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V.

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I due successivi granducati, che occupano dal 1609 al 1670 la maggior parte del secolo; con la breve signoria di Cosimo II fino al 1621, con la reggenza della madre sua Cristina e della moglie Maria Maddalena d'Austria, e con la signoria, dal 27 in poi, lunga d'oltre quarant'anni, di Ferdinando II; segnano sollecitamente l'indebolirsi, se non ancora della dinastia, ma certo del governo così negli ordini amministrativi come nei politici. Nell'interno, dove l'opera de' ministri prevale troppo spesso a quella del Principe, languiscono lentamente i commerci e le industrie, deperisce l'agricoltura, i vincoli giurisdizionali sopraffanno l'economia pubblica e domestica, si snerva la famiglia e si gonfia il convento, l'antico vigore del braccio e dell'animo si strania in servigio d'altri paesi; scarsa e mal nutrita è la fioritura delle lettere e delle arti, faticosa e contrastata quella della scienza che per virtù e martirio di pochi si afferma. Dal Cinque al Seicento, in Toscana, non è solamente cambiata la forma del reggimento civile; si è mutata la razza. Nelle relazioni esteriori, solidata ormai, per necessità di cose e per salutare effetto delle altrui gelosie reciproche, la esistenza del granducato, non però è altrettanto scevra d'impedimenti la morale indipendenza del Principe: la tradizione politica di Ferdinando I, tenuta in piedi alla meglio fra l'imperversare delle ambizioni e delle guerre dinastiche, non vale ad assicurare a' suoi successori la libertà delle loro amicizie o alleanze. E quando, cessati all'Impero i pericoli sovrastanti da Enrico IV, s'imbastiscono, con quelle del doppio ducato di Monferrato e Mantova, le prime guerre di successione; e Carlo Emanuele I sospinge animosamente i destini di Casa Savoia; e la guerra dei Trent'anni sconvolge o sospende tutta l'Europa; la politica medicea è, senz'arbitrio di scelta, vincolata più o meno strettamente a Spagna e Austria, e due fratelli di Ferdinando combattono in quella guerra ed uno vi muore. Il che non guadagnò del resto a Ferdinando II il ricambio dell'alleanza, allorchè egli ebbe a contrastare anche con le armi, e non senza onore, alle oltracotanze nepotistiche di papa Barberini; riserbandosi egli bensì, a sua volta, di starsene a suo agio, quando Spagna e Francia si accapigliarono sulla costa maremmana per la vecchia questione dello Stato dei Presidii. Tutto insieme, non mancarono a Ferdinando II qualità di governo; ma inadeguate alla straordinaria e troppo vasta complicanza dei fatti contemporanei. Ed è altresì vero che alcune deficienze, delle quali in quel periodo casa Medici peccò verso sè stessa, non sono imputabili nè a lui nè al padre suo, ma alle Reggenti; come fu del non aver fatto a tempo valere il conchiuso matrimonio di lui con Vittoria, ultima Della Rovere, per attirare alla corona granducale il ducato d'Urbino; che sarebbe stato più vantaggioso, e troppo più bello, acquisto che non gli altri, i quali Ferdinando non trascurò, di Pontremoli e di Santa Fiora.

La bontà, accompagnata in Cosimo da umore anche troppo proclive ai sollazzi e alle scurrilità delle corti d'allora, fu in ambedue questi principi naturata conformemente: e Ferdinando ebbe nella orribile pestilenza del 1630 occasione di esercitarla con provvedimenti ed atti, piuttosto di padre che di sovrano. E come a Cosimo questa bontà ingenita addolcì l'austerità, del resto affettuosa, della madre e della moglie, e lo fece rassegnato nelle infermità della vita breve; così a Ferdinando dette la virtù di sopportare quella tribolazione lunga, che gli furono in casa le donne. Il carattere della moglie, altero, ombroso e dispettoso, si atteggiò fin da principio ad aperto contrasto con quello di lui effusivo, benevolo e gaio: donde avvenne, che e' trascorresse, sebbene senza rumore di scandali (che fra i potenti del secolo finivano spesso, e per lo più impunemente, nel tragico), a cercarsi allegria dove non avrebbe dovuto; ed altre conseguenze derivarono, fatali alla dinastia, delle quali assai dice la distanza di anni diciotto fra il primo figliuolo, che fu, a tutta imagine materna, quel bel fiore di Cosimo III, e il secondo, prima cardinale sguaiato, e poi, per comodo, marito sconcio e inutile d'una Gonzaga. Eppure la Vittoria Della Rovere dovette a quel pover'uomo parere un angiolo, appetto a quel vero demonio di nuora, la bella Luisa d'Orléans, ch'egli andò a scovare sino in Francia pel suo figliuolo e successore. E con cotesti matrimonii a cattiva luna, l'urbinate, l'orleanese, il mantovano, e poi i due tedeschi de' figliuoli di Cosimo III, si svolse rapidamente la distruzione della famiglia, il disfarsi, potremmo dire con Dante, ma questa volta non men precipitoso che irreparabile, il “disfarsi della schiatta„.

Che poi a que' due granducati di Cosimo II e di Ferdinando II, e a quella femminile reggenza, si congiunga con vicende così dolorose la storia del pensiero e dell'opera magnanima di Galileo; e che il nome di Cosimo a' satelliti di Giove, e quello di Cristina in fronte alla lettera per la libertà dell'indagine scientifica, non facciano se non aggravare la colpa dell'acquiescenza di Ferdinando al martirio e alla curiale persecuzione, fin oltre tomba, del divino filosofo; in ciò è forse la più grave condanna di tutto quel periodo mediceo: perchè, dinanzi alle tarde ma immanchevoli giustizie della umana coscienza, i meriti maggiori o i demeriti dei sovrani della terra, sono quelli che essi si abbiano acquistati verso i sovrani del pensiero. Avrebbe forse ammendate le vergogne di quella colpa la instaurazione, che, sotto i granducali auspicii fraterni, il dotto e buon principe Leopoldo sì validamente imprese, dell'Accademia del Cimento: e i nove anni, fino al 1667, che ella così onoratamente visse e operò, quasi raccogliendo sotto le sue insegne la combattuta scuola galileiana, riconducono invero sulla casa Medicea un raggio di quella gloria d'umani studi che Cosimo il vecchio, il magnifico Lorenzo e Leone pontefice avevano trasmesso in splendido legato ai loro discendenti; e in quel novennio, del secolo che la trionfale cultura francese segna del nome di Luigi XIV, si accoglie senza dubbio l'ultima collettiva energia intellettuale che da questo nostro angolo privilegiato di patria manda, a benefizio della civiltà, il genio d'Italia. Ma quando, mentre d'ogni intorno garrule e vaniloquenti sbucan fuori e prosperano Accademie d'ogni sorta e figura; e di lì a soli vent'anni, per frondeggiare su tutta la penisola, si matura l'Arcadia; quando invece vediamo il Cimento, questa sola Accademia scientifica, eletto e numerato drappello di non pregiudicati ricercatori del vero, inciampare sui primi passi; — e quel buon principe Leopoldo, col diventare il Cardinale necessario in famiglia, lo vediamo ritrarre la mano, come da alcun che di non più addicevole, da quella pur nobilissima opera sua, e col ritrarsi di quella mano l'Accademia del Cimento finire; finire, con pia sodisfazione del nipote Cosimo, che sta per essere granduca, e della nera congrega che lo circonda; — ci si addimostra ben chiaro, come anche di questa cosa buona il granducato mediceo non ebbe la forza, e che sulle pagine della sua storia, con la lode di quel che s'accinse a fare, rimane l'accusa e il biasimo di quel che avrebbe dovuto e potuto perseverare a fare, e non fece.

La Vita Italiana nel Settecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1895

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