è una materia che si può ottenere artificialmente ossidando l'ambra, e non sappiamo quale influenza esso eserciti sulle qualità del vino. — La cellulosi ha la stessa composizione del cotone e del legno; essa compone le pareti membranose delle cellule del fermento.

Oltre alle sostanze indicate si producono durante la fermentazione piccolissime quantità di alcool speciali diversi dall'alcool comune (alcool butilico, propilico, ecc.) i quali combinandosi con gli acidi del vino formano degli eteri odorosi che sono la causa dell'aroma particolare del vino. Al complesso di queste sostanze eteree si dà impropriamente il nome di etere enantico, quantunque noi non ne conosciamo finora la vera natura. Si trovano in commercio dei preparati con questo nome o coll'altro di bouquet del vino, ma sono miscele di etere prodotti artificialmente e di cui non conviene usare nella conciatura dei vini.

Appena terminata la scomposizione dello zucchero, i saccaromiceti cessano di moltiplicarsi, muoiono e le loro spoglie si depongono a poco a poco insieme alla maggior parte del cremortartaro, il quale perde della sua solubilità di mano in mano che va accumulandosi l'alcool nel mosto.

Confrontando il peso di volumi eguali di mosto prima e dopo la fermentazione, si osserva che il liquido fermentato riesce molto meno denso. Questa diminuzione della densità dipende dalla scomparsa dello zucchero e dalla formazione dell'alcool che è specificamente più leggiero dell'acqua. Perciò è evidente che determinando varie volte con il gleucometro la densità del mosto durante la sua fermentazione, si potrà sorvegliare e regolare a seconda dei casi il processo di vinificazione. Quando è cessata definitivamente la diminuzione della densità si potrà sempre collo stesso gleucometro riconoscere se tutto lo zucchero che era contenuto nel mosto si è convertito in alcool, sapendo noi che a cento parti in peso di zucchero d'uva corrispondono 48,5 di alcool. — Non sempre però avviene che tutto lo zucchero del mosto si cangi in alcool. Quando il mosto difetta di materie albuminoidi, i saccaromiceti non si possono sviluppare nella quantità necessaria per la completa metamorfosi dello zucchero. Se invece abbonda lo zucchero, anche in presenza di una quantità sufficiente di sostanze albuminoidi, esso non può produrre la dose di alcool che sarebbe indicata dalla teoria, e che, come abbiamo or ora ripetuto, corrisponde a poco meno della metà del proprio peso. In questo caso l'incompleta trasformazione dello zucchero dipende da ciò che i corpuscoli del fermento non possono vivere in un liquido che contenga più del 15 per cento di alcool. Questo fatto ci spiega il perchè con uve appassite si ottengono vini che sono nello stesso tempo dolci e spiritosi. — In una delle fattorie di vino in Marsala si fabbrica una qualità di vino liquoroso detto Brown Siracusa traendo partito della proprietà dell'alcool di arrestare la fermentazione; cioè si aggiunge al mosto, quando non è terminata la fermentazione, dell'alcool, il quale uccidendo i saccaromiceti, permette che sia conservata quella quantità di zucchero che corrisponde al tipo di vino che si vuol produrre.

Il mosto, anche quando è ottenuto da una stessa qualità di uva, non ha sempre una composizione costante, ma è soggetto a variare specialmente per le diverse vicende atmosferiche che influiscono grandemente sulle proporzioni dei principali componenti dell'uva. Variando la composizione del mosto si hanno necessariamente dei cambiamenti nella qualità del vino. Si è cercato di ovviare a questo inconveniente con metodi empirici, mescolando opportunamente tra di loro diverse qualità di vino. Ma la chimica sola ci può essere di guida sicura nel correggere il mosto in modo di potere da esso ottenere, ad onta delle sue possibili variazioni, un vino che abbia costantemente gli stessi caratteri, o come si è soliti a dire un vino tipo.

I metodi più apprezzati per modificare la composizione del mosto e per aumentare la produzione del vino nelle annate di scarso raccolto sono quelli suggeriti da Chaptal, Gall e Pétiot.

Quando si ha un mosto soverchiamente acido e che darebbe senz'altro un vino aspro e dannoso alla salute, Chaptal suggerisce di aggiungervi della polvere di marmo in una dose corrispondente alla quantità eccessiva di acido che si vuole eliminare. L'esperimento che faccio ora vi farà comprendere come il marmo agisce sui vini troppo acidi. In questo bicchiere contenente una soluzione di acido tartarico, che è lo stesso acido che predomina nel mosto, getto della polvere di marmo (carbonato calcico); come vedete avviene una forte effervescenza prodotta da ciò che l'acido carbonico del marmo si mette in libertà e si svolge allo stato di gaz, mentrechè la calce si unisce all'acido tartarico, lo neutralizza e forma una materia bianca (tartrato di calcio), che essendo insolubile a poco a poco si raccoglie sul fondo del recipiente. Lo stesso succede nel mosto nel quale il tartrato calcico insolubile si depone insieme alla feccia. Comprenderete la necessità della determinazione quantitativa dell'acidità del mosto quando si vuole adottare il metodo di Chaptal, riflettendo che se si eccedesse nella quantità di marmo, si renderebbe difettosa in un senso opposto la composizione del mosto, nel quale è assolutamente necessaria una certa quantità di acidi liberi.

Col metodo di Gall si corregge la troppa acidità del mosto senza ricorrere alla neutralizzazione della polvere di marmo. Gall ammette ragionevolmente che il mosto destinato a produrre una data qualità di vino deve contenere sempre le stesse quantità di zucchero e di acidi, che per alcuni vini del Reno, secondo lo stesso autore, devono corrispondere rispettivamente a 24 ed a 0,6 per cento. Se per caso il mosto contiene una quantità di acidi superiore a quella indicata, si aggiunge tant'acqua quanta è necessaria per avere il voluto grado di acidità. Con questa diluzione però se si corregge l'eccesso degli acidi, si diminuisce lo zucchero, e perciò è necessario di aggiungere al mosto dello zucchero in modo che esso ritorni alla proporzione normale del 24 per cento.

Col metodo del Gall non solo si corregge la cattiva composizione di un mosto, ma se ne aumenta eziandio la quantità. Questo aumento riesce molto più considerevole adottando il metodo Pétiot, col quale si può persino quadruplicare il volume di vino fornito da una data quantità di uva. Ritenendo che il mosto ottenuto direttamente dall'uva abbia una composizione normale, si getta sulle vinacce un eguale volume di acqua in cui sia stata disciolta la stessa dose di zucchero contenuta naturalmente nel mosto. Il fermento aderente ancora alle vinacce produce la scomposizione dello zucchero in alcool ed in acido carbonico; e così si ottiene un secondo vino, al quale se ne possono far succedere un terzo ed un quarto ripetendo successivamente le aggiunte di acqua zuccherata alle vinacce. Devesi però avvertire che è necessario di aggiungere all'acqua oltrechè lo zucchero anche dell'acido tartarico in una quantità che corrisponda al voluto grado di acidità. — Quando si eseguiscono le operazioni indicate con la massima cura si ottengono coi metodi di Gall e Pétiot dei vini di buona qualità e che è assai difficile, per non dire impossibile, il distinguere dai vini prodotti colla pura e semplice fermentazione del mosto.

Vi sono alcuni che ritengono i procedimenti che vi ho brevemente descritto come altrettante sofisticazioni e gridano contro qualunque siasi manipolazione chimica nell'arte del fare il vino, volendo esclusivamente limitata l'opera del chimico all'analisi dei vini per riconoscerne la forza alcoolica o per svelarne le possibili adulterazioni. Ma quando si adoperano in giusta misura lo zucchero e l'acido tartarico non si commette una sofisticazione, perchè queste sostanze sono identiche a quelle contenute naturalmente nel mosto. Se si deplora continuamente e con ragione che in gran parte d'Italia non si sanno produrre vini tipi, bisogna essere coerenti ed ammettere la legittimità di quei mezzi razionali additati dalla chimica che soli possono ovviare al difetto lamentato, che nuoce moltissimo al credito dei vini italiani all'estero. Si cita spesso a nostro rimprovero la costanza nella qualità dei vini del Bordolese e della Borgogna; ma i vigneti di questi paesi non sono più fortunati dei nostri; anche là le stagioni non si succedono sempre propizie alle vendemmie, e se ad onta di ciò i vini francesi ci si presentano sempre eguali, si deve attribuirne la cagione all'uso comune da nessuno condannato di correggere opportunamente a seconda delle circostanze le qualità del mosto. Le correzioni relative alla quantità dei principii componenti il vino non solo sono permesse, ma dovrebbero essere imposte dalla scienza. Se vi ha qualcuno così ingenuo da credere che il vino di Champagne sia fatto collo schietto sugo dell'uva, costui dovrebbe spingere la sua fede più in là e credere alle sincerità di tutti i brindisi che lo Champagne inspira.

Per essere giusti bisogna ammettere che la ripugnanza che incontra tra noi l'adozione dei metodi razionali di correggere il mosto e specialmente la fabbricazione del vino Pétiot, è fino ad un certo punto giustificata dal malo modo con cui questi metodi sono generalmente applicati. Per ignoranza si adoperano lo zucchero e l'acido tartarico in quantità non corrispondenti alle esigenze del mosto che si vuol correggere, oppure per una male intesa ed illecita economia invece di zucchero di ottima qualità si fa uso della peggiore melassa. Sonvi alcuni i quali guidati da un falso ragionamento credono di potere sostituire l'alcool allo zucchero: «Si aggiunge lo zucchero al mosto, pensano costoro, perchè esso si trasforma fermentando in alcool, ebbene tanto vale aggiungervi immediatamente la quantità di alcool corrispondente; ci si guadagna in tempo e denaro». Ma bisogna ricordarsi che quando lo zucchero fermenta, oltre all'alcool comune produce della glicerina, dell'acido succinico e piccole quantità di altri alcool, sostanze tutte necessarie perchè il vino abbia una composizione normale.

Mentre è giustamente biasimata per le ragioni che vi ho accennato, la sostituzione dell'alcool allo zucchero nella preparazione del vino Pétiot, si tollera l'aggiunta di piccole quantità di alcool ai vini liquorosi destinati per l'esportazione, come è specialmente il caso dei vini di Sicilia. Non è possibile di distinguere l'alcool formatosi naturalmente nel vino da quello aggiuntovi ad arte. Perciò il nostro Governo volendo avere una norma per la restituzione della tassa pagata sull'alcool adoperato nella confezione dei vini che si esportano, stabilisce, in base a molte ricerche, quale sia la ricchezza alcoolica massima naturale del vino di una data regione, ed abbuona al produttore quella quota di tassa che corrisponde alla differenza tra la forza alcoolica ammessa come naturale e quella riscontrata nel vino che viene presentato al dazio di confine per l'esportazione. Così, per esempio, essendosi stabilito che la ricchezza alcoolica massima dei vini di Sicilia è eguale al 15 per cento, per un vino di Marsala che ne contenesse il 19, verrà restituito l'ammontare della tassa che corrisponde alla quantità di alcool necessario per elevare da 15 a 19 il grado alcoolico del vino.

L'abuso però dell'alcoolizzazione dei vini non liquorosi costituisce una delle tante sofisticazioni del vino, di alcune delle quali è ormai tempo che noi ci occupiamo.

L'innacquamento del vino è senza dubbio l'adulterazione la più antica, la più facile e la più comune. Il chimico non possiede alcun mezzo di scoprire questa frode, che del resto non produce alcun danno alla salute. Si afferma, è vero, che è facile cosa lo scoprire l'aggiunta dell'acqua al vino versandone alcune goccie sopra un pannolino, o sopra la mollica di pane, ritenendo che la maggiore o minore diffusione della materia colorante nella macchia che si produce possa servire di criterio nel giudicare della schiettezza del vino; ma queste ed altre pratiche empiriche non hanno alcun valore e non meritano nemmeno di essere confutate. Se l'analisi chimica non vale a distinguere in un campione di vino l'acqua che vi esiste naturalmente da quella che per avventura vi fu aggiunta ad arte, si può però dosare con precisione la quantità totale di acqua. Pertanto chi teme che gli si adacqui il proprio vino, dovrà custodire un campione del vino acquistato, e presentarlo insieme all'altro del vino sospetto al chimico, il quale potrà dai risultati delle determinazioni analitiche eseguite sui due campioni, stabilire con certezza se realmente ad uno di essi fu aggiunta dell'acqua.

In alcune regioni del mezzodì della Francia, e tra noi nella Sicilia è invalso l'uso di gessare i vini, cioè di gettare del gesso polverizzato sull'uva durante la pigiatura, allo scopo di ravvivare il colore del vino e di renderlo più facilmente conservabile. L'aggiunta del gesso dà origine nel vino a del solfato potassico, il quale, quando sorpassa un dato limite, riesce nocivo alla salute, avendo proprietà purgative che non sono sempre nel desiderio dei bevitori. Il Governo francese già da molti anni non tollera i vini gessati, quando la quantità di solfati contenuti in un litro di vino sorpassa quella corrispondente a quattro grammi di solfato potassico; recentemente poi ha ridotto il limite di tolleranza a due grammi. Tra noi non vi è alcuna legge che limiti la gessatura dei vini; però alcuni Municipii, e tra questi quello di Torino, non permettono lo spaccio del vino gessato oltre la misura dei quattro grammi di solfato potassico per litro.

Per correggere i vini affetti da una malattia speciale detta grassume, in alcuni luoghi si usa l'acido solforico (olio di vetriolo); ma spesse volte il rimedio è peggiore del male, e si mettono in commercio, più frequentemente di quello che si crede, dei vini veramente nocivi. Si può svelare la presenza anche di piccole quantità di acido solforico libero nel vino con un mezzo semplicissimo che ora vi spiego. Si immergono nel vino sospetto delle listarelle di carta bianca senza colla (carta bibula, carta da filtro) e quando queste si sono imbevute di liquido, si fanno asciugare ad una temperatura non superiore a 100 gradi. Nel caso in cui il vino contenesse dell'acido solforico libero, le listarelle di carta dopo asciugate divengono, come quelle che vi presento, di color nero e friabilissime.

Il vino può qualche volta per frode o per incuria contenere delle combinazioni di rame e di piombo, le quali, anche quando vi si trovano in quantità piccolissima, lo rendono estremamente nocivo alla salute.

È cosa notissima che il vino fatto con l'uva solforata ha un odore ed un sapore disgustoso di ova putride dovuti alla presenza di gaz acido solfidrico. Per togliere al vino questo difetto, la scienza ha consigliato di travasare il vino, dopo che ha cessato completamente di fermentare, in botti in cui si è bruciato poco prima dello zolfo. Lo zolfo abbruciando produce del gaz acido solforoso, il quale reagendo sopra l'acido solfidrico dà origine a poca acqua ed a zolfo che si depone allo stato solido, ed è affatto insolubile nel vino; perciò rimane completamente decomposto il gaz che era cagione del cattivo odore. L'esperimento che ora faccio vi chiarirà quanto vi ho detto. In una campanella ho raccolto del gaz acido solforoso che ha l'odore soffocante dello zolfo che abbrucia; in un'altra campanella che ha un volume doppio della prima evvi del gaz acido solfidrico. Metto in comunicazione le due campanelle, e voi vedete che le loro pareti si tapezzano di una materia polverulenta di color giallo e che è zolfo puro; e dopo qualche istante posso lasciare in contatto dell'aria i due recipienti senza che voi siate incomodati dall'odore del vapore di zolfo e da quello di uova putride; il che prova che i due gaz venuti tra loro a contatto si sono reciprocamente scomposti. — Alcuni produttori e negozianti di vino invece di togliere l'odore di zolfo col metodo che vi ho indicato, gettano nella botte dei frastagli di rame o di piombo, i quali scompongono l'acido solfidrico, è vero, ma l'eccesso di questi metalli in contatto degli acidi che esistono nel vino dà origine a combinazioni solubili che sono eminentemente velenose. Per la grande facilità colla quale gli acidi organici intaccano il rame ed il piombo, si deve guardarsi bene dal conservare il vino in recipienti fatti con questi due metalli, oppure in quelle stoviglie grossolane la di cui vernice essendo fatta con un eccesso di litargirio o di alquifoux, che sono due composti contenenti piombo, riescono assai facilmente corrose dagli acidi. — Per lo stesso motivo, a mio parere, sarebbe da proscriversi assolutamente l'usanza che è diffusa nell'economia domestica di ripolire le bottiglie sciacquandole con acqua e pallini da caccia. Basta un granellino di piombo lasciato per inavvertenza nella bottiglia per rendere il vino suscettibile di produrre gravi malori.

Per colorire artificialmente i vini e specialmente quelli fatti col metodo Pétiot invece di usare l'enocianina, la quale, come già ebbi occasione di dire, è la materia colorante naturale dell'uva, si ricorre non solo a diverse materie coloranti vegetali, ma specialmente alla fucsina che è uno dei molti colori che si preparano col catrame del carbon fossile. La fucsina è dotata di una facoltà tintoria molto grande come potrete convincervene osservando i tre recipienti che sono avanti a voi, nei quali vi è dell'acqua alcoolizzata contenente rispettivamente un millesimo, un decimillesimo ed un centimillesimo del suo peso di fucsina. Ad onta che basti pochissima quantità di questa sostanza per tingere un gran volume di vino, tuttavia se ne deve assolutamente proscrivere l'uso, perchè nella sua preparazione si adoperano dei composti che riescono velenosissimi anche in piccole dosi. La sofisticazione dei vini colla fucsina e più comune di quello che generalmente si crede, ed io ebbi più volte occasione di analizzare dei vini che erano artificialmente colorati con questa sostanza. Anzi mi si presentò l'opportunità di far conoscenza con un commesso viaggiatore, il quale vendeva una soluzione concentrata di fucsina con due nomi differenti, cioè colore pei vini, e inchiostro violetto. Infatti è la fucsina che forma l'ingrediente principale di quell'inchiostro violaceo ora di moda, ma che formerà la disperazione dei paleografi dell'avvenire.

Porrò termine alla mia conferenza coll'accennarvi un'alterazione a cui possono andar soggetti i vini per la cattiva qualità del vetro delle bottiglie. Per ottenere un vetro più facilmente fusibile e pertanto per risparmiare del combustibile, alcuni fabbricatori di bottiglie aggiungono una eccessiva quantità di soda nella pasta del vetro. Si ha così un vetro che si altera assai facilmente quando rimane per un certo tempo in contatto con un liquido acido, quale è appunto il vino. L'acido decompone il silicato sodico mettendo in libertà della silice gelatinosa che rimane sospesa nel vino impartendogli una vischiosità simile a quella che si nota nei così detti vini filanti. In questo recipiente, che contiene una soluzione diluita di silicato sodico, io verso una soluzione pur diluita di acido tartarico, e, come voi vedete, si depone subito una materia gelatinosa che e appunto la silice. Questo esperimento vi dimostra ciò che lentamente avviene conservando per molto tempo del vino in bottiglie di cattiva qualità.

Giunto al termine della mia conferenza devo ripetervi che la ristrettezza del tempo mi ha solo permesso di esporvi alcuni dei fatti più salienti della chimica del vino. Coloro che desiderassero di approfondirsi in questo ramo della chimica applicata potranno trovare più diffusamente e con maggior chiarezza svolti gli argomenti che io ho appena enunciato, nei trattati di enologia e specialmente nel trattato sull'arte di fare il vino dei professori Cauda e Botteri, negli scritti del valentissimo enologo professore Carpenè e nelle lezioni sulla chimica del vino di Neubauer, di cui il prof. Sestini fece una ottima traduzione italiana. — Io mi riterrò soddisfatto se vi avrò dato occasione a studj importantissimi, e fortunato se non avrò parlato tanto male sul vino da richiamare alla memoria di qualcuno dei miei uditori il principio dell'ode pindarica a Jerone di Siracusa: Ottima è l'acqua.

[II-1] La densità di un mosto non dipende unicamente dal glucosio; ma eziandio in piccola parte da altre sostanze che vi sono disciolte. Di questo fatto si tiene conto nella graduazione dei gleucometri.

Il Vino: Undici conferenze fatte nell'inverno dell'anno 1880

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